In copertina: Annibale Carracci "il vizio e la virtù"
Italia: vizi e virtù
Eugenio Caruso
Impresa Oggi Ed.
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40. L'assetto politico dal 1998 al nuovo millennio
40.3 Il governo Amato
Afferma Vespa «La tragedia sta scritta sulla Stampa di sabato 15 aprile 2000 alla vigilia delle elezioni regionali» (Vespa, 2000). A Gallipoli, dopo aver battuto in lungo e in largo l'Italia per sostenere il centro sinistra nelle elezioni regionali, D'Alema concede all'inviato della Stampa, Geremicca, un'intervista nella quale mostra di essere sicuro di una fragorosa vittoria che avrebbe fatto mangiare polvere agli avversari. Le previsioni del presidente del consiglio, solitamente prudente, sono per una vittoria di dieci regioni a cinque, come punteggio sicuro, undici a quattro, come probabile.
Se D'Alema si lascia andare a un pronostico così sfavillante lo deve alla fiducia che ripone nell'istituto demoscopico di Trieste, Swg, che, durante la campagna elettorale, ha sempre dato il centro sinistra in netto vantaggio. Berlusconi, invece, è confortato da Datamedia che dà il Polo vincente.
La notte della domenica 16 aprile 2000, si consuma, per D'Alema, il dramma; il Polo, presentatosi come Casa della libertà non solo domina dalle Alpi al Po, ma conquista anche Abruzzo, Puglia, Calabria e Lazio. La vittoria, in Lazio, del "federale " Storace, su "monsignor" Badaloni, è, per D'Alema, l'ultima goccia di un calice amaro. Il pronosticato undici a quattro si è rivelato un sette a otto, Emilia, Umbria, Toscana, Marche, Basilicata e Campania, contro Piemonte, Lombardia, Veneto, Liguria, Abruzzo, Lazio, Puglia e Calabria; la parte più ricca, popolosa e produttiva del Paese ha voltato le spalle al centro sinistra. Le analisi, a posteriori, dicono che l'errore dell'Swg è stato quello di non aver tenuto conto che Berlusconi ha basato la campagna elettorale sulla "Scelta di campo", più che sui nomi dei singoli candidati e questo spiega le sconfitte di Cacciari, della Turco, di Badaloni.
In ogni regione italiana giganteggiano i poster di Berlusconi, non quelli dei candidati a governatore, alle tv nazionali si presenta Berlusconi. La decisione di percorrere le coste del Paese a bordo del traghetto Azzurra si rivela, infine, l'idea di un grande esperto di marketing della politica; con gli attracchi nei vari porti della penisola il leader di Fi può essere sempre al centro dell'attenzione dei media. D'Alema cade nella trappola tesagli, risponde botta a botta, porta palazzo Chigi in giro per l'Italia, personalizza lo scontro. Però, mentre Berlusconi riesce a far serrare i ranghi ai partiti della coalizione, D'Alema deve vedersela con i vindici popolari e democratici, con Salvi che crea una sua corrente di sinistra, con Cossutta, che propone come candidato premier della sinistra Cofferati, con l'irrisolta incomunicabilità con Veltroni; la sinistra perde per due motivi perché l’ideologismo divora se stesso e perché l’appoggio della “grande” stampa insospettisce gli elettori. Scrive, ancora Bruno Vespa che un sortilegio perseguita i politici italiani: la maledizione divina che colpisce Nabucco quando afferma «Non son più re, son Dio!». Essi crollano rovinosamente quando credono di "poter sfidare il destino".
Forza Italia si struttura e si rafforza
Le vittorie del Polo alle europee e alle regionali poggiano sulla capacità mediatica di Berlusconi, ma anche su un'altra realtà; Fi è oramai un partito. Nel maggio del '96, Berlusconi affida a un deputato ligure ex democristiano, Claudio Scajola, l'incarico di organizzare Fi. In tre anni Scajola trasforma il "partito di plastica" in un'organizzazione strutturata e a grande diffusione territoriale. Nell'aprile 1998, durante il congresso di Assago, gli addetti ai lavori, per la prima volta, si rendono conto che Fi è cambiata: sono presenti tremila cinquecento delegati che la pensano come Berlusconi su tutti i temi importanti. I riscontri di Datamedia affermano che l'adrenalina dei forzisti sale quando Berlusconi attacca le sinistre, i comunisti, il regime, le toghe rosse, le procure, il partito dei giudici.
Aver lavorato contro il referendum del 21 maggio 2000, che proponeva, tra le varie, l'abolizione della quota proporzionale (quesito già proposto è bocciato nel 1999),fa ricadere la sconfitta interamente sulla sinistra e rafforza Berlusconi, nonostante che le firme per il referendum siano state raccolte anche da An. Giova notare l’ennesimo errore di valutazione da parte di Fini, che, pur essendo cresciuto a pane e politica, non sembra avere la visione dello stratega. La partecipazione da protagonista alla nomina di Ciampi alla presidenza della repubblica toglie Berlusconi dall'angolo nel quale la sconfitta del '96 lo aveva relegato. Tra il '97 e il '98 sono iniziati alcuni contatti informali segretissimi tra Berlusconi e Bossi. Peraltro il documento sulla devolution approvato all'unanimità da Fi al congresso di Assago, ha riavvicinato i due, cosicché, nel '99, i contatti tra i due si infittiscono. Ricorda Berlusconi «Concordammo con Bossi di sottoscrivere un programma comune molto concreto, suggellato da un solenne patto d'onore tra me e lui».
