Imparare senza pensare porta a nulla. Pensare senza imparare è pericoloso.
Confucio
L'analisi di report editi in Usa e in Europa sulla vita delle aziende di successo (quelle che figurano tra le prime 500 nella classifica stilata annualmente da Fortune) indica una vita media di diciotto anni; come se il successo di un'impresa portasse con sé il seme dal quale scaturirà l'insuccesso; sempre nella lista delle prime 500 aziende, stilata da Fortune nel 1970 ben il 60% non esiste più.
Arie de Geus dell'Organizational learning centre, presso l'Mit, in base ad una ricerca sul periodo di vita delle imprese, è arrivato a stabilire che questi tassi di mortalità prematura sono esclusivamente da attribuirsi a scelte imprenditoriali o manageriali errate; d'altra parte l'impresa è un'organizzazione che fisiologicamente può durare per secoli come dimostrano la giapponese Sumitomo, fondata nel 1590, o la svedese Stora, fondata più di settecento anni fa.
De Geus ha individuato alcune caratteristiche comuni alle imprese che hanno più di un secolo di vita.
Le considerazioni fatte valgono per le imprese medio-grandi; per le piccole e medie imprese non esistono documenti significativi che descrivono le motivazioni della loro longevità o del loro declino.
La mia esperienza mi porta a identificare, sostanzialmente, due ragioni della mancanza di longevità di una piccola o media impresa.
- La crisi che nasce al momento del trapasso generazionale.
- Il ritardo con il quale l'imprenditore si rende conto di segnali premonitori di una crisi. I segnali tangibili e misurabili non dànno segni di crisi, i bilanci sono soddisfacenti, la produttività è a livelli standard, non ci sono problemi con il personale, è, pertanto, facile che l'imprenditore, occupato, molto, a seguire la gestione ordinaria e, poco, a scrutare nel futuro, trascuri segnali intangibili di crisi.
1. Il ciclo di vita di un’impresa
Il ciclo di vita di un'impresa è raffigurabile con una curva sigmoide del tipo di quella che descrive il ciclo di vita di un prodotto.
Anche per le imprese le fasi sono quattro, nascita (punto O), sviluppo (tra O e A la curva sale, con un punto di flesso, generalmente a metà), maturità (tra A e B la curva si appiattisce), declino (oltre B la curva scende). In generale, quando un'impresa si trova nel punto B del ciclo di vita e decide di cambiare, spesso ha raggiunto un punto di irreversibilità e la salvezza è ardua.
Ma perché le aziende decidono di adottare iniziative di rinnovamento solo quando si trovano nel succitato punto B e quindi nel momento meno propizio e di massima difficoltà?
Perché gli imprenditori hanno guidato l'azienda affidandone la verifica dello stato di salute solo agli indicatori economico-finanziari (cioè affidandosi al passato) e hanno trascurato quegli indicatori immisurabili o intangibili, ben noti all’imprenditore in grado di guardare oltre l’orizzonte.
Se, viceversa, l'impresa decidesse di operare un cambiamento in prossimità del punto A, innescando una nuova curva di crescita, disporrebbe di tempo, energie, entusiasmo e risorse per attivare un nuovo percorso di sviluppo prima che maturità e declino ne indeboliscano l'organizzazione.
La decisione di procedere in tal senso non è facile in quanto, generalmente, essa presuppone uno spostamento paradigmatico all'interno dell'azienda, ma è opportuno notare che la transizione su una nuova curva di crescita è la principale decisione strategica per un'impresa che voglia evitare il declino.
2. Le fasi della vita di un'impresa
Considerando le fasi del ciclo di vita di un’impresa, si possono fare le seguenti considerazioni.
Nel momento in cui un'impresa nasce «Si percepisce un alto livello di energia e di eccitazione e vi è un diffuso spirito di collaborazione e di integrazione tra gli individui. Ci si sente pionieri in un'avventura e questo genera gratificazione e appagamento sul lavoro. La flessibilità è massima» (D'Egidio, 1999).
Generalmente, in questa prima fase, non sono state ancora ben definitela mission e le strategie, eppure, lo spirito di identificazione nell'idea imprenditoriale è alto, tutti sono allineati con l'imprenditore nel conseguimento dei primi obiettivi e le motivazioni sono legate a questo obiettivo.
L'ambiente è libero da pregiudizi, gelosie e preconcetti, tutti tendono a essere creativi e propositivi, le competenze non sono codificate, il livello di burocratizzazione è nullo, le gerarchie impercettibili. L'immagine dell'impresa verso il mondo esterno è in fase di costruzione, i rapporti con i clienti sono buoni, anche se spesso il prodotto offerto risente della politica del trial and error (prova e correggi); arrivano, infatti, alcuni reclami ma l'organizzazione interna è fortemente orientata a recepirli, anzi a cercare di fidelizzare il cliente che reclama.
Nella fase dello sviluppo l'impresa conosce un momento di forte espansione. I clienti apprezzano i prodotti offerti, la reputazione dell'azienda fa sentire i collaboratori orgogliosi di lavorare per quell'impresa, l'organico incomincia a crescere per soddisfare la domanda, si raggiunge il punto di breakeven e arrivano i primi utili. Il livello di energia e di eccitazione è ancora alto, c'è anche un diffuso senso di euforia per i risultati raggiunti.
L'impresa inizia a conoscere, però anche alcuni aspetti negativi.
