Platone, il Teage. Dialogo sulla sapienza

Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l' Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, mi dedico ora al Teage.

COMMENTO

Il Teage o Teagete è un dialogo di Platone oggi generalmente ritenuto spurio. Si apre con Demodoco, padre di Teage, preoccupato del futuro del figlio. Quest'ultimo desidera infatti la sapienza per gareggiare con gli altri giovani, e il padre si chiede se mandarlo da un sofista non sia deleterio più che utile: il maestro potrebbe corromperne l'anima. Demodoco si decide infine a cedere alle richieste del figlio, e ricorre all'aiuto di Socrate per farsi consigliare su chi sia il miglior sofista. Il dialogo inizia, come di consueto, col cercare un punto d'accordo comune: la conoscenza di quel che si persegue. Socrate inizia infatti a verificare la conoscenza del termine “sapienza” che ha Teage: sapienti sono coloro che sanno. Eppure anche il giovane sa: è stato educato alla lotta, alla musica ed alle lettere. Teage afferma però di cercare un'altra sapienza, ma di non saper definirla; appurato che sia quella del timoniere che dell'auriga è una forma di sapienza, Teage nega di essere interessato a queste. Socrate nota come finora i tipi di sapienza elencati consentissero di governare qualcosa; chiede perciò a Teage se la sapienza che cerca consente di governare qualcosa e, nel caso, cosa esso sia. Il giovane afferma di cercare la «sapienza in grado di governare gli uomini»; Socrate fa precisare a Teage quali uomini: tutti. Con un trucco logico di scarso valore, Socrate elenca un buon numero di tiranni: poiché essi governavano tutti gli uomini, ne consegue che se Teage cerca la sapienza che governa ogni uomo, dovrà necessariamente voler diventare un tiranno. Socrate si lancia quindi in un'ironica scena di disperazione, per poi chiedersi dove reperire un maestro di tirannide, allo scopo di soddisfare il volere del giovane. Poiché Euripide disse: «sapienti sono i tiranni, grazie alla compagnia dei sapienti», il campo d'azione si sposta: in cosa sono sapienti coloro che rendono sapienti i tiranni? In ogni arte in cui qualcuno è sapiente, lo è perché è stato reso tale da persone che ben conoscevano quell'arte; se ne deduce che allora i tiranni saranno stati resi sapienti dalla compagnia di altri esperti tiranni. Teage è disposto a voler frequentare tiranni? Il giovane finalmente si spazientisce dell'ironia socratica; precisa che sebbene invidi il potere dei tiranni, non è questa la sapienza che desiderava. La sapienza che anela è piuttosto finalizzata a governare gli uomini con il loro consenso e la loro stima. Socrate tuttavia si fa trovare pronto: poiché la sapienza si acquista da chi ne ha già, Teage dovrà frequentare un ottimo politico, come Pericle. Solitamente, però, i figli di questi ultimi non sono affatto migliori degli altri. Come può, pertanto, insegnare qualcosa chi non è riuscito ad insegnare ai suoi stessi figli? Se Teage non sa chi possa dargli la sapienza che desidera, e neppure stima i sapienti come educatori, si pone il problema di come effettivamente egli voglia conquistare la sapienza; è qui che Teage e Demodoco si trovano d'accordo per la prima volta: entrambi concordano nell'indicare Socrate come maestro ideale. Come consueto, Socrate si sminuisce pesantemente: dopotutto, Demodoco è più anziano ed ha ricoperto diversi ruoli nella città; se egli non possiede la sapienza, come può possederla Socrate? E ancora, in maniera prevedibile, Socrate si lancia in un'ironica lode sperticata dei sofisti, rei di farsi pagare. Essi sanno insegnare molte diverse scienze, a differenza di Socrate, il quale – e qui vi è un'enorme incongruenza con gli altri dialoghi platonici – è formidabile conoscitore solo dell'amore. «Socrate in nessun dialogo ha mai professato una così grande considerazione di sé»: persino nel Simposio, egli dichiarava di conoscere l'amore solo perché gli era stato insegnato da Diotima, la saggia sacerdotessa di Mantinea, per giunta facendo anche la figura dello sprovveduto al suo cospetto. Ancora più inusuale è il motivo per cui Socrate non vorrebbe adottare il giovane come discepolo: il demone glielo impedisce. Socrate si lancia in una spiegazione delle azioni del dèmone: esso distoglie e basta, senza mai consigliare (quando già in Senofonte il demone è capace di impartire direttive positive); inoltre, mediante una serie di aneddoti di cui non c'è menzione in nessun'altra fonte, Socrate spiega l'infallibilità del dèmone, capace anche di consigliarlo sui comportamenti che dovrebbero tenere altre persone. Quando il demone pone il veto su un potenziale discepolo di Socrate, se quest'ultimo decidesse ugualmente di prenderlo con sé non gli arrecherebbe nessun giovamento; può non porre il veto su qualcuno, ma questi potrebbe benissimo non giovarsene ugualmente. Altri, invece, progrediscono in maniera immediata, e si dividono in due fazioni: coloro i quali traggono dal filosofo un giovamento sicuro e stabile, e coloro i quali progrediscono solo stando vicini a Socrate, anche solo toccandolo – riferimento al Simposio. Socrate, dopo aver precisato il rischio di perdere tempo, non riesce comunque a dissuadere i due. Di malavoglia, accetta Teage come discepolo.

TESTO

DEMODOCO: Socrate, avrei bisogno di discutere in privato con te di alcune questioni e, se non hai qualche faccenda che sia veramente ì mportante, trova del tempo da dedicarmi. SOCRATE: Ma certo! Non ho nulla da fare e per te comunque troverei sempre del tempo; se vuoi parlarmi puoi farlo. DEMODOCO: Vuoi che ci ritiriamo in disparte qui, nel portico di Zeus Liberatore? SOCRATE: Se ti pare opportuno... DEMODOCO: Andiamo. Socrate, probabilmente tutto ciò che nasce, le piante della terra come tutti gli altri esseri viventi, uomo compreso, si comporta allo stesso modo; e infatti per quanti di noi coltivano la terra è assai facile, per ciò che concerne le piante, preparare tutto ciò che serve prima della semina e poi la semina stessa, ma quando ciò che è stato piantato comincia a crescere, allora la cura della pianta diventa lunga, difficile, laboriosa. E lo stesso capita con gli uomini, a quanto pare, poiché dalla mia esperienza deduco anche le esperienze altrui. Infatti anche per me la generazione e la procreazione - se così bisogna chiamarle - di questo mio figliolo sono state la cosa più facile di tutte, ma il crescerlo è arduo e io sono sempre in ansia e temo per lui. Quanto al resto, dunque, ci sarebbero molte cose da dire, ma il desiderio che al presente nutre mi fa una gran paura - eppure non è certo un desiderio vile, bensì pericoloso - poiché vuole diventarci, Socrate, come dice lui, un sapiente. Infatti credo che certi suoi coetanei del demo lo confondano, ripetendogli alcuni discorsi che ascoltano quando scendono in città, discorsi che egli ha incominciato a invidiare, e ormai da tempo non mi lascia tranquillo, dicendomi che mi devo prendere cura di lui e pagargli qualche sofista perché lo renda sapiente. A me importa ben poco del denaro, ma credo che costui vada incontro a un pericolo non piccolo con ciò in cui vuole impegnarsi. Finora l'ho trattenuto blandendolo, ma dal momento che non sono più in condizione di farlo, ritengo che la cosa migliore sia dargli retta, perché non prenda a frequentare a mia insaputa qualcuno che lo rovini. Dunque ora vengo qui proprio per questo motivo, per affidarlo a qualcuno di questi che appaiono sofisti, e tu