Con piacere ho saputo che vivi con gli schiavi in rapporti di familiarità: è un atteggiamento che si addice alla tua sensibilità, alla tua cultura. "Sono schiavi". Sì, ma sono esseri umani. "Sono schiavi". Sì, ma anche umili amici. "Sono schiavi". Sì, ma compagni sotto lo stesso tetto. "Sono schiavi". Sì, ma condividono con te la schiavitù, se consideri che la Fortuna esercita eguali diritti su di te, e su di loro.
Seneca Lettere morali a Lucilio
Introduzione
C’era una volta,
un paese, di nome Dovizia, immerso in una verdeggiante e tranquilla pianura, i cui abitanti erano persone ricche e stanche della vita frenetica della vicina città di Cresopoli.
Dovizia fu costruita dai magnati delle industrie di Cresopoli, allo scopo di creare una zona residenziale di esclusivo appannaggio del ceto abbiente.
In origine quelle terre erano popolate da agricoltori e allevatori, che accettarono di alienare i propri poderi in virtù dell'ingente quantitativo di denaro offerto; ma la famiglia contadina degli Ostet si rifiutò.
L’ingegner dott. Onorato Sfarzotto, incaricato dell’esecuzione del progetto edile, fu costretto ad inserire nel piano regolatore della città anche la cascina degli Ostet che, sebbene fosse distante dal centro dell'opulenza, rappresentava, peraltro, una nota di discontinuità per l’intera comunità.
Gli Ostet, terminati i lavori di edificazione, si resero conto che la loro reggia, composta da due stanze, bagno, cucina soggiorno, pollaio e orto, altro non era che una baracca paragonata alle altre “dimore”. La vecchia latteria, l’antica drogheria, il mulino e tutte le altre botteghe erano state sostituite da un solo grande negozio, dal supermercato.
E la vecchia Osteria Del Gatto? Era diventata il Cat Pub.
I coniugi Ostet incontrarono gli occhioni celesti di Midar, il loro bimbo di soli due anni, poi, posarono la sguardo sul ventre gravido di mamma Ostet e, successivamente, osservarono Dovizia e videro realmente i cambiamenti.
Sfortunatamente, seguirono tre mesi di caldo torrido e di siccità che distrussero le colture e Natale Ostet capì di dover partire in cerca di un lavoro.
Demetra Ostet da lì a poco avrebbe dato alla luce due gemelli e Midar stava crescendo.
La preoccupazione più grande della donna era quella di garantire almeno due pasti al giorno per se e per suo figlio, ma c’era anche Ares, un meticcio di pastore tedesco con la coda a ricciolino che si era fatto adottare, e da allora i sacrifici erano aumentati.
Lei non avrebbe mai potuto abbandonare il cane, poiché viveva in simbiosi con il figlio; infatti, Midar era solito dividere il cibo con il pulcioso Ares, che grato aiutava il piccolo a muovere i primi passi. Fu così che Midar imparò a camminare.
Una mattina Demetra guardò fuori dalla finestra e si accorse che Midar camminava, gli andò incontro e stringendolo tra le braccia gli disse:
«Piccolo mio sono fiera di te, la mamma ti ama e tra poco nasceranno dei fratellini, tu dovrai aiutarmi a insegnare loro tante cose: tu sei il maggiore».
Midar allora era troppo piccolo per comprendere le parole della madre, ma quando nacquero le due gemelle, le pestifere, Athena e Aida, quelle parole risuonavano, ogni giorno, nella sua mente e capì che essere il maggiore comportava delle responsabilità, e si sentì fregato.
Midar compie quattro anni
Una calda mattina di fine agosto, Demetra, tornata a casa affranta per i pochi soldi ricavati dalla vendita di un vecchio cimelio di famiglia, mise le bimbe nel box e chiese a Midar di curarle affinché potesse sbrigare la corrispondenza.
Demetra si sedette al tavolo e si guardò intorno mettendosi le mani nei capelli, il caos regnava nella sua cucina-salotto-soggiorno-ludoteca, poi pensò che i doviziani l’avrebbero definito un open space vissuto, e, rincuorata, spostò l’attenzione sulle bollette in scadenza. Le sue preoccupazioni furono, presto, interrotte da un pianto infantile. Demetra corse nella cameretta dei bimbi e vide Aida affranta in un pianto da soprano, Athena in procinto di esibire i suoi famosi acuti e Midar intento ad insegnare ad Ares a parlare.
«Midar» chiese la mamma «tu sciacqua la tettarella di Athena che è caduta per terra, e io faccio mangiare le tue sorelline!».
Midar obbedì, ma tra sé pensò alle richieste incessanti della madre «Midar fai la spesa, Midar vai nel pollaio, Midar, Midar, Midar, sempre Midar». Ma lui non era una donna come Cenerentola, riflettè, forse poteva essere il principe azzurro.
Ogni sera mamma Demetra raccontava quella favola, principalmente alle femmine, lui era rassegnato all’ascolto e, già a quattro anni, si era reso conto che avrebbe dovuto assecondare le donne, specie se in gruppo, e lui disarmato.
Ma il principe azzurro era un principe che aiuta una ragazza povera, e lei diventa ricca.
Come avrà fatto il principe a diventar ricco? Questo quesito fece galoppare la fantasia di Midar e ad alta voce pianificò: «Se fossi il principe azzurro aiuterei la mia famiglia, papà tornerebbe a casa e io avrei un alleato, poi mi sposo Cenerentola, mamma dice che è bella, però, possibilmente senza sorelle: una donna basta e avanza».
«Galletto azzurro» ammonì ironica Demetra «le starnazzanti sono nell’aia e hanno fame. Vai! E ricordati, quando le tue sorelline cresceranno, ti daranno una mano con le galline e ti saranno molto utili!». Mesto, corse via polemizzando all’indirizzo della madre: «Sì mamma, sarà questa l’utilità: le rinchiudo nel pollaio con la speranza che facciano qualche uovo, almeno mangio di più!».
Scese la notte di quella lunga giornata e il piccolo, guardando la luna fuori dalla finestra, pensò al papà e a Cenerentola, quest’ultima da lì a poco avrebbe perso la scarpetta e i suoi sogni sarebbero stati spazzati via. Midar aveva un sogno: essere un principe azzurro, ma non avrebbe permesso che il sogno venisse spazzato via.
Midar aveva ora una missione da realizzare: diventare ricco per aiutare la famiglia.
Midar compie cinque anni. I primi passi verso la realizzazione del suo sogno.
Trascorse poco più di un anno e i problemi della famiglia Ostet stavano aumentando. Natale Ostet aveva trovato un lavoro diurno in una macelleria indiana, dal lunedi al sabato, e la notte e la domenica lavorava al macello di Cresopoli, pertanto non poteva tornare dai suoi, nemmeno durante il week end.
Demetra, invece, non potendo lasciare i bambini a casa da soli, stirava i vestiti per le signore di Dovizia.
Una mattina di settembre, Demetra stava stirando distrattamente un fantastico vestito di chiffon, e si immaginò con indosso quel capolavoro di sartoria. Subito dopo lasciò il ferro da stiro prese l'abito e scomparve in camera da letto.
Le gemelle erano in giardino a giocare con le spighe di grano e stavano realizzando una complicatissima collana da donare alla mamma.
Quando finirono l’opera d’arte, entusiaste, corsero da Midar che, come abitudine, era nel pollaio a litigare con le galline.
