Inferno CANTO XXVIII. Gli scismaticiCOMMENTO DEL CANTO XXVIII Visione della IX Bolgia dell'VIII Cerchio (Malebolge), in cui sono puniti i seminatori di discordie. È il pomeriggio di sabato 9 aprile (o 26 marzo) del 1300, verso le tredici. Chi poria mai pur con parole sciolte PARAFRASI Chi mai potrebbe, anche in prosa e reiterando la narrazione, descrivere pienamente il sangue e le piaghe che io vidi?
GASSMAN https://www.youtube.com/watch?v=jZbhSMV9ibQ MAOMETTO Maometto nacque in un giorno imprecisato (che secondo alcune fonti tradizionali sarebbe il 20 o il 26 aprile di un anno parimenti imprecisabile, convenzionalmente fissato però al 570 alla Mecca, nella regione peninsulare araba del Hijaz, e morì il lunedì 13 rabi? I dell'anno 11 dell'Egira (equivalente all'8 giugno del 632) a Medina e ivi fu sepolto, all'interno della casa in cui viveva. Sia per la data di nascita, sia per quella di morte, non c'è tuttavia alcuna certezza e quanto riportato costituisce semplicemente il parere di una maggioranza relativa, anche se sostanziosa, di tradizionisti. La sua nascita sarebbe stata segnata, secondo alcune tradizioni, da eventi straordinari e miracolosi. Appartenente a un importante clan di mercanti, quello dei Banu Hashim, componente della più vasta tribù dei Banu Quraysh della Mecca, Maometto era l'unico figlio di ?Abd Allah b. ?Abd al-Mu??alib ibn Hashim e di Amina bt. Wahb, figlia del sayyid del clan dei Banu Zuhra, anch'esso appartenente ai B. Quraysh. Orfano fin dalla nascita del padre (morto a Yathrib al termine d'un viaggio di commercio che l'aveva portato nella palestinese Gaza), Maometto rimase precocemente orfano anche di sua madre che, nei suoi primissimi anni, l'aveva dato a balia a ?alima bt. Abi Dhu?ayb, della tribù dei Banu Sa?d b. Bakr, che effettuava piccolo nomadismo intorno a Yathrib. Nell'Arabia preislamica già esistevano comunità monoteistiche, comprese alcune di cristiani ed ebrei. Alla Mecca - dove, alla morte della madre, fu portato dal suo primo tutore, il nonno paterno ?Abd al-Mu??alib ibn Hashim, e dove poi rimase anche col secondo suo tutore, lo zio paterno Abu ?alib - Maometto potrebbe forse aver avuto l'occasione di entrare in contatto presto con quei ?anif, che il Corano vuole fossero monoteisti che non si riferivano ad alcuna religione rivelata, come si può leggere nelle sure III:67 e II:135. Secondo una tradizione islamica, egli stesso era un ?anif e un discendente di Ismaele, figlio di Abramo. La storicità di questo gruppo è comunque discussa fra gli studiosi. Nei suoi viaggi fatti in Siria e Yemen con suo zio, Maometto potrebbe aver preso conoscenza dell'esistenza di comunità ebraiche e cristiane e dell'incontro, che sarebbe avvenuto quando Maometto aveva 9 o 12 anni, col monaco cristiano siriano Bahira - che avrebbe riconosciuto in un neo fra le sue scapole il segno del futuro carisma profetico - si parla già nella prima biografia (Sira) di Maometto, che fu curata, vario tempo dopo la morte, da Ibn Is?aq per essere poi ripresa in forma più "pia" da Ibn Hisham. Oltre alla madre e alla nutrice, due altre donne si presero cura di lui da bambino: Umm Ayman Baraka e Fa?ima bint Asad, moglie dello zio Abu ?alib. La prima era la schiava etiopica della madre che lo aveva allevato dopo il periodo trascorso con ?alima, rimanendo con lui fino a che Maometto ne propiziò il matrimonio, dapprima con un medinese e poi col figlio adottivo Zayd. Nella tradizione islamica Umm Ayman, che generò Usama ibn Zayd, fa parte della Gente della Casa (Ahl al-Bayt) e il Profeta nutrì sempre per lei un vivo affetto, anche per essere stata una delle prime donne a credere al messaggio coranico da lui rivelato. Altrettanto importante fu l'affettuosa e presente sua zia Fa?ima bint Asad, che Maometto amava per il suo carattere dolce, tanto da mettere il suo nome a una delle proprie figlie e per la quale il futuro profeta pregò spesso dopo la sua morte. Viste le difficoltà economiche in cui si trovava, Abu ?alib, zio di Maometto e figura centrale nella sua vita fin dalla giovanissima età, consigliò al nipote di lavorare come agente per la ricca e colta vedova Khadija bt. Khuwaylid, essendo egli stesso ormai impossibilitato a rifornire il nipote di mercanzie proprie. Successivamente, ormai figura affermata nella società, Maometto prenderà nella sua casa ?Ali, figlio di Abu ?alib e figura