- Non è possibile, infatti, soddisfare le aspettative di tutti i collaboratori; alcuni pensano che l'impresa non riconosca pienamente gli sforzi e i sacrifici del periodo precedente e dànno le dimissioni, passando, magari, a un'azienda concorrente.
- Si cominciano a osservare i primi schemi precostituiti per la soluzione dei problemi e si dà meno spazio a creatività e nuove proposte.
- Si nota l'inizio di una formalizzazione nei rapporti interpersonali; vi è meno spontaneità.
- La conoscenza inizia ad essere gerarchizzata.
A questo punto, un imprenditore in grado di analizzare criticamente questi primi e deboli segnali, dovrebbe iniziare a valutare alternative di business per avviare una nuova fase di sviluppo.
Durante la fase della maturità si acquisiscono i massimi risultati economico-finanziari. Il prodotto dell'impresa è, oramai, noto e affermato sul mercato, i clienti sono soddisfatti, l'impresa ha definito in dettaglio vision, mission e strategie di medio-lungo periodo.
Di converso i problemi emersi nella fase precedente si sono acuiti e ne sono nati altri.
- Non si avvertono più l'energia e l'eccitazione delle fasi precedenti.
- Alcuni collaboratori della fase pionieristica se ne sono andati e i nuovi assunti non hanno vissuto quel particolare momento.
- L'impresa va bene ed è diffusa l'idea che debba andare bene per sempre.
- Le motivazioni e le ragioni di soddisfazione per i dipendenti vanno scemando.
- Creatività e spirito di iniziativa hanno lasciato il posto all'esecuzione formale di compiti definiti.
- Si nota un calo di tensione nella ricerca di nuovi mercati, nuovi prodotti e soluzioni innovative.
- L'organizzazione è più rigida e burocratica.
- E' subentrato il principio della difesa dei propri piccoli centri di potere.
- Arrivano molti reclami, ma lo spirito con il quale vengono accolti non è più quello della fase pionieristica.
Durante la fase del declino anche gli indicatori economico-finanziari dànno l'evidenza del cattivo stato di salute dell'azienda.
Gli elementi negativi sono sotto l'occhio di tutti.
- Il livello di slancio e di energia è minimo.
- In azienda prevale un senso di sfiducia.
- Molti dei collaboratori migliori se ne sono andati.
- Si vive alla giornata, la vision, la mission, le strategie aziendali sono state completamente abbandonate.
- Il know-how dà segni di obsolescenza.
- I conflitti di natura sindacale sono frequenti.
- Il livello di fidelizzazione dei clienti si è indebolito.
- L'imprenditore si affida a consulenti esterni per valutare possibili soluzioni alla crisi, ma i tentativi di riorganizzazione gettano l'azienda in una crisi definitiva e irreversibile.
- Si sono esaurite le fonti del vantaggio competitivo. Su questo argomento vedi E. Caruso, Come vincere le sfide della concorrenza, Tecniche Nuove.
L'analisi critica delle quattro fasi descritte mostra perché è opportuno rilanciare l'impresa in prossimità del punto A del ciclo di vita e non tra A e B, né tantomeno in prossimità del punto B.
Nell'intorno di A l'impresa trasuda energia, creatività, orgoglio, autostima e si trova ancora in uno stato di eccitazione che rende possibile lanciare un'altra sfida. Tra A e B l'impresa si è "seduta sugli allori" ed è molto più difficile smuoverla da abitudini consolidate e riti giornalieri e dal ristagno dei piccoli centri di potere.
Questa condizione spiega perché, quando un'azienda si affida a consulenti esterni per una riorganizzazione, spesso, la prima azione proposta è il taglio di posizioni dirigenziali.
3. Come evitare il declino
Da quanto detto l'imprenditore dovrebbe avere nel proprio dna la capacità di percepire i deboli segnali di una possibile crisi e porvi rimedio.
D'Egidio ha individuato "otto fattori di vitalità" che l'imprenditore dovrebbe tenere sotto controllo al fine di poter effettuare una valutazione di massima sul momento più opportuno per operare il cambiamento e allungare il ciclo di vita della sua impresa (D'Egidio, 1999).
4. La soddisfazione dei collaboratori
Tutti oggi parlano dell'importanza delle risorse umane come capitale fondamentale dell'impresa e quindi dell'impegno che l'azienda deve rivolgere ai collaboratori per motivarli, coinvolgerli, inculcare in loro il principio d'identificazione, mantenere elevato il loro livello di conoscenze, applicare l'empowerment (1)(Johnson, 2000). Di converso le imprese trovano difficoltà a mettere in pratica questi concetti che sono sulla bocca di tutti; spesso ricorrono alle riorganizzazioni, con il risultato, spesso, di far irrigidire e imbozzolare il collaboratore su se stesso per la paura del nuovo.
Gli studi di un gran numero di sociologi dànno indicazioni importanti per superare le succitate difficoltà; questi studi indicano, infatti, che le persone tendono sempre più ad esprimere sul lavoro bisogni legati alla propria autorealizzazione e all'aumento della propria autostima; pertanto le persone non si recano più al lavoro per soddisfare solo i propri bisogni di base, bensì per trovare, anche, un appagamento ai propri bisogni di realizzazione sociale.