«Galline! - tuonò perentorio il bambino - quante volte ve lo devo dire di fare almeno un uovo a testa!».
«Midar, Midar, guarda Midar». Midar associò quelle voci, simili a pigolii, alle starnazzanti e si voltò brusco: «Mamma aveva garantito che se foste cresciute sareste state di una qualche utilità, invece non fate uova, non fate latte, non fate niente a parte raccogliere le spighe … ma non per fare il pane, ma per fare cosa?!? Cos’avete in mano?».
Le gemelle aggredite, non avevano capito una parola e iniziarono a singhiozzare, fecero cader nel pollaio la collana di spighe, e, tra i pianti, si precipitarono a casa dalla mamma.
Midar, alla reazione delle sorelle, si pentì e le seguì. Nell’aprire la porta di casa, Midar rimase folgorato dalla bellezza della madre, avvolta in un bellissimo vestito a balze assomigliava a Cenerentola al ballo.
«Mamma», esclamò il bimbo «sei bellissima ». La mamma lusingata e triste asserì: «Grazie, ma non è mio. E non tentare di fare il ruffiano con me e chiedi scusa ad Athena e Aida, subito!».
Midar chiese scusa, si ritirò nel suo pollaio e, seduto accanto alle galline, pensava al modo con cui aveva trattato le sorelle; poi vide per terra quella specie di collana di spighe e le penne che avevano perso le galline, raccolse tutto e si mise a giocherellare.
Midar chiamò a gran voce le gemelle, che si precipitarono da lui guardandolo perplesse, ma successivamente scoppiarono a ridere.
Il fratellino con la collana di spighe e le penne di gallina aveva costruito tre copricapo da pellerossa, e uno l’aveva già indossato.
Midar aveva le guance rigate di fango e saltellava canticchiando Aiabù - Aiabù, poi invitò le sorelle a unirsi al gioco.
Demetra andò nel pollaio per capire il perché di tanto schiamazzo, e si fece contagiare dal buonumore dei figli, erano davvero buffi agghindati a quel modo.
I tre pellerossa avevano notato l’arrivo della mamma e fecero i buffoni ancora di più, perchè era difficile vedere la madre sorridere, ma, in quel momento, pareva divertirsi molto.
Dopo cena Midar pensò di organizzare uno spettacolino di pellerossa per l’arrivo di papà, previsto per la settimana seguente.
Andò nel pollaio costringendo le sorelle a provare con lui la parte e sorridendo tra se nel vedere quanta somiglianza c’era tra le galline e le sorelle dal copricapo pennuto.
Più tardi nel suo lettino ricordò la madre, avvolta in quel bel vestito a balze, purtroppo non era suo; ma se fosse stato un principe azzurro avrebbe potuto comprarle 365 vestiti a balze, così la mamma sarebbe stata bella tutti i giorni.
Il desiderio di diventare ricco divenne ancora più forte, ma non aveva ancora capito cosa avrebbe dovuto fare.
Il mattino seguente Midar si svegliò con la chiara intenzione di organizzare un bello spettacolo per il papà, chiamò le sorelle e iniziarono a provare. La sera, travestiti da pellerossa, intrattennero la mamma, che dopo aver riso di gusto e apprezzato la fantasia dei figli, suggerì alcuni aggiustamenti e promise di preparare tre costumini da indiano.
Tutto questo fu ripetuto ogni giorno, per cinque giorni, dopodiché Midar decise di andare nella piazza di Dovizia a fare la prova generale, prima del debutto dell’indomani.
I fratelli Ostet, vestiti i costumi di scena, raggiunsero la piazza di Dovizia.
Questa non era molto grande, il manto stradale era costituito da sampietrini, la pianta aveva forma circolare, lungo la quale si alternavano negozi e bar con verande e pergolati fioriti, ospitanti tavoli e sedie. Al centro della piazza era stata costruita un grande fontana, anch’essa a forma di cerchio, raggiungibile salendo cinque gradini alti e larghi.
Midar si guardò attorno individuando il palcoscenico, ovvero i gradini della fontana, e il pubblico, formato dai ricchi doviziani.
Questi erano seduti in quei bar proprio di fronte al palco, intenti a sorseggiare tè e facendo finta di conversare, in verità sembravano annoiati dalla perfezione e calma irreale del posto.
Lo show cominciò con le tipiche urla tribali e con la coreografia di ridicoli balletti, che catturarono subito l’attenzione dei presenti.
I doviziani erano divertiti, risero applaudendo spesso il terzetto pennuto.
Midar al grido Aiabù - Aiabù fece un inchino teatrale e così pure le sorelle, poi i bambini ringraziarono la folla che li derideva pur apprezzando lo spirito della scenetta.
Alcune signore distinte, di una certa età, si alzarono dalle sedie dei bar e donarono alcune monetine ai bambini, altre ancora, seguendo l’esempio delle prime, ma soprattutto non volendo essere da meno, diedero qualche moneta più pesante.
I tre fratellini erano contenti, non tanto per i soldi, quanto per l’esito positivo riscosso. Le gemelline diedero i soldi guadagnati al fratello, poi, insieme, tornarono a casa.
Midar era soddisfatto, poiché era certo che papà avrebbe apprezzato, e soprattutto aveva dei soldini. Capì di aver mosso il primo passo per diventare un principe azzurro. Quel pensiero e il debutto non lo fecero dormire tutta la notte.
Il sole era alto nel cielo di Dovizia, un'utilitaria di seconda mano stava percorrendo il sentiero che portava all’abitazione degli Ostet.
Natale Ostet era felicissimo, dopo mesi di separazione avrebbe potuto riabbracciare moglie e figli. Ares fu il primo ad accorgersi dell’arrivo di Natale; abbaiando e scodinzolando, tentava di attirare l’attenzione. I suoi sforzi non furono vani, poiché tutta la famiglia corse fuori ad abbracciare l’amato.
Natale strinse, baciò, abbracciò tutti e, quando si scostò per prender fiato dall’assalto dei cari, si rese conto di aver di fronte una bellissima moglie e tre pellerossa; divertito si fece trascinare dai figli nel pollaio.
Quel posto era stato adibito a teatro, Demetra annunciò al pubblico, formato da Natale, dai veri pennuti e da Ares, l’ingresso degli artisti che si esibirono per la gioia di entrambi i genitori.
Al tramonto Midar era soddisfatto, era bello avere papà a casa, la mamma felice e le starnazzanti fuori dai piedi.
Era bellissimo avere la sua famiglia unita, "doveva diventare un principe azzurro".
Quell’idea lo indusse a considerare che non era in possesso di un forziere nel quale accumulare e proteggere i soldini guadagnati e poter, un giorno, fare una "grande sorpresa" ai suoi genitori.
La mamma, quando narrava di principi e di pirati spiegava che loro tenevano i propri tesori nei forzieri. Midar pensò di chiedere al papà di costruirne uno insieme.
Il giorno seguente la proposta del bambino fu accolta da Natale che iniziò alacremente a lavorare pezzi di legno e ad assemblarli. A lavoro terminato, Midar saltò in braccio al papà, si fece cullare stringendogli le braccine al collo, lo baciò ringraziandolo, e si addormentò.
Natale mise a letto Midar e, tristemente, lo salutò in silenzio, perché all’alba sarebbe partito per tornare solo a fine anno.