centrale dello sciismo, a tutti gli effetti adottandolo. La fama di Maometto come commerciante «onesto, equo ed efficiente», che gli avevano valso il soprannome di al-Amin (il Fidato), portarono Khadìja a offrirgli la guida e la gestione di un suo carico di mercanzie per la Siria e Yemen. L'operazione generò un profitto maggiore del previsto per Khadìja, che rimase favorevolmente impressionata dalle sue capacità ma anche dalle altre qualità del suo agente. Due mesi dopo il ritorno di Maometto alla Mecca da un viaggio in Siria, la quarantenne Khadìja, attraverso un'intermediaria, si propose in sposa al venticinquenne Maometto. Lo stesso anno, il 595, i due si sposarono. Quando, quindici anni dopo, Maometto sarebbe stato prescelto da Allah per ricevere la sua rivelazione, Khadìja fu il primo essere umano a credere a quanto le diceva il marito e lo sostenne sempre, con forte convinzione, fino alla sua morte avvenuta nel 619. A lui, in una vita di coppia senz'altro felice, dette quattro figlie - Zaynab, Ruqayya, Umm Khulthum e Fa?ima, detta al-Zahra? (le prime tre destinate però a premorire al padre) - oltre a due figli maschi (al-Qàsim e ?Abd Allah) che morirono tuttavia in tenera età. Alcuni anni dopo il matrimonio, nel 605, il primo biografo del Profeta, Ibn Is?aq, riferisce il ruolo fortuito avuto dal futuro Profeta nel reinserimento della pietra nera - situata in quella che è oggi la Grande Moschea della Mecca - nella sua collocazione originaria. La pietra nera era infatti stata rimossa per facilitare i lavori di restauro della Ka?ba ma i principali esponenti dei clan della Mecca, non riuscendo ad accordarsi su quale di essi dovesse avere l'onore di ricollocare la pietra al suo posto originario, decisero di affidare la decisione alla prima persona che fosse transitata sul posto: quella persona fu il trentacinquenne Maometto. Maometto chiese un panno e vi mise al centro la pietra, poi la trasportò insieme agli esponenti dei clan più importanti, ognuno dei quali reggeva un angolo del tessuto. Fu Maometto a inserire la pietra nel suo spazio, sedando in questo modo la pericolosa disputa, salvando al contempo l'onore dei clan. . Nel 610 Maometto, affermando di operare in base a una rivelazione ricevuta, cominciò a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di un Dio, unico e indivisibile. Maometto, raccontò che la rivelazione era stata preceduta da sogni con forti connotazioni spirituali. Furono proprio questi sogni a sospingere Maometto, benestante e socialmente ben inserito, verso una pratica spirituale molto intensa e sono quindi considerati anticipatori della rivelazione vera e propria. Dunque Maometto, come altri ?anif, cominciò a ritirarsi a cadenze regolari in una grotta sul monte Hira, vicino alla Mecca, per meditare. Secondo la tradizione, una notte intorno all'anno 610, durante il mese di Ramadan, all'età di circa quarant'anni, gli apparve l'arcangelo Gabriele (in arabo Jibril o Jabra?il, ossia "potenza di Dio": da "jabr", potenza, e "Allah", si rivolse a lui con le seguenti parole: «(1) Leggi, in nome del tuo Signore, che ha creato, (2) ha creato l'uomo da un grumo di sangue! (3) Leggi! Ché il tuo Signore è il Generosissimo, (4) Colui che ha insegnato l’uso del calamo, (5) ha insegnato all'uomo quello che non sapeva» Turbato da un'esperienza così anomala, Maometto credette di essere stato soggiogato dai jinn e quindi impazzito (majnun, "impazzito", significa letteralmente "catturato dai jinn") tanto che, scosso da violenti tremori, cadde preda di un intenso sentimento di terrore. Secondo la tradizione islamica Maometto poté in quella sua prima esperienza teopatica sentire le rocce e gli alberi parlargli. Preso dal panico fuggì a precipizio dalla caverna in direzione della propria abitazione e, nel girarsi, raccontò di aver visto Gabriele sovrastare con le sue ali immense l'intero orizzonte, e lo sentì rivelargli di essere stato prescelto da Dio come suo Messaggero (rasul). Non gli fu facile accettare tale notizia ma a convincerlo della realtà di quanto accadutogli, provvide innanzi tutti la fede della moglie e, in seconda battuta, quella del cugino di lei, Waraqa ibn Nawfal, che le fonti islamiche indicano come cristiano ma che poteva anche essere uno di quei monoteisti arabi (?anif) che non si riferivano a una specifica struttura religiosa organizzata. La tradizione riporta un dialogo avvenuto fra Waraqa, interpellato da Khadija per la sua vasta cultura, e Maometto: «Waraqa chiese: "Nipote mio, cos’hai"? Il Messaggero di Allah gli raccontò ciò che vide, e Waraqa gli disse: "Quest’angelo è colui che scese su Mosè. Vorrei essere più giovane, per arrivare al giorno in cui il tuo popolo ti caccerà". Il Messaggero di Allah gli chiese: “Mi cacceranno?”