quindi sei arrivato al momento opportuno, perché io vorrei assolutamente un tuo consiglio su tali questioni per le quali devo prendere una decisione. Se tu dunque vuoi consigliarmi qualcosa dopo aver sentito da me come stanno le cose, puoi e devi farlo. SOCRATE: Certo, Demodoco, e si dice che il consiglio sia cosa sacra. E se qualsiasi altro consiglio è sacro, questo che ora mi chiedi lo sarebbe a maggior ragione, poiché non c'è cosa più divina per cui un uomo potrebbe chiedere consiglio che sull'educazione propria e dei propri familiari. Quindi in primo luogo mettiamoci d'accordo tu e io su cosa mai crediamo che sia ciò di cui discutiamo, perché io non intenda una cosa e tu un'altra e poi, a discussione avviata, non ci accorgiamo di essere ridicoli, non pensando alle stesse cose io mentre do consigli e tu mentre li ricevi. DEMODOCO: Mi sembra che tu parli correttamente, Socrate, e che si debba fare così . SOCRATE: Io parlo correttamente ma non del tutto, poiché ho da apportare una piccola modifica, dato che penso che questo ragazzino non desideri ciò che noi pensiamo desideri, ma un'altra cosa, e quindi noi siamo ancora più insensati nello scambiarci consigli su qualcosa di diverso da ciò. Pertanto la cosa più giusta mi pare sia cominciare da lui, chiedendogli cosa desidera. DEMODOCO: Forse quello che proponi è la cosa migliore. SOCRATE: Dimmi, quale bel nome ha il giovinetto? In che modo lo possiamo chiamare? DEMODOCO: Si chiama Teage, Socrate. SOCRATE: Demodoco, hai imposto a tuo figlio un nome bello e degno di una persona seria. Dicci, Teage, confermi che desideri diventare sapiente e pretendi che tuo padre ti trovi un uomo tale da renderti sapiente frequentandolo? TEAGE: Sì . SOCRATE: Chiami sapienti coloro che sanno, qualunque cosa sia quella che sanno, o quelli che non sanno? TEAGE: Quelli che sanno. SOCRATE: E allora? Tuo padre non ti ha istruito ed educato in quegli ambiti in cui gli altri, i figli di padri nobili, sono stati educati, come imparare a leggere, a suonare la cetra, a fare la lotta e a cimentarsi nelle altre gare? TEAGE: Certo. SOCRATE: Dunque tu pensi che ti manchi ancora una scienza di cui tuo padre dovrebbe preoccuparsi per te? TEAGE: Sì . SOCRATE: Qual è questa scienza? Dillo anche a noi perché ti possiamo accontentare. TEAGE: Anche mio padre lo sa, Socrate - poiché gliel'ho detto spesso - ma te lo dice a bella posta come se non sapesse ciò che io desidero: infatti anche tutte le altre volte mi ha contraddetto e non ha voluto affidarmi a nessuno. SOCRATE: Ma le parole dette prima sono state dette da te a lui per così dire senza testimoni: ora, invece, prendi me a testimone e dichiara di fronte a me qual è questa sapienza che tu desideri. Su, se desiderassi quella scienza che gli uomini usano per condurre le navi e io mi trovassi a domandarti: «TEAGE, di quale scienza hai bisogno, per cui rimproveri a tuo padre di non volerti affidare a coloro presso i quali diventeresti sapiente?», che cosa mi risponderesti? Di quale scienza, cioè, risponderesti di aver bisogno? Di quella nautica, vero? TEAGE: Sì . SOCRATE: Ma se tu desiderassi possedere quella scienza di cui gli uomini si servono per guidare i carri e rimproverassi tuo padre, se io ti domandassi quale è questa scienza, quale risponderesti? Quella dell'auriga, vero? TEAGE: Sì . SOCRATE: Quella che ora desideri non ha un nome o ce l'ha? TEAGE: Io credo che ce l'abbia. SOCRATE: Dunque sai qual è questa scienza ma non ne conosci il nome o lo conosci? TEAGE: Lo conosco. SOCRATE: Qual è? Dillo. TEAGE: Socrate, quale altro nome potrebbe avere se non quello dì sapienza? SOCRATE: Dunque non è sapienza anche quella dell'auriga o ti pare ignoranza? TEAGE: Non credo. SOCRATE: Allora è