Midar al risveglio non trovò il papà, corse nel pollaio e pianse forte, Ares arrivò a consolare il bambino. Midar abbracciò il cane e ad alta voce gli promise: «Un giorno papà sarà sempre qui con noi perché l’aiuterò con i miei soldini e sarò più ricco del principe azzurro». Ares, dopo aver ascoltato il giuramento solenne, diede la zampa al suo padroncino per confortarlo.
Nel pomeriggio Midar aveva convinto le sorelline a esibirsi tutte le settimane in piazza a Dovizia, però, di quando in quando, avrebbero dovuto variare le esibizioni.
I mesi trascorsero, papà Natale arrivò per le feste e ripartì, questa situazione era sempre meno accettata dai tre bimbi e da Demetra, che soffrivano in silenzio.
I doviziani, però, si erano abituati allo spettacolino dei fratelli Ostet, soprattutto le signore anziane; infatti queste ultime erano sempre ben disposte ad elargire qualche moneta ai tre bambini.
Midar compie sei anni. La vita insegna ...
Trascorse un altro anno, Midar aveva sei anni e sarebbe dovuto andare a scuola. Questo pensiero tomentò Demetra a lungo; la donna sapeva che Midar non era abituato a socializzare con altri bambini, infatti non era andato alla scuola materna.
Demetra accompagnò il figlio a scuola dopo averlo messo in guardia sulle possibili difficoltà.
Midar, da parte sua, era felicissimo perché finalmente sarebbe stato con i maschi e avrebbe imparato tante cose nuove; suo papà gli aveva detto che lo studio era molto importante, lui non aveva avuto la possibilità di studiare e, se lo avesse fatto, sarebbe stato come i magnati di Cresopoli.
Demetra, innanzi al cancello della scuola gremita da figli di papà, si congedò stampando un grosso bacio al figlio che, affettuosamente, contraccambiò.
«Guardate! Ha dato il bacio alla mamma!» bofonchiò un bambino cicciotto.
Midar vide tutti i bambini ridere, non capendone il perché, e si avvicinò al cicciotto per fare amicizia. L’altro si rimise a ridere, girò sui tacchi e se ne andò seguito dal gregge di jene ridens.
Una bambina, Medea, andò da Midar, tentando di spiegargli che il cicciotto altro non era che il figlio di Onorato Sfarzotto e che fin dall’asilo era il bullo della scuola, nonché il capo indiscusso del gregge delle jene ridens.
Midar era stufo di avere attorno le femmine ed ora, anche a scuola, non tollerava di far amicizia con una bambina, per cui senza degnarla di una parola, andò in classe.
Arrivò il sabato e Midar fece un bilancio della settimana trascorsa: niente amici, tante conoscenze nuove; tutto sommato era un esito positivo.
Chiamò le sorelle per le consuete prove; l’indomani, dopo la messa, avrebbe ricevuto altri soldini da mettere nel forziere.
Alla domenica, la piazza di Dovizia era affollata, gli Ostet presero posto sul palco della fontana e iniziarono l’esibizione.
Il pubblico improvvisato e divertito applaudiva, ma tra quel pubblico apparvero i volti delle jene ridens, che fischiavano e ridevano.
Quando lo spettacolo finì gli Ostet ricevettero il consueto compenso, Sfarzotto Junior gettò per terraalcune monete e se ne andò.
Midar guardò le sorelle che esitarono a raccogliere il danaro da terra, poi a gran voce disse: «Ehi bambino ti sono caduti i soldi». L’altro, senza neppure voltarsi, con superiorità, gli rispose «Tienili pure, a me non occorrono». E le monete rimasero per terra.
Gli Ostet tornarono a casa e raccontarono alla mamma l’accaduto. Demetra scoprì che i suoi bimbi facevano i giullari ogni domenica per qualche spicciolo, ma non si arrabbiò e spiegò ai figli i concetti di dignità e decoro.
Midar, era molto triste, il cicciotto lo aveva ferito e dopo il discorso della madre seppe dare un nome al suo stato d’animo: umiliazione.
Si ripromise di non far più il teatrino, avrebbe guadagnato i soldini in un altro modo, e, per la prima volta, riconobbe che i suoi primi guadagni erano frutto della collaborazione inconsapevole delle due sorelline. Capì che le femmine non erano tanto male.
Passarono alcune settimane, gli Ostet evitarono di andare in chiesa, infatti all’indomani dell’ umiliazione, tutti i compagni di classe di Midar si presero gioco di lui.
Un sabato il piccolo decise di andare in piazza, dall’edicolante amico suo e di papà, a prendere il giornale. Midar, per darsi un certo tono e poiché ormai stava imparando a leggere, stava camminando con il naso incollato alle pagine di un quotidiano, quando andò a sbattere contro qualcuno.
Sollevati gli occhi, Midar incontrò lo sguardo dolce di una signora anziana che domandò al piccolo come stava.
La donna, riconoscendo nel bimbo l’attore che la intratteneva la domenica, gli chiese la motivazione per la quale aveva smesso di esibirsi.
Midar pensò di rispondere: dignità e decoro, invece laconico disse che erano stanchi, ma la donna, ricca d’anni e d’esperienza, lesse tra le righe, non commentò e incalzò dicendo: «Midar puoi aiutarmi ad attraversare la strada, e, se hai tempo, potresti accompagnarmi a casa? Ho difficoltà nel salire le scale con il sacchetto della spesa».
Midar aiutò volentieri l’anziana signora, che, per sdebitarsi, gli diede un succo di frutta e dei soldini, ma Midar era riluttante nell’accettarli. La signora, comprese e gli fece una proposta: «Ogni sabato, io vado a fare la spesa, se tu mi accompagnerai e mi aiuterai a tornare a casa, io ti darò i soldini. Questo è un contratto verbale: tu presti un servizio ed io ti pago».
Midar accettò l’affare e si ripromise di informarsi meglio sulla nozione di contratto.
Ogni sabato il bambino passava dall’edicolante a prendere il giornale e poi aiutava la signora gentile. Midar, era solito sfogliare le pagine economiche, ma non ci capiva molto, allora bersagliava la signora, ribattezzata da lui nonnina, di domande per comprenderne il significato.
La nonnina, era molto affezionata al piccolo, consapevole della sua povertà, voleva aiutarlo e a suo modo ci riuscì.
Un pomeriggio la nonnina accolse Midar con una bella novità: «Piccolo mio, ho alcune amiche che hanno delle difficoltà di deambulazione, cosa ne pensi di offrire loro, lo stesso servizio che offri a me?».
Il bambino rispose sapientemente: «è un contratto verbale?».
La nonnina confermò, e Midar le corse incontro abbracciandola «Grazie, nonnina, ma come mi organizzo adesso?».
La signora, emozionata dall’affettuosità di Midar, lo indirizzò e lo consigliò al meglio.
Midar comprese il significato di due nuovi termini: mediazione e consulenza.
Midar compie sette anni. Quando tutto sembra andare per il meglio, arriva la crisi
Era arrivata la fine di un’estate afosa, Midar avrebbe presto frequentato la seconda elementare, ma in quel momento era beato nel suo pollaio con Ares, a contare i soldini del suo forziere. Ad un tratto esordì: «Ares, credo che siamo un po’ ricchi, cosa ne pensi?».
Il cane per tutta risposta gli diede una leccata sulla guancia e Midar interpretò quel gesto come gioia per la grande notizia.
«Midar, a tavola!» urlò Demetra.
Ares corse in casa seguito dal bambino, era ora di pranzo.