. Waraqa rispose: “Sì. Non giunse mai un uomo a rappresentare ciò che porti senza essere respinto, e se raggiungerò il tuo giorno ti appoggerò fino alla vittoria".» Waraqa, già molto anziano e quasi cieco, morirà alcuni giorni dopo questo dialogo. Dopo un lungo e angosciante periodo in cui le sue esperienze non ebbero séguito (fatra), e in cui Maometto si diede con ancora maggiore intensità alle pratiche spirituali, secondo quanto scritto nel Corano, Gabriele tornò a parlargli: «(1) Per la luce del mattino, (2) per la notte quando si addensa: (3) il tuo Signore non ti ha abbandonato e non ti disprezza». La sua azione per diffondere la Rivelazione ricevuta - raccolta dopo la sua morte nel Corano, il libro sacro dell'Islam - dimostrerà la validità del detto evangelico per cui "nessuno è profeta in patria", vista la difficoltà della conversione dei suoi concittadini. Maometto ripeté per ben due volte per intero il Corano nei suoi ultimi due anni di vita e molti musulmani lo memorizzarono per intero ma fu solo il terzo califfo ?Uthman b. ?Affan a farlo mettere per iscritto da una commissione coordinata da Zayd b. Thabit, principale segretario del Profeta. Così il testo accettato del Corano poté diffondersi nel mondo a seguito delle prime conquiste che portarono gli eserciti di Medina in Africa, Asia ed Europa, rimanendo inalterato fino ad oggi, malgrado lo sciismo vi aggiunga un capitolo (Sura) e alcuni brevi versetti (ayyat). Maometto cominciò dunque a predicare la Rivelazione che gli trasmetteva Jibril, ma i convertiti nella sua città natale furono pochissimi per i numerosi anni che egli ancora trascorse alla Mecca. Fra essi il suo amico intimo e coetaneo Abu Bakr e un gruppetto assai ristretto di persone che sarebbero stati i suoi più validi collaboratori: i cosiddetti "Dieci Benedetti" (al-?ashara al-mubashshara). I principali seguaci di Maometto furono giovani - figli o fratelli di mercanti - oppure persone in rotta con i loro clan di origine, insieme a stranieri la cui posizione nella società meccana era piuttosto fragile. In generale i meccani non presero sul serio la sua predicazione, deridendolo. Secondo Ibn Sa'd, le persecuzioni dei musulmani alla Mecca cominciarono quando Maometto annunciò i versetti che condannavano l'idolatria e il politeismo, mentre gli esegeti coranici le situano con l'inizio delle predicazioni pubbliche. Con l'aumentare dei suoi seguaci, comunque, i clan che rappresentavano il potere locale si sentirono sempre più minacciate; in particolare i Quraysh, a cui pure Maometto apparteneva, poiché guardiani della Ka?ba e gestori del lucroso traffico riguardante le offerte agli idoli. I mercanti più potenti cercarono allora di convincere Maometto a desistere dalla sua predicazione offrendogli di entrare nel loro ambiente, insieme a un matrimonio per lui vantaggioso, ma egli rifiutò entrambe le proposte. Cominciò così un lungo periodo di persecuzioni nei confronti di Maometto e dei suoi seguaci. Sumayya bint Khayyat, schiava del potente leader meccano Abu Jahl, è considerata la prima martire: venne uccisa dal suo padrone con un colpo di lancia nelle parti intime quando si rifiutò di abiurare l'Islam. Bilal, un altro schiavo musulmano che rifiutò strenuamente di abiurare, veniva invece obbligato dal suo padrone a distendersi sulla sabbia bollente nell'ora più calda del giorno, dopodiché gli veniva posato un macigno sul petto. L'appartenenza di Maometto al clan dei B. Hashim lo salvaguardò dalla violenza fisica, ma non dall'emarginazione. Per mettere al riparo i suoi seguaci dalla crescente ostilità subita alla Mecca, Maometto inviò una parte di loro nel Regno di Axum, sotto la protezione dell'imperatore cristiano A??ama ibn Abjar. Nel 617 i leader dei clan Banu Makhzum e Banu 'Abd Shams, entrambi appartenenti alla tribù dei Quraysh, dichiararono un boicottaggio nei confronti del clan di Maometto, i Banu Hashim, per costringerli a interrompere la protezione da loro offerta al