Dopo aver commentato di PLATONE il Timeo, il Simposio, lo Ione, il Critone, l'Apologia di Socrate, il Fedone, l'Eutifrone, il Carmide, il Lachete, il Liside, l'Alcibiade Maggiore, l' Alcibiade minore, l'Ipparco, gli Amanti, il Teage, l'Eutidemo, il Protagora, il Gorgia, il Cratilo, il Menone, l'Ippia Maggiore, l'Ippia minore, il Menesseno, il Clitofonte, il primo libro della Repubblica, il Crizia, il Teeteto, mi dedico ora al Sofista.
Il grammatico Trasillo, nel I secolo d.C., seguendo un'affinità di argomento, ordinò le opere platoniche in gruppi di quattro:
1. Eutifrone, Apologia di Socrate, Critone, Fedone
2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico
3. Parmenide, Filebo, Simposio, Fedro
4. Alcibiade primo, Alcibiade secondo, Ipparco, Amanti
5. Teage, Carmide, Lachete, Liside
6. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone
7. I ppia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno
8. Clitofonte, La Repubblica, Timeo, Crizia
9. Minosse, Leggi, Epinomide, Lettere
Altre opere spurie sono:
Definizioni, Sulla giustizia, Sulla virtù, Demodoco, Sisifo, Erissia, Assioco, Alcione, Epigrammi.
COMMENTO AL SOFISTA
Il Sofista è un dialogo dedicato a temi ontologici e risalente al periodo dei dialoghi cosiddetti dialettici o della vecchiaia, cioè l'ultima fase della produzione del filosofo; è uno dei dialoghi più analizzato e celebre, al pari di Fedone, Repubblica o Parmenide.
E' dedicato alla ricerca di una definizione per il "sofista", figura che si rivelerà sfuggente e che agli occhi di molti appare simile al filosofo, o addirittura al politico, lo Straniero di Elea si ritroverà a dover affrontare il tema del non essere e compiere un parricidio ai danni di Parmenide: il sofista, infatti, con i suoi discorsi falsi e ingannevoli, fa apparire come esistente ciò che non è, contravvenendo in questo modo al monito di Parmenide: "Ciò che non è non devi forzare ad essere".
Vengono così affrontati i quesiti che erano rimasti irrisolti nel Teeteto e nel Parmenide, dialoghi aporetici a cui si fa esplicito riferimento in vari passaggi della discussione:[1] dimostrando dialetticamente l'esistenza del non essere, Platone supera le aporie di questi due dialoghi, riguardanti l'essere e l'errore, definendo il non essere come modalità dell'essere, come diversità ("essere altro da"). Tutto ciò che è, che partecipa dell'essere, risulterà anche non essere – e così anche le idee saranno identiche a se stesse, ma diverse le une dalle altre, poiché l'una non sarà l'altra; la realtà trascendente pertanto si articolerà in una molteplicità di enti, dei quali l'uno non sarà l'altro.[2] L'essere è dunque una molteplicità, mentre il non essere è infinito.
Il Sofista, insieme ai dialoghi Teeteto e Politico, costituisce una trilogia, l'unica riconoscibile nel corpus platonico. Al termine del Teeteto, Socrate rimanda la continuazione della discussione alla mattina successiva, dandosi appuntamento con Teodoro nello stesso posto; il rinvio è al Sofista, che infatti vede gli stessi personaggi, a cui si aggiunge lo Straniero di Elea, discutere sugli argomenti concordati; a questi due dialoghi si aggiunge infine il Politico, in cui si continua la stessa discussione, e che vede lo Straniero discutere con il giovane Socrate di argomenti politici. Ad essi funge idealmente da preambolo il Parmenide: sia nel Teeteto che nel Sofista viene ricordato l'incontro avvenuto parecchi anni prima tra Socrate e l'ormai anziano filosofo eleate.
Nel Sofista, Socrate come da accordo si incontra con Teodoro e i suoi allievi per continuare la discussione del giorno addietro. Teodoro ha però portato con sé un ospite, uno Straniero originario di Elea che dimostra di avere tutte le doti del filosofo. Socrate acconsente a rendere partecipe l'ospite della discussione, e gli pone una richiesta: cercare di trovare una definizione per le parole "sofista", "politico" e "filosofo". Lo Straniero decide di condurre l'indagine con il metodo diairetico (È un mezzo per giungere alla definizione di un concetto partendo da un concetto più vasto e procedendo per mezzo di una concatenazione di divisioni (diairesi discendente) ciascuna basata sull'esplicitazione di differenti proprietà: si passa in questo modo attraverso una successione discendente di sotto-classi che termina quando si ottiene la definizione cercata, connotata da una proprietà che si attaglia unicamente all'oggetto della ricerca.), aiutato dal giovane Teeteto lì presente, cercando inizialmente la definizione di un tipo umano più semplice da illustrare, il "pescatore con la lenza", per poi spostarsi su quella più complessa del "sofista".
Vengono passate in rassegna sei definizioni del sofista, nessuna delle quali risulta esaustiva: 1) cacciatore di giovani ricchi per denaro; 2) commerciante all'ingrosso di tecniche di comunicazione; 3) commerciante al minuto delle medesime; 4) venditore di prodotti fatti in casa (ancora nel senso delle tecniche di comunicazione); 5) atleta nella lotta che si pratica con i discorsi (erista); 6) purificatore delle opinioni che impediscono all'anima di arrivare alla verità (quest'ultima viene anche chiamata "nobile sofistica" per distinguerla dalle precedenti). Il riepilogo delle sei definizioni non pare tuttavia soddisfacente.
Lo Straniero passa pertanto ad elaborare una settima definizione che colga più da vicino l'aspetto illusionistico del logos sofistico, concentrandosi sul tema della tecnica mimetica che produce immagini difformi dalle cose rappresentate. Sarà proprio in questo contesto che lo Straniero e Teeteto si imbatteranno nel problema del non essere: come può un'immagine essere la raffigurazione di ciò che non è? Da questa domanda ha inizio la sezione centrale del dialogo, dedicata alla discussione delle tematiche inerenti all'essere e il non essere, con particolare attenzione alla dottrina di Parmenide. Quest'ultima viene confutata attraverso l'analisi dei generi sommi. Infine, lo Straniero dà un'ultima definizione di "sofista".
La prima importante questione che viene posta all'inizio del Sofista è di carattere metodologico, e concerne il metodo d'indagine da utilizzare per ricercare una definizione per il sofista. Nella fattispecie, com'è noto, lo Straniero discutendo con Teeteto ricorre alla dialettica e al metodo diairetico. Il procedimento è così sintetizzabile: preso un «tutto uno», lo si divide nelle due parti/aspetti complementari che in esso sono riconoscibili, e di queste due parti si sceglierà quella che interessa per la ricerca in corso, dividendola a sua volta in due. Così facendo, ripetendo la divisione per ogni aspetto di nostro interesse fino a giungere all'oggetto d'indagine, l'intero di partenza sarà alla fine diviso nelle sue varie forme. Da qui, risalendo a ritroso seguendo le varie ramificazioni ottenute, è possibile ritrovare la definizione dell'oggetto studiato, unificando i vari aspetti di nostro interesse. Vi sono dunque due momenti: il primo consiste in una divisione (diairesis), mentre il secondo in un'unificazione (coinonia).[3]
Bisogna però essere prudenti nello svolgimento di questo metodo, poiché è facile sbagliarsi e commettere errori. A questo riguardo, nel Politico lo Straniero mette in guardia il giovane Socrate dall'applicarlo troppo alla leggera, raccomandandogli invece di procedere a passi brevi, analizzando nel dettaglio i vari passaggi:
«Facciamo attenzione a non separare una parte troppo piccola rispetto alla grandezza del tutto, e a non separarla dalla specie cui appartiene: ma la parte che viene separata abbia sempre insieme la specie. È bellissimo separare direttamente dal resto l'oggetto della ricerca, nel caso in cui questo si svolga in modo corretto, come tu poco fa hai fatto, quando, ritenendo di avere tra le mani la distinzione, hai affrettato il discorso, vedendo che si orientava verso gli uomini; ma, amico, è molto più sicuro procedere tagliando attraverso le parti mediane, e sarà più facile imbattersi nei tratti distintivi delle cose.» (Politico)
In questo modo è possibile studiare meglio l'oggetto di indagine e le differenze tra le varie arti, poiché il metodo diairetico permette di «comprendere l'affinità e la non affinità, e sotto questo aspetto le considera tutte alla pari, e per la somiglianza non stima le une più ridicole delle altre, e in nulla stima più nobile colui che spiega la caccia tramite la strategia, piuttosto che con l'arte di ammazzare i pidocchi, ma al limite più presuntuoso.» (Sofista)
Ora, applicare questo metodo a una figura complessa come quella del sofista è un'impresa ardua. Per facilitare il compito a Teeteto, lo Straniero decide di iniziare con un oggetto ben più semplice: il pescatore con la lenza. Punto di partenza è la constatazione che la pesca con la lenza è un'arte, e che le arti possono essere poietiche, cioè creano qualcosa, oppure preposte ad acquistare qualcosa; nell'arte dell'acquistare, a sua volta sono distinguibili l'arte dello scambiare e quella di impadronirsi di qualcosa contro la volontà di qualcuno; quest'ultima arte dell'"impadronirsi", poi, può essere esercitata apertamente, e in questo caso si parla di "lotta", oppure celatamente, e abbiamo la "caccia"; la caccia, a questo punto, può essere o di prede inanimate oppure vive, e nel caso di caccia a esseri viventi bisogna distinguere tra chi caccia animali terrestri e chi invece animali "remiganti", i quali, a loro volta possono essere alati o acquatici. Si è così giunti a distinguere la "caccia agli uccelli" dalla "pesca", ma la ricerca non finisce qui. Anzitutto, la pesca può essere fatta o per mezzo di "impedimenti" (reti, nasse) o per mezzo di "colpi" (ami, tridenti), e in questo secondo caso si deve distinguere la "pesca con il tridente" (che colpisce dall'alto verso il basso) dalla "pesca con la lenza" (il filo viene tirato dal basso verso l'alto). A questo punto, lo Straniero non deve fare altro che riunire i vari aspetti sorti dalla diairesi e dare una definizione per la "pesca con la lenza".
Dopo aver mostrato come si deve impiegare il metodo diairetico con l'esempio del pescatore con la lenza, lo Straniero di Elea può ora occuparsi, insieme a Teeteto, dell'argomento della discussione, cioè il sofista. Dall'analisi emergono sei definizioni:
1.cacciatore di giovani ricchi e famosi
2.commerciante all'ingrosso di nozioni inerenti all'anima
3.venditore al minuto di nozioni inerenti all'anima
4.venditore di prodotti fatti in casa
5.disputatore di discorsi
6.purificatore dell'anima dai falsi concetti (la nobile sofistica).
A ciò si aggiunga che il sofista, per quanto concerne l'oggetto della sua tecnica, appare come un:
Uomo capace di discutere di qualsiasi argomento.
Anzitutto, il sofista mostra di essere simile al pescatore con la lenza, poiché entrambi sono accomunati dall'attività di caccia; ma mentre il pescatore caccia animali acquatici, il sofista ricerca giovani ricchi e facoltosi, attirandoli con la promessa di renderli, dietro compenso, uomini sapienti e virtuosi (definizione 1).[4] Facendosi pagare per i propri insegnamenti, il sofista può anche essere visto come un commerciante che in cambio di denaro fornisce nozioni inerenti all'anima (definizione 2) - aspetto che viene ulteriormente specificato con la definizione 3. Inoltre, quando si parla di sofistica non si può dimenticare l'eristica, l'arte del "battagliare" con i discorsi in modo da mettere a tacere l'avversario: il sofista, nel senso dato dalla definizione 4, è dunque paragonabile a un lottatore che combatte con le armi dei logoi. Egli è interessato al successo nella vita politica, non alla ricerca della verità. Infine, lo Straniero rintraccia nel sofista anche un lato positivo, quello che consiste nell'estirpare i concetti errati dall'anima mediante la sua attività paideutica. La definizione 5 mette in imbarazzo i due interlocutori, poiché il sofista sembra essere accomunabile al filosofo, il quale, simile a un medico, mette in atto una purificazione dello spirito. Qui si mostra in tutta la sua chiarezza l'ambiguità che è propria del sofista, il quale esercita la propria arte mimetizzandosi e fingendo di essere altro da sé. Come emerge dall'abbozzo della definizione 7, il sofista vanta di essere in grado di insegnare qualsiasi cosa, di saper parlare di qualsiasi argomento e contraddire con i suoi discorsi qualsiasi avversario;[5] ma un uomo può essere davvero onnisciente? Come emerge anche dagli altri dialoghi platonici dedicati alla critica della sofistica, per parlare di qualcosa è necessario conoscere l'argomento di cui si parla; il sofista, invece, non possedendo conoscenze specifiche, non potrà mai contraddire un esperto. L'arte del sofista, in ultima analisi, consiste nell'ingannare i giovani con discorsi affascinanti, mostrando loro non la verità, ma una sterile imitazione parodistica della realtà, fatta di vuote parole.[6]
Il sofista si rivela dunque una figura perniciosa, dai tratti sfuggenti, che bisogna a tutti i costi delineare in modo netto, così da evitare confusione. Non è infatti casuale che, alla richiesta di Socrate, lo Straniero decida di partire proprio dal sofista: una volta compreso quale sia il sapere proprio del sofista, sarà più facile individuare il sapere del filosofo e del politico. Per questo motivo la prima parte del Sofista (e così sarà anche nel Politico) viene dedicata a questioni metodologiche, cercando di definire una techne generale che si avvicini il più possibile alla techne da studiare, così da poter fare luce su quest'ultima.[7] Esercitando la diairesi, tuttavia, si divide ogni techne in due specie tra di loro contrarie, di ognuna delle quali si deve dire che non è l'altra: per definire il sofista, in ultima analisi si deve dire che cosa egli non è - ma affermare questo significa superare l'ontologia parmenidea, questione di non poco conto che impiega la gran parte delle energie dei due interlocutori. Solo alla fine di questa lunga discussione su essere e non essere, lo Straniero può ritornare sul sofista e, attraverso una nuova diairesi, giungere a definire la sofistica come
«l'imitazione dell'arte di contraddizione, parte simulatrice dell'opinione, del genere che crea apparenze che deriva dalla capacità di creare immagini, che è parte umana e non divina dell'arte del creare, la parte cioè che crea meraviglie nei discorsi.» (Sofista)
Per poter dare una definizione di sofista, bisogna comprendere come sia possibile l'esistenza di una tecnica che fa apparire ciò che non è. Lo Straniero afferma testualmente:
«Questo apparire, questo sembrare e non essere; il fatto che si possa affermare qualcosa, e che questo qualcosa non sia vero, è un problema di straordinaria difficoltà (...)»