Il 23 dicembre 1999, Berlusconi invita sul suo aereo personale, per il rientro a Milano, Bossi, Maroni, Urbani e Tremonti e nell'ambito di quel vertice viene concordato l'accordo definitivo, il "patto di Linate". Il giorno successivo la notizia trapela e gli alleati del Polo, Fini e Casini, masticano amaro ma devono accettare. Con l'avvio della campagna per le regionali, Datamedia può confortare Berlusconi con la notizia che l'elettorato di Fi e della Lega hanno accettato l'accordo. Alle regionali, i voti della Lega non saranno determinanti per la vittoria, ma affermerà Tremonti «Al patto tra Polo e Lega si applica la vecchia teoria di Cuccia: le azioni non si contano si pesano». L'alleanza con la Lega indurrà, infatti, un effetto domino che porterà alla vittoria delle politiche nel 2001.
Il governo Amato
Le elezioni regionali del 16 aprile 2000 vedono, quindi, la sconfitta del centrosinistra. D'Alema, che ha combattuto sui due fronti interno ed esterno, mettendo in gioco il proprio futuro politico, il 17 aprile 2000 rassegna le dimissioni. Il centro sinistra cerca una soluzione che consenta il passaggio del testimone dal presidente del consiglio al candidato delle elezioni politiche del 2001. Si fanno i nomi di Fazio, Bazoli e Monti, che rifiutano per svariati motivi, ma, forse, perché tutti sono convinti che si tratta di accettare l'incarico per il solo governo di fine legislatura.
Nell’aprile 2000, viene costituito il governo Amato II (Ulivo. Pdci, Udeur, Indipendenti; 25/4/2000-11/6/2001); il dottore sottile deve farsi perdonare le stangate del precedente governo Amato I del 1992. Berlusconi aveva proposto di andare subito al voto, ma Ciampi, che vuole portare a termine la legislatura, si affida ad Amato che, come traghettatore, ha ottime credenziali. Che sia un governo di necessità si capisce chiaramente nei mesi successivi, quando, da Parisi, Veltroni e Castagnetti, in diverse interviste, vengono fatti i nomi più disparati per il candidato premier alle elezioni. Queste interviste scatenano l'ira di Amato, che non rinuncia all'idea di poter essere lui il candidato e che minaccia le dimissioni. Tra fine giugno e fine settembre si apre un confronto sotterraneo e sottile tra gli unici candidati rimasti, Amato e Rutelli; nel mese di agosto alcuni giornali iniziano a parlare di "nomination" tra i due potenziali candidati.
Intanto la fitta tela cucita da Rutelli inizia a dare i suoi frutti; il centro sinistra è, oramai, convinto che vada rivitalizzato il progetto prodiano dell'Ulivo e che Rutelli sia il candidato più adatto. Il 25 settembre 2000, ospite di Vespa a Porta a Porta, Amato dichiara di ritirarsi per evitare un conflitto interno al centro sinistra. Il complesso di Crono ha eliminato, forse, l'unico candidato che avrebbe potuto fronteggiare Berlusconi, rappresentando un punto di riferimento stimato dall'elettorato moderato.
Rutelli, da parte sua, non vanta un bilancio molto lusinghiero, come sindaco di Roma deve far dimenticare la privatizzazione della Centrale del latte, venduta nel 1997 alla Cirio di Cragnotti per 106 miliardi e rivenduta da questi, nel '99, alla Parmalat per 765 miliardi. Però ha un aspetto gradevole, è popolare, è bravo nella comunicazione. L'11 ottobre 2000, i partiti centristi del centro-sinistra (Ppi, Udeur, Ri e Democratici) si raccolgono sotto il logo della Margherita, «Una formazione plurale nuova, aperta a cittadini e società civile, verso l'unità dell'Ulivo»; il leader è Rutelli. Lo stesso giorno, Sergio D'Antoni, annuncia a Porta a Porta, la decisione di dimettersi da segretario della Cisl e l'intenzione di fondare un partito di centro; sarà Democrazia europea (De). Nel febbraio del 2001 aderiscono a De, il ministro dell'Università Ortensio Zecchino e il senatore a vita Giulio Andreotti, che escono dal Ppi; attorno all'iniziativa cresce l'entusiasmo degli orfani della grande Dc. D'Antoni si sente sicuro di creare un forte centro, equidistante dal Polo e dal centro sinistra, sperando di far breccia nel bacino dei quattro milioni di iscritti alla Cisl e in quello tradizionale di Andreotti e si accredita di un potenziale 8%. L'elettorato si rivelerà più maturo di politici di vecchio bordo. Alle politiche del 2001 Democrazia Europea, presentandosi senza apparentamenti, subirà, infatti, una sonora sconfitta dando un’ulteriore conferma al fatto che la Dc è, definitivamente, morta.
Eugenio Caruso - 16 ottobre 2019