Profeta. I troppi vincoli parentali creatisi però fra i clan della stessa tribù fecero fallire il progetto di ridurre a più miti consigli Maometto. Nel 620 Maometto sperimentò un avvenimento che si rivelerà pregno di significati particolarmente per la disciplina esoterica islamica, il Sufismo. «Gloria a Colui che rapì di notte il Suo servo dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, dai benedetti precinti, per mostrargli dei Nostri Segni. In verità Egli è l'Ascoltante, il Veggente.» Maometto venne svegliato da un angelo e accompagnato, durante la notte, dal Tempio Santo al Tempio Ultimo, identificati il primo con la Ka?ba e il secondo con la Spianata del Tempio di Gerusalemme, dove effettivamente i musulmani costruirono poi la Moschea al-Aqsa, cioè "l'Ultima". Da lì Maometto sorvolò la voragine infernale, assistendo alle punizioni inflitte ai dannati; e successivamente ascese ai Sette Cieli, incontrando a uno a uno Profeti che lo precedettero nell'annuncio di un identico messaggio salvifico per l'umanità, nell'ordine: Adamo, Giovanni Battista, Gesù, Giuseppe, Idris, Aronne, Mosè e Abramo. Ascese ancora, e venne ammesso al cospetto di Dio, avendone quindi per Suo onnipotente volere una visione beatifica del tutto straordinaria: l'Infinità, che è uno degli attributi di Dio, e l'immensa Potenza Divina renderebbero infatti impossibile a un vivente di accostarsi a Lui. Avrebbero questo privilegio solo i morti, dotati da Dio di particolari sensi del tutto superiori a quelli dei viventi. Mentre Ibn Is?aq presenta questo evento come un'esperienza spirituale, ?abari e Ibn Kathir lo descrivono come un viaggio fisico compiuto dal Profeta. In ogni caso, i forti connotati spirituali dell'evento resero indispensabile, per poterla descrivere, l'uso da parte di Maometto di una terminologia dai forti contenuti mistici e poetici; ed espressioni come "sidrat al-Muntahà ?indaha jannatu l-Ma?wà" ("il loto di al-Muntahà presso il quale è il Giardino di al-Ma?wà") costituiscono un esempio in questo senso. Nel 619, l'"anno del dolore", morirono tanto suo zio Abu ?alib, che gli aveva garantito affetto e protezione malgrado non si fosse convertito alla religione del nipote, quanto l'amata Khadija. Con la morte di suo zio Abu ?alib, la leadership dei Banu Hashim passò a Abu Lahab, strenuo avversario di Maometto, che ritirò la protezione a lui offerta dal clan: per naturale conseguenza, chiunque avesse tentato di uccidere Maometto non si sarebbe più esposto alla vendetta del suo clan. Maometto si recò allora a ?a?if, in cerca di protezione, ma la sua contemporanea predicazione dell'Islam non fece altro che metterlo in un pericolo ancora maggiore. Costretto a tornare alla Mecca, incontrò Mut?im ibn ?Adi, capo del clan Banu Nawfal, che gli permise di rientrare in città. Nello stesso periodo molte persone visitarono la Ka?ba come pellegrini o per concludere affari: Maometto approfittò di questa occasione per trovare un luogo sicuro per lui e per i suoi seguaci. Dopo molti tentativi infruttuosi, l'incontro con alcuni uomini di Yathrib (che sarebbe poi diventata Medina) si rivelò fortunato: per loro infatti erano familiari sia il concetto di monoteismo, sia la possibilità dell'apparizione di un profeta, essendo presente una forte componente ebraica nella città. Speravano inoltre, accogliendo Maometto, di poter guadagnare la supremazia politica sulla Mecca, di cui invidiavano i proventi derivanti dai pellegrinaggi. In breve raggiunsero Medina, diventato un porto sicuro, per musulmani provenienti da tutte le tribù della Mecca. Nel luglio del 620, per incontrare il Profeta, giunsero a Medina da Mecca settantacinque musulmani: essi si riunirono segretamente, di notte, e accettarono un comune impegno che prevedeva l'obbedienza a Maometto, l'ingiunzione del bene e la proibizione del male, e una comune risposta armata qualora questa si fosse resa necessaria. In seguito a questo patto Maometto incoraggiò i musulmani a raggiungere Medina: come accaduto per l'emigrazione in Abissinia, anche questa volta i Quraysh cercarono di bloccare l'esodo, fallendo. Negli anni precedenti l'Egira, l'autorità di Maometto, come capo dei musulmani, gli permise di guadagnare l'appoggio dei notabili di Yathrib, che vollero fungesse da arbitro imparziale, in quanto straniero, nelle dispute fra le componenti etniche e tribali della