(Sofista)
Affermare di poter dire il non essere significa violare un caposaldo dell'ontologia di Parmenide, quello secondo cui il non essere non si può né dire né pensare. Urge allora approfondire la questione, e compiere quello che lo Straniero definisce un «parricidio» ai danni del grande filosofo suo connazionale.
Non è qui il caso di dilungarsi sul complesso rapporto sussistente tra Platone e Parmenide; quello che importa è comprendere che l'esercizio della dialettica è impossibile se si nega l'esistenza del non essere. Liquidare la tesi di Parmenide sul non essere è di estrema importanza per sbarrare la strada agli inganni del sofista, per poterlo definire con rigore ed evitare che si confonda con il filosofo, con colui cioè che purifica l'anima dagli errori. A questo scopo, bisogna portare avanti la ricerca
«non su tutte le forme, per non confonderci tra molte, ma scegliendone alcune di quelle che vengono chiamate più grandi, considerando per prima cosa quali siano una per volta, poi, come si comportano quanto a capacità di congiungersi tra di loro, cosicché, se non potremo afferrare l'essere e il non essere in tutta chiarezza, almeno su di essi non ci troveremo privi di argomentazione, per quanto lo consente il criterio della nostra attuale ricerca.» (Sofista)
Così facendo, lo Straniero risale ai 5 generi sommi, i 5 predicati fondamentali da cui discendono tutte le cose:
1.essere
2.identico
3.diverso
4.stasi
5.movimento
Il primo principio è l'essere; il problema sorge però quando si passano a osservare il secondo e il terzo genere, identico e diverso, e il quarto e il quinto, stasi e movimento: identico e diverso non sono la stessa cosa, come un oggetto in movimento non può essere fermo, e viceversa. Ciò impone di accettare l'esistenza del non essere come modalità dell'essere, in quanto "essere altro da": «per tutti la natura del diverso, rendendo ciascuno differente dall'ente, lo fa non essere». Tutti i generi dunque sono collegati all'essere (che è molteplice) e per questo motivo sono e non sono enti. E se nella contrapposizione tra Stasi e Movimento è possibile riconoscere, rispettivamente, i concetti fondamentali su cui si basano le opposte filosofie di Parmenide ed Eraclito, Identico e Diverso rinviano ai concetti fondamentali della logica che saranno oggetto delle posteriori analisi aristoteliche.
«Noi, infatti, da tempo diciamo di lasciar perdere il contrario dell'essere, che ci sia o no, se è passibile di esame razionale o se è del tutto irrazionale. Quello che noi abbiamo detto ora, cioè che il non ente è, o qualcuno ci convince che non è detto bene, dandone la dimostrazione, o, finché non ne è capace, deve dire anche lui quel che diciamo noi, che i generi si mescolano gli uni con gli altri e che l'essere e il diverso attraversano ogni cosa e l'uno l'altro, ma che il diverso venendo ad avere parte dell'essere, non è, a causa di questa partecipazione, ciò di cui partecipa, ma è diverso, e poiché è diverso dall'ente è molto chiaro che necessariamente è il non ente. L'ente poi in quanto a sua volta ha parte del diverso dagli altri generi, ed essendo diverso da tutti quelli, non è nessuno di essi è tutti gli altri insieme eccetto se stesso, tanto che a sua volta l'ente indiscutibilmente per mille cose e in mille situazioni non è, e così anche gli altri generi, sia uno per uno che tutti insieme, in molti modi sono, in molti altri no.»
(Sofista)
Essere e non essere spiegano l'esistenza di vero e falso non come interni alle cose, ma esistenti nel mero giudizio. Il pensiero è discorso, inteso come dialogo muto che l'anima intrattiene con sé stessa, ed è sempre pensiero di qualcosa, e mai di nulla. L'essere stesso viene così ricondotto al discorso, al pensiero, poiché il falso consiste nel dire di una cosa che è di una specie invece che di un'altra, nel dire cioè di una cosa un essere che non le appartiene, e quindi dire che è ciò che non è.[9]
Note
1. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, p. 167.
2.F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 174-5.
3. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 168-9, 180.
4.Una definizione simile viene data da Socrate in Eutidemo 290b.
5. Illuminanti al riguardo sono le parole di Gorgia in Gorgia 457a.
6. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 169-170.
7. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, p. 168.
8. Per approfondire la questione, si può consultare John Palmer, Plato's Reception of Parmenides, Clarendon Press, Oxford, 2003.
9. F. Adorno, Introduzione a Platone, Bari 1997, pp. 176-177.
TESTO DEL SOFISTA
Traduzione di Patrizio Sanasi
TEODORO: Secondo l'accordo di ieri,(1) o Socrate, veniamo direttamente belli e presenti e portiamo con noi questo forestiero, di stirpe di Elea, compagno di quelli del seguito di Parmenide e di Zenone, uomo versato particolarmente in filosofia.
SOCRATE: Forse, senza che tu te ne sia accorto, non un ospite tu porti, ma un dio, secondo il detto di Omero, il quale dice che con gli altri dèi quanti assieme agli uomini hanno parte del giusto rispetto, c'è soprattutto il dio degli ospiti che ci accompagna per osservare la prepotenza e insieme la rettitudine degli uomini. Probabilmente uno di questi esseri superiori potrebbe anche essere al tuo seguito per osservare e muovere delle critiche a noi che siamo così da poco nei ragionamenti, essendo egli un dio adatto alla verifica.
TEODORO: No: non è questo, Socrate, il costume del forestiero: egli è assai più moderato di quelli che si affannano per le contese. E a me non sembra assolutamente che egli sia un dio, ma divino, sì , perché io denomino così tutti i filosofi.
SOCRATE: E giustamente, amico! Ma distinguere questa razza non mi sembra che sia cosa più facile da riconoscere quella divina. Uomini di tale sorta, infatti, prendendo sembianze svariate, per l'ignoranza degli altri, «si aggirano per le città»,(2) essi che non sono filosofi in maniera fittizia, ma reale, osservando dall'alto le bassezze di questa vita, ad alcuni sembrano essere meritevoli di nulla, ad altri invece degni di ogni onore. E talvolta assumono la veste di politici, tal'altra di sofisti, e accade pure talvolta che diano l'impressione di trovarsi immersi del tutto nella condizione dei pazzi. Dal nostro ospite ora mi sarebbe gradito di venire a conoscere, se a lui è caro, come valutano e chiamano questo quelli che stanno nella sua zona.
TEODORO: E questo chi è?
SOCRATE: Il sofista, il politico, il filosofo.
TEODORO: Ma cosa particolarmente hai pensato di chiedere e su quale problema nutri dubbi a loro proposito?
SOCRATE: Questo: se considerano tutto questo una sola cosa, o due, o tre, come sono i nomi, e se distinguendo tre generi, hanno attribuito a ciascuno un nome secondo il genere. TEODORO: Ma, io penso, non avrà nessuna difficoltà a illustrarcelo. Oppure, cosa ne diciamo, ospite?
OSPITE: Così , Teodoro! Nessuna difficoltà e neppure è cosa difficile dire che hanno considerato tre generi. Delimitare poi con chiarezza cosa sono, uno a uno, non è cosa da poco né facile.
TEODORO: Si dà anche il caso, Socrate, che tu abbia imbroccato dei discorsi piuttosto simili a quelli che noi ci trovavamo a chiedergli prima di venire qua e le stesse questioni che ora mette innanzi a te, prima le metteva innanzi a noi, giacché dice di averne udito a sufficienza e di non essersene scordato.
SOCRATE: Dunque, ospite, non giungere qui a rifiutare la prima grazia che noi ti chiediamo, ma intanto rispondi a questo: ti è più cara l'abitudine di esporre da te con un lungo discorso parlando di quello che vuoi dimostrare, oppure per mezzo di domanda, come un tempo io ero presso Parmenide (3) che ragionava e dissertava di bellissimi discorsi quando io ero giovane e lui, ormai, molto vecchio?
OSPITE: Con uno, Socrate, che dialoga senza fatica e con pazienza è più facile così ; il discorso con un altro. In caso contrario è meglio dialogare da solo!
SOCRATE: Ti è dato tra i presenti di scegliere quello che vorrai: tutti, infatti, ti ascolteranno volentieri. Ma se vuoi avermi consigliere sceglierai uno dei giovani, Teeteto, qui presente, oppure anche altri, se qualcuno ti viene in mente.
OSPITE: Socrate, mi trattiene un certo pudore, essendo giunto io qui da voi per la prima volta a non fare questo scambio di opinioni un po' per volta a botta e risposta, ma estendendolo, protrarre un lungo discorso o da solo o con un altro a guisa di dimostrazione. In realtà, quello che è stato detto ora non si dovrebbe pensare che sia così come quel che è stato chiesto comporta, ma si trova ad avere bisogno di un discorso assai lungo. Ma il non fare cosa gradita a te e ai presenti, tanto più che tu hai parlato in questo modo, a me pare contrario a ogni senso di ospitalità e alquanto rozzo. Accetto dunque volentieri che Teeteto sia il mio interlocutore, sia per quanto io ho detto in precedenza, che per quello che tu ora mi raccomandi.
TEETETO: Fa dunque così , ospite, come Socrate ha detto, e riuscirai gradito a tutti quanti.
OSPITE: è assai probabile che a questo non ci sia niente altro da aggiungere; dopo di questo mi pare che il discorso debba avvenire con te. E se male sopporterai di essere affaticato per la lunghezza, non dare colpa a me di queste cose, ma a questi tuoi compagni.
TEETETO: Ma non penso che mi stancherò così presto: ma se questo dovesse accadere, ricorreremo a Socrate, mio coetaneo, e mio compagno in palestra, per il quale non è fuor d'abitudine prendere parte con me a molte delle mie fatiche.
OSPITE: Dici bene: ma su questo deciderai per conto tuo mentre il discorso procede. Ora, insieme a me, devi esaminare, secondo il mio parere, cominciando anzitutto dal sofista, cercando e rendendo chiaro con un ragionamento che cosa è mai.(4) Giacché ora io e tu a suo proposito abbiamo in comune solo il nome; ma quanto al compito specifico per cui lo chiamiamo così , forse l'uno e l'altro di noi potremmo avere, di per noi stessi, un punto di vista particolare. Ora su ogni questione bisogna concordare sul fatto stesso, mediante ragionamenti, più che sul solo nome senza il ragionamento. E la razza che ora noi pensiamo di cercare non è la più facile, fra tutte, da comprendere che cosa è il sofista. Ma per tutte le grandi questioni sulle quali occorre ben faticare, sembra a tutti, e da tempo, che dapprima ci si debba occupare delle piccole e delle facili, prima di riscontrare in esse le più grandi. Ora dunque, o Teeteto, prendo questa decisione anche per noi, giacché riteniamo che sia difficile e di ardua riuscita scoprire il genere del sofista, di volgere prima il metodo dello stesso problema in una dimensione più facile, a meno che tu non abbia da suggerire un'altra via più agevole.
TEETETO: Ma io non ne ho.
OSPITE: Vuoi tu allora che cominciamo da un punto di poco conto per tentare di fare un modello per un tema più grande?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E cosa potremmo porre innanzi di ben riconoscibile e semplice, ma che abbia una sua logica non inferiore a quella di nessuna delle questioni più grandi? Come il pescatore: non è ben riconoscibile da tutti e senza nchiedere un grande impegno?
TEETETO: è così .
OSPITE: Confido che questo metodo e questa discussione non sia per noi sconveniente allo scopo che vogliamo proporci.
TEETETO: Sarebbe bello.
OSPITE: Orsù dunque: cominciamo da questo punto: vogliamo supporre che sia un artefice oppure uno senza arte, ma che possiede tuttavia un'altra capacità?
TEETETO: Che sia senz'arte non è minimamente possibile.
OSPITE: Ma di tutte le arti all'incirca gli aspetti sono due.
TEETETO: Come?
OSPITE: L'agricoltura e quanto riguarda la cura del corpo mortale; poi ciò che riguarda l'orditura e quel che è plasmato che noi chiamiamo bagaglio, e infine la mimetica; tutte cose queste che si potrebbero giustamente chiamare con un nome falso.
TEETETO: Come? E con quale nome?
OSPITE: Tutto quello che prima non era e che poi uno conduce all'essere, diciamo fare colui che conduce e essere fatto ciò che è condotto.
TEETETO: Giustamente.
OSPITE: Bene, tutte le arti che ora noi abbiamo elencato hanno una loro forza a questo scopo.
TEETETO: Ce l'hanno, sì .
OSPITE: Dunque, riassumendole tutte insieme le chiameremo capacità di creare.
TEETETO: Sta bene.
OSPITE: Dopo di questo c'è poi l'aspetto intero relativo all'apprendimento, e quello che riguarda la conoscenza, l'arricchimento, la lotta, la caccia, perché nessuno di questi fattori lavora direttamente, ma, con fatti e ragionamenti, cerca di impadronirsi di ciò che è ed è stato fatto, ma è di ostacolo anche a chi tenta di impadronirsene, ma attraverso tutte queste parti ben si intravvede un'arte che può essere definita "arte dell'acquistare".
TEETETO: Si: può anche convenire.
OSPITE: Fra tutte le arti che esistono, quali quella dell'acquistare e quella del creare: l'una è quella dello scambio tra persone consenzienti e altre pure consenzienti mediante doni, ricompense, compravendite; quel che resta invece è tutto l'impossessarsi con fatti e con parole, e può chiamarsi arte del sequestrare.
OSPITE: Ebbene? Quest'arte del sequestrare non può essere divisa in due parti?