La televisione stava trasmettendo il telegiornale, e lo sguardo di Midar si incantò nel vedere una grande fattoria tecnologica. La sua mente, poi, associò i suoni al prodotto visivo, il volto di Midar si illuminò, mangiò velocemente, salutò i presenti e andò dalla nonnina.
Durante il percorso che separava le due abitazioni, Midar continuava a ripensare a quell’espressione: prodotti biologici.
Giunto trafelato dalla “nonnina”, Midar raccontò di aver sentito al telegiornale che andavano di moda i cibi sani e naturali; quindi se lui avesse allevato in maniera sana le sue galline avrebbe potuto venderne le uova con un buon guadagno.
Alla nonnina parve una buona idea, infatti non la convincevano molto le uova nelle scatole di plastica del supermercato.
La nonnina, eccitata dall’iniziativa, fece un giro di telefonate alle sue amiche: Midar aveva già una piccola rete di distribuzione.
Il bambino, giunto nel suo pollaio, contò le sue galline, fece una media approssimativa delle uova giornaliere prodotte e comprese che non avrebbe potuto soddisfare tutte le potenziali clienti.
Aprì il suo forziere e prese una somma pari al costo di quattro galline, così sarebbe stato in grado di soddisfare la domanda.
Nel giro di pochi mesi erano aumentati i costi del mangime per i polli, però era altresì aumentata la domanda e i relativi guadagni. Midar acquistò altri polli.
Il problema più grosso era quello di consegnare a tutti i clienti le sue uova. Se il lavoro fosse aumentato ancora, non avrebbe potuto farcela da solo.
Pensò alle parole della mamma, in merito all’utilità delle starnazzanti e si rese conto che avrebbero potuto contribuire al lavoro consegnando le uova.
Ma le gemelle erano ancora piccole, così Midar aspettò l’anno successivo per introdurle nel suo business.
Il bambino tornò dalla nonnina per valutare costi e ricavi, utili e spese, dopo un anno di vendite.
Il bilancio era positivo, lui era fiero di sé e conobbe un altro aspetto della vita d’impresa: la contabilità, e, da ora, la nonnina sarebbe stata la sua commercialista.
Midar era felice, tutto stava girando per il verso giusto, presto non sarebbe stato solo un principe azzurro, ma “Il principe azzurro”.
Midar stava fantasticando proprio su questo, quando colei che sarebbe stata la sua Cenerentola bussò alla porta del suo ufficio, ovvero il pollaio.
«Posso entrare?» chiese la voce famigliare di Medea.
Midar, da vero gallo nel pollaio, rispose «Un attimo solo e ti faccio accomodare».
Lei era visibilmente stizzita dai modi di Midar, somigliava sempre più al suo papà, un noto avvocato di Cresopoli.
L’avvocato Giustino Arringa Vien dal Foro, quando tornava a casa dal lavoro, era solito chiudersi nel suo ufficio per sbrigare le pratiche urgenti, e la piccola Medea, quando bussava alla sua porta, lo trovava sempre occupato.
La bambina soffriva molto per la mancanza d’attenzione del padre, però lui le dava tutto ciò che lei voleva, tutto tranne il tempo.
Medea era molto simile a Midar perché entrambi avevano un genitore assente.
Midar non capiva questo aspetto perché riteneva Medea molto fortunata data l’agiatezza del suo tenore di vita.
«Avanti», la voce spazientita di Midar aprì un varco nei pensieri di Medea e la destò.
Medea, entrata nell’ufficio, si sedette su una balla di fieno e senza troppi preamboli andò dritta al sodo.
«Sfarzotti J. & C. stanno comprando più galline di quante ne puoi avere tu, il prezzo delle loro uova sarà nettamente inferiore al tuo».
Sfarzotto Junior era cotto di Medea e, per farsi bello, le aveva raccontato dell’ambizioso progetto ai danni di Midar; infatti il cicciotto non sopportava di vedere Medea in compagnia di Midar, Sfarzotto junior si credeva il migliore, glielo avrebbe dimostrato e lei sarebbe stata sua.
Midar era sconcertato dalla notizia avuta da Medea e andò dalla nonnina per avere qualche suggerimento.
La vecchina promise di acquistare le uova solo da lui ed era certa che anche le sue amiche avrebbero fatto altrettanto.
Non fu così, poiché il cicciotto aveva investito più capitali e mezzi nell’operazione, ben quattro su cinque del gruppo Ridens avevano aderito alla "cooperativa". Questi si davano un gran da fare; ma per loro era un gioco, non avevano problemi economici, la loro paghetta poteva superare gli introiti dell’attività messa in piedi, pertanto, avrebbero potuto vendere a prezzi molto bassi.
Midar cercò di quantificare le spese per le galline del suo pollaio, contò i soldi nel forziere e valutò i probabili guadagni, ma era conscio che la domanda stava calando.
Mentre la sua mente elaborava un turbinio di pensieri cupi, Furbo Fox, l’unico dei ridens che operava in proprio, bussò alla porta del pollaio ed entrò con la sua bellissima bicicletta nuova, senza aspettare di essere invitato a farlo, poi d’impeto disse: «Quanto vuoi per le tue galline?».
Midar, non aveva occhi che per quella bicicletta.
«Allora, Midar, quanto vuoi per le tue galline?» insistette l’altro seriamente.
Midar impulsivamente rispose: «La tua bicicletta».
«Cosa?» domandò perplesso Furbo Fox. Midar, pratico, gli spiegò: «Non voglio i tuoi soldi, ma la tua bicicletta. Non puoi mettere le galline sulla bici! E poi, fuori dalla porta del mio ufficio, ci sono i tuoi amici. Fatti aiutare da loro a potarle via».
Poche ore dopo la conclusione dell’accordo, che aveva lasciato a Midar solo le galline che erano necessarie per uso proprio, il bambino era molto triste.
La bicicletta tanto desiderata era solo un pezzo di ferro. Le galline, invece, erano sue amiche, le aveva cresciute, sfamate e loro avevano fatto altrettanto.
Si sentiva cattivo; pure Ares, che se ne stava in disparte, era mogio e probabilmente ce l’aveva con lui. Magari Ares stava pensando che Midar avrebbe dato via anche lui per un pezzo di ferro.
Il suo pollaio era quasi vuoto, il suo ufficio non era più lo stesso.
Midar prese la bicicletta e andò a Dovizia.
Passò dalla nonnina per avvisarla che non aveva più uova da portarle; però, una volta arrivato scoprì che la vecchina era stata ricoverata all’ospedale.
Midar, avendo la bicicletta, avrebbe potuto raggiungere l’ospedale, ma non voleva angosciare l’anziana signora, così si ripromise di andarla a trovare in seguito.
L’unico amico fidato rimasto era l’edicolante. Midar andò da lui e gli raccontò di non aver più un lavoro.
Questi gliene offrì subito uno temporaneo.
La moglie era rimasta a casa per maternità e per un po’ di tempo non avrebbe potuto consegnare i giornali, così serviva un aiuto, ma a Dovizia chi mai avrebbe potuto farlo?
Midar, la mattina prima di andare a scuola, poteva svolgere celermente questa mansione, poiché aveva una bicicletta.
Midar era di nuovo felice, con i soldi della consegne, un giorno, avrebbe potuto ricomprarsi le galline.
Midar compie otto anni. La ripresa
Un’altra estate soffocante si abbatté su Dovizia, quel caldo torrido faceva innervosire le persone e la città sembrava un covo di isterici.