città. Questo permise a lui e ai suoi seguaci di essere accolti nella città-oasi, venendo a fruire della necessaria sicurezza e protezione. Nello stesso periodo diede anche istruzioni ai suoi seguaci perché emigrassero alla spicciolata, e senza dare nell'occhio dei concittadini, verso Yathrib, fin quando furono assai pochi i musulmani rimasti alla Mecca. Allarmati dall'esodo e timorosi di veder messi a rischio i propri interessi, a causa dell'inevitabile conflitto ideologico e spirituale che si sarebbe prodotto con gli altri Arabi politeisti (che coi Meccani proficuamente commerciavano e che annualmente partecipavano ai riti della ?umra del mese di rajab), i Quraysh organizzarono un complotto per uccidere Maometto. Attraverso ?Ali, che prese il suo posto nella casa, discretamente sorvegliata dai Quraysh, Maometto riuscì a ingannare la sorveglianza e fuggire dalla città insieme al suo migliore amico, il futuro califfo Abu Bakr. I due, attraverso un miracoloso evento narrato nel Corano, non vennero scoperti dagli inseguitori meccani nei dintorni della città; e grazie alla collaborazione di parenti e amici, attraversarono il deserto in sella ai dromedari, passando per sentieri meno noti e battuti. Raggiunsero incolumi Medina il 24 settembre 622. Inizialmente Maometto si ritenne un profeta inserito nel solco profetico antico-testamentario, ma la comunità ebraica di Medina non lo accettò come tale in quanto non appartenente alla stirpe di Davide. Nonostante ciò, Maometto predicò a Medina per otto anni e qui, fin dal suo primo anno di permanenza, formulò la Costituzione di Medina (Rescritto o Statuto o Carta, in arabo ?a?ifa) che fu accettata da tutte le componenti della città-oasi e che vide il sorgere della Umma, la prima Comunità politica di credenti. I primi abitanti di Yathrib, che si convertirono all'Islam e che offrirono ospitalità e aiuto agli Emigrati meccani, vennero chiamati An?ar ("ausiliari"); successivamente Maometto istituì un patto di "fraternità" fra Emigrati (Muhajirun) e An?ar, e il Profeta stesso prese come fratello ?Ali, figlio dell'amato zio Abu ?alib e di fatto (anche se non legalmente) affiliato da Maometto fin dalla tenera età, come Abu ?alib aveva a sua volta adottato lui quando era rimasto orfano. La Umma e l'inizio dei conflitti armati. A seguito dell'esodo musulmano, i Meccani requisirono tutte le loro proprietà nella città Impoveriti e senza entrate, i musulmani avviarono necessariamente aperte ostilità armate contro Mecca, razziando le sue carovane. A giustificare tali ostilità era innanzi tutto il desiderio di vendicare quanto essi stessi avevano subito per anni dagli Arabi politeisti nella loro città natale ma anche, e non secondariamente, di acquisire benessere, potere e prestigio in attesa di realizzare l'obiettivo finale di conquistare La Mecca Il primo grande fatto d'arme nella storia dell'islam è costituito dalla Battaglia di Badr, in cui i musulmani risultarono vittoriosi nonostante l'inferiorità numerica. Seguì la disfatta sotto il monte U?ud, segnata dal tradimento degli ebrei medinesi e dalla avventatezza di una parte dei soldati musulmani, alla quale Maometto sopravvisse solo perché, colpito da una pietra in pieno viso, cadde privo di sensi e venne creduto già morto dagli avversari. Infine, la vittoria dei musulmani nella Battaglia del Fossato segnò uno spartiacque tale da causare la disgregazione della potenza meccana. In tutte queste circostanze Maometto colpì in diversa misura anche gli ebrei di Medina, che si erano resi colpevoli agli occhi della Umma della violazione del Rescritto di Medina e di tradimento nei confronti della componente islamica. In occasione dei due primi fatti d'armi, furono esiliate le tribù ebraiche dei Banu Qaynuqa? e dei Banu Na?ir accusati i primi di offesa alla pudicizia di una ragazza musulmana e i secondi di complotto, unitamente ai Meccani pagani, ai danni dei musulmani. Durante la cosiddetta "battaglia del Fossato" (Yawm al-Khandaq), che fu di fatto un fallito assedio dei Meccani e dei loro alleati, la tribù ebraica dei Banu Qurayza, situata a sud di Medina, avviò i negoziati con i Quraysh per consegnare loro Maometto, violando apertamente la Costituzione di Medina. Dopo aver respinto gli assedianti pagani, i musulmani accusarono i Banu Qurayza di tradimento e li assediarono per venticinque giorni nelle loro