TEETETO: Come?
OSPITE: Ponendo come "lotta" tutta quella parte di essa che avviene in maniera manifesta, e come "caccia" quella invece che si svolge di nascosto.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ma il non dividere quella della caccia in due parti ancora è una cosa illogica.
TEETETO: Di' pure come.
OSPITE: Dividendo l'uno del genere inanimato, l'altra invece del genere animato.
TEETETO: E perché no, se è vero che esistono tutti e due.
OSPITE: E come potrebbero non esserci? Ma occorre che noi lasciamo perdere il genere di quelle non animate, che è anonimo, fatta eccezione per alcune, quali quella del palombaro,(5) e alcuni altri piccoli rami un presso a poco simili, e l'altra invece che è la caccia di essere dotati di vita, chiamarla caccia di esseri viventi.
TEETETO: Sia pure così .
OSPITE: Ma anche di questa caccia di esseri viventi si potrebbe enunciare a ragione un duplice aspetto, l'uno del genere di chi va a piedi, distinta anche questa in varie specie e con vari nomi, e quindi caccia d'animali terrestri, l'altra invece della schiatta atta al moto e può definirsi in complesso caccia acquatica.
TEETETO: Ma bene.
OSPITE: Ma del genere nuotante noi vediamo una specie alata, e l'altra acquatica.
TEETETO: Come no?
OSPITE: E la caccia del genere alato noi la chiamiamo in generale caccia agli uccelli.
TEETETO: Infatti, si dice così .
OSPITE: E complessivamente quella acquatica la chiamiamo pesca.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ebbene? Questa specie di caccia non la divideremo a sua volta in due grandissime branche?
TEETETO: E secondo quali criteri?
OSPITE: A seconda che questa caccia faccia in modo che l'avvolgimento di quel che si pesca avvenga da sé o con un colpo.
TEETETO: Come dici e in qual modo distingui l'uno dall'altro?
OSPITE: L'uno, tutto quello che avvolgendo qualcosa lo trattiene per impedimento è giusto chiamarlo laccio.
TEETETO: Molto bene.
OSPITE: Nasse, reti, lacci, ceste e altri simili oggetti, quale altro nome possono avere se non avvolgimenti?
TEETETO: Nessuno.
OSPITE: E questo genere di caccia noi la chiameremo "avvolgente" o qualcosa di simile.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ma quello che avviene con gli uncini, con i tridenti, mediante un colpo ed è cosa diversa da questa, occorre che noi con una sola parola la chiamiamo la caccia "percussoria". Oppure c'è qualcuno che può chiamarla in maniera migliore?
TEETETO: Non curiamoci del nome. Questo basta.
OSPITE: Ma di questa caccia percussoria quella che avviene di notte con la luce della fiamma è stata chiamata, credo, proprio da quelli che la fanno "caccia alla luce delle torce".
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ma quella effettuata di giorno, dato che i tridenti sulla sommità hanno degli ami si chiamerà "pesca con l'amo".
TEETETO: Infatti si chiama così .
OSPITE: Ma della pesca percussoria, che si effettua dall'alto in basso, per il fatto che soprattutto in quel tal senso vengono usati i tridenti, viene chiamata "pesca con il tridente".
TEETETO: Alcuni la chiamano proprio così .
OSPITE: Tutto il resto è, per così dire, ancora un solo aspetto.
TEETETO: Quale?
OSPITE: La pesca invece che viene effettuata con un colpo in senso contrario a quella effettuata con l'amo, e che non coglie nel corpo i pesci là dove capita, come con i tridenti, ma che colpisce ogni volta la testa e la bocca del pesce accalappiato, dal basso in alto, e lo trascina in su con delle bacchette e delle canne, non diremo, Teeteto, che occorre attribuirle un qualche nome?
TEETETO: Ritengo che quello che poco fa ci eravamo posti innanzi, ora l'abbiamo portato a compimento.
OSPITE: Ora sulla pesca effettuata con l'amo tu e io abbiamo concordato non soltanto il nome, ma ne abbiamo colto sufficientemente anche la ragione e il compito in sé. Di tutta l'arte in generale per metà una parte era arte di acquistare, e la metà di questa è arte di impossessarsi, di questa poi metà è arte della caccia, e parte della caccia è dare la caccia a schiatte viventi, e la metà di questa è la caccia delle specie acquatiche, e quella della caccia delle specie acquatiche la parte più in basso è tutta la pesca: una metà di questa è percussoria, poi metà della percussoria è la pesca ad amo; di questa poi quella che si esegue mediante un colpo tirato dal basso in alto, dalla stessa azione traendo un nome simile, viene detta pesca a sbalzi, che è poi la pesca alla lenza che ora veniva ricercata.
TEETETO: Tutto questo è stato assolutamente chiarito a sufficienza.
OSPITE: Orsù, dunque, secondo questo esempio, mettiamoci a cercare ora che cosa è il sofista.
TEETETO: Proprio così
OSPITE: E il primo punto della ricerca era questo: se si dovesse supporre che il pescatore fosse uno non tanto pratico o possedesse in vece una qualche arte.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E ora, Teeteto, supporremo che questi, il sofista, sia un inesperto o veramente del tutto addentro nella propria arte?
TEETETO: Niente affatto inesperto: comprendo bene quello che dici. Chi ha un nome simile non deve essere affatto tale.
OSPITE: Dovremmo supporre allora che egli possiede una qualche arte come pare.
TEETETO: E quest'arte poi, qual è?
OSPITE: Ma, per gli dèi, non abbiamo riconosciuto che quest'uomo è stretto congiunto dell'uomo?
TEETETO: Chi, e di quale?
OSPITE: Il pescatore con il sofista.
TEETETO: In che modo?
OSPITE: A me sembra che tutti e due siano cacciatori.
TEETETO: Di quale caccia l'uno dei due? Dell'altro infatti abbiamo già detto.
OSPITE: Poco fa abbiamo diviso tutta la caccia in due parti: quella del genere nuotante e quella del genere che va a piedi.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E l'uno l'abbiamo percorso in dettaglio, per quanto riguarda la specie dei nuotanti; abbiamo lasciato invece
indivisa la caccia del genere che va a piedi, dicendo che è di svariati aspetti.
TEETETO: Certo.
OSPITE: Fino a qui, dunque, il sofista e il pescatore vanno di pari passo, traendo origine dalla stessa arte che è quella di acquistare.
TEETETO: Così almeno sembra.
OSPITE: Ma divergono nella caccia delle schiatte viventi, perché l'uno va a caccia nel mare, nei fiumi, nelle paludi, per gli esseri viventi che si trovano in questi luoghi.
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: L'altro invece va per la terra, per fiumi diversi, o per certi luoghi, alla stregua di prati, ricolmi di ricchezza e di gioventù, per catturare le razze che si trovano in questi luoghi.
TEETETO: Come dici?
OSPITE: Della caccia per terra esistono due grandissimi gruppi.
TEETETO: E quali l'uno e l'altro?
OSPITE: L'uno degli animali domestici, l'altro degli animali selvaggi.
TEETETO: Vi è dunque una caccia degli animali domestici?
OSPITE: Se pure l'uomo è un animale domestico. Mettila come ti pare, sia supponendo che non c'è alcun animale domestico, sia che ce n'è qualcun altro sì , ma che non c'è nessuna caccia all'uomo.
Quale fra queste ipotesi tu ritieni ti sia gradito enunciare, tracciane pure un profilo per noi.
TEETETO: Ma io penso, ospite, che l'uomo è un animale domestico, e sostengo che esiste la caccia all'uomo.
OSPITE: Diciamo pure che è duplice anche la caccia agli animali domestici.
TEETETO: Secondo che cosa possiamo dirlo?
OSPITE: Pirateria, assoggettamento di schiavi, tirannide e tutte le malefatte di guerra, tutte in una, le definiamo caccia violenta.
TEETETO: Bene.
OSPITE: Mentre all'eloquenza giudiziaria, a quella pubblica, a quella della conversazione, tutte in una sola, attribuiamo complessivamente il nome di arte della persuasione.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: Anche dell'arte della persuasione diciamo che i generi sono due.
TEETETO: Quali?
OSPITE: L'uno che si svolge in pubblico, l'altro in privato.
TEETETO: Sia pure che ciascuno di essi ha un proprio aspetto.
OSPITE: Ma anche della caccia privata ve n'è una che pretende una ricompensa, un'altra invece che porta donativi.
TEETETO: Non comprendo.
OSPITE: Tu, come è bene evidente, non hai ancora rivolto la mente alla caccia degli amanti.
TEETETO: A proposito di che?
OSPITE: Perché essi portano a quelli che costituiscono l'oggetto della caccia.
TEETETO: è verissimo quel che dici.
OSPITE: Questo dunque sia un aspetto dell'arte amatoria.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ma della caccia che pretende la ricompensa, la parte che sostiene la relazione con favori, che trae lusinga solo attraverso il piacere, e fa della ricompensa il solo nutrimento capace di appagarla, tutti potremmo chiamarla arte che dà piacevolezza.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma quella che proclama di organizzare i gruppi a scopo di virtù, riportando però come ricompensa del denaro,(6) questo genere particolare non esige di essere chiamato con un altro nome?
TEETETO: Come no?
OSPITE: E con quale? Prova a dirlo.
TEETETO: Ma è chiaro! A me pare che abbiamo scoperto che cosa è il sofista. E avendogli io attribuito questo nome penso di chiamarlo come si deve.
OSPITE: Secondo questo ragionamento, dunque, o Teeteto, come pare, nell'arte del procacciarsi, del sequestrare, dell'impossessarsi, in quella della caccia, della caccia agli animali, in quella agli animali di terra, in quella agli animali domestici, nella caccia agli uomini, in quella della persuasione, in quella privata, in quella che si fa per avere ricompensa, in quella del cambiavalute, in quella che vuol parere di educare, in quella di giovani ricchi e bene in vista, avviene una caccia che, come il ragionamento d'ora fa necessariamente risultare, occorre chiamare sofistica.
TEETETO: Perfetto.
OSPITE: Ma vediamola anche da questa angolatura: quello che viene cercato non fa certo parte di un'arte da poco, ma di un'arte ben variopinta. E difatti anche nelle considerazioni svolte in precedenza viene offerta una immagine, non di quello che ora noi diciamo, ma di un genere diverso.
TEETETO: In quale modo?
OSPITE: Dell'arte del procacciarsi duplice era l'aspetto, l'una parte era relativa alla caccia, l'altra invece alla permuta.
TEETETO: Infatti era così .
OSPITE: Di quella della permuta noi indichiamo ancora due aspetti, l'uno che si compie con doni, l'altro tramite il commercio.
TEETETO: Sia ben detto cosi.
OSPITE: E diremo a nostra volta che l'arte che si svolge mediante il commercio si divide in due parti.
TEETETO: Come?
OSPITE: Una che è vendita diretta dei propri prodotti, l'altra invece, che scambia il lavoro altrui e viene chiamata arte dello scambio.(7)
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ebbene? Di questa seconda la permuta che avviene in città, un presso a poco una mezza parte di essa, non viene chiamata quella del rivendugliolo?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E lo scambio che si compie da una città all'altra mediante la compravendita non viene chiamato commercio?(8)
TEETETO: E perché no?
OSPITE: E del commercio non sappiamo che l'una parte è di quelle cose di cui si nutre e si serve il corpo, l'altra di quelle invece di cui si alimenta e si sostiene l'anima, e avviene lo scambio effettuando vendite attraverso il denaro?
TEETETO: Come dici?
OSPITE: Forse ignoriamo quella che riguarda l'anima, dato che l'altra in qualche modo la comprendiamo.
TEETETO: Sì .
OSPITE: La musica poi, tutta quanta noi diciamo, venduta talvolta di città in città, condotta altrove e ancora venduta e l'arte pittorica e quella di fare mirabilia e molti altri prodotti dell'anima, portate in giro e messe in vendita, alcune a scopo di conforto, altre di sollecitudine, a chi le porta e le smercia può essere giustamente attribuito il nome di commerciante non meno di chi provvede alla vendita di cibi e di bevande.
TEETETO: è verissimo quello che dici.
OSPITE: E dunque anche a chi acquista apprendimenti e li scambia di città in città al costo di denaro darai lo stesso nome?
TEETETO: Ma per forza!
OSPITE: Ora, di questa che è traffico delle cose riguardanti l'anima, una parte non potrebbe essere chiamata a buon diritto arte di ostentazione, l'altra, invece, con un nome ridicolo non meno del precedente, siccome è vendita di ammaestramenti, non sarebbe necessario chiamarla con un nome che in qualche modo sia fratello gemello dell'azione corrispondente?
TEETETO: Ma certamente.
OSPITE: Allora dunque di questa vendita di cognizioni la parte che concerne l'apprendimento delle altre arti va chiamata con un nome, quella invece che riguarda l'apprendimento della virtù con un altro.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Tra gli altri alla prima potrebbe armonizzarsi il nome di "commercio d'arti": all'altra tenta tu di suggerire un nome.
TEETETO: E quale altro nome si potrebbe dire senza sbagliare, tranne quello che ora si cercava, definendo questo il genere sofistico?
OSPITE: Nessun altro! Ma via, tiriamo avanti ora, dicendo questo, che parte dell'arte di acquistare, di scambiare, di vendere al minuto, di commerciare, di commerciare aspetti dello spirito che riguardano ragionamenti e insegnamenti della virtù, questo secondo commercio si manifesta chiaro come arte della sofistica.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Come terzo punto io penso che tu, se uno venisse qui, in città, in parte per crearsi di per se stesso insegnamenti riguardo a queste cose e poi venderle a da questo si proponesse di trarre il vivere non lo chiameresti con un nome diverso da quello che hai detto or ora?
TEETETO: E perché non dovrei?
OSPITE: E così ciò che riguarda l'arte dell'acquistare, dello scambiare, del vendere al dettaglio, del commercio del proprio prodotto o di quello altrui, poiché è genere che riguarda lo scambio di apprendimenti riguardo a queste cose, tu lo chiamerai sempre, così almeno pare, sofistico.
TEETETO: Per forza: occorre infatti tenere dietro al ragionamento.
OSPITE: Consideriamo ancora se il genere che ora è stato sottoposto a ricerca non sia somigliante a qualche altro.