sapienza? TEAGE: Sì . SOCRATE: E come ce ne serviamo? Non ce ne serviamo per saper guidare i cavalli? TEAGE: Sì . SOCRATE: E allora anche quella nautica non è sapienza? TEAGE: Così credo. SOCRATE: Non è dunque quella grazie alla quale sappiamo guidare le navi? TEAGE: è questa. SOCRATE: Ma qual è la sapienza che desideri? Di cosa sappiamo occuparci con essa? TEAGE: Degli uomini, credo. SOCRATE: Degli uomini ammalati? TEAGE: No di certo. SOCRATE: Di quelli infatti se ne occupa la medicina, non è vero? TEAGE: Sì . SOCRATE: Allora è quella sapienza con la quale sappiamo occuparci di coloro che cantano nei cori? TEAGE: No. SOCRATE: Quella infatti non è la musica? TEAGE: Certo. SOCRATE: E allora quella con cui sappiamo occuparci dei ginnasti? TEAGE: No. SOCRATE: Quella infatti è la ginnastica, vero? TEAGE: Sì . SOCRATE: Ma allora cosa fanno gli uomini di cui sappiamo occuparci con questa sapienza? Cerca di rispondermi come io prima ho fatto con te. TEAGE: Penso che siano gli uomini che vivono in città. SOCRATE: E nella città non vivono anche gli ammalati? TEAGE: Sì , ma io non intendo questi soli, bensì anche gli altri che vivono in città. SOCRATE: Forse allora capisco di quale scienza parli: infatti non mi sembra che tu ti riferisca a quella con cui sappiamo guidare i mietitori, i vendemmiatori, i piantatori, i seminatori e i trebbiatori: infatti è l'agricoltura la scienza con cui sappiamo occuparci di costoro, o no? TEAGE: Sì . SOCRATE: E non credo neppure che tu ti riferisca alla scienza con cui sappiamo occuparci di tutti coloro che segano, forano, piallano e torniscono: non è l'architettura questa scienza? TEAGE: Sì . SOCRATE: Ma forse tu parli di quella scienza con la quale sappiamo guidare tutti costoro, contadini, falegnami, artigiani e non, uomini e donne. TEAGE: Socrate, è da un pezzo che intendo dire questa scienza. SOCRATE: Sai dunque rispondere? Egisto, l'assassino di Agamennone, non comandava ad Argo su tutti coloro di cui tu parli, cioè artigiani e non, uomini e donne? O comandava su altri? TEAGE: No, su questi. SOCRATE: E allora? Peleo figlio di Eaco a Ftia non comandava sulle stesse categorie di persone? TEAGE: Sì . SOCRATE: Hai già sentito parlare di Periandro, figlio di Cipselo, che regnò su Corinto? TEAGE Sì . SOCRATE: E nella sua città non comandava sulle stesse persone? TEAGE: Sì . SOCRATE: E Archelao figlio di Perdicca, che da non molto governa la Macedonia? Non credi che comandi sulle stesse persone? TEAGE: Sì . SOCRATE: E su chi credi che abbia comandato Ippia, il figlio di Pisistrato, che fu a capo di questa città? Non su costoro? TEAGE: E come no? SOCRATE: Dunque mi sapresti dire quale nome hanno Bacide, Sibilla e il nostro compaesano Anfilito? TEAGE: Quale altro nome, Socrate, se non quello di indovini? SOCRATE: Dici bene. Cerca di rispondermi così anche per questi che seguono: quale nome hanno Ippia e Periandro, visto il loro tipo di governo? TEAGE: Tiranni, credo. Quale altro nome possono avere? SOCRATE: Quindi chi desidera comandare su tutti gli uomini che vivono in città desidera lo stesso tipo di governo di quelli, cioè quello tirannico, e vuole essere un tiranno? TEAGE: Così pare. SOCRATE: Pertanto anche tu dici di desiderare questo? TEAGE: Credo di sì , in base a quello che ti ho detto. SOCRATE: Sciagurato, dunque è il desiderio di comandare su di noi che ti fa biasimare tuo padre perché non ti ha mandato a scuola di qualche maestro di tirannide? E tu, Demodoco, non ti vergogni dal momento che da molto tempo sai cosa desidera costui e, pur sapendo dove mandarlo per renderlo un artista nella sapienza che desidera, ti opponi e non vuoi mandarlo? Ma ora - vedi? - poiché egli ti ha accusato di fronte a me, perché tu e io non decidiamo