Le famiglie delle jene ridens, poi, erano le più irritate e pentite di aver concesso troppo ai figli.
Ogni mattina tra le 4 e le 5, unico orario della giornata di frescura, cori di galline salutavano l’alba e svegliavano i signori "da poco assopiti”.
Quando il sole era alto in cielo un olezzo nauseabondo si diffondeva nell’aria, insediandosi nelle case profumate di pulito.
Le famiglie delle jene ridens erano stanche e si lamentavano delle galline, vuoi per gli schiamazzi, la puzza, lo sporco, vuoi per il fatto che a volte i bambini si dimenticavano di dar loro da mangiare, facendole morire.
I genitori dei ridens si coalizzarono contro i figli, architettando un strategia comune: o i bambini si sbarazzavano delle galline, oppure niente paghetta, televisione, computer, giochi, niente libertà.
Furbo Fox, fu il primo ridens a portare a Midar le sue galline e, arrivato a casa Ostet, si precipitò nel pollaio.
Midar era sull’uscio dell’ufficio, quando rivide le sue galline accompagnate dalle suppliche di Furbo Fox: «Ti prego, tieniti la bici, ma riprenditi queste galline!» Midar impassibile ribattè «Perché mai? Non ti garba più il gioco?», e l’altro, sempre più sottomesso, «No, a me piace molto giocare “a porta l’uovo”, ma guadagno di più a non farlo. Magari, ogni tanto, mi puoi far giocare?»,
Midar comprensivo rispose di sì e gli accordò un part-time.
Midar stava riavendo il suo lavoro. Presto arrivarono tutti i ridens, tranne Sfarzotto junior, con la proposta di prendersi le loro galline, offrendogli del denaro per tenersele e per poterci giocare di quando in quando.
Midar, intelligentemente, fece loro la seguente proposta: «Non voglio un soldo, mi prendo le vostre galline, e voi potete venire a giocarci tutti i giorni…. A patto che distribuiate le uova ai clienti».
I ridens pensarono che Midar fosse uno sciocco, perché la consegna era la parte divertente del gioco!
Midar, successivamente andò a casa dalla nonnina, che si era ristabilita, affinché potesse riproporre i vecchi contatti.
La vecchina fece di più; contattò personalmente i clienti, avvisando di non pagare il prezzo delle uova nelle mani del fattorino, al quale era concessa la sola mancia, perché ogni fine mese sarebbe passato Midar a riscuotere il corrispettivo.
La moglie dell’edicolante non ritornò al vecchio lavoro, ma rimase a casa a badare alla neonata. Midar lasciò il posto delle consegne a sua sorella Aida e, dopo averle insegnato a guidare la sua bicicletta, gliela donò; infatti quell’ammasso ferroso era stato la causa di separazione dalle sue galline.
Midar insegnò ad Athena, abile con i numeri, ad annotare su un taccuino: la produzione giornaliera di uova, lo scarto, la quantità richiesta e consegnata e l’invenduto.
Midar era ben organizzato, e si sentì il principe del suo piccolo regno di uova.
Midar compie nove anni. L’espansione
A nove anni Midar si sentiva un ometto, era entusiasta di lavorare con profitto e di frequentare la quarta elementare, perché, proprio in quell’anno, il programma scolastico prevedeva l’insegnamento di Internet.
Gli alunni, nel corso degli anni, avevano imparato ad utilizzare il computer e Midar era molto curioso e predisposto alla materia.
Ma la motivazione di Midar aveva radici più profonde; infatti in televisione aveva visto che alcune imprese rimandavano per la pubblicità ad un proprio sito su Internet.
Midar aveva, altresì compreso che se voleva comprare un prodotto fatto a Cresopoli, o lontanissimo, poteva ordinarlo attraverso Internet. Invece senza Internet lui sarebbe dovuto andare in quel posto.
Il piccolo fremeva all’idea che, una volta imparato come realizzarlo, avrebbe avuto il suo sito.
L’occasione gli si presentò qualche mese dopo.
L’ insegnante di informatica Irina Gates, alla fine di un interminabile lezione di informatica, che aveva fatto perdere a tutti l’entusiasmo per la materia, illustrò il sito della scuola.
Questo sito comprendeva una sezione dedicata alle iniziative della scuola ed era dotato di un contatore di passaggi.
Midar si destò dal torpore e drizzò le orecchie, come avrebbe fatto Ares alla parola pappa.
L’occhialuta, chiamata così perché le si era abbassata la vista dopo troppe ore passate davanti allo schermo del computer, o forse, per gli occhiali a doppio fondo di bottiglia che era solita indossare, annunciò: «Dopo introdurrò l’iniziativa degli alunni di quinta. Loro hanno costruito personalmente degli oggetti in legno, questi sono stati fotografati e saranno venduti direttamente, dal nostro sito. Non è fantastico?!?».
Un coro annoiato di “wow” si sollevò all’unisono con la campanella che poneva fine alla giornata scolastica.
Midar seguì i compagni fuori dalla scuola, ma si nascose dietro un cespuglio con carta e penna e si mise a spiare da una finestra che dava luce al seminterrato che ospitava l’aula di informatica.
La visuale era perfetta, poiché l’occhialuta volgeva la schiena alla finestra ed era intenta a pigiare le dita sulla tastiera del PC; dal canto suo Midar distingueva ogni passaggio effettuato dalla maestra e lo annotava. Il bambino aveva ottenuto ciò che desiderava sapere.
Dopo quella giornata, Midar, tutti i pomeriggi per una settimana intera, diventò ospite fisso di casa Arringa Vien dal Foro.
Medea, infatti aveva un potentissimo computer in grado di realizzare il suo sogno.
Midar avrebbe introdotto nella sezione “Inziative”, del sito scolastico, la vendita di "uova provenienti dall’allevamento di galline della scuola, le quali erano state nutrite secondo standard di qualità".
Sciocchezze, pensò Medea. Se la maestra Irina Gates lo avesse scoperto, sarebbero stati guai; ma Medea aveva trascurato un particolare importante: Midar era fortunato.
Da diversi giorni, infatti, l’occhialuta non si vedeva a scuola, gli insegnanti erano restii a rispondere a domande sulla Gates, finché arrivò un supplente al suo posto.
Passò un mese ma da Internet non arrivava nessuna richiesta di uova e sia Midar che Medea erano delusi.
Medea ebbe, però, un’illuminazione e trascinò Midar dalla nonnina. La vecchina, li ricevette entusiasta, ascoltò la loro idea, compose un numero di telefono e iniziò a parlare a raffica «Ciao tesoro, dovresti farmi un favore, mi devi aumentare la potenza di un sito. Fai in modo che in ogni motore di ricerca, il mio sito sia il primo …. d’accordo ti aspetto domani, ciao».
La nonnina spiegò che l’indomani sarebbe arrivato suo nipote, un genio dei computer, che li avrebbe aiutati ad essere competitivi.
A lavoro terminato, il sito scolastico fu subissato di richieste di uova, qualcuno chiedeva pure la carne di pollo. Midar era felice stava innescando un grande giro d’affari.
Midar compie dieci anni. Ad ogni azione corrisponde una reazione…
Midar, nel giorno del suo decimo compleanno era quasi un principe azzurro, mentre soffiava le candeline desiderò di veder unita la propria famiglia.