Per conseguire la soddisfazione dei collaboratori, l'imprenditore dovrebbe risalire all'analisi transazionale e ricordare che la struttura dell'Io di ciascun individuo si basa su tre componenti, l'Io genitore, l'Io adulto, l'Io bambino. Nei rapporti umani ciascun individuo, a seconda delle circostanze, si comporta utilizzando uno dei tre stati della personalità.
Se l'imprenditore, nei rapporti con il collaboratore assume la posizione da genitore a bambino (modello gerarchico direttivo) e il collaboratore risponde cercando un rapporto adulto-adulto, sorgeranno sicuramente motivi di attrito e di insoddisfazione. Inizialmente il rendimento del collaboratore potrà essere elevato, perché esegue attentamente i compiti assegnatigli, ma, con il passare del tempo, nel collaboratore calano l'autostima e la soddisfazione e cala il rendimento.
Se l'imprenditore assume una posizione da adulto ad adulto, inizialmente i risultati del collaboratore potranno essere inferiori rispetto a quelli ottenibili con il modello gerarchico, ma, con il tempo, il rendimento crescerà e, in un circolo virtuoso, con esso cresceranno autostima e soddisfazione, ad ulteriore vantaggio dei risultati.
Il monitoraggio del livello di soddisfazione dei collaboratori prevede, innanzitutto, un'analisi dei bisogni e dei valori personali del collaboratore; successivamente si procederà, sia a verificarne la soddisfazione in termini di percezioni sulla possibilità di crescita personale e professionale e sul suo coinvolgimento nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, sia a capire come il collaboratore vede l'ambiente di lavoro e il rapporto con gli altri.
5. L'energia.
A molti sarà capitato di entrare in un'azienda e osservare la quantità di energia presente tra i dipendenti.
Supponiamo di avere un appuntamento con l'imprenditore di una Pmi energeticamente ricca; l'impatto con l'azienda inizia dall'ingresso dove si viene accolti con calore e cordialità, il tempo di attesa della persona con la quale si ha l'appuntamento è breve, si viene accompagnati attraverso un'open space dove tutto appare tonico, i telefoni squillano, le persone si muovono con dinamismo, senza per questo apparire frenetiche o angosciate, l'ambiente dà la sensazione di rapporti informali e amichevoli. Si raggiunge l'imprenditore, che ci accoglie con l'atteggiamento fortemente orientato a stabilire un rapporto. Durante la riunione il nostro interlocutore è disturbato pochissimo dalla sua segretaria, che appare a suo agio nel "gestire" il tempo del suo capo.
Di converso sarà capitato anche il caso opposto, l'incontro con l'imprenditore di un'impresa priva di energia come una batteria scarica.
All'ingresso il visitatore viene accolto, dalla persona preposta a questo incarico, come elemento di disturbo rispetto ad altre attività ritenute più importanti (magari la soluzione di un cruciverba). La persona con cui si ha l'appuntamento non si riesce a trovare, non è in ufficio, forse è in qualche reparto, non ha lasciato alcuna informazione alla segretaria, né tantomeno la stessa risulta informata dell'agenda del capo. Il visitatore trascorre un quarto d'ora curiosando sulla bacheca sindacale, che rivela, sia segnali di contrasti tra maestranze e imprenditore, sia uno stato di preoccupazione da parte dei dipendenti. Finalmente, si viene accompagnati attraverso un'open space dove tutto appare vecchio, i dipendenti hanno gli sguardi svogliati di chi compie attività routinarie e monotone, la gente si muove con aria strascicata, si nota qualche gruppetto di persone che chiacchierano. L'imprenditore che ci riceve, pur mostrando interesse e cordialità, afferma di avere poco tempo e di essere sommerso dagli impegni; infatti ogni cinque minuti il colloquio è interrotto dalla segretaria, dal telefono, dal cellulare o addirittura dallo spedizioniere di un fornitore che vuol sapere dal signor ingegnere dove deve scaricare il materiale.
Da questi due esempi reali se ne può dedurre una definizione di energia in azienda.
Essa è l'elemento dal quale scaturisce la capacità d'azione dell'impresa e trae origine dalle motivazioni, dall'impegno, dalla passione, dalla sicurezza, dall'autostima.
Deve crearsi nell'individuo un circolo virtuoso nel quale lo sforzo compiuto per ottenere il massimo dalle proprie prestazioni, sforzo compiuto per essere coerente con ciò in cui crede e per soddisfare le proprie aspirazioni, e i riconoscimenti da parte dell'imprenditore e dei colleghi alimentano l'autostima, e quindi producono l'energia necessaria per un ulteriore miglioramento delle prestazioni.
Non sempre, però, l'eccesso di energia è un fattore positivo; l'iperattivismo dell'imprenditore del secondo caso era frutto o di uno stato d'ansia per le sorti dell'azienda o di una incapacità nella gestione del proprio tempo o di un inconscio desiderio di non fermare il pensiero sulla realtà aziendale e sugli errori commessi.
Per avere una visione sintetica di come il parametro energia influenzi i destini di un’impresa facciamo riferimento alla matrice a quattro celle riportata in fig. 1.
Alta
Quantità
di
energia
Bassa
|
|
|
|
|
3 |
4 |
1 |
2 |
|
|
Negativa |
Positiva |
|
Qualità dell’energia |
Fig. 1 Matrice a 4 celle basata sulla quantità e qualità di energia espressa da un collaboratore.