da chi mandarlo e grazie a quale frequentazione possa diventare un sapiente tiranno? DEMODOCO: Sì , per Zeus, Socrate, decidiamolo, perché mi sembra sia necessaria non poca riflessione su questo problema. SOCRATE: Aspetta, amico mio. Prima informiamoci con precisione su cosa ne pensa lui. DEMODOCO: Domanda pure. SOCRATE: Dunque, TEAGE, cosa diresti se ricorressimo a Euripide? Euripide dice: «Frequentando i sapienti i tiranni son sapienti». Se qualcuno domandasse a Euripide: «Euripide, in che cosa dici che i tiranni sono sapienti se frequentano i sapienti?», come se egli avesse detto: «Frequentando i sapienti i contadini sono sapienti», e noi gli domandassimo: «I sapienti in che?», cosa ci risponderebbe? Forse altro che i Sapienti in agricoltura? TEAGE: No, questo. SOCRATE: E se avesse detto: «Frequentando i sapienti i cuochi sono sapienti», e gli chiedessimo: «I sapienti in che? », cosa ci risponderebbe? Non ci risponderebbe che si tratta dei cuochi? TEAGE: Sì . SOCRATE: E se avesse detto: «Frequentando i sapienti i lottatori sono sapienti» e gli domandassimo: «I sapienti in che?», non direbbe forse i sapienti nella lotta? TEAGE Sì . SOCRATE: Ma poiché egli ha detto «Frequentando i sapienti i tiranni son sapienti», se gli domandassimo: «In che cosa li dici sapienti, Euripide?», che cosa risulterebbe? Quali cose direbbe? TEAGE: Ma per Zeus, io non lo so. SOCRATE: Vuoi che te lo dica? TEAGE: Se vuoi. SOCRATE: In quegli ambiti di cui Anacreonte attribuiva la conoscenza a Callicrite; o forse non conosci l'ode? TEAGE: Sì , la conosco. SOCRATE: E allora? Desideri anche tu qualcosa di simile e vuoi frequentare qualcuno che sia compagno d'arte di Callicrite, figlia di Ciane, e che conosca l'arte della tirannide, come la definì il poeta, per poter diventare un tiranno per noi e per la città? TEAGE: E un pezzo, Socrate, che ti burli e ti prendi gioco di me. SOCRATE: Ma allora non è questa la sapienza che dici di desiderare, con cui potresti governare tutti i cittadini? E facendo ciò, cos'altro saresti se non un tiranno? TEAGE: Mi augurerei, credo, di diventare tiranno di tutti gli uomini in assoluto, altrimenti della maggior parte di essi: e lo desidereresti anche tu, credo, come tutti gli altri uomini - forse l'unica cosa che potrei desiderare di più è di diventare un dio -, ma non è questo che dicevo di desiderare. SOCRATE: Ma cos'è mai ciò che desideri? Non dici che desideri comandare sui cittadini? TEAGE: Sì , ma non con la forza come i tiranni, bensì con il consenso dei cittadini, come altri illustri politici nella nostra città. SOCRATE: Alludi dunque a persone come Temistocle, Pericle, Cimone e quanti sono stati abili politici? TEAGE: Sì , per Zeus, intendo costoro. SOCRATE: E se tu desiderassi diventare competente nell'ippica? Da chi andresti se pensassi di voler diventare un abile cavaliere? Forse da qualcun altro che dai cavalieri? TEAGE: Per Zeus, non da altri. SOCRATE: Andresti dunque da coloro che sono esperti in questo ambito, che hanno cavalli e che sanno servirsi dei propri e, al bisogno, di quelli altrui. TEAGE: è chiaro. SOCRATE: E se tu volessi diventare abile nel lancio dei giavellotti? Non penseresti di diventare abile andando da coloro che ne sono esperti, che ne possiedono e sanno servirsi di giavellotti di ogni tipo, propri e altrui, a seconda dell'occasione? TEAGE: A me pare così . SOCRATE: Dimmi: poiché vuoi diventare sapiente in politica, da chi pensi di andare per diventare sapiente, se non dai politici che sono abili in materia di politica e sanno reggere la propria città e molte altre, quando se ne presenti l'occasione, e hanno rapporti con le città greche come con quelle barbare? O ti sembra che frequentando altri e non essi sarai