fortezze, costringendoli alla resa. Furono decapitati tra i 700 e i 900 uomini ebrei della tribù e le loro donne e i loro bambini furono venduti come schiavi sui mercati d'uomini di Siria e del Najd, dove vennero quasi tutti riscattati dai loro correligionari di Khaybar, Fadak e di altre oasi arabe higiazene. La sentenza non fu formalmente decisa da Maometto che aveva affidato il responso sulla punizione da adottare a Sa?d b. Mu?adh, sayyid dei Banu ?Abd al-Ashhal, clan della tribù medinese dei Banu Aws, un tempo principale alleata dei B. Quray?a. Questi, ferito gravemente da una freccia (tanto da morirne pochissimi giorni più tardi) e ovviamente pieno di rabbia e rancore, decise per una soluzione estrema, non frequente ma neppure del tutto inconsueta per l'epoca. Maometto approvò la decisione di massacrare tutti i maschi della tribù e di ridurre in schiavitù le donne e i bambini, e partecipò attivamente allo sgozzamento dei prigionieri. Che non si trattasse comunque di una decisione da leggere in chiave esclusivamente anti-ebraica potrebbe dimostrarcelo il fatto che gli altri B. Quray?a che vivevano intorno a Medina, e nel resto del ?ijaz (circa 25.000 persone), non furono infastiditi dai musulmani, né allora, né in seguito. In proposito si è anche espresso uno dei più apprezzati storici del primo Islam, Fred McGrew Donner, che afferma: «dobbiamo... concludere che gli scontri con altri ebrei o gruppi di ebrei furono il risultato di particolari atteggiamenti o comportamenti politici di costoro, come, per esempio, il rifiuto di accettare la leadership o il rango di profeta di Muhammad. Questi episodi non possono pertanto essere considerati prove di un'ostilità generalizzata nei confronti degli ebrei da parte del movimento dei Credenti, così come non si può concludere che Muhammad nutrisse un'ostilità generalizzata nei confronti dei Quraysh perché fece mettere a morte e punì alcuni suoi persecutori appartenenti a questa tribù. (Fred M. Donner, Maometto e le origini dell'islam, ediz. e trad. di R. Tottoli, Torino, Einaudi, 2011, pp. 76-77).» Alcuni studiosi musulmani rifiutano di riconoscere l'incidente, ritenendo che Ibn Is?aq, il primo biografo di Maometto, avesse raccolto molti dettagli dello scontro dai discendenti degli stessi ebrei Quray?a cento anni dopo i fatti. Questi discendenti avrebbero arricchito o inventato dettagli sullo scontro prendendo ispirazione dalla storia delle persecuzioni ebraiche in epoca romana. Gli storici che mettono in dubbio l'esecuzione della tribù Banu Quray?a sottolineano come il cronista Ibn Is?aq fosse stato giudicato inaffidabile dal suo contemporaneo Malik ibn Anas, uno dei più importanti giuristi del sunnismo, fondatore del madhhab malikita, mentre il giurista sciafeita Ibn Hajar al-'Asqalani descrisse Ibn Is?aq come un narratore di "racconti strani". Dopo aver portato in prossimità della sua città natale, un forte contingente armato, affermando di voler compiere un pellegrinaggio alla Ka?ba, Maometto si accordò con i Meccani per rimandare all'anno successivo quel pellegrinaggio, sottoscrivendo nel marzo del 628 l'Accordo di al-Hudaybiyya, suscitando un forte sconcerto tra i suoi seguaci e, particolarmente, in ?Umar b. al-Kha??ab. L'intento fu realizzato come concordato il 2 marzo 629, con quello che viene ricordato come "Pellegrinaggio d'adempimento" (?umrat al-qa?a?). Nel 630 Maometto era ormai abbastanza forte per marciare sulla Mecca e conquistarla. Tornò peraltro a vivere a Medina e da qui ampliò la sua azione politica e religiosa a tutto il resto del Hijaz e, dopo la sua vittoria nel 630 a ?unayn contro l'alleanza che s'imperniava sulla tribù dei Banu Hawazin, con una serie di operazioni militari nel cosiddetto Wadi al-qura, a 150 chilometri a settentrione di Medina, conquistò o semplicemente assoggettò vari centri abitati (spesso oasi), come Khaybar, Tabuk e Fadak, il cui controllo aveva indubbie valenze economiche e strategiche. Due anni dopo Maometto morì a Medina, dopo aver compiuto il Pellegrinaggio detto anche il "Pellegrinaggio dell'Addio", senza indicare esplicitamente chi dovesse succedergli alla guida politica della Umma. Lasciava nove vedove - tra cui ?A?isha bt. Abi Bakr - e una sola figlia vivente, Fa?ima, andata sposa al cugino del profeta, ?Ali b. Fatima, piegata dal dolore della perdita del padre e logorata da una vita di sofferenze