TEETETO: Ma quale?
OSPITE: Per noi parte dell'arte dell'acquistare era costituito dalla lotta.
TEETETO: Si disse proprio così .
OSPITE: Ora è possibile non fuori di maniera dividere la lotta in due branche.
TEETETO: In quali? Di' pure.
OSPITE: Ponendo di essa una parte incline al confronto e l'altra al combattimento.
TEETETO: è così .
OSPITE: Ma a quell'aspetto di essa che riguarda il combattimento che avviene da corpo a corpo è verosimile e conveniente dare un nome quale violenza o un presso a poco.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E a quello che avviene tra ragionamento contro ragionamento quale altro nome darai, Teeteto, se non quello di "atto al contendere"?
TEETETO: Nessuno.
OSPITE: Ma anche l'aspetto del contenzioso va distinto in due parti.
TEETETO: In che modo?
OSPITE: Perché quantità di discorsi contrastanti sul giusto e l'ingiusto avvengono in pubblico contro altre quantità
di discorsi, la contesa sarà detta "giudiziaria".
TEETETO: Sì .
OSPITE: Quello che nelle contese private viene frantumato in pezzettini fra domande e repliche, forse che siamo stati abituati a chiamarlo diversamente da "contraddittorio"?
TFETETO Niente affatto.
OSPITE: Ma di questo contraddittorio, quanto sostiene le disputa sulle convenzioni, ma vi si impegna a caso e senza criterio, occorre porre questo come un aspetto, dal momento che il ragionamento lo riconosce come diverso, ma non ottenne un nome da parte di quanti ci hanno preceduto e non è meritevole neppure ora di ottenerlo da noi.
TEETETO: è vero: infatti è stato diviso in parti troppo piccole e varie.
OSPITE: Ma quello che si fa con arte e che contende sul giusto e sull'ingiusto e su altri problemi in generale non siamo stati abituati a chiamarlo "eristica"?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma dell'eristica una parte è atta a fare spendere denaro, un'altra, invece a farlo mettere insieme.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: E ora proviamoci a dire con quale nome si debba chiamare l'una e l'altra di queste parti.
TEETETO: Eh, già: si deve.
OSPITE: Mi pare che quanto avviene per il piacere della disputa per tali questioni senza cura delle proprie faccende, che viene ascoltato circa l'esposizione dalla maggior parte degli ascoltatori senza piacere, deve essere chiamato, a mio parere, con un nome non diverso da "chiacchiera".
TEETETO: Difatti si chiama proprio così .
OSPITE: Ma l'arte contraria, che è volta dalle liti private a far mettere insieme denaro, prova ora a definirla tu, da parte tua!
TEETETO: E come potrebbe chiamarla uno, senza timore di sbagliare, all'infuori di tornare ora per la quarta volta a colui sul quale verte la nostra ricerca, cioè il sofista?
OSPITE: Niente altro, dunque, che genere inteso ad accumulare, a quanto sembra, che sussiste dall'arte eristica, da quella del contraddittorio, della disputa, della lotta, del confronto, del guadagno, è, come il ragionamento ha dimostrato, il sofista.
TEETETO: è certamente così .
OSPITE: Osserva dunque come è detto bene che questa è una bestia dai molti colori e quanto è giusto il proverbio che non può essere preso con una sola mano.
TEETETO: Eh già! Occorre afferrarla con ambedue.
OSPITE: Occorre perciò, secondo le nostre possibilità fare questo, correndo dietro in qualche modo alle sue orme. Dimmi, certe attività noi le chiamiamo con nomi familiari?
TEETETO: Ce ne sono tante: ma, tra le tante, quali vuoi sapere?
OSPITE: Queste, ad esempio, quando diciamo: filtrare, setacciare, vagliare, separare.
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: E, oltre a queste, pettinare, filare, cardare e una quantità di altri nomi simili che sappiamo trovarsi nelle arti. Vero?
TEETETO: Quali di essi tu hai inteso mettere in chiaro, proponendo questi esempi e facendo domande su tutti?
OSPITE: Tutti i vocaboli che sono stati detti sono divisibili.
TEETETO: Sì .
OSPITE: A mio parere, poiché una sola è l'arte in tutte queste cose insieme, riterremmo giusto chiamarla con un olo nome.
TEETETO: E quale possiamo dire?
OSPITE: Arte di distinguere.
TEETETO: Sia pure così .
OSPITE: Osserva se di essa noi possiamo intravvedere due aspetti.
TEETETO: Come me la chiedi lesta questa riflessione!
OSPITE: Nelle distinzioni già dette c'era da separare il peggio dal meglio, il simile dal simile.
TEETETO: Pare all'incirca così , ora che è stato detto.
OSPITE: Dell'una non ho il modo ancora di determinare il nome; ma della distinzione che fa restare il meglio e butta via il peggio, ce l'ho.
TEETETO: Dillo pure!
OSPITE: Tutta questa distinzione, come io penso, viene chiamata purificazione.
TEETETO: Così infatti viene chiamata.
OSPITE: Ognuno, poi, potrebbe osservare che questo genere è duplice.
TEETETO: Forse sì , ma a considerarlo con calma; io ora non riesco a intravvederlo.
OSPITE: Eppure i tanti modi delle purificazioni che riguardano il corpo conviene comprenderli con un nome solo.
TEETETO: Quali modi e con quale nome?
OSPITE: Sono tutte quelle purificazioni che, all'interno dei corpi degli esseri viventi, vengono compiute dalla tecnica della ginnastica e della medicina, svolta in modo corretto, e le purificazioni esterne, che son cose proprio da poco a dirsi, quante ne offre l'arte dei bagni. E nei corpi inanimati quante hanno una loro funzione dell'arte e della cosmetica in generale, distinte in piccolissimi
aspetti, ebbero nomi che sembrano perfino ridicoli.(9)
TEETETO: E lo sono parecchio.
OSPITE: Ma anche del tutto, Teeteto. Eppure, rispetto al criterio di ragionare l'arte di adoperare la spugna e quello di combinare pozioni si trovano a contare né poco né tanto, anche se l'una ci giova poco, l'altra molto a fare le purificazioni. Infatti a causa dell'acquistare intelligenza, esso metodo tenta di comprendere l'affinità e la non affinità di tutte le arti, e sotto questo aspetto le considera tutte alla pari, e per la somiglianza non stima le une più ridicole delle altre, e in nulla stima più nobile colui che rende palese l'arte della caccia attraverso l'arte bellica, che mediante quella di ammazzare i pidocchi, ma anche più presuntuoso. E ora, quello che chiedevi, quale nome daremo a tutte le forze quante hanno la funzione di purificare il corpo vivente o inanimato, nulla importerà al metodo, se il nome che sarà stato scelto potrà sembrare più decoroso. Solo, questo se ne stia, al di fuori della purificazione dell'anima, a collegare tutte le cose quante ne purifica di altro genere. Esso invece ha il compito di distinguere la purificazione che riguarda l'intelligenza da tutte le altre, se riusciamo a comprendere quello che vuole dimostrare.(10)
TEETETO: Ho compreso, certo: e ammetto che due sono i tipi della purificazione: l'uno è l'aspetto che riguarda l'anima, l'altro che riguarda il corpo ed è a parte.
OSPITE: Molto bene! Ma, dopo di questo, ascoltami pure e tenta di sceverare ancora in due parti quello che è stato detto.
TEETETO: Ma in tutto quello che tu ritenga giusto, tenterò anch'io di operare i miei tagli.
OSPITE: Non diciamo che la malvagità dell'anima è cosa diversa dalla virtù?
TEETETO: Come no?
OSPITE: E la purificazione consisteva nel buttare fuori quanto vi era di poco buono e nel lasciare il resto.
TEETETO: Si trattava proprio di questo.
OSPITE: E quanto riusciamo a scoprire come una sorta di eliminazione della malvagità dall'anima, parleremo a tono parlando di purificazione.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Occorre dire che due sono gli aspetti della malvagità riguardo l'anima.
TEETETO: Quali?
OSPITE: L'uno è quale la malattia nel corpo, l'altro quale la deformità in esso.
TEETETO: Non ho capito.
OSPITE: Non ritieni tu che la malattia e dissidio siano la stessa cosa?
TEETETO: Nemmeno a questo io ho di che dover rispondere.
OSPITE: Ritieni dunque che il dissidio sia qualcosa d'altro se non la rovina di un'affinità voluta da natura in conseguenza di qualche lacerazione?
TEETETO: Niente altro.
OSPITE: Cos'altro è la bruttezza, se non assenza di misura, genere deforme che si trova ovunque?
TEETETO: Niente altro, assolutamente.
OSPITE: E dunque, nell'anima di coloro che vivono una condizione vile, non sappiamo che dissentono opinioni dai desideri, la volontà interiore dai piaceri, la ragione da tensioni e altri uguali turbamenti tra di loro?
TEETETO: E in maniera virulenta.
OSPITE: Ma necessariamente tutti sono congeniti per natura.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Dunque, chiamando la malvagità dissidio e malattia dell'anima, diremo bene.
TEETETO: Molto bene.
OSPITE: Ebbene? Quante cose sono partecipi del movimento e pongono una certa meta e, tentando di raggiungerla, ad ogni slancio ne viene una deviazione e non si raggiunge, diremo che questo accade per il giusto rapporto tra una cosa e l'altra, e, al contrario, per la sproporzione?
TEETETO: è chiaro: per la sproporzione.
OSPITE: Ma noi sappiamo che ogni anima ignora una cosa di propria volontà.
TEETETO: No, certamente.
OSPITE: L'ignorare è dunque quando l'anima si protende verso la verità, quando avviene che l'intelligenza vacilla, niente altro è se non deviazione del giudizio.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Si deve asserire dunque che l'anima che è stolta è brutta e senza senso di misura.
TEETETO: Pare.
OSPITE: Due sono dunque le specie di mali insiti in essa, come pare: l'uno è quello che da molti viene chiamato malvagità ed è, nel modo più evidente, la sua malattia.
TEETETO: Sì .
OSPITE: L'altro, invece, lo chiamano ignoranza; ma che questa sola, nell'anima, sia un suo vizio, non vogliono ammetterlo.
TEETETO: Bisogna ammetterlo senza riserva; quello che non comprendevo bene poco fa mentre tu parlavi, che nell'anima ci sono due generi di vizio: la viltà, la sfrenatezza, l'ingiustizia bisogna considerarle tutte come malattia in noi. Ma la malattia dell'ignoranza, che è molteplice e varia, va posta come bruttura.
OSPITE: Ma nel corpo per far fronte a queste due malattie non si sono trovate due arti?
TEETETO: Quali sono queste?
OSPITE: Per la deformità la ginnastica, contro la malattia la medicina.(11)
TEETETO: Pare proprio così .
OSPITE: Ora, contro la tracotanza, l'ingiustizia, la viltà, l'arte della correzione è per natura fra tutte le arti la più
intonata a giustizia.
TEETETO: Sta proprio così , per dirla secondo l'opinione umana.
OSPITE: Ebbene: contro ogni tipo di ignoranza si può forse dire che esiste un'arte più efficace dell'arte diinsegnare?(12)
TEETETO: Nessuna.
OSPITE: Orsù: di quest'arte dell'insegnamento si deve ammettere che uno solo è il genere o sono parecchi, e che due di essa sono importantissimi? Considera la cosa.
TEETETO: La considero.
OSPITE: E a me pare che possiamo venirne a capo in questo modo.
TEETETO: Quale?
OSPITE: Considerando l'ignoranza per vedere se in mezzo di essa c'è una scissione: perché, se diventa duplice, è chiaro che anche l'arte dell'insegnare deve avere necessariamente due parti una contro ciascun aspetto dell'ignoranza stessa.
TEETETO: Ebbene: diventa chiaro ciò che ora si va cercando?
OSPITE: Mi pare di vedere ben delineato un grave e duro aspetto dell'ignoranza, di peso uguale a tutte le altre parti di essa.
TEETETO: Quale?
OSPITE: Il credere di sapere pure non sapendo: c'è il rischio che proprio di lì provenga a tutti, tutto quello che noi facciamo fallire con il nostro intelletto.
TEETETO: è vero.
OSPITE: E credo che a questo solo aspetto dell'ignoranza si adatti bene il nome di stupidità.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Che dire poi di quella parte dell'arte dell'insegnamento che si incarica di debellare questo?
TEETETO: Ritengo, ospite:, che l'altro aspetto consista in accorgimenti didascalici tecnici, a questo invece, dalle nostre parti si dà il nome di educazione.(13)
OSPITE: Anche fra gli altri Greci è chiamata un presso a poco così .
Ma dobbiamo ancora considerare se questo è un tutto indivisibile o ammette qualche distinzione che meriti di avere un nome.
TEETETO: E dunque bisogna riflettere.
OSPITE: A me pare che anche questo possa essere scisso in qualche modo.
TEETETO: Secondo quale criterio?
OSPITE: A me pare che il percorso dell'arte dell'insegnare per via di ragionamenti sia più aspro, mentre l'altra parte di essa è più lieve.
TEETETO: E come chiamare l'una e l'altra di queste due parti?
OSPITE: Una piuttosto antica e connaturata al patrio costume, della quale essi si servivano nei confronti dei figli e molti si servono ancora oggi, quando li ammoniscono, con le cattive o con modi premurosi, quando hanno commesso qualche errore: e questa, nel suo complesso, si potrebbe chiamare arte del consigliare.
TEETETO: è così .
OSPITE: Quanto all'altra poi, pare giusto ad alcuni che cercano di darsi ragione di per se stessi, ritenere che non esiste ignoranza che sia volontaria e che chi ha la convinzione di essere sapiente, non vuole imparare nulla di quelle cose nelle quali si ritiene ben preparato, e questo aspetto dell'arte ammonitoria, con molta fatica giunga a risultati alquanto scarsi.
TEETETO: E la pensano giustamente.
OSPITE: Per rigettare dunque queste opinioni ricorrono a un altro modo.
TEETETO: Quale?