sapiente nell'ambito in cui lo sono costoro? TEAGE: Socrate, ho sentito dire di certi tuoi discorsi sul fatto che i figli di questi politici non sono per nulla migliori dei calzolai: e mi pare che tu dica la pura verità in base all'idea che me ne sono fatto. Dunque sarei uno stolto se credessi che uno di costoro potesse trasmettere a me la sua sapienza ma non fosse in grado di arrecare vantaggio alcuno a suo figlio, potendo in qualche modo recare giovamento a chiunque altro in quest'ambito. SOCRATE: O migliore tra gli uomini, come ti comporteresti se tu avessi un figlio che ti desse grattacapi simili dicendo di avere il desiderio di diventare un bravo pittore e rimproverando te, suo padre, poiché non vuoi spendere denaro per lui a questo scopo, ma non avesse stima alcuna degli artisti di quel campo, cioè i pittori, e non volesse apprendere da loro? O, desiderando diventare flautista, disprezzasse i flautisti o i citaristi? Sapresti come trattarlo e da quale altra parte inviarlo, dal momento che non vuole imparare da costoro? TEAGE: Per Zeus, no. SOCRATE: Ora tu, che fai la stessa cosa con tuo padre, ti meravigli e lo rimproveri perché non sa come comportarsi con te e dove mandarti? Perciò ti affideremo a chiunque tu voglia dei valenti politici, che starà con te gratis: non spenderai nulla e diventerai molto famoso presso la gente, più che frequentando chiunque altro. TEAGE: Cosa dici, Socrate? Non sei anche tu uno degli uomini valenti? Se infatti tu vuoi prendermi con te, mi sta bene e non vado in cerca di nessun altro. SOCRATE: Cosa dici, TEAGE? DEMODOCO: Socrate, non parla certo male e nel contempo mi farai un favore, perché non c'è cosa che io considererei maggior guadagno di questa, se costui fosse contento frequentandoti e se tu volessi prenderlo con te. E tuttavia mi vergogno di dire quanto ardentemente io lo desideri. Io vi prego entrambi: prego te, Socrate, di essere disposto ad accettare costui, e prego te, figlio mio, di non cercare nessun altro da frequentare se non Socrate. Mi libererete da molti timori e da molte preoccupazioni, poiché ora ho molta paura per lui, che si imbatta in qualcun altro che lo rovini. TEAGE: Padre, non aver più paura per me, ora, se sai persuadere Socrate ad accogliermi e a permettermi di frequentarlo. DEMODOCO: Parli molto bene. Socrate, dopo di ciò dovrei rivolgermi a te. Io infatti sono pronto, per dirla in breve, a offrirti me stesso e quanto ho di più caro, qualunque cosa, insomma, se prendi ad amare Teage e ad aiutarlo in quel che sai. SOCRATE: Demodoco, non mi meraviglio che tu sia preoccupato se credi che io ti possa recare particolare giovamento aiutando tuo figlio - infatti non so di cosa potrebbe preoccuparsi di più un uomo ragionevole se non del proprio figlio, perché diventi il migliore possibile - ma mi chiedo con molta meraviglia donde ti sia venuta questa idea che io sia in grado di aiutare tuo figlio a diventare un buon cittadino più di quanto non lo possa fare tu stesso e come egli si sia messo in testa che io possa aiutarlo più di te. Infatti in primo luogo tu sei più anziano di me, poi hai già avuto molte alte cariche ad Atene e godi di una grandissima stima da parte degli abitanti del demo di Anagirunte e del resto della città non meno di alcuno, ma in me nessuno di voi due può vedere nulla di simile. Quindi se il nostro TEAGE disprezza la compagnia dei politici e cerca altri che si professino in grado di educare i giovani, ci sono Prodico di Ceo, Gorgia di Leontini, Polo di Agrigento e molti altri che sono così sapienti da poter andare nelle città, persuadere i più nobili e ricchi tra i giovani - che potrebbero frequentare gratis qualunque cittadino volessero -, convincerli ad abbandonare la