e fatiche, morì sei mesi più tardi, diventando in breve una delle figure più rappresentative e venerate della religione islamica. PIER DA MEDICINA Pier da Medicina è un personaggio della Divina Commedia del quale non si conoscono esatti documenti storici che ne attestino la vita. Qualcuno lo identifica con Pietro di Aino, del quale si hanno notizie fino al 1277. Dante lo incontra nell'Inferno tra i seminatori di discordia e lo descrive orrendamente mutilato da tagli sul volto (del naso, di un orecchio) e con un buco nella gola che quando parlava faceva uscire schizzi rossi di sangue. Dopo aver malinconicamente pregato Dante di ricordarsi di lui se passa nella pianura emiliana, dove appunto si trova Medicina, egli fa una raccomandazione a due personaggi di Fano (Guido del Cassero ed Angiolello da Carignano), predicendo la loro morte violenta per mano del tiranno Malatestino I Malatesta, poi afferra per la bocca il dannato accanto a sé e mostra con dispregio a Dante come egli abbia tagliata la lingua (Curione). Gli antichi commentatori dicono, sulla scorta del passo dantesco, che seminò discordia a Bologna, o tra Bologna e Firenze, e fu forse tra i signori di Medicina, che venivano chiamati "cattani". Il commentatore antico Benvenuto da Imola, forse più affidabile perché di quelle zone, dice che Piero si era arricchito con l'arte di seminare discordie, e Dante lo avrebbe conosciuto quando sarebbe stato ospite della corte dei Cattani di Medicina. CURIONE Gaio Scribonio Curione (90 a.C. – 49 a.C.) è stato un politico romano, figlio dell'omonimo console del 76 a.C.. Amico e sostenitore di Gneo Pompeo Magno, Gaio Giulio Cesare, Marco Antonio e Cicerone, era famoso per la sua arte oratoria. Con Cicerone ebbe una ricca corrispondenza, che in parte ci è pervenuta. Fece costruire il primo anfiteatro di Roma e vi celebrò giochi in onore del padre, tribuno della plebe. Nel 52 a.C. sposò Fulvia, nipote di Gaio Gracco e già moglie di Publio Clodio Pulcro; ne adottò la figlia Clodia Pulchra, ma non ebbe figli naturali. Dopo la morte di Curione, Fulvia andrà in sposa a Marco Antonio. Secondo Lucano, dopo essere stato a sua volta tribuno della plebe, dal momento che la fazione politica di Pompeo era corrotta, divenne sostenitore di Cesare, che per ringraziarlo si fece carico dei suoi debiti in denaro. Secondo Tacito, Cesare era molto attratto dalla sua oratoria. Ai tempi della Guerra civile romana egli fu uno degli ultimi politici a prendere parte verso Cesare. Per essere stato troppo favorevole al partito cesariano, venne esiliato da Roma. Nel 49 a.C. raggiunse Cesare a Ravenna e portò successivamente lettere di lui al Senato. Tornato da Cesare con l'ordine del Senato di congedare le milizie sotto pena di essere dichiarato nemico della patria, gli consigliò, date le sue esitazioni, di cogliere l'occasione favorevole e a marciare contro Roma, passando il Rubicone. Dante Alighieri lo pose tra i seminatori di discordia perché conosceva l'episodio attraverso Lucano. Con il titolo di propretore fu inviato nel 49 a.C. da Cesare in Africa, per combattere Giuba I di Numidia, sostenitore di Pompeo. Sebbene avesse vinto la battaglia di Utica, in quella del fiume Bagradas fu definitivamente sconfitto e, una volta catturato, si suicidò durante la prigionia. MOSCA DEI LAMBERTI Appartenente all'importante famiglia ghibellina dei Lamberti, alleati degli Uberti di Farinata, era nato verso la fine del XII secolo ed aveva ottenuto diversi incarichi nel Comune fiorentino. Fu podestà di Viterbo nel 1220, di Todi nel 1227, condottiero durante la guerra contro Siena nel 1229-1235 e podestà di Reggio Emilia nel 1242. Dante Alighieri lo citò nell'Inferno nell'episodio di Ciacco tra gli spiriti degni e ch'a ben far puoser l'ingegni, anche se con una certa sorpresa scoprirà di trovarli tutti all'Inferno nei gironi più bassi, quindi più gravi. A Mosca è dedicato un episodio (non rilevante come quello di Farinata degli Uberti o dei tre fiorentini di Tegghiaio Aldobrandi e gli altri) nella bolgia dei seminatori di discordie, dove il poeta lo trova orribilmente mutilato delle mani, come punizione del suo consiglio "Cosa fatta capo ha" che convinse gli Amidei a uccidere Buondelmonte de' Buondelmonti, accendendo a Firenze (come riporta anche Giovanni Villani), le fazioni che presto si divisero in guelfi e ghibellini. BERTRAN DE