OSPITE: Fanno domande sugli argomenti su cui qualcuno ritiene di dire qualcosa mentre, in realtà, non dice nulla; sottopongono al vaglio poi con facilità le opinioni di quelli che si ingannano, e traendole allo stesso punto con i loro ragionamenti, le pongono reciprocamente l'una di fronte all'altra, e, mettendole a confronto, dimostrano che sono contrarie tra di loro, circa gli stessi argomenti, riguardo alle stesse cose, e tra di loro. E considerando queste cose se la prendono con se stessi, diventano più trattabili verso gli altri, e in tal modo si sbarazzano di opinioni tronfie e radicate; e fra tutte le liberazioni questa è la più piacevole a udirsi e la più sicura per chi la prova. E quelli che si purgano in questo modo, caro ragazzo, la pensano come i medici riguardo ai corpi, che pensano che un corpo non possa trarre beneficio dal nutrimento che gli viene dato, se non si è espulso prima quello che all'interno c'era di impedimento. Allo stesso modo, riguardo l'anima, quelli ritengono che essa non possa trarre giovamento dagli insegnamenti che le vengono impartiti, prima che qualcuno, contestandola, ponga a sua vergogna quel che viene contestato, scacciando le opinioni che erano di impedimento al suo apprendere, così da mostrarsi pura e da essere convinta di sapere soltanto quello chesa, e nulla di più.
TEETETO: Questa è la migliore e la più saggia delle condizioni dell'anima.
OSPITE: Per tutti questi motivi, Teeteto, si deve dire da parte nostra che la contestazione è la più grande e la più sicura delle purificazioni, e si deve anche ritenere che colui che ne è indenne, anche se dovesse essere il Gran Re, è un essere impuro al massimo grado, ineducato e turpe proprio sotto quegli aspetti in cui conviene che sia purissimo e bellissimo chi si dispone ad essere realmente felice.
TEETETO: è assolutamente così .
OSPITE: Ebbene? Quelli che si avvalgono di quest'arte come li chiameremo?Temo infatti che si debba dire che sono i sofisti.
TEETETO: E perché?
OSPITE: Temo che accordiamo dono più grande di quel che compete loro.
TEETETO: Eppure quanto si è detto può essere assomigliato a un tale tipo.
OSPITE: Già, come il lupo al cane, la bestia più feroce a quella più domestica. Colui che intende essere ben certo occorre che faccia la guardia soprattutto alle somiglianze. è un genere che fa scivolare parecchio! Ma siano pure così . Penso infatti che la disputa avverrà non su piccoli termini, se staranno in guardia quanto basta.
TEETETO: Questo almeno è verosimile.
OSPITE: L'arte di purificare dunque appartenga a quella di distinguere, e parte dell'arte purificatrice sia definita come quella che riguarda l'anima, da questa si distingua poi l'arte di insegnare, e da quest'ultima l'arte di educare; e dall'arte di educare deriva la confutazione contro una vuota apparenza di saggezza che il ragionamento d'ora ha fatto apparire null'altro essere la nobile sofistica.(14)
TEETETO: Sia pur chiamata così : ma io mi trovo in dubbio per essersene mostrati ormai tanti aspetti, che cosa mai occorre dire e affermare con forza che è realmente il sofista.
OSPITE: Tu sei in dubbio ragionevolmente; ma occorre pensare ora che anche lui ormai sia in grande difficoltà su come sottrarsi al nostro ragionamento. Giusto infatti è il proverbio per cui non è facile fuggirle tutte. Soprattutto ora dunque bisogna stringerlo.
TEETETO: Dici bene.
OSPITE: Facendo anzitutto una sosta, come per tirare il respiro, e, mentre riposiamo, tiriamo le somme tra di noi. Su, dunque, in quante immagini si è mostrato a noi il sofista? Prima di tutto, a mio parere, ci è apparso come un cacciatore mercenario di giovani e di ricchi.
TEETETO: Sì .
OSPITE: In secondo luogo come un commerciante di conoscenze che riguardano l'anima.
TEETETO: Esattamente.
OSPITE: E in terzo luogo ci è apparso anche come venditore al minuto di queste stesse materie?
TEETETO: Sì : e come questo nella veste che si rende venditore a noi di insegnamenti che ha confezionato direttamente da solo.
OSPITE: Tu ricordi proprio bene. Il quinto aspetto proverò a ricordarlo. Nell'arte di contendere per via di ragionamenti egli era un atleta, essendosi ritagliato per sé l'arte eristica.
TEETETO: Infatti appariva così .
OSPITE: La sesta immagine fu oggetto di disputa: tuttavia ponemmo che egli fosse un purificatore dell'anima (e in mquesto concordando) dalle opinioni che costituivano un impedimento all'apprendere.
TEETETO: è assolutamente così .
OSPITE: Ma tu non osservi, quando uno appare esperto in parecchi rami, ma viene chiamato con il nome di un'arte sola, questa sua immagine non è sana, ma è chiaro che, se viene a trovarsi così rispetto a una certa arte, non può vederne quell'aspetto cui mirano tutti i suoi insegnamenti, e perciò chi ha questa condizione viene chiamato con molti nomi anziché con uno solo.
TEETETO: C'è proprio modo che questo avvenga soprattutto per questa ragione.
OSPITE: Che non abbiamo anche noi a provare, nella ricerca, la stessa cosa, a causa della pigrizia, ma riprendiamo per prima cosa quello che è stato detto riguardo al sofista: mi è sembrato che un modo soprattutto lo manifestasse bene.
TEETETO: Quale?
OSPITE: In qualche punto dicemmo che era abile al contraddittorio.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ebbene? Non ne segue che in questo campo sia maestro anche agli altri?
TEETETO: Perché no?
OSPITE: Consideriamo ora su quali argomenti questi tali affermano di rendere altri dei contraddittori. La nostra ricerca abbia inizio di qui. Orsù dunque, nelle questioni divine, quante riescano poco chiare ai più, rendono capaci gli altri a fare questo?
TEETETO: Su di essi si dicono proprio queste cose.
OSPITE: E su quelle che son ben evidenti della terra, del cielo e sui loro annessi e connessi?
TEETETO: Perché no?
OSPITE: Ma negli incontri privati quando si parla della natura delle cose, dell'essere sotto tanti aspetti, non sappiamo forse che essi sono capacissimi a contraddire e rendono gli altri altrettanto abili a fare le cose che essi stessi fanno?
TEETETO: Certamente.
OSPITE: E sulle leggi e su tutti gli affari politici, non promettono di rendere gli altri abilissimi a contraddire.
TEETETO: Nessuno infatti, tanto per dire, terrebbe rapporti con loro, se non facessero questa promessa.
OSPITE: E su tutte le arti e su ciascuna in particolare, le ragioni che occorre portare contro ciascun intenditore nel proprio campo sono pubblicate e messe per iscritto per chi le vuole imparare.
TEETETO: Mi pare che tu abbia inteso richiamarti agli insegnamenti di Protagora sulla lotta e sulle altre arti.
OSPITE: E su molti altri, o te beato! Ma il punto principale di quest'arte del contraddire non ti pare in sostanza che
sia una forza sufficiente a porre in discussione ogni cosa?
TEETETO: Mi pare infatti che essa non lasci indietro proprio nulla.
OSPITE: Per gli dèi, ragazzo mio, questo lo credi possibile? Perché forse voi giovani potete guardare più
acutamente a questo aspetto, noi, invece, in maniera più debole.
TEETETO: Ma cosa e per quale scopo lo dici? Non riesco proprio ad afferrare quel che chiedi ora.
OSPITE: Se è possibile che un uomo sappia ogni cosa.(15)
TEETETO: E dunque la nostra stirpe sarebbe proprio beata!
OSPITE: Come potrebbe dunque uno che non se ne intende contraddire uno che invece se ne intende e dire qualcosa di valido?
TEETETO: Non potrebbe affatto.
OSPITE: E quale il portento della potenza sofistica?
TEETETO: A proposito di che?
OSPITE: Del modo secondo il quale essi sono capaci di introdurre nei giovani l'opinione che essi sono i più sapienti fra tutti in ogni campo. è chiaro infatti che se non avessero fatto le contraddizioni a dovere e non l'avessero reso evidente a quei giovani, o se rendendolo evidente, non fossero sembrati per nulla ancora più sapienti, proprio tramite la disputa, questo è un altro detto tuo, difficilmente qualcuno vorrebbe dare loro del denaro e diventare loro scolaro su questi argomenti.
TEETETO: Difficilmente, sicuro!
OSPITE: Ma i giovani, ora, non lo vogliono?
TEETETO: Sicuro!
OSPITE: Ritengo infatti che essi sembrino di trovarsi in una condizione di indiscussa sapienza riguardo a quegli argomenti che sottopongono a contraddittorio.
TEETETO: Come no?
OSPITE: E affermiamo che possono fare questo in ogni campo?
TEETETO: Sì .
OSPITE: In ogni campo infatti si mostrano sapienti ai loro auditori.
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: Pur non essendolo. è già apparso chiaro che questo è impossibile.
TEETETO: E perché poi non è possibile?
OSPITE: è già apparso chiaramente a noi che il sofista ha una conoscenza presunta di ogni cosa, ma non reale.
TEETETO: E assolutamente così , e c'è il caso che quanto è stato detto sia stato detto nel modo più giusto sul loro conto.
OSPITE: Prendiamo ora un esempio ancor più chiaro sul loro conto.
TEETETO: E quale?
OSPITE: Se uno dicesse non di saper dire e contraddire, ma di saper fare e portare a compimento, con una sola arte, tutte le cose.
TEETETO: E perché dici tutte?
OSPITE: Tu, direttamente, ignori l'inizio del nostro discorso: come pare, infatti, non comprendi quel "tutte".
TEETETO: Veramente no.
OSPITE: Io dico fra questi tutti: te, me e, oltre noi, anche gli altri esseri viventi e gli alberi.
TEETETO: Ma cosa intendi dire?
OSPITE: Se uno affermasse di saper creare me, te e tutti gli altri esseri animali e vegetali.
TEETETO: E di quale creazione parli? Non vorrai dire infatti qualche agricoltore; hai detto infatti che lui è creatore anche di esseri animali.
OSPITE: Lo dico: e inoltre del mare, della terra, del cielo, degli dèi e di tutte le altre cose. E creando poi in un attibaleno ognuna di queste cose, le vende a un prezzo assolutamente basso.
TEETETO: Ma tu parli di uno scherzo.
OSPITE: Ebbene? Dobbiamo dunque considerare un gioco quello di colui che dice che sa tutte queste cose e che potrebbe insegnarle ad altri in poco tempo e per poco prezzo?
TEETETO: Assolutamente.
OSPITE: Conosci tu un tipo di gioco più acuto e anche più aggraziato della mimetica?
TEETETO: Assolutamente no; hai nominato un genere alquanto grande abbracciando in un sol punto tutte le cose e assolutamente molto vario.
OSPITE: Dunque, di colui che promette di essere capace, con una sola arte, di fare tutte queste cose, noi conosciamo questo, che sarà in grado di compiere imitazioni e omonimi delle cose reali, e mostrando da lontano quel che ha dipinto, sa trarre in inganno gli sprovveduti fra i ragazzi giovani, che egli è in grado di portare a termine con le opere tutto ciò che vuole fare.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ebbene? Riguardo i ragionamenti non possiamo presupporre che esiste un'arte mediante la quale è possibile raggirare i giovani, che si trovano ancora lontano dalla verità delle cose con dei discorsi, piacevoli alle
orecchie, che mostrano immagini fatte di sole parole su ogni questione, tanto da fare ritenere che viene detta la pura
verità e che chi parla è il più sapiente di tutti gli uomini in ogni campo?
TEETETO: E perché non dovrebbe esistere un'altra arte di tal fatta?
OSPITE: Non è però necessario, Teeteto, che molti degli ascoltatori, quando sia passato un lasso di tempo sufficiente per essi, e facendosi avanti l'età, cadendo da vicino tra le cose reali e, obbligati dalle proprie esperienze a
prendere un contatto diretto con il reale, a capovolgere le opinioni condivise un tempo, tanto da apparire loro piccole le cose che sembravano grandi, e difficili le facili, ed essere sconvolte in ogni senso tutte le parvenze insite nelle parole da parte dei fatti che avvengono nella realtà?
TEETETO: Sì , per quanto è lecito dare dei giudizi a me, a questa età: penso infatti di trovarmi anch'io tra coloro che ancora osservano da lontano la realtà.
OSPITE: Per questo noi tutti qui, presenti, tenteremo e stiamo già tentando dì portarti il più vicino possibile ad essa senza queste speranze dirette. Ma riguardo al sofista dimmi questo: è ormai evidente che egli è uno dei seduttori, imitatore delle cose reali, o siamo ancora incerti che egli, sugli argomenti nei quali è capace di condurre il contraddittorio, su questi appunto, non si trovi ad avere delle conoscenze autentiche.
TEETETO: E come, o ospite? Da quel che si è detto è assodato ormai che egli è una delle componenti che prendono parte al gioco.
OSPITE: Bisogna dunque stabilire che egli è un incantatore e uno che sa darla a intendere.
TEETETO: E come non ammetterlo?
OSPITE: Orsù, dunque! Ora è compito nostro non lasciare scappare la belva: l'abbiamo ormai catturata in una sorta
di trappola costituita di quei lacci insiti nei ragionamenti per un tale tipo di faccende, tanto che non potrà sfuggire da questa situazione.
TEETETO: Quale?
OSPITE: Che egli non sia uno della schiatta degli incantatori.
TEETETO: Anche a me, a suo riguardo, pare la stessa cosa.
OSPITE: Sembra opportuno, dunque, distinguere al più presto l'arte di creare immagini, e venuti a scendere fino ad essa, se il sofista subito riesce a resistere, catturarlo secondo quanto è ingiunto dalla disposizione regia (16) e
consegnandolo a lui, mostrare la selvaggina. Se poi si immergesse sotto le parti della mimetica, gli saremo d'impedimento, sconvolgendo la parte che lo accoglie, finché non sia catturato. In tutti i modi né lui, né alcun'altra genia, potrà menare vanto di essersi sottratto alla ricerca di forze così determinate a ogni particolare, e nel complesso.
TEETETO: Tu dici bene: bisogna fare così .