- Gli individui collocabili nella cella 1 sprigionano poca energia e questa ha un valore negativo. Essi si sentono vittime delle circostanze, attendono con ansia la fine della giornata, lavorano solo per lo stipendio e il livello di assenteismo è elevato. La loro espressione tipica è «sì … ma …». Io ho introdotto per questo tipo di dipendenti la definizione la palude; criticano le iniziative aziendali e sindacali, hanno sempre un atteggiamento negativo nei riguardi di ogni novità, affermano che i capi hanno raggiunto la loro posizione non per merito, ma per raccomandazione, sono il punto di raccolta dei pettegolezzi aziendali ed extra-aziendali, sono sempre informati sulle novità più assurde che stanno capitando all'impresa.
- Nella cella 2 troviamo le persone a energia positiva, ma bassa. La loro espressione tipica è «sì … sì …», si lasciano trasportare senza opporre la minima resistenza o critica, per non creare problemi e per non averne; vivono all'ombra del capo. La loro preoccupazione è eseguire i compiti, affidati senza compiere errori, la loro bassa energia, pur essendo positiva, non è sufficiente per farli diventare propositivi. Forse sarebbero stati degli ottimi collaboratori, se avessero avuto degli ottimi capi.
- Nella cella 3 si collocano le persone ad elevata energia ma negativa. La loro espressione tipica è «no! Neanche a pensarci». Sono i pessimisti cronici che hanno, disgraziatamente, l'energia per convincere gli altri a non compiere qualche cosa. Un esempio di individui ad energia elevata, ma negativa si ritrova quando la persona trasmette obiettivamente una grande energia, ma questa non è coerente con la mission aziendale, si indirizza, in modo disordinato, ora in una direzione ora in un'altra, crea confusione e sconcerto nei collaboratori, è fortemente ansiogena e nasce essa stessa, probabilmente, da un forte stato d'ansia.
- La cella 4, elevata energia positiva, comprende i motori dell'azienda, generalmente, coloro che sono leader o che lo diventeranno.
La quantità di energia positiva che le persone sprigionano all'interno dell'azienda fa la differenza tra l'impresa eccellente e l'impresa che potrebbe andare incontro al declino.
Giova osservare che quando l'impresa si trova nelle fasi nascente e di sviluppo il coinvolgimento delle persone e le motivazioni sono alte. C'è il gusto della sfida e l'energia è tangibile in ogni azione della maggior parte del personale. Man mano che l'impresa tende a istituzionalizzarsi il sacro fuoco dei primi tempi tende a spegnersi e iniziano a manifestarsi atteggiamenti collocabili nelle celle 1 e 2 della matrice di fig. 1.
E' a questo punto che la leadership creativa deve rilanciare l'impresa facendo partire una nuova curva di sviluppo puntando su tre elementi.
- Rienergizzare, cioè trasmettere energia, entusiasmo e grinta nuovi.
- Ricreare un futuro, cioè elaborare, comunicare e far condividere una nuova vision.
- Ridare fiducia alle persone in modo che possano esprimere, ancora, il massimo del loro potenziale.
6. L'identità dell'impresa
L'impresa va considerata come una persona con la propria identità, e cioè l'insieme di principi e valori.
Se le persone si riconoscono nei valori di cui l'azienda è portatrice esistono i presupposti perché si crei un forte senso di appartenenza e quando le persone sono orgogliose di far parte di un'impresa significa che c'è convergenza tra la mission aziendale e il progetto di vita individuale.
L'identità di un'impresa è come l'anima di una persona; creare, sviluppare, arricchire l'identità dell'impresa significa rafforzare il proprio vantaggio competitivo attraverso una linfa che fa scaturire nel personale energie positive, passione, orgoglio d'appartenenza, spirito di sacrificio.
D'altra parte, è opportuno sottolineare che il rafforzamento del senso di appartenenza dei collaboratori va costruito sulle solide basi della responsabilizzazione e valorizzazione delle persone, non solo con pure espressioni di principio, ma con fatti concreti e con segnali precisi e coerenti con tale spirito.
L'identità dell'impresa è, quindi, vitale perché è fonte di energia per il conseguimento di obiettivi anche ambiziosi, perché crea l'allineamento tra il personale e gli obiettivi aziendali, perché pone le basi per un impegno comune verso il perseguimento della vision aziendale.
Un grave segnale per l'imprenditore è rendersi conto che anima e cuore dei collaboratori non sono più in sintonia con l'identità dell'impresa. Forse i valori sui quali era stata fondata l'azienda si sono persi; cooperazione, rispetto, pari dignità sono diventate parole vuote. L'imprenditore deve dare una forte svolta all'impresa rivitalizzando quei valori e, ancora una volta, agendo in modo concreto e inviando segnali coerenti con la volontà di rilancio.
7. L'immagine dell'impresa
Una buona o ottima immagine di un'impresa rappresenta un patrimonio di inestimabile valore. Essa favorisce i rapporti con tutti gli stakeholder e quindi genera business, ma essa deriva anche dal giudizio degli stakeholder, verso i quali devono, quindi, indirizzarsi gli sforzi dell'azienda.
L'immagine di un'impresa è l'insieme di due componenti, una cognitiva e una emotiva. La prima è costituita dai numeri, dai fatti, da esperienze dirette o indirette avute con l'azienda, dai comportamenti, dalle risposte; la seconda è costituita dal coinvolgimento emotivo, dal ricordo, dalla tradizione, dai valori, dall'orientamento personale di chi esprime la valutazione.