Ciò che Midar ignorava era che Natale Ostet sarebbe rimasto con loro, molto prima di quanto potesse immaginare.
Il giro d’affari in rete stava dando ottimi risultati, la nonnina aveva aperto un conto sul quale i clienti versavano i pagamenti degli ordini effettuati, e mamma Demetra era sempre più preoccupata.
Demetra era in ansia perché non poteva credere che il suo pollaio fosse diventato la ludoteca di tutti i bambini di Dovizia.
Tutto era iniziato con l'improvviso aumento nel numero dei polli, di cui lei conosceva perfettamente la storia; poi durante le vacanze estive, suo marito, aveva ampliato notevolmente il pollaio al figlio.
Lei lavorava come domestica a Dovizia, tornando a casa sempre verso l’ora di cena e non era al corrente di ciò che combinasse Midar. Il ragazzo, in sua assenza, avrebbe dovuto occuparsi delle sorelle, del resto l’aveva sempre fatto. Però c’era qualche cosa che non le tornava e si ripromise di indagare.
L’occasione arrivò qualche giorno dopo. Demetra era intenta a far la spesa, nel supermercato di Dovizia, quando incontrò il cicciotto non molto amico di Midar. La donna lo fermò e gli chiese se era a conoscenza di ciò che Midar faceva dopo la scuola, ma Sfarzotto Junior proprio lo ignorava.
Sfarzotto Junior sapeva che Midar, tutti i giorni alle 18.00 chiudeva il pollaio e poi si recava a casa di Medea fino alle 19.00.
Queste cose erano note a tutti, pensò il cicciotto, però, se la mamma di Midar era preoccupata, c’era senza dubbio qualcosa di poco chiaro.
Sfarzotto Junior iniziò a pedinare e a spiare le conversazioni di Midar. Un giorno sentì qualcosa di interessante. Midar che affermava «Il nostro sito è potente e la scuola non si accorge delle potenzialità che esso ha».
Sfarzotto Junior corse a casa, si collegò a Internet, cliccò sul sito della scuola, vide un numero impressionante di contatti e notò una nuova voce sul menu del sito.
Aprì la nuova pagina web e capì l’imbroglio di Midar.
Poi come una jena andò da sua madre a raccontare la scoperta. Il giorno dopo la mamma del cicciotto, ovvero la preside della scuola chiamò Demetra al suo cospetto.
Per non rivelare la fonte, la preside aveva coinvolto il corpo docenti, che unanime, accusò la signorina Irina Gates, già colpevole di frode informatica. Ma al tempo dell’illecito ai danni della scuola, l’ex insegnante di informatica era detenuta presso il carcere di Cresopoli da qualche settimana. Pertanto i sospetti si accentrarono su Midar anche se il bambino non poteva aver fatto tutto da solo.
Demetra si precipitò a scuola e fu informata dell’illecito compiuto da Midar.
La scuola richiedeva il danno emergente ed il lucro cessante per le violazioni: accesso abusivo in un sistema telematico protetto e frode informatica. Se la scuola non fosse stata risarcita avrebbe sporto denuncia contro il bambino e i complici.
Demetra era sconvolta, arrivò a casa alle 18.00, fece mangiare la bambine e le fece andare a letto presto; poi aspettò le 19.00, consapevole che a quell’ora Midar sarebbe tornato a casa.
Demetra si sentì una mamma fallita per non aver capito fino in fondo il figlio, ma si sentì, anche, una mamma umiliata perché comprendeva il desiderio di Midar di aiutare la sua famiglia.
Midar arrivò a casa, mancavano 10 minuti alle 19.00, sua madre sarebbe arrivata tra poco, pensò.
Lesto aprì la porta e si ritrovò di fronte l’immagine della madre, china sul tavolo, con le mani nei capelli, scossa dal pianto.
Midar le andò vicino l’abbracciò e le chiese il motivo della disperazione.
Demetra riprese il controllo, si asciugò le lacrime, si sistemò rigida sulla sedia e disse al figlio di sedersi di fronte a lei.
Poi, con tutta calma gli disse: «Vergognati, hai perso la mia fiducia, non credevo di avere un figlio delinquente e bugiardo!».
Midar era frastornato, non aveva mai sentito la madre dire quelle cose, con quel tono gelido, soprattutto non gli era chiaro il concetto di delinquente.
Il bambino tentò di discolparsi asserendo di non essere bugiardo, ma Demetra subito lo aggredì: «Tu non mi hai mentito, ma hai omesso di informarmi su quello che stavi facendo. Queste omissioni molto gravi sono equiparabili alle menzogne, perché provocano lo stesso effetto: fanno perdere la fiducia».
Demetra era in collera, non sapeva come gestire la situazione, non aveva tutti quei soldi per il risarcimento. Scelse di telefonare al marito.
Dopo sei mesi. Tutto è bene quel……
Natale Ostet, all’indomani della telefonata, andò dal più noto avvocato di Cresopoli, ovvero l’avvocato Giustino Arringa Vien dal Foro. Questi ascoltò con attenzione tutti i dettagli dell’accaduto, poi fissò un ulteriore incontro a Dovizia, affinché il reo e i suoi complici fornissero ulteriori dettagli. La riunione avvenne a casa Arringa Vien dal Foro; al cospetto dell’avvocato si presentarono: gli Ostet, Medea…sua figlia!?! e ….sua madre!?!.
All’avvocato Giustino venne una mezza sincope poiché seppe che sua madre era la "nonnina" di cui parlava Midar e venne a conoscenza dell’identità dell’informatico: il figlio di suo fratello. L’avvocato non poteva accettare di coinvolgere la sua famiglia nella faccenda e decise di risolvere la cosa personalmente.
Giustino Arringa Vien dal Foro si recò a scuola a parlare con la preside, tentò di spiegarle che la questione era riconducibile alla bravata di qualche ragazzino, e che era ingiusto far pagare solo a uno quella bravata.
La preside fu irremovibile, l’avvocato Giustino Arringa Vien dal Foro lo fu altrettanto con queste dure parole: «Bene, se lei vuole dagli Ostet questi soldi, non ho più ragione di versare quel generoso assegno alla fondazione “Noi poveri presidi”. Se ben ricordo l’assegno è superiore al risarcimento che chiede la scuola….ma contenta Lei …. Arrivederci!!».
L’avvocato Giustino Arringa Vien dal Foro aprì la porta della presidenza per andarsene, ma la preside, con gentilezza melliflua, lo fermò e ritrattò la sua minaccia.
L’avvocato Giustino tornò a casa, raccontò tutto a Medea e le chiese di andare da Midar e dalla nonna; infatti l’avvocato aveva bisogno di analizzare tutti i documenti che riguardavano l’attività di Midar.
Medea nel giro di poche ore arrivò a casa con i documenti richiesti, il padre si chiuse nel suo ufficio e vi rimase per tutta la notte.
Casa Ostet era tesa e felice. Da una parte perché Midar, in buona fede, l’aveva combinata grossa, dall’altra, perché erano di nuovo una famiglia unita, anche se per poco.
Natale Ostet si recò nel pollaio e vide il miracolo del figlio. Aveva tantissime galline in un pollaio quasi tecnologico.
Natale capì anche dove fossero finiti i proventi della vendita di uova on-line.
Ma anche le gemelline avevano contribuito con i loro risparmi, Athena faceva l’inventario e aiutava gli anziani, Aida consegnava i giornali e le uova. Midar aveva organizzato una vera e propria piccola impresa.