OSPITE: Secondo il modo di divisione già percorso, a me pare di vedere, anche a questo proposito, due aspetti della mimetica; ma l'idea ricercata da noi, in quale delle due parti mai si trovi a essere, non credo di essere ancora capace di intravederlo.
TEETETO: Ma di' pure per prima cosa e fa la distinzione di quali due parti tu parli.
OSPITE: Una prima arte che si osserva nella mimetica è quella del copiare. E questa avviene soprattutto quando uno, secondo le dimensioni del modello, in grandezza, estensione e profondità e oltre a ciò attribuendo anche colori adatti a ciascun esemplare, compie il principio della imitazione.
TEETETO: Cosa? Ma non aspirano a fare questo tutti quelli che imitano qualcosa?
OSPITE: Certo non quanti dipingono o plasmano un soggetto di grandi dimensioni. Se infatti rendessero la vera dimensione delle cose belle, tu sai che più piccole del dovuto apparirebbero le parti di sotto, più grandi invece quelle di sopra, per il fatto che le prime sono viste da noi da lontano, le seconde da vicino.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ma non è vero dunque che gli artisti, non tenendo in gran conto il vero, danno alle rappresentazioni non le dimensioni reali, ma quelle che sembrano belle?
TEETETO: è assolutamente così .
OSPITE: E non è giusto allora chiamare copia la seconda rappresentazione, essendo essa copiata?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E questa parte della mimetica sotto questo aspetto non va chiamata, come abbiamo detto prima, arte del copiare?
TEETETO: Va chiamata così .
OSPITE: Cosa? Quel che pare somigliare al bello per averne la vista non da una buona posizione, mentre, se uno acquisisce la forza di vedere in profondità tutta l'ampiezza, non rassomiglia al modello, come chiamarlo? Non dovrebbe forse essere chiamato apparenza, dal momento che pare, sì , ma non è la copia?
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: Ora non è dunque questa una gran parte della pittura e di tutta l'arte mimetica?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Quest'arte, dunque, che compie un'apparenza e non una copia, potremmo chiamarla a proposito arte delle apparenze?
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Questi dunque sono i due aspetti della mimetica: l'arte delle copie e quella delle apparenze.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: Ma ciò di cui dubitavo anche or ora, in quale posizione vada posto il sofista, neppure ora posso intravederlo chiaramente, ma in realtà, egli è un uomo sorprendente e molto complesso da conoscere a fondo, poiché
anche ora ben bene e abilmente si è rifugiato sotto un aspetto malagevole da investigare.
TEETETO: Pare.
OSPITE: Ma tu sei d'accordo perché conosci questo, o, quasi assuefatto dal ragionamento, una sorta di impeto ti ha trascinato a dirti d'accordo alla svelta?
TEETETO: Come e a quale scopo dici questo?
OSPITE: Veramente, o caro, noi ci troviamo in una riflessione molto difficile. Infatti questo apparire e sembrare e poi non essere, e il dire alcune cose, ma poi non vere, tutto ciò è ricolmo di remore sempre, sia nel tempo precedente, sia anche ora. Perché dire o immaginare il falso è fatale che dicendolo esista realmente, ma, mentre si afferma questo, non implicarsi in contraddizioni, è Teeteto, assolutamente difficile.
TEETETO: E perché?
OSPITE: Questo ragionamento ha osato presupporre che esista ciò che non è. Non diversamente infatti il falso si troverebbe a essere vero. Parmenide il grande, ragazzo mio, cominciando fin da quando eravamo ragazzetti, ce lo
attestava senza interruzione, dicendo in prosa, in versi, e in ogni circostanza: «Non accettar violenza su questo mai», dice, «che sia quel che non è; ma tu, pure cercando, da questa via allontana il pensiero».(17) Da lui dunque ci viene attestato: ma soprattutto potrebbe rivelarcelo lo stesso ragionamento, se esaminato con la dovuta misura. Prima di tutto perciò considereremo proprio questo, se per te non sussiste qualche divergenza.
TEETETO: Per conto mio poni pure la questione come vorrai, considerando per quale via il ragionamento può svilupparsi nel modo migliore.
Via pure, dunque, e guida anche me per questa strada.
OSPITE: è proprio quello che occorre fare. Ma dimmi: ciò che non è assolutamente avremo il coraggio di affermarlo in qualche modo?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Se non per il gusto della discussione, né per gioco, ma se con serietà e dopo averci pensato uno degli uditori dovesse rispondere ove si possa riferire questa denominazione, «ciò che non è», cosa possiamo ritenere, e per quale scopo se ne varrebbe e per quale tramite lo indicherebbe a chi vuole saperlo?
TEETETO: Tu hai fatto una domanda assai difficile, e del tutto inestricabile a dirsi per uno come me.
OSPITE: Ma almeno questo è assodato: che il non essere non può essere riportato a ciò che è, neppure riferendolo a un qualcosa, uno lo riferirebbe correttamente.
TEETETO: Come?
OSPITE: Anche questo per noi è evidente: che anche questa locuzione, «un qualcosa», noi la diciamo ogni volta per un qualcosa che esiste. Infatti il solo enunciarlo, come modo di dire nudo e avulso da tutto ciò che è, è impossibile. O no?
TEETETO: è impossibile.
OSPITE: Ora consideriamo la cosa da questo punto di vista, sei d'accordo che chi dice «un qualcosa» dica «un qualcosa che è»?
TEETETO: è così .
OSPITE: E converrai che un «qualcosa» è il contrassegno di una sola cosa e che «dei qualcosa», di due cose e che «alcuni» di molti.
TEETETO: Come no?
OSPITE: E che è assolutamente necessario che chi non dice «un qualcosa», non dice, come pare, proprio nulla del tutto.
TEETETO: è assolutamente necessario.
OSPITE: Dunque non si deve ammettere neppure questo, cioè che quel tale dica, ma non dica nulla; e non si deve stabilire apertamente che non dica nulla colui il quale intraprende a enunciare ciò che non è?
TEETETO: Il ragionamento recherebbe la fine dell'imbarazzo.
OSPITE: Non dirlo ancora. Perché, mio caro, ce ne sono ancora delle difficoltà: e questa è grandissima ed è la prima. E si trova a essere proprio nello stesso principio della questione.
TEETETO: Come dici? Parla e non tirarti indietro.
OSPITE: A ciò che è potrebbe sopraggiungere un'altra cosa di ciò che è?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma al non essere potremo mai dire che è possibile che sopraggiunga un qualcosa di ciò che è?
TEETETO: E come?
OSPITE: Poniamo il numero, nel suo complesso tra gli esseri.
TEETETO: Sì , se si deve porre qualche altra cosa come essere.
OSPITE: Non mettiamo mano dunque a riferire al non essere né la quantità e nemmeno l'unità del numero.
TEETETO: Né potremmo porvi mano correttamente, come il ragionamento ci suggerisce.
OSPITE: E come potrebbe uno affermare, se non con la bocca, o abbracciare, soltanto con il pensiero, «i non esseri», o anche «il non essere», senza ricorrere al numero?
TEETETO: In che senso dici?
OSPITE: Quando parliamo dei «non esseri» non mettiamo forse mano ad attribuire loro la pluralità?
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: E dicendo «non essere» dunque non gli si riporta l'unità?
TEETETO: è molto chiaro.
OSPITE: Eppure noi sosteniamo che non è giusto, né corretto tentare di adattare l'essere al non essere.
TEETETO: è verissimo quel che dici.
OSPITE: Ora concordi che non è possibile enunciare correttamente, né dire e neppure pensare il non essere in sé, ma che è un qualcosa di impensabile, di indicibile, di impronunciabile, di illogico.
TEETETO: Sì , nel modo più assoluto.
OSPITE: Ma allora ci ingannavamo quando, poco fa, io mi proponevo di dire la più grande difficoltà della questione, ma poi ne abbiamo un'altra ancora più grande?
TEETETO: E quale?
OSPITE: Come, o stupendo ragazzo! Non capisci che, in virtù di quel che è stato detto, il non essere fa trovare in difficoltà anche chi lo contesta, tanto che chi si mette a contestarlo è poi costretto a dire riguardo a quello delle cose in contraddizione con se stesso?
TEETETO: Come dici? Parla in modo ancor più chiaro.
OSPITE: Non occorre cercare in me nessun'altra cosa più chiara: ponendo infatti che il non essere non può aver parte né dell'unità né della molteplicità, ho detto poco fa e anche ora che lo stesso è uno e infatti io dico: non essere. Tu capisci, certamente.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E ancora poco fa ho detto che è inesprimibile, indicibile, illogico. Mi segui?
TEETETO: Ti seguo: come no?
OSPITE: E dunque io tentando di adattargli «quell'essere» non dicevo il contrario rispetto a prima?
TEETETO: Pare.
OSPITE: Ebbene? Non parlavo io adattandogli questo come a una unità?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Diciamo allora che occorre, se si vuole parlare correttamente, non definirlo né come uno, né come molti, né chiamarlo assolutamente del tutto; infatti secondo questa denominazione sarebbe chiamato con la forma dell'unità.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ma per quale ragione si dovrebbe continuare a parlare di me? Perché già da tempo e anche ora si potrebbe scoprire che io sono vinto riguardo una confutazione del non essere. Tanto che, non tanto in me che parlo, come ho già detto, continuiamo a ricercare la correttezza del discorso sul non essere, ma, orsù, ora questa ricerca continuiamola a fare in te.
TEETETO: Come dici?
OSPITE: Suvvia dunque, in modo giusto e con coraggio, perché tu sei giovane, per quanto tu puoi, concentrandoti, non ponendo né essenza né unì ta, né molteplicità di numero al non essere, cerca di enunciare correttamente qualche concetto su di lui.
TEETETO: Sarebbe ben grande e strana la mia ambizione dell'impresa, se, vedendo quel che hai provato tu, io stesso ne facessi il tentativo!
OSPITE: Dunque, se a te piace, lascia pure che io e te ci tiriamo da parte: finché non incontriamo qualcuno che sia in grado di fare questo, fino a questo punto diciamo che il sofista, in maniera più abile di tutti, si è insinuato in un luogo impenetrabile.
TEETETO: Pare certamente così .
OSPITE: Ora, se andremo dicendo che egli ha l'arte delle apparenze, facilmente afferrandoci con l'uso di queste parole capovolgerà i ragionamenti in senso contrario, chiedendoci, quando noi lo chiamiamo costruttore d'immagini, cosa mai vogliamo dire con immagini. Occorre dunque considerare cosa si potrà rispondere, o Teeteto, su una tale domanda a questo insolente.
TEETETO: è chiaro che gli ricorderemo le immagini delle acque, degli specchi e ancora quelle dipinte e quelle foggiate nelle sculture e tutte quante le altre di tal fatta.
OSPITE: è evidente, Teeteto, che tu non hai ancora visto un sofista.
TEETETO: E perché?
OSPITE: Potrebbe sembrarti che tiene gli occhi chiusi, o che non ha affatto gli occhi.
TEETETO: Come?
OSPITE: Qualora tu gli dia una risposta così , se gli parlerai di qualcosa che si trova negli specchi o nelle figure plastiche, riderà dei tuoi discorsi, perché parli a lui come se vedesse, fingendo di non conoscere né specchi, né acque, né alcuna immagine (18), e ti farà domande soltanto su quello che emerge dai ragionamenti.
TEETETO: E cosa?
OSPITE: Quello che attraverso tutte queste cose che tu, pur dicendo numerose, hai ritenuto giusto di chiamarle con un nome solo, pronunciando per tutti il termine immagine come se fosse una unità sola. Parla dunque e difenditi senza tirarti indietro di fronte a quell'uomo.
TEETETO: Cosa diremo ormai, o ospite, che sia l'immagine, se non un altro oggetto tale, fatto a somiglianza di
quello vero?
OSPITE: Ma tu con «un altro oggetto tale» vuoi dire quello vero, o a che cosa rapporti questo «tale»?
TEETETO: Niente affatto vero, ma almeno somigliante.(19)
OSPITE: Ma dicendo vero vuoi dire un essere reale?
TEETETO: Proprio così .
OSPITE: Ebbene? Il non vero non è il contrario del vero?
TEETETO: E cosa dunque?
OSPITE: Dunque tu affermi che il simile è un essere non reale, dal momento che tu lo chiami non vero.
TEETETO: Ma egli è tuttavia, in qualche modo.
OSPITE: Non dunque di uno vero, tu dici.
TEETETO: Certamente no, eccetto che è reale come immagine.
OSPITE: Quella dunque che chiamiamo immagine è realmente un non essere che non è?
TEETETO: Il non essere dunque rischia di essersi intrecciato in tale intreccio con l'essere e anche in modo molto strano.
OSPITE: E come potrebbe non essere strano, tu noti dunque che anche ora, con questo incrocio, il sofista, dalle molte teste, ci ha costretto a riconoscere, pur non volendo, che il non essere in qualche modo è.
TEETETO: Lo vedo anche troppo bene.
OSPITE: Ebbene? Come potremo delimitare ora la sua arte, se saremo in grado di concordare con noi stessi?
TEETETO: E perché? E di che cosa hai paura a parlare così ?
OSPITE: Quando diciamo che egli trae in inganno riguardo l'apparenza, e che la sua arte è tutta fatta di inganni, diremo allora che la nostra anima è spinta a opinare il falso a causa della sua arte, o cos'altro mai diremo?
TEETETO: Questo diremo! E che cos'altro potremmo dire?
OSPITE: L'opinione falsa, dunque, sarà quella che opina il contrario rispetto a quello che è, o cosa è?
TEETETO: Così : il contrario di ciò che è!
OSPITE: Dici dunque che l'opinione falsa opina il non essere.(20)
TEETETO: è necessario.
OSPITE: Forse opinando che il non essere «non sia» o che in qualche modo invece il non essere sia?
TEETETO: Ma occorre pure che il non essere sia in qualche modo, se qualcuno mai opererà il falso anche per poco.
OSPITE: Ebbene: non potrà opinare anche che ciò che in nessun modo è non sia affatto?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E anche questo sarà falso?
TEETETO: Anche questo.
OSPITE: E così per gli stessi motivi, a mio parere, sarà considerato falso il discorso il quale affermi che ciò che è non è, e che ciò che non è, è.