Comunque, qualunque sia il messaggio che l'impresa invia al mondo esterno, esso dovrà essere tale da non creare discrasie con l'immagine che dell'azienda hanno i dipendenti; infatti, tanto più brillante è l'immagine proiettata all'esterno tanto maggiore sarà il riflesso negativo sulle persone che quotidianamente toccano con mano una realtà aziendale diversa.
L'immagine interna deve essere coerente con quella esterna, anzi, nel processo di costruzione della propria immagine ci si dovrà focalizzare innanzitutto sugli aspetti interni, organizzativi e culturali.
La grande impresa costruisce, generalmente, la propria immagine con la pubblicità, chi puntando sugli aspetti cognitivi (la globalizzazione delle mode e dei gusti, l'antirazzismo, l'unione tra i popoli, la famiglia, la natura), chi privilegiando il coinvolgimento emotivo (l'esclusività, il messaggio provocatorio, l'anticonformismo, il mito giovane, la bellezza, il ricordo).
Nel caso di una piccola o media impresa la trasmissione dell'immagine raramente avviene attraverso messaggi pubblicitari; generalmente, viene sfruttato il tessuto delle relazioni che tiene uniti gli stakeholder verso i quali, giorno per giorno, vengono trasmessi la cultura, i valori, la vision e la mission aziendali e dai quali vengono recepiti gli stimoli per un progressivo miglioramento dell'immagine stessa.
Una leadership accorta dovrebbe tenere sotto controllo la qualità della propria immagine presso gli stakeholder, anche affidandosi a terzi, neutrali nel giudizio.
8. L'innovazione
Un'impresa che voglia sopravvivere in un mercato, nel quale l'ipercompetizione (2) è legge, dovrà fare dell'innovazione la propria regola di vita.
L'impresa dovrà, quindi, entrare in una logica di innovazione continua e l'innovazione dovrà interessare vari aspetti dell'impresa, il prodotto, il servizio, il processo, il management, la logistica, il marketing; essa dovrà entrare in ogni componente delle catene del valore alla Porter, sia orizzontali, che verticali, per creare valore per l'insieme degli stakeholder, partendo dalla creazione di valore per ogni singola attività che, in qualche modo, coinvolga l'azienda.
L'innovazione può essere di tipo incrementale, fatta di piccoli passi, oppure può essere dirompente, può scardinare gli schemi costituiti, cambiare i paradigmi esistenti, creare un circolo virtuoso nel quale si arriva a distruggere l'esistente per sostituirlo con il nuovo, che una volta diventato obsoleto, viene sostituito da qualcosa d'altro.
E' ovvio che un'impresa non può vivere quotidianamente con questo secondo tipo di innovazione, ma essa deve avere nel proprio dna la possibilità di avviare un processo di innovazione "rivoluzionaria", quando la leadership si rende conto che, per evitare il declino, è venuto il momento di far partire una nuova curva di sviluppo.
Per avviare un processo di innovazione continua l'impresa ha bisogno di forti e condivise valenze culturali, il gusto della sfida, la fiducia, la libertà e la passione di aprire nuove vie, ma, fondamentalmente, ha bisogno di un detonatore e questo detonatore è la creatività, senza la quale non sono possibili né miglioramenti incrementali, né, tantomeno la citata «distruzione creativa».
L'imprenditore dovrà quindi verificare, per ogni area di attività dell'impresa, la presenza della cultura dell'innovazione. Dovrà cercare di non criticare le proposte non realizzabili, ma incoraggiare costantemente e premiare lo sforzo creativo teso al miglioramento.
9. Il capitale intellettuale
E' noto, anche ai meno esperti di organizzazione aziendale, che il capitale immateriale di un'azienda moderna (conoscenza, informazioni, brevetti, esperienze acquisite, risultati della R&S) costituisce una delle prime fonti di vantaggio competitivo.
L'importanza che le risorse intellettuali stanno acquistando nella transizione verso una nuova economia e come queste risorse stiano inesorabilmente sostituendo capitale e forza lavoro come asset strategici di un'impresa sono fatti che possono essere mostrati con alcune semplici considerazioni.
- Il valore di un prodotto percepito dal cliente risiede sempre più negli aspetti intangibili (design, immagine aziendale, reputazione, emozione, ricordo) che sono frutto delle risorse intellettuali e sempre meno nella sua materialità.
- Aziende che utilizzano in maniera preponderante il capitale intellettuale hanno capitalizzazioni di borsa enormemente superiori al valore degli asset tangibili.
- Nelle imprese, il lavoro manuale è stato, in gran parte, sostituito dall'automazione, che, sia nella fase di progettazione, sia in quella del controllo, deve fare sempre riferimento a risorse intellettuali.
Giova sottolineare, inoltre, che gli asset legati al capitale intellettuale hanno caratteristiche completamente diverse da quelle che contraddistinguevano gli asset tangibili.
- Il capitale intellettuale è un bene che si rivaluta nel tempo, invece di deprezzarsi come per i beni materiali.
- Il capitale intellettuale non si consuma nel tempo, anzi tende ad aumentare con l'uso.
- Il capitale intellettuale, non è un bene statico, ma, come in una reazione a catena, ha una grande velocità di diffusione e di proliferazione.
- Il capitale intellettuale può essere detenuto da persone, verso le quali l'impresa deve inventare nuove modalità di interazione (vedi ad esempio la politica della partnership).