compagnia di quelli e frequentare loro, versando inoltre fortissime somme di denaro come compenso, e a essere loro grati, per giunta! Sarebbe naturale che tuo figlio e tu stesso sceglieste uno dì loro e non me: io infatti non so nulla delle loro care belle scienze - eppure lo vorrei - e dico sempre di non sapere nulla, per dirlo in una parola, tranne in una piccola scienza, quella d'amore, in cui io ritengo di essere il più esperto sia tra gli uomini del passato sia tra quelli del nostro tempo. TEAGE: Vedi, padre? Non mi sembra assolutamente che Socrate voglia prendermi con sé - io infatti sarei pronto, se lui volesse - ma parla prendendosi gioco di noi, poiché so di miei coetanei e di compagni poco più anziani di me che, prima di frequentarlo, non valevano nulla ma, dopo averlo frequentato, in poco tempo sono risultati migliori di tutti quelli di cui prima erano peggiori. SOCRATE: Dunque tu sai cosa sia questo, figlio di Demodoco? TEAGE: Sì , per Zeus, io lo so: se tu vuoi, anche io sarò in grado di diventare tale e quale a loro. SOCRATE: No, caro mio, ti sfugge cos'è e te lo dirò io. Infatti è un daimon che, per divina disposizione, mi accompagna fin dalla fanciullezza. è una voce che, quando sopraggiunge, mi indica sempre di non fare ciò che sto per fare, ma non mi spinge mai a fare nulla. E se un amico mi chiede consiglio e la voce sopraggiunge, si verifica la stessa cosa, cioè distoglie e non permette di agire. E di ciò prenderò voi a testimoni: infatti conoscete Carmide, il figlio di Glaucone, che è diventato molto bello. Costui una volta venne da me a chiedermi consiglio, poiché voleva esercitarsi nello stadio a Nemea e subito, non appena egli cominciò a dire che voleva esercitarsi, sopraggiunse la voce e io glielo proibii e dissi: «Mentre stavi parlando mi è sopraggiunta la voce del demone: "Non ti allenare"». «Forse», disse egli, «ti indica che non vincerò, ma anche se non posso vincere, trarrò giovamento da questo periodo di esercizi» e dopo aver detto questo prese ad allenarsi. Bisognerebbe dunque chiedere a lui cosa gli accadde a causa di quell'allenamento. Se volete, domandate a Clitomaco, fratello di Timarco, cosa gli disse Timarco mentre andava incontro alla morte: potrebbero dirlo appunto Clitomaco ed Evatlo, il corridore, che aveva accolto Timarco in fuga. Lui vi dirà cosa gli disse Timarco. TEAGE: Cosa? SOCRATE: Disse: «Clitomaco, io ora vado incontro alla morte per non aver voluto dare retta a Socrate». Perché mai Timarco dunque disse questo? Ve lo dirò. Quando Timarco e Filemone, figlio di Filemonide, si alzarono dal convito per andare a uccidere Nicia, figlio di Eroscamandro, e loro due soli erano a conoscenza della congiura, Timarco alzandosi mi disse: «Che dici, Socrate? Voi continuate a bere, io devo andare in un posto. Tornerò presto, se mi va bene». Ma mi sopraggiunse la voce e gli dissi: «Non alzarti, infatti mi è sopraggiunto il consueto daimon», ed egli rimase. Trascorso del tempo, di nuovo si accinse ad andarsene e disse: «Vado, Socrate». Di nuovo sopraggiunse la voce e pertanto lo costrinsi nuovamente a restare. La terza volta, non volendo farsi vedere da me, si alzò senza dirmi nulla e di nascosto, approfittando del fatto che ero distratto, così se ne andò e commise ciò a causa di cui poi se andò incontro alla morte. Ecco perché Timarco disse al fratello ciò che io ora vi ripeto, cioè che andava a morire per non avermi dato retta. E inoltre, sui fatti di Sicilia, potrete ascoltare da molti ciò che io dicevo circa la disfatta dell'esercito: gli eventi del passato è possibile udirli dalla bocca di chi li conosce, e ora è possibile darvi la prova che il daimon dice qualcosa; infatti alla partenza di Sannione il bello per la