TEETETO: E come potrebbe essere falso in altro modo?
OSPITE: In nessun altro modo, forse: ma questo non lo dirà il sofista. O vi può essere un ripiego perché qualche ben pensante possa essere d'accordo, quando si era riconosciuto che erano ose impronunciabili, indicibili, illogiche, impensabili? Gliela facciamo a capire, Teeteto, quello che dice?
TEETETO: E come possiamo non capire che egli dirà che noi sosteniamo ora il contrario di prima, avendo il coraggio di affermare che il falso è nelle opinioni e nei discorsi, e che siamo costretti a rapportare spesso ciò che è a
quel che non è, dopo avere riconosciuto, proprio ora, che questa, fra tutte, è la cosa assolutamente più impossibile?
OSPITE: L'hai ricordato molto a proposito. Ma vedi di stabilire cosa occorre fare del sofista, perché gli equivoci e le difficoltà, come vedi, sono facili e numerose, se facciamo l'indagine su di lui, noi lo poniamo nella famiglia dei
ciarlatani e degli imbroglioni.
TEETETO: Anche troppo.
OSPITE: E di equivoci e difficoltà ne abbiamo percorso una piccola parte, dal momento che esse sono, per così dire, senza fine.
TEETETO: Sarebbe dunque impossibile, a quanto pare, catturare il sofista, se le cose stanno così .
OSPITE: Ebbene? Ci tireremo indietro, ora, perché siamo stanchi?
TEETETO: Io non dico che si debba, se anche un pochino ci sentiamo in grado di accalappiare, in qualche modo, l'individuo.
OSPITE: Mi userai indulgenza e, come dicevi ora, sarai contento se anche per un poco ci tireremo fuori da un discorso così stretto.
TEETETO: E come potrò non contentarmi?
OSPITE: Ma ancor più di questo io ti faccio richiesta.
TEETETO: Di cosa?
OSPITE: Di non avere a supporre che io sia una sorta di parricida.
TEETETO: E perché?
OSPITE: Sarà necessario per noi, proprio per difenderci, mettere alla prova il ragionamento di Parmenide, che è come nostro padre, e a fargli violenza nel senso che il non essere sia in qualche modo, e che l'essere a sua volta, in qualche modo sia il non essere.
TEETETO: Mi pare che questo punto si debba dibattere nei nostri ragionamenti.
OSPITE: Quanto è stato detto come può non apparire chiaro anche a un cieco? Infatti se queste ragioni non saranno contestate o condivise, nessuno sarà in grado affatto di dire sui discorsi falsi e sulle opinioni, né sulle immagini, né sulle rappresentazioni, né sulle parvenze, né sulle arti, quali che siano, che le riguardano, senza essere ridicolo, essendo costretto a dire cose in contraddizione con se stesso.
TEETETO: è verissimo.
OSPITE: Per questi motivi dunque bisogna osare di far fronte al ragionamento paterno, o di lasciarlo filare del tutto, se qualche esitazione ci trattiene di fare questo.
TEETETO: Ma questo non può trattenerci in alcun modo.
OSPITE: E allora ti chiedo ancora una terza cosa, una veramente piccola.
TEETETO: Basta che tu lo dica.
OSPITE: Parlando, poco fa, ti ho già detto che al fine di confutare queste argomentazioni, io mi trovo sempre in imbarazzo, e soprattutto ora.
TEETETO: Lo hai detto.
OSPITE: Io temo, per quanto è stato detto, che io non abbia a sembrarti folle, prendendomi per i piedi in su e in giù. E infatti in grazia tua ci metteremo a confutare il ragionamento, se lo vorremo confutare.
TEETETO: Per quel che mi riguarda non mi sembrerà affatto che tu sbagli se porterai avanti questa revisione e poi la dimostrazione, ma, proprio per questo, va' avanti con coraggio.
OSPITE: Suvvia dunque: quale inizio potrebbe dare uno a un discorso così insidioso? Mi pare tuttavia, ragazzo mio, che dobbiamo volgerci per questa strada come la più indispensabile.
TEETETO: E quale?
OSPITE: Considerare in primo luogo le cose che sembrano chiare, affinché, essendo noi confusi in qualche punto, non abbiamo ad ammettere facilmente tra di noi di giudicare bene su questi problemi.
TEETETO: Di' pure chiaro quel che vuoi dire.
OSPITE: Mi pare che con affabilità Parmenide abbia dialogato con noi e chiunque altro mai si mosse al compito di definire quanti e quali sono gli esseri.
TEETETO: Come?
OSPITE: Mi pare che ciascuno ci racconti una favola come se fossimo bambini, l'uno affermando che gli esseri sono tre e talvolta si fanno guerra tra di loro in qualche modo, talvolta invece, divenuti amici, realizzano nozze, figli e
allattamenti dei nati; un altro invece afferma che sono due l'umido e il secco, il caldo e il freddo, li fa coabitare e li fa generare. La nostra schiatta, quella di Elea, a cominciare da Senofane (21) e ancora più in là, considerando un essere solo quel che viene chiamato il tutto, e così si espone con i propri miti. In seguito poi alcune Muse della Ionia e della Sicilia (22) ritennero cosa più sicura intrecciare le due posizioni e dire che l'essere è molteplice e uno e si sostiene con l'odio e l'amore. Dicono infatti le più rigorose tra le Muse che nel dilacerarsi poi si ricompone. Ma le Muse un po' più arrendevoli hanno allentato la concezione che l'essere stia sempre in questa condizione e affermano che il tutto, talvolta, è uno e amico a se stesso per merito di Afrodite, e, tal altra volta invece, che è molteplice e nemico a se stesso per una sorta di contesa. Ma se qualcuno di questi uomini ha sostenuto tutto questo in modo veritiero o al suo contrario è difficile a dirsi; ed è pure sconveniente biasimare gravemente personaggi così illustri e antichi. Ma questo si può pur dire senza provocare riserve.
TEETETO: Cosa?
OSPITE: Che essi non si curarono affatto dei molti, che siamo noi, avendone disprezzo, perché senza darsi pensiero se possiamo tenere dietro loro quando parlano o se restiamo indietro, ognuno di essi porta a compimento il proprio assunto. (23)
TEETETO: Come dici?
OSPITE: Quando uno di essi grida a gran voce che l'essere è, o è divenuto, o diviene, molteplice, o uno, o due, e che il caldo è mescolato al freddo, o ipotizzando altrove distinzioni o congiunzioni, di tutto questo, per gli dèi, Teeteto, tu riesci sempre a capire un qualcosa di quello che dicono? Io infatti, quando ero più giovane, quando qualcuno parlava di quel che ora ci provoca perplessità, «il non essere», allora pensavo di capirlo esattamente. Ora tu vedi a che punto siamo di difficoltà.
TEETETO: Lo vedo.
OSPITE: Forse non meno riguardo all'«essere» subendo la stessa esperienza nella nostra anima, diciamo che riguardo a questo noi andiamo bene e di capire quando qualcuno ne fa menzione, mentre per l'altro no, mentre ci
troviamo nella stessa condizione riguardo l'uno e l'altro.
TEETETO: Forse sì .
OSPITE: E anche per gli altri concetti, di cui si è detto in precedenza, si dica pure la stessa cosa.
TEETETO: Eh, sì !
OSPITE: Ma, se credi, circa i molti punti già visti condurremo il nostro esame dopo di questo: ora invece cominciamo a indagare per primo sul più grande, sul principale.
TEETETO: Di quale parli? O non è evidente che tu dici che per prima cosa bisogna fare ricerca sull'essere, cosa mai intendono dire quelli che stimano di renderlo chiaro?
OSPITE: Tu l'hai colto per un piede, o Teeteto. Dico infatti che noi dobbiamo condurre il metodo in questo modo, come se essi fossero presenti e noi chiedessimo loro: «Orsù, quanti siete qui a dire che il tutto è caldo e freddo o due altri simili principi, e che cosa mai volete dire se l'uno e l'altro, dicendo che ambedue e uno per ciascuno sono? Che cosa dobbiamo capire per questo "essere" da voi proposto? Forse un terzo ente, oltre quegli altri due, e dobbiamo porre, secondo voi, come "tutto" il tre e non più il due? Poiché chiamando "essere" l'uno e l'altro dei due, voi non dite che ambedue "sono" allo stesso modo; soltanto l'unità infatti, sarebbe una volta e l'altra, ma non il due».
TEETETO: Tu dici il vero.
OSPITE: «Ma forse voi volete chiamare "essere" ambedue?»
TEETETO: Forse.
OSPITE: «Ma, amici miei», ribatteremo, «anche così vorrete chiamare uno il due? è più che evidente».
TEETETO: è molto giusto quello che dici.
OSPITE: «Ora, poiché noi ci troviamo in difficoltà spiegateci voi a sufficienza cosa intendete significare, quando pronunciate la parola "essere". è chiaro infatti che voi lo sapete da tempo, mentre noi fino a questo momento lo
credevamo, ora invece siamo immersi nel dubbio. Insegnatecelo voi, dunque, perché, opinando di comprendere le cose dette da voi, non ci capiti poi tutto il contrario di questo». Porgendo queste domande ed esigendo risposta da costoro e da gli altri, quanti sostengono che il «tutto» è più di uno, ragazzo mio, in cosa potremo sbagliare?
TEETETO: In ben poche cose.
OSPITE: Ebbene? A tutti quelli che sostengono che il «tutto» è uno, non si deve chiedere, fino a che è possibile, che cosa vogliono dire con la parola «essere»?
TEETETO: Come no?
OSPITE: A questo problema rispondiamo pure: «Voi dite in qualche modo che c'è solo un essere?» «Lo diciamo», ribatteranno. O no?
TEETETO: Sì : lo diranno.
OSPITE: «Ebbene? Per "essere" voi chiamate un qualcosa?»
TEETETO: Sì .
OSPITE: «Forse quello che chiamate uno, usando due nomi per la stessa cosa, o come?»
TEETETO: E qual è la loro risposta, o ospite, a questo?
OSPITE: è chiaro, o Teeteto, che a chi pone una tal questione, non è facile rispondere né a quanto è stato chiesto ora, né a qualunque altra tra le tante cose.
TEETETO: Come?
OSPITE: Ammettere che vi sono due nomi, mentre non ne è stato posto che uno, è ridicolo.
TEETETO: Come no?
OSPITE: E l'accettare con assolutezza, quando uno parla, che un nome «è», non ha significato.
TEETETO: In che modo?
OSPITE: Ponendo un nome diverso dall'oggetto, uno, in qualche modo, dice due cose.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ma se uno pone all'oggetto lo stesso nome, o sarà costretto a dire che quel nome è di nulla, o se dirà che quello appartiene a una cosa, ne conseguirà che quel nome è soltanto il nome di un nome, ma di nessun'altra cosa.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E l'uno, essendo nome dell'unità, è anche, a sua volta, unità del nome.
TEETETO: è necessario.
OSPITE: Ebbene? Diranno che il tutto è una cosa diversa dall'unità che è, o che è invece la cosa identica a questa?
TEETETO: E perché non dovrebbero, o meglio, non debbono dirlo?
OSPITE: Se dunque tutto è, come dice Parmenide, «da ogni parte un qualcosa di simile al volume di una sfera rotonda, pari, dal mezzo, in ogni sua parte, né in uno spazio maggiore, né in uno minore, è d'uopo che non si muove né di qua né di là», (24) essendo tale ha anche il mezzo e gli estremi, e avendo tutte queste cose, ne consegue che abbia delle parti. O no?
TEETETO: è così .
OSPITE: Ma nulla impedisce che quel che è sottoposto alla divisione in parti al di sopra di tutte le sue parti abbia l'uno e perciò essendo tutto e tutto uno, sia.
TEETETO: Perché no?
OSPITE: Ma quello che è sottoposto a questo non è forse impossibile che in sé e per sé sia l'uno?
TEETETO: Come?
OSPITE: Occorre certamente dire, secondo un giusto ragionamento, che sia del tutto indivisibile ciò che è eramente uno. (25)
TEETETO: Occorre infatti che sia così .
OSPITE: Ora questo tale uno, fatto di molte parti, non sarà più in accordo con quell'idea di uno.
TEETETO: Ti seguo.
OSPITE: Forse l'essere, per essere sottoposto all'uno, sarà anche così uno e tutto, o non potremo più dire che l'essere è tutto?
TEETETO: Tu hai gettato innanzi una scelta difficile.
OSPITE: E dici il vero: l'essere infatti, essendo sottoposto a essere uno, non potrà apparire in qualche modo lo stesso che l'uno, ma il tutto sarà più che uno.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ora se l'essere non è il tutto per essere stato sottoposto proprio all'uno, se il tutto «è» in sé e per sé, accade
TEETETO: Certamente.
OSPITE: E secondo questo ragionamento, essendo in difetto nei suoi stessi confronti, l'essere sarà non essere.
TEETETO: è così .
OSPITE: E il tutto qui diventa maggiore di uno, poiché l'«essere» e il tutto acquistano per ciascuno una propria e differente natura.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E se il tutto poi assolutamente non fosse, le stesse conseguenze ci sarebbero anche per l'essere, che, al di là di non poter essere, non potrebbe neppure divenirlo mai.
TEETETO: E perché?
OSPITE: Sempre diviene intero quello che è divenuto; tanto che chi non pone l'uno e il tutto tra gli esseri, non deve neppure affermare come reali né l'essere né la sua genesi.
TEETETO: Sembra senza dubbio che la questione stia così .
OSPITE: E nemmeno una qualche quantità deve essere il non tutto; infatti quel che è un certo quanto, quale che questo quanto sia, è necessario che questo quanto sia il tutto.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: E così infinite difficoltà salteranno fuori a migliaia prendendo ciascuno di questi aspetti sia per chi sostiene che l'essere è un due sia per chi sostiene che è uno soltanto.
TEETETO: Lo dimostrano anche quelle che stanno apparendo ora; l'una infatti si riconnette all'altra recando sempre un errore più grave e difficile e tutte le cose dette in precedenza.
OSPITE: Noi non abbiamo passato in rassegna tutti coloro che così argomentano intorno all'essere e al non essere: tuttavia sia sufficiente così . Ora dobbiamo esaminare coloro che parlano in senso contrario, perché possiamo vedere da tutti che l'essere non è assolutamente più facile da enunciarsi di quanto non sia il non essere.