- Il capitale intellettuale, oltre che essere fonte di business in quanto tale, è anche elemento di formazione della cultura dell'innovazione nell'impresa e quindi apportatore di vantaggi competitivi su due fronti.
Questa atipicità degli asset intellettuali rispetto a quelli materiali ha, ovviamente, costretto le aziende a riorganizzarsi e strutturarsi in modo da fertilizzare e valorizzare al meglio questo capitale.
Le imprese dovranno gestire le risorse umane in modo da puntare sui seguenti obiettivi.
- Creare nuovo capitale intellettuale.
- Consolidare e diffondere la conoscenza all'interno dell'azienda.
- Massimizzare lo sfruttamento del capitale intellettuale, acquisendo sui mercati vantaggi competitivi duraturi.
- Quantificare il valore del capitale intellettuale dell'impresa.
- Attraverso la comunicazione e il coinvolgimento cercare di catturare quelle eventuali conoscenze latenti che possono essere patrimonio ignorato di qualcuno tra gli stakeholder.
L'imprenditore di un'impresa tesa verso l'incremento e la valorizzazione del capitale intellettuale, oltre ad avere un'ottima visibilità delle competenze che l'azienda dovrà sviluppare, non guardando al passato, ma pensando al futuro, dovrà adeguarsi a questa realtà di impresa e spostare il proprio focus sui seguenti aspetti.
- La gestione di persone che operano in un'ottica di empowerment.
- L'identificazione e l'inserimento delle competenze necessarie per ogni ruolo chiave.
- La creazione di una learning organization che consenta di definire un percorso di sviluppo delle conoscenze mirato e allineato alle scelte strategiche.
- Il monitoraggio costante del livello di sviluppo del capitale intellettuale.
L'attenzione agli asset immateriali dovrà essere molto più accurata di quella che la leadership dedicava agli asset materiali; la velocità dei cambiamenti e l'attrattività della concorrenza sono due elementi con i quali l'imprenditore dovrà avere a che fare quotidianamente pertanto la presenza costante e cooperativa con tutto il mondo degli stakeholder dovrà essere un must imperativo per l'imprenditore, sia per individuare sempre nuove fonti di capitale intellettuale, sia per evitare la perdita delle fonti già in suo possesso.
10. La customer satisfaction
Che lo scopo principale di un'impresa sia creare e conservare una clientela è un assioma che è oramai nel dna di tutte le aziende. In un mercato ipercompetitivo lo sforzo dalle imprese è rivolto all'ottimizzazione di due parametri:
- la customer retention, cioè la percentuale di clienti che compiono l'acquisto presso l'impresa, ovvero il tasso di fedeltà praticata,
- la customer loyalty, cioè la percentuale di clienti che, consapevolmente sono fedeli, ovvero il tasso di fedeltà voluta.
L'impresa è consapevole che un cliente trattenuto non è un cliente fedele, mentre è fedele il cliente che vuole comprare dall'impresa e non dalla concorrenza perché non è un cliente semplicemente soddisfatto, ma molto soddisfatto.
E' evidente che monitorare costantemente il livello della customer satisfaction è forse l'attività dalla quale dipende prioritariamente la sopravvivenza dell'impresa. L'impegno non è facile, anzi ha gradi di difficoltà notevoli, specie perché la qualità della fornitura, percepita dal cliente non sempre corrisponde alla qualità che l'impresa ritiene di erogare.
La soluzione, specie se non si è in presenza di beni di largo consumo, sta nella "casa degli stakeholder", nella quale, tutti e quindi anche il cliente, concorrono a definire la qualità del prodotto e l'impresa è in grado di conoscere, del cliente, i bisogni impliciti, quelli espressi, ma anche quelli latenti.
Grazie a questa conoscenza l'impresa potrà erogare la propria fornitura in base a tre tipologie di qualità.
- La qualità implicita che è propria delle prestazioni che i clienti considerano normale ricevere e che quando vengono erogate producono uno stato di non-insoddisfazione.
- La qualità espressa che deriva da quelle prestazioni che i clienti apprezzano se le riscontrano.
- La qualità latente che è correlata a prestazioni inattese dal cliente e hanno un'influenza molto positiva sulla customer satisfaction.
Va comunque detto che la qualità latente diventa presto una qualità implicita (il cliente si aspetta quello che prima era una sorpresa) e se l'impresa vuole mantenere elevato il grado di soddisfazione del cliente dovrà inventarsi un'altra qualità latente, mantenendo il pendolo della qualità in continua oscillazione tra qualità latente e qualità implicita.
Si è detto che quantificare la customer satisfaction è un'attività molto complessa, esistono, comunque, una serie di elementi, come quelli indicati nel riquadro, la cui analisi può dare informazioni su di essa.
Effettuare consegne precise e corrispondenti agli ordini.
Rispettare i tempi di consegna.
Adottare termini di pagamento flessibili e a misura del cliente.
Avere una discreta gamma di prodotti.
Imballare i prodotti in modo razionale, funzionale e gradito al cliente.
Usare imballaggi ecologici.
Essere capaci di adattarsi alle esigenze della commercializzazione.
Sostenere i prodotti con un'efficace attività di marketing.
Organizzare azioni promozionali.
Avere personale con adeguato grado di autonomia.
Avere prodotti con ciclo di vita adeguato.
Curare i contatti interpersonali.
Avere personale cortese e gradevole nei rapporti interpersonali.