spedizione mi sopraggiunse il daimon, e ora egli se ne va combattendo con Trasillo sulla via di Efeso e della Ionia. Io dunque penso che egli morirà o gli capiterà qualcosa di simile, e anche per il resto dell'esercito ho molta paura. Ti ho detto tutto questo perché la potenza del daimon può tutto anche nei confronti degli amici che mi frequentano; infatti esso si oppone a molti e non è possibile per questi frequentarmi e trarre giovamento alcuno, sicché non posso stare con loro. A molti poi non impedisce di frequentarmi ma essi, pur frequentandomi, non ottengono alcun miglioramento. Poi, quelli a cui la potenza del daimon favorisce lo stare con me, sono quelli di cui anche tu ti sei accorto, perché subito hanno ottenuto dei miglioramenti; e di questi alcuni ricavano un guadagno sicuro e durevole, i più invece, mentre stanno con me progrediscono in modo stupefacente, ma una volta che si siano allontanati da me, ritornano di nuovo alla condizione precedente. Questo è capitato ad Aristide, figlio di Lisimaco e nipote di Aristide. Infatti frequentandomi, in breve fece molti progressi, poi prese parte a una spedizione, si imbarcò e al ritorno trovò a frequentarmi Tucidide fiflio di Melesia e nipote di Tucidide: il giorno prima Tucidide si era arrabbiato con me durante una discussione. Dunque, non appena mi vide, Aristide, dopo avermi abbracciato e aver scambiato gli altri convenevoli, disse: «Sento che Tucidide è pieno di boria nei tuoi confronti, Socrate, ed è arrabbiato come se fosse chissà che». «è così », risposi. «Perché?», chiese «Non sa quale schiavo era prima di frequentarti?» «Pare di no, per gli dèi», risposi io. «Ma anche io», continuò, «mi trovo in una situazione ridicola, Socrate». «E perché mai?», domandai. «Perché», rispose, «prima di imbarcarmi ero capace di discutere con qualsiasi uomo e di non apparire inferiore a nessuno nella conversazione, sicché andavo in cerca della compagnia degli uomini più colti. Ora invece è tutto il contrario: se mi accorgo che uno è colto lo evito, a tal punto mi vergogno della mia pochezza». «Ma», chiesi io, «questa capacità ti ha abbandonato all'improvviso o a poco a poco?» «A poco a poco», rispose. «E quando tu hai acquisito quella capacità», domandai, «l'hai acquisita perché hai imparato qualcosa da me o in altro modo?». Ed egli rispose: «Ti dirò, Socrate, una cosa incredibile, per gli dèi, ma vera. Io infatti non ho mai imparato nulla da te, come tu stesso sai, ma facevo progressi quando stavo con te, anche solo se ero nella stessa casa e non nella stessa stanza, maggiormente se ero nella stessa stanza e, credo, in modo ancora maggiore quando, nella stessa stanza, mentre tu parlavi, io fissavo te piuttosto che guardare altrove, ma facevo soprattutto progressi quando ti sedevo accanto e ti sfioravo. Ma ora», concluse, «tutta quella capacità è svanita». Tale dunque è la nostra compagnia, Teagete: se al dio è gradito, progredirai moltissimo e rapidamente, altrimenti no. Bada pertanto che per te non sia pì u sicuro essere educato da uno di quelli che sono padroni del vantaggio che arrecano agli uomini piuttosto che essere educato da me, poiché ti affideresti al caso. TEAGETE: Mi sembra, Socrate, che noi dobbiamo fare così e, stando con te, mettere alla prova questo daimon: se egli ci accetta, sarà la cosa migliore, altrimenti ci consiglieremo subito sul da farsi, se frequentare un altro o tentare di placare la divinità con preghiere, sacrifici e qualsiasi altro mezzo indichino gli indovini. DEMODOCO: Non muovere più obiezioni al ragazzo, Socrate, giacché Teagete dice bene. SOCRATE: Se vi sembra che si debba fare così , così facciamo.

Eugenio Caruso 9-9-2019

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