BORN Figlio maggiore del Signore di Hautefort, aveva due fratelli, Costantino e Itier. Suo padre morì nel 1178 e Bertrand gli succedette come Signore. All'epoca era già sposato alla sua prima moglie Raimonda e aveva già due figli. Il suo feudo, incuneato tra il Limosino e il Périgord, si trovò coinvolto per la sua posizione nel conflitto tra i figli di Enrico II Plantageneto. Inoltre Bertrand, secondo le leggi vigenti all'epoca, non era l'unico signore del suo regno, ma la sua carica doveva essere amministrata con il contributo dei suoi fratelli: una strategia valida per molti feudi, nata per le ingerenze del Conte di Tolosa che voleva così tenere sotto controllo l'influenza dei feudatari locali, incoraggiando i conflitti interni nelle famiglie. Le contese di Bertran, specialmente riguardo al fratello Costantino, furono al centro di una vasta produzione poetica, dominata da temi politici. Il suo primo lavoro databile è un sirventes (un tipo di canzone politica o satirica), del 1181, però da alcuni indizi pare che all'epoca la sua fama di poeta fosse già conosciuta. Nel 1182 fu alla corte di Enrico II d'Inghilterra a Argentan e lo stesso anno appoggiò la ribellione di Enrico il Giovane contro suo fratello minore Riccardo I, conte di Poitou e duca di Aquitania. In quel periodo scrisse una poesia per Aimaro V di Limoges, che lo invitava a ribellarsi e giurò di partecipare alla guerra contro Riccardo a Limoges: suo fratello Costantino essendo nello schieramento opposto, venne scacciato dal castello di famiglia da Bertrand nel luglio di quell'anno. Alla morte di Enrico il Giovane (1183), elogiato e criticato nei suoi poemi, Bertrand scrisse in suo onore un planh, una poesia di lamento funebre, intitolato Mon chan fenisc ab dol et ab maltraire. Durante la campagna punitiva contro i ribelli Riccardo, aiutato da Alfonso II d'Aragona, assediò Hautefort e dopo aver preso il castello lo rese a Constantine de Born. Enrico II lo rese però poi a Bertrand, mentre sembra che Costantino si sia arruolato come mercenario. Bertrand si riconciliò poi con Riccardo, alleandosi con lui in occasione della guerra contro Filippo II di Francia, ma cercò sempre di rivendicare la sua indipendenza. Quando Riccardo (diventato nel frattempo re) e Filippo temporeggiarono nell'intervenire alla Terza crociata, scrisse canzoni che valorizzavano la strenua difesa di Tiro da parte di Corrado del Monferrato (Folheta, vos mi prejatz que eu chan e Ara sai eu de pretz quals l'a plus gran). Quando Riccardo venne liberato dalla prigionia dopo essere stato accusato della morte di Corrado, Bertrand cantò un bentornato nella canzone Ar ven la coindeta sazos. Riccardo venne poi ucciso al mercato di Châlus, all'epoca sotto la giurisdizione di Bertrand (1199). Divenuto vedovo per la seconda volta, nel 1196 si fece monaco cistercense nell'abbazia di Dalon, presso Sainte-Trie, alla quale egli fece generosi lasciti e donazioni nell'arco di vari anni. La sua ultima opera databile è del 1198; smise di apparire in pubblico dopo il 1202 ed era certamente morto prima del 1215, quando è stata trovata una notazione di pagamento per candele per la sua tomba. Le sue opere consistono in 47 testi, 36 dei quali attribuiti con relativa certezza dai manoscritti, e undici di attribuzione dubbia. Tra queste v'è una poesia intitolata Be.m platz lo gais temps de pascor (Molto mi piace il bel tempo di primavera), dove vengono esaltate le azioni di guerra paragonandole alle gioie della primavera. Sebbene nella sua vita abbia composto anche alcune cansos amorose, la sua produzione poetica più importante consiste forse nei sirventes. Dante Alighieri, che certamente conosceva e apprezzava la "poesia delle armi" di Bertran de Born (cfr. De vulgari eloquentia, II ii 8), lo pose come dannato nell'Inferno, tra i seminatori di discordia, per aver messo l'uno contro l'altro Enrico il Giovane e il padre Enrico II: per l'aver separato persone così vicine egli è costretto a vagare senza sosta tenendo in mano come una lanterna la propria testa staccata dal corpo. Durante la narrazione dell'episodio Dante fa pronunciare a Bertran la definizione del criterio in base al quale vengono puniti i dannati nell'Inferno, con le parole "così s'osserva in me lo contrappasso" (Inferno, XXVIII 141). Struttura dell'inferno Eugenio Caruso - 4 dicembre - 2019 |
www.impresaoggi.com |