Fornire spiegazioni e materiali, esaurienti e completi.
Avere procedure di comunicazione tecnologicamente avanzate.
Proporre soluzioni di servizio innovative.
Disporre di un adeguato servizio assistenza clienti. |
Questi indicatori di customer satisfaction possono essere modificati o integrati, in funzione della tipologia di business dell'azienda, ma sarebbe opportuno che ciascuna azienda compili un elenco di parametri, come quello del riquadro, e su di esso faccia, periodicamente un attento monitoraggio. Per quantificare in un dato numerico la customer satisfaction, l'imprenditore, in funzione della tipologia del proprio business, potrebbe assegnare a ciascun parametro una scala di valori e definirne, quindi, con un "voto", il valore.
11. La competenza emotiva
Fino a pochi anni fa l'intelligenza di una persona veniva misurata attraverso il QI (quoziente di intelligenza); da qualche anno si misura anche l'EQ, il quoziente di intelligenza emotiva (Goleman, 1998), che rappresenta appunto un altro aspetto dell'intelligenza.
L'EQ comporta le seguenti doti.
- Buona conoscenza e consapevolezza di sé.
- Autocontrollo.
- Facilità nelle relazioni.
- Empatia,
- Comunicativa.
- Capacità di trasmettere nell'interlocutore entusiasmo e fiducia.
- Automotivazione.
- Capacità di comprendere i sentimenti e gli stati d'animo altrui.
Tutte caratteristiche che fanno il profilo ideale di un leader.
Questo spiega, anche, perché, generalmente, un alto QI, da solo, non crea un leader. La competenza emotiva nasce dalla consapevolezza della propria intelligenza emotiva; potremmo dire che la competenza emotiva nasce dalla propria consapevolezza e dalla propria intelligenza emotiva.
La presenza nell'impresa della competenza emotiva risulta particolarmente importante quando l'azienda è in una fase di transizione.
Durante i cambiamenti, in azienda, è noto che si sviluppano ansia, paura e sfiducia, forze negative che possono bloccare il processo in corso; solo la presenza della competenza emotiva permette alla leadership di illustrare uno scenario positivo e di far comprendere alle persone che l'azienda richiede loro responsabilità, iniziativa, lealtà, impegno, fiducia.
Essa è altresì fondamentale quando il valore di un'impresa è il tessuto delle sue relazioni e la capacità di creare, mantenere e sviluppare relazioni è un must aziendale.
E' opportuno notare che la competenza emotiva è l'ingrediente per ottimizzare anche i parametri visti prima.
La competenza emotiva permette di sviluppare energia positiva in situazioni ad elevato potenziale conflittuale, quando la comprensione dei sentimenti e delle aspettative altrui e la capacità relazionale giocano un ruolo importante.
La competenza emotiva, attraverso le capacità relazionali, permette di valorizzare i processi di comunicazione interna ed esterna per la trasmissione di un insieme di valori che costituiscono l'identità e l'immagine aziendale.
Il capitale intellettuale si sviluppa, se all'interno dell'azienda cadono confini e barriere organizzative, permettendo la libera diffusione della conoscenza; questo comporta accordare fiducia ai collaboratori, operazione facilitata se esiste una sintonia, tra i soggetti dell'impresa, che scaturisca da affinità emotiva, sensibilità ed entusiasmo.
La costruzione, nell'impresa, della cultura dell'innovazione comporta la diffusione e l'interiorizzazione di una tensione emotiva verso nuovi modelli mentali e una predisposizione verso la rottura di rendite di posizione e vecchi schemi.
La competenza emotiva è uno strumento fondamentale per mettere in atto i giusti comportamenti tesi al raggiungimento della soddisfazione dei collaboratori e dei clienti. Con riferimento ai collaboratori, rivestono particolare importanza le relazioni interpersonali e la percezione, da parte dei collaboratori, dell'esistenza di una particolare attenzione alle proprie esigenze, elementi profondamente influenzati da comportamenti che derivano dalla dimensione emotiva.
La customer satisfaction dipende dalla capacità dell'impresa di saper cogliere i bisogni espressi e latenti dei clienti e di soddisfarli, trasformando il contatto in un'esperienza memorabile. La dimensione critica sulla quale agire per raggiungere quell'obiettivo è la relazione ad elevato tasso di intelligenza emotiva per "incantare" il cliente e convincerlo ad essere fedele.
12. Sintesi delle azioni volte alla salvaguardia dell'impresa
Riassumendo, l'esplicitazione operativa delle azioni che la leadership aziendale dovrebbe seguire per la vitalità dell'impresa può essere descritta in una serie di azioni che riguardano cultura, organizzazione, processi di business, sistemi e metodologie.
Cultura e organizzazione
- Diffondere cultura imprenditoriale nel sistema degli stakeholder
- Diffondere un elenco di valori nel sistema degli stakeholder
- Curare l'empowerment delle risorse umane
- Sviluppare gli asset immateriali
- Definire le responsabilità
- Adeguare il sistema organizzativo alle vision e mission aziendali
- Creare un'identità e un'immagine aziendali
- Diffondere la cultura dell'organizzazione
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Processi di business
- Sviluppare prodotti e servizi con la "collaborazione" del cliente
- Essere creativi nelle innovazioni di prodotto/servizio, di processo, di marketing, di management
- Creare il sistema degli stakeholder
- Preoccuparsi della soddisfazione di tutti gli stakeholder
- Puntare sull'innovazione continua
- Programmare accuratamente la produzione o la fornitura del servizio
- Curare la logistica in uscita
- Assistere il cliente
- Monitorare la customer satisfaction
- Essere creativi nelle attività di marketing
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Sistemi e metodologie
- Organizzare il total quality management
- Puntare su flessibilità ed elasticità
- Curare metodologie e strumenti gestionali
- Curare la qualità della comunicazione
- Gestire per processi
- Rilanciare l'impresa nelle fasi di forte energizzazione
- Assicurarsi della remunerazione del capitale investito, inteso come bene comune per l'impresa e per gli uomini.