Natale era esterrefatto, ma lo fu di più quando l’avvocato Giustino Arringa Vien dal Foro gli comunicò di credere nel progetto, e gli illustrò la propria idea; Natale Ostet avrebbe potuto proseguire l'attività avviata da Midar.
Natale non avrebbe offerto solo le uova, ma avrebbe dovuto macellare i polli, vendendo poi tutto quanto possibile. L’avvocato avrebbe dato proprie garanzie per ottenere un prestito dalla banca e avrebbero potuto ottenere finanziamenti regionali e certificazioni di qualità sui prodotti .
Natale era al settimo cielo, non sarebbe tornato a Cresopoli, sarebbe rimasto lì, a Dovizia, il posto per il quale aveva scelto di lottare e nel quale affondavano le radici della sua famiglia. Avrebbe fatto l’imprenditore e Demetra, inizialmente, avrebbe potuto aiutarlo; ma i bambini era giusto che facessero i bambini.
«Per troppo tempo si erano caricati sulle spalle un fardello di responsabilità inappropriato per la loro età.
Nella vita, anche per loro, sarebbero arrivati momenti duri, di forte responsabilità, ma la spensieratezza e la gioia dell’infanzia sono un diritto», pensò Natale.
Midar compie undici anni. Epilogo
Quell’anno a Dovizia l’agosto era meno caldo, a causa dalla frescura portata da un venticello che aveva accompagnato tutta l’estate.
La piazza di Dovizia, la domenica era gremita di persone, i bar all’aperto erano tutti occupati, e sotto un pergolato fiorito, gli Ostet e gli Aringa del Foro stavano discutendo amabilmente.
Poi si distrassero a guardare i propri figli, che stavano salendo i gradini della fontana.
Athena, Aida, Midar e Medea, salendo l’ultimo gradino che porta alla fontana, si scambiarono un sguardo complice, poi si voltarono all’indirizzo dei genitori ed iniziarono a cantare Aiabù - Aiabù.
Sfarzotto junior si avvicinò al quartetto, ma prima che potesse parlare, Midar lo anticipò dicendogli: «Non ho voluto i tuoi soldi allora e non li voglio neppure adesso». Midar si girò per allontanarsi.. Ma Sfarzotto junior, ad alta voce, lo chiamò, inducendolo a voltarsi, poi gli disse con un filo di voce: «Scusa .... ». Sfarzotto junior si schiarì la voce e ritentò: «Scusa per come mi sono comportato, sei in gamba per essere un bambino».
Poi il cicciotto gli tese la mano, Midar lo guardò dritto negli occhi e gli tese la sua. Erano diventati amici.
Scese la notte di quella lunghissima giornata e il piccolo, guardando la luna fuori dalla finestra, pensò a papà Natale e a Cenerentola, quest’ultima si era sposata con un principe e i suoi sogni si erano avverati.
Midar aveva avuto un sogno: essere un principe azzurro… e ci era riuscito realizzando la propria missione: togliere la propria famiglia dall’indigenza.
Marie Clair
COMMENTO Il perchè del successo imprenditoriale di Midar
La deliziosa storia nata dalla fantasia della favolista Marie Clair racconta le peripezie di un bambino, molto precoce, e dotato di una fantasia prodigiosa e di una grande capacità di cogliere ogni opportunità per sviluppare un business e creare una piccola impresa.
Questo racconto sembrerebbe, a prima vista, fuori luogo in un sito dedicato all’economia e alla gestione d’impresa. Eppure ho chiesto Marie Clair questo sforzo di fantasia per inserire alcuni principi fondamentali dell’imprenditorialità.
Già alcuni autori anglosassoni hanno adottato la tecnica di introdurre argomenti riguardanti la gestione di impresa parlando di un personaggio storico o con un racconto; noi abbiamo scelto la strada della favolistica, memori, anche, del valore maieutico dei favolisti del passato i cui racconti erano spesso lezioni di etica e di vita.
Seguendo le gesta del piccolo Midar si potrà notare che ogni iniziativa è corroborata da qualche principio che troviamo alla base della funzionalità della piccola come della grande impresa.
Segue, pertanto, qualche semplice esempio dei principi imprenditoriali adottati, inconsapevolmente dal bambino.
La mission
Il piccolo Midar aveva capito, immediatamente che uno dei principi fondamentali che sottende l’attività di un imprenditore è avere ben chiara la mission della propria impresa. Ha pochi anni e mamma e papà gli hanno fatto capire che la loro situazione economica è disastrosa. La mamma teneramente gli aveva detto «Piccolo mio sono fiera di te, la mamma ti ama e tra poco nasceranno dei fratellini, tu dovrai aiutarmi ad insegnare loro tante cose: tu sei il maggiore».
Da quel momento il suo pensiero costante è stato «Devo riuscire a guadagnare un po’ di soldi per dare il mio contributo». Successivamente la sua ambizione fa un salto di qualità e decide quanto sia necessario diventare “il principe azzurro della famiglia”.
Inizia la sua carriera imprenditoriale facendo degli spettacolini per la strada, poi, quando la mamma gli parla di “decoro e dignità” decide di cambiare la sua mission imprenditoriale aiutando persone anziane in piccoli lavori, passando dal business dell’intrattenimento a quello dei servizi. Quindi, dai servizi alla vendita di uova. Quando questo business entra in crisi decide, immediatamente, di disinvestire e di occuparsi d’altro, in particolare della distribuzione di quotidiani porta a porta; pronto a riprendere l’attività produttiva quando le condizioni della concorrenza lo avrebbero consentito.
La mission può essere definita, infatti, la ragion d'essere di un'impresa e può essere formulata rispondendo alle seguenti tre domande.
- Qual è il mio mercato.
- Quali sono i miei principali clienti.
- Quali sono i miei principali prodotti.
Si tratta, quindi, della descrizione del business, della tipologia dei prodotti o dei servizi, dei mercati, dei valori fondamentali e delle priorità strategiche.
Si può, un po' provocatoriamente affermare, che la mission di un'impresa può essere confrontata al regolamento di un condominio.
- Deve essere enunciata in modo chiaro.
- Deve contenere le regole fondamentali della vita dell'impresa.
- Deve essere rispettata da tutti.
- Il suo obiettivo principale è il soddisfacimento del complesso delle persone che ruotano attorno all’impresa.
La mission assolve, quindi, tre funzioni:
- La funzione di orientamento. Ognuno deve disporre di informazioni chiare per il conseguimento dell'obiettivo comune.
- La funzione di legittimazione. La prima legittimazione viene normalmente dall'imprenditore, ma, è ancora più importante la legittimazione proveniente dai collaboratori, dai clienti, dai partner.
- La funzione di motivazione. Fissando per ciascun collaboratore, in modo chiaro e semplice, obiettivi raggiungibili, l’imprenditore stimola il collaboratore ad offrire il massimo impegno nel raggiungimento del compito affidatogli.
La mission ha maggior valore se non si ferma al presente ma si proietta nel futuro, pertanto essa deve essere flessibile e ripensata e deve consentire di vedere oltre la linea dell’orizzonte.
Il prodotto/servizio
Un principio che, sia pure a grandi linee, Midar aveva compreso è la necessità di analizzare la fornitura della propria "impresa" sulla base della capacità di creare valore. Midar passa infatti dal servizio di intrattenimento, al servizio per gli anziani, alla produzione di uova di alta qualità in base alla capacità di ciascuna fornitura di creare valore. Quando il settore delle uova entra in crisi Midar, disinveste e ritorna ad un’attività di servizio con la distribuzione dei quotidiani per conto dell’edicolante e sperimenta per la prima volta il business to business. Dopo poco il settore delle uova riprende quota e Midar ne riorganizza la distribuzione coinvolgendo gli ex concorrenti i quali sono felici di partecipare al gioco di squadra organizzato da Midar.
Un prodotto o un servizio possono collocarsi in una delle seguenti classi:
- contribuire nel breve-medio termine all'aumento di valore dell'impresa,
- determinare un aumento del valore nel medio-lungo termine,
- non appartenere a nessuna delle due categorie di cui sopra.
Questi ultimi devono essere abbandonati, i prodotti/servizi chiave sono quelli che aumentano il valore dell'impresa nel breve-medio e quelli che determineranno lo sviluppo futuro dell'impresa.
La scelta dei prodotti/servizi chiave, il loro rafforzamento e completamento e le relative strategie, di tipo offensivo, difensivo o di disinvestimento, sono tra le decisioni più importanti che competono all’imprenditore; la strategia necessaria per sostenere una fornitura dipende, naturalmente, dal tipo di fornitura.
Una fornitura può articolarsi in cinque tipologie.
- Prodotti di consumo.
- Prodotti che rientrano nella fascia del b2b.
- Servizi.
- Informazione e conoscenza.
- Soluzioni.
Possiamo definire alcune caratteristiche di ciascun tipo di fornitura.
- Prodotti di consumo: non richiedono il contatto diretto con il cliente, esistono ampie fasce d'acquirenti, l'acquirente può essere diverso dal consumatore, generalmente il bene è acquistato d'impulso o emotivamente.
- Prodotti che rientrano nella fascia del b2b: richiedono il contatto diretto tra il produttore e il cliente, esistono pochi acquirenti, l'acquisto può dipendere da più persone, al prodotto va spesso associato un servizio.
- Servizi alle persone e alle imprese: elemento fondamentale di questo tipo di fornitura è il contatto con il cliente; altre caratteristiche sono l'intangibilità, l'eterogeneità (dovuta ai bisogni differenziati dei clienti), la contestualità (della produzione e dell'erogazione), la non immagazzinabilità (che determina difficoltà nel far fronte ai picchi della domanda), la soggettività della qualità.
- Informazione, conoscenza e soluzioni (tipiche forniture di consulenti e di studi professionali): le caratteristiche di queste forniture sono, l'intangibilità, l'eterogeneità, la non ostentabilità, la non sicurezza del risultato. La vendita si basa sul prestigio dell'operatore.
L’organizzazione
Un altro aspetto che Midar aveva imparato dalla sua breve ma intensa attività imprenditoriale era la necessità di creare un’organizzazione. Il primo successo imprenditoriale lo deve infatti alla perfetta organizzazione del ballo tribale alla maniera dei pellerossa, nel quale le sorelle svolgono un ruolo importante; fondamentale è anche la consulenza offerta dalla mamma. Midar all’inizio della sua missione considera le sorelle come “inutili starnazzanti”, ma poi deve ricredersi e comprende che chiunque, se ben utilizzato, può essere utile a qualunque causa imprenditoriale. La prima risorsa materiale che si rivelerà importante per Midar è una sorta di cassaforte costruitagli dal padre per conservare e proteggere i soldi guadagnati. Nel corso della sua vita di piccolo imprenditore Midar incontra la “nonnina” che costituirà un mentore formidabile che ogni imprenditore sognerebbe di avere. Midar dimostra la propria notevole abilità organizzativa quando inserisce nella sua squadra gli ex concorrenti produttori di uova ai quali lascia il compito della distribuzione. Infine un’ulteriore dimostrazione di capacità organizzativa è il coinvolgimento di un tecnologo, il nipote della “nonnina”, nello sviluppare il business della vendita delle uova via Internet.
L'organizzazione è il complesso delle strutture, delle risorse umane e materiali, dei processi, delle regole che consentono lo svolgimento ottimale dei ruoli a tutti coloro che partecipano alla realizzazione della mission dell’impresa.
L’imprenditore deve essere unico responsabile dell'organizzazione, organizzazione che l’imprenditore deve saper mettere continuamente in discussione, specie per evitare le burocratizzazioni, gli autocompiacimenti, l'allentamento delle responsabilità.
Il principio che deve sottendere l'organizzazione dell'impresa è quello della gestione per processi; spesso i vari soggetti di un’impresa operano come piccole repubbliche indipendenti alle quali non è chiesto di informarsi su cosa accade nelle altre repubbliche, ma solo di raggiungere gli obiettivi posti dal capo.
Questo tipo di organizzazione è figlio del principio della gestione per obiettivi delle strutture rigidamente funzionali che per anni hanno dominato la scena dell'organizzazione delle imprese.
L’imprenditore deve imparare ad abbattere le barriere tra le varie "repubbliche" e introdurre il principio che tutti i dipendenti lavorano per processi che attraversano orizzontalmente tutte le funzioni dell'impresa e che oltrepassano i confini della stessa impresa.
La comunicazione
Un altro dei primi problemi che Midar ha dovuto affrontare è stato quello della comunicazione; far conoscere cioè ai potenziali clienti l’esistenza della sua offerta. In quest’attività Midar è veramente formidabile. In poco tempo, nonostante la tenera età, riesce a costruire una rete di conoscenze, amici e amiche fidati ai quali può ricorrere per un consiglio o un aiuto.
La conoscenza, da parte del potenziale acquirente, dell'esistenza sul mercato di un bene o di un servizio e delle sue caratteristiche è alla base di qualsiasi attività di vendita.
Esistono vari mezzi che consentono all’impresa di sviluppare una comunicazione verso l'esterno: la stampa, la radio, la televisione, Internet, il direct marketing, il contatto personale, la cartellonistica, mostre e fiere; ognuno di questi ha un costo e una specificità rispetto al prodotto o all'azienda.
Midar come abbiamo visto, si è servito del passaparola, in particolare tramite le amiche di quella signora che lui chiama la “nonnina” e di Internet.
Un aspetto che ogni imprenditore comprende, magari dopo una serie di sbagli, è che la comunicazione deve rispettare rigorosamente sette principi.
- Principio di esistenza. La strategia di comunicazione deve essere conosciuta e accettata da tutti coloro che sono direttamente coinvolti.
- Principio di continuità. Una strategia di comunicazione deve essere concepita per durare, evitando soluzioni di continuità nella trasmissione dei messaggi.
- Principio di differenziazione. Va creato un codice di comunicazione che sia in grado di dare al "prodotto" un'identità precisa e di assegnare, agli occhi del cliente, un valore esclusivo a quel "prodotto".
- Principio di chiarezza. Una buona comunicazione deve basarsi su idee forti e semplici.
- Principio di realismo. Non vanno fissati obiettivi sproporzionati alla capacità dell’offerta; la comunicazione deve trasmettere messaggi adeguati alla tipologia del prodotto e alla tipologia del cliente che si vuole raggiungere.
- Principio di adattamento. La comunicazione deve adattarsi agli strumenti di comunicazione utilizzati.
- Principio di coerenza. In nessun caso vanno create situazioni in cui le informazioni trasmesse sul "prodotto" possano essere percepite dal cliente come incoerenti.
Eugenio Caruso
13-12- 2007