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Per approfondire le caratteristiche che dovrebbero distinguere l'impresa moderna si rimanda al seguente successo editoriale: L'impresa in un mercato che cambia .
Bibliografia
D'Egidio F., La vitalità d'impresa, Sperling&Kupfer, 1999.
Goleman D., Lavorare con l'Intelligenza Emotiva, RCS Libri, 1998.
Johnson R., D. Redmond, L'arte dell'empowerment, FrancoAngeli, 2000.
Merli G., C. Saccani, L'azienda olonico-virtuale, Il Sole 24 Ore Libri, 1999.
NOTE
(1) Empowerment è l'affidamento di autonomia e responsabilità ai collaboratori
(2) L'ipercompetizione è caratterizzata da forti accelerazioni nei cambiamenti, dall'aumento dei livelli di concorrenza, dalle repentine evoluzioni nel campo delle tecnologie, dalla trasformazione della forza lavoro in knowledge worker, dall'instabilità economico-finanziaria.
Eugenio Caruso
27 dicembre 2007
Revisione del 28 settembre 2008
A integrazione dell’articolo è interessante analizzare un Rapporto Istat su Tasso di sopravvivenza delle imprese, in Italia, che conferma i dati statunitensi.
Quasi la metà delle nuove imprese non regge alla prova del mercato e, dopo cinque anni, sono costrette a chiudere.
Un giro vorticoso fra imprese che nascono e che muoiono che ogni anno coinvolge, secondo l’Istat, circa 600 mila imprese e un numero consistente di occupati: il tasso lordo di turnover occupazionale, cioè il complesso di posti di lavoro coinvolti da nascite e cessazioni di imprese è pari al 5,8% del totale dell’occupazione e movimenta più di 900mila posti di lavoro.
Di fatto, stando ai dati Istat sulla demografia d’impresa, per ogni dieci imprese nate nel 2001 solo 5,5 erano ancora operative alla fine del 2006. L’emorragia, però, è lenta quanto inesorabile: nel quinquennio 2002 – 2005, le imprese che sono riuscite a superare l’anno di vita variano da un minimo dell’86,9% (per le nate nel 2002 e 2004) a un massimo del 90,2% (per quelle registrate nel 2001).
Ma aver superato il primo anno di vita non è affatto una garanzia di sopravvivenza; infatti nel secondo anno la sopravvivenza minima scende dall’87% al 75%, nel terzo al 66%, nel quarto al 59% e nel quinto al 55%.
I tassi più elevati si registrano nel Nord Est (60% dopo 5 anni) e nel Nord Ovest con il 56%; Centro e Sud hanno percentuali di sopravvivenza del 54%.
Il tasso di mortalità delle imprese italiane è alto, attorno al 7,5% anno, poco sotto quello di natalità, confermando una vivacità demografica delle imprese italiane.
Nel quinquennio preso in considerazione dall’Istat sono scomparse, mediamente, 290 mila imprese l’anno. Con punte più elevate per il settore delle costruzioni (9,1%) e del commercio (7,7%), mentre nei settori dell’industria in senso stretto e dei servizi il tasso di mortalità è, relativamente, più contenuto.
La vita delle nuove imprese nate, almeno in questo ultimo decennio, è certamente più a rischio nel commercio, dove, dopo cinque anni dalla nascita, solo il 51,9% delle nuove imprese risulta ancora in attività, circa il 6,5% in meno rispetto alle imprese industriali.
D’altra parte nemmeno dopo cinque anni di attività l’impresa può ritenersi al sicuro dalla mortalità; in genere l’impresa cresce lentamente, lavora con pochi addetti e la struttura è ancora molto fragile. Infatti le imprese ancora operanti nel 2006 e nate 5 anni prima, avevano, mediamente, poco più di tre addetti: insomma si tratta di microimprese esposte ai marosi del mercato e della globalizzazione.
Ma la situazione varia in funzione della tipologia di business: il numero degli addetti aumenta per tutti sin dal primo anno di vita, mentre nell’industria la crescita risulta più elevata, passando da 2,3 a 4,7 addetti medi.
Nel commercio la vita è meno facile e si cresce pochissimo sin dall’inizio. La dimensione media è la più bassa, sia alla nascita, (1,4 addetti) sia dopo 5 anni (2,2 addetti). M
Mentre alla nascita la dimensione media è sostanzialmente indifferenza territorialmente, dopo il triennio emergono le prime differenze significative e dopo cinque anni la dimensione media è di 4,3 addetti nel Nord Ovest contro i 2,8 nel resto d’Italia.
Sono differenze importanti: il rapporto Istat mostra, infatti, che crescita e sopravvivenza sono legate; le imprese più piccole hanno infatti, mediamente, una probabilità di sopravvivenza più bassa.