TEETETO: E dunque bisogna volgersi anche a questi.
OSPITE: Sembra dunque che fra di loro ci sia come una sorta di gigantomachia per la disputa tra di loro circa l'essenza.
TEETETO: E come?
OSPITE: Gli uni dal cielo e dall'invisibile trascinano tutto verso terra, come afferrando realmente con le mani grosse pietre e querce. E stando bene attaccati a tutte queste cose sostengono fermamente che «è» soltanto quello che provoca un contraccolpo e un contatto, definendo il corpo e l'essenza come la stessa cosa, e se delle altre cose qualcuno afferma che un qualche cosa, pur non avendo il corpo, «è», lo disprezzano senza riserve e non vogliono udire altro.
TEETETO: Tu parli di individui ben difficili: anch'io ne ho già incontrati parecchi.
OSPITE: Pertanto quelli che si trovano in polemica con loro con molta circospezione si difendono dall'alto, da qualche parte dell'invisibile, costringendoli ad ammettere che certe sostanze intellegibili e incorporee sono la vera
essenza. E i loro ben noti corpi e la tanto decantata loro verità facendola a pezzettini con i ragionamenti, invece dell'essenza proclamano un mutevole divenire. Su questi problemi in mezzo agli uni e agli altri, esiste da sempre, Teeteto, una battaglia che non ha sosta.
TEETETO: è vero.
OSPITE: Da ambedue queste schiatte, dunque, Teeteto, cerchiamo di cogliere la ragione sulla quale essi pongono l'essere.
TEETETO: E come potremo coglierlo?
OSPITE: Da quelli che lo pongono nelle forme è più facile: infatti sono più trattabili. Da quelli che si sforzano di rapportare tutto al corpo è più difficile, e forse anche del tutto impossibile. Ma mi pare che nei loro riguardi si debba fare così .
TEETETO: Come?
OSPITE: Soprattutto, se in qualche modo fosse possibile renderli migliori di fatto. Ma se questo non è concesso, li facciamo tali con il pensiero, immaginando che essi vogliano rispondere in modo più garbato di quanto non facciano ora. Noi non ci preoccupiamo di essi, cerchiamo soltanto la verità.
TEETETO: Giustissimo.
OSPITE: Invita quelli, come se fossero divenuti migliori, a risponderti, e sottoponi a esame quello che ti viene detto da loro.
TEETETO: Sarà così .
OSPITE: Se dicono che un animale è mortale, riconoscono che «è» un qualcosa.
TEETETO: Come no?
OSPITE: E concedono che questo è un corpo animato?
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ponendo l'anima con una delle cose che «sono».
TEETETO: Sì .
OSPITE: E sosterranno poi che un'anima è giusta, un'altra ingiusta, una assennata e un'altra stolta?
TEETETO: E perché no?
OSPITE: Ma non forse per il possedere e l'avere presente la giustizia ciascuna di esse diviene tale, e, per la presenza delle cose contrarie a quelle, contraria?
TEETETO: Sì : sosterranno anche questo.
OSPITE: Ma anche ciò che è possibile sia vicino o lontano a un qualcosa, diranno che anche questo è un qualcosa che «è»?
TEETETO: Sì , lo diranno.
OSPITE: Essendovi dunque giustizia, ponderatezza, e ogni altra virtù e i loro contrari, ed essendovi l'anima nella quale tutto questo avviene, diranno che qualcosa di esse si può vedere e toccare, o che tutto è invisibile?
TEETETO: Forse diranno che nulla di tutto questo può vedersi.
OSPITE: E cosa diranno di tali cose? Forse che hanno un corpo?
TEETETO: A questo in generale non daranno più risposta secondo gli stessi criteri, ma sosterranno che sembra loro che l'anima abbia un corpo; quanto all'assennatezza e a ciascuna delle altre qualità delle quali hai chiesto, si
vergognerebbero di osare tanto, o a riconoscere che queste cose non appartengono affatto a quelle reali o a sostenere con forza che siano tutti corpi.
OSPITE: è chiaro per noi dunque, Teeteto, che sono divenuti uomini più trattabili, perché di nessuna di queste cose si vergognerebbero quanti di essi sono come seminati per terra e selvaggi, anzi si sforzerebbero in modo per provare che tutto quello che non sono capaci di stringere con le loro mani, assolutamente non «è».
TEETETO: Tu dici, su per giù, quello che pensano.
OSPITE: Interroghiamoli dunque di nuovo: se vorranno ammettere che anche una modestissima quantità di esseri e priva di corpo, può bastare. Quello infatti che per natura è congenito a essi e a quelli che hanno un corpo verso cui guardando affermano che «sono» gli uni e gli altri, è quello che occorre dire loro. E forse potrebbero trovarsi presto in difficoltà. E se provano un qualcosa di questo, impegnamoci noi, guarda, se vogliono accettare e riconoscere che tale «è» l'essere.
TEETETO: Quale? Di' pure e lo sapremo subito.
OSPITE: Io affermo dunque che qualunque cosa possiede in sé una forza sia per potere influire su un'altra cosa, quale che sia per natura, o anche da essere influenzata, sia pure un minimo, da un fattore di nessun conto, anche se
soltanto per una volta tutto questo «è» realmente. Intendo così delimitare il concetto di essere, dicendo che esso null'altro è se non potenza.(26)
TEETETO: Ma siccome essi non hanno, almeno al presente, nulla di meglio da dire, accetteranno questo.
OSPITE: Bene. Forse in seguito tra noi e loro potrebbe apparire opportuna un'altra cosa. A questo punto però, nei loro riguardi, per noi questo rimanga fermo come concordato.
TEETETO: Rimane.
OSPITE: Ora volgiamoci agli altri, quelli che sono accetti per le loro idee: e tu, a noi, fa' pure da interprete per conto loro.
TEETETO: Sarà fatto.
OSPITE: Voi concepite il divenire e separatamente tenete distinta l'essenza? O no?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E dite che noi con il corpo, mediante la sensazione, partecipiamo al divenire e con il ragionamento, tramite l'anima, alla reale essenza, che anche voi concordate si trova sempre nella stessa condizione immutabilmente, mentre il divenire si fa di volta in volta diverso? (27)
TEETETO: Noi affermiamo questo.
OSPITE: Ma questa partecipazione, o uomini migliori fra tutti, dobbiamo arguire che voi l'intendete in un senso e in un altro? Non forse in quello da voi enunciato or ora?
TEETETO: Quale?
OSPITE: Un patire o un agire che deriva da una potenza che sorge da elementi che insieme concorrono fra di loro. Forse tu, Teeteto, non riesci bene ad afferrare la loro risposta a questo; io sì per l'abitudine che ho.
TEETETO: E quale ragionamento adducono?
OSPITE: Non concordano con noi su quello che si è detto circa i nati dalla terra intorno all'essenza.
TEETETO: E cosa è stato detto?
OSPITE: Noi ponemmo come precisa delimitazione degli esseri quando in uno di essi sia presente la forza o di subire o di agire, anche per un minimo obiettivo.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Oltre a ciò dicono che al divenire prende parte la potenza di subire e di agire, mentre per quel che riguarda l'essenza affermano che la potenza di nessuna di queste due cose vi ha parte.
TEETETO: E dicono dunque un qualcosa?
OSPITE: Riguardo a questo noi dobbiamo dire che abbiamo bisogno di sapere ancora più chiaramente da loro se ammettono che l'anima conosce, mentre l'essenza è conosciuta.
TEETETO: Questo almeno lo dicono.
OSPITE: Ebbene? Dite dunque che il conoscere e l'essere conosciuti è azione o passione, oppure l'una e l'altra cosa? Oppure l'uno è passione e l'altro azione? Oppure né l'uno né l'altro dei due hanno parte di queste cose?
TEETETO: è chiaro che né l'uno né l'altro hanno parte di azione e passione. Sostenendo il contrario infatti contraddirebbero le affermazioni di prima.
OSPITE: Lo comprendo: ma questo almeno ammetteranno, che se il conoscere risulterà un fare qualcosa, ne segue di necessità che il conosciuto lo subisca. L'essenza poi, conosciuta secondo questo ragionamento nel momento della conoscenza, per quanto vien conosciuta altrettanto viene mossa a causa del subire, cosa che noi diciamo non avvenire in ciò che sta immoto. (28)
TEETETO: Giusto.
OSPITE: E che, per Zeus! Ci faremo persuadere così facilmente che in realtà movimento, vita, anima, assennatezza non siano presenti all'«essere» assolutamente perfetto, e che esso non viva, non pensi, ma venerando e sacro, non dotato di intelligenza, se ne resti fermo senza muoversi?
TEETETO: Sarebbe veramente grave, ospite, se accettassimo questo ragionamento.
OSPITE: Ma diciamo invece che ha intelligenza, ma non vita?
TEETETO: E come è possibile?
OSPITE: Ma diciamo invece che in lui si trovano queste due qualità, ma che tuttavia non le ha insite in un'anima?
TEETETO: E in quale altro modo potrebbe averle?
OSPITE: Allora diremo che ha vita, intelligenza, anima, ma che pure se ne sta assolutamente immobile, pure essendo animato?
TEETETO: Ma tutto questo a me pare che sia assurdo!
OSPITE: Dunque bisogna ammettere che ciò che è mosso e il movimento «sono»?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ne segue dunque, o Teeteto, che se l'«essere» fosse immobile nessuno potrebbe avere intelligenza di nulla e per nulla.
TEETETO: Certamente sì .
OSPITE: Ma se ammetteremo che tutte le cose si lasciano trasportare e muovere, anche per questo ragionamento verremo a sottrarre la stessa cosa, l'intelligenza, dall'essere?
TEETETO: E come?
OSPITE: Pensi tu che possa esistere la stessa condizione e quella della somiglianza e del rapporto senza l'immobilità? (29)
TEETETO: In nessun modo.
OSPITE: Ebbene? Senza di queste pensi tu che possa esserci o non esserci stata intelligenza, in qualunque sede?
TEETETO: Niente affatto.
OSPITE: E dunque è da combattere con ogni argomento colui che, occultando conoscenza, avvedutezza e intelligenza sostiene ogni posizione su qualsivoglia questione.
TEETETO: Con decisione, certo!
OSPITE: Per il filosofo dunque e per chi considera soprattutto questi problemi, come pare, c'è tutta la necessità, proprio per questo di non accettare né una di quelle né le molte forme di quelli che dicono che il «tutto» è immobile, «sta», e nemmeno di ascoltare in alcun modo quanto sostengono coloro che pongono l'essere in incessante movimento, ma, secondo il desiderio di tutto in una volta che è proprio dei bambini, dire che l'immobilità e il moto, ambedue a un tempo riguardano l'«essere» e il «tutto».
TEETETO: Verissimo.
OSPITE: E allora? Non sembriamo aver piuttosto bene abbracciato l'essere con la nostra definizione?
TEETETO: Senza dubbio.
OSPITE: Ahimè, Teeteto! Come mi pare che ora conosceremo tutta la difficoltà di questa indagine!
TEETETO: Ma come, ancora? E cosa vuoi dire con questo?
OSPITE: Oh, te felice! Non pensi che ora siamo nel buio più fitto su questo problema, mentre proprio a noi pareva di dire qualcosa?
TEETETO: Mi sembrava bene! Come però ci sia sfuggito di trovarci in questa condizione, non riesco del tuttoa comprendere.
OSPITE: Considera con maggior discernimento se gli argomenti che noi ora ammettiamo ci fossero richiesti giustamente al posto di quelli che chiedevamo a coloro che sostengono che l'essere consta di caldo e di freddo.
TEETETO: Quali? Fammeli venire in mente.
OSPITE: Certamente. E tenterò di fare questo ponendoti delle domande come allora facevo con quelli, per vedere se ci facciamo avanti in qualche cosa.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: E sia: «moto» e «stasi» non sono forse assolutamente contrari, a tuo parere, tra di loro?
TEETETO: Come no?
OSPITE: E dici anche che allo stesso modo «sono» ambedue e l'uno e l'altro dei due?
TEETETO: Lo dico, sì .
OSPITE: Ma vuoi dire anche che si muovono ambedue e l'uno e l'uno e l'altro dei due, quando ammetti che «sono»?
TEETETO: No, assolutamente!
OSPITE: Ma quando dici che ambedue «sono» vuoi significare che stanno fermi?
TEETETO: E come?
OSPITE: E allora ponendo l'«essere» come un terzo elemento nell'anima, al di fuori di questi due, come se sotto di quello il moto e la stasi fossero congiunti, e comprendendo e considerando la loro comunanza con l'«essere», tu dici che l'uno e l'altro «sono»?
TEETETO: Rischiamo proprio di preannunciare un terzo elemento, quando diciamo che «moto e stasi sono»!
OSPITE: Ma allora l'essere non è ambedue le cose insieme, cioè moto e stasi, ma un qualcosa di diverso da questi. (30)
OSPITE: E dunque, secondo la propria natura, l'essere non «sta» né «si muove».
TEETETO: Un presso a poco.
OSPITE: E dove occorre dunque che volga la mente chi vuole appurare con certezza per se stesso qualcosa di chiaro in merito?
TEETETO: Dove, infatti?
OSPITE: Io penso che non sia ancora affatto facile: se infatti qualcosa non si muove, come può non stare ferma? Oppure quello che mai sta fermo, a sua volta, come può non muoversi? Ora l'«essere» a noi si è rivelato fuori da questi due stati. Ma è dunque possibile questo?
TEETETO: è la cosa più impossibile fra tutte.
OSPITE: è giusto dunque ricordare questo su tali questioni.
TEETETO: Cosa?
OSPITE: Che richiesti a proposito del non essere, a cosa mai riportarne il nome, fummo coinvolti in un grande impiccio. Lo ricordi?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ora dunque siamo in minore difficoltà rispetto all'essere?
TEETETO: A me, ospite, se è lecito dirlo, pare che ci troviamo in una difficoltà ancora maggiore.
OSPITE: A questo punto dunque tale questione sia posta come materia di grave dubbio. Ma poiché sia l'essere come il non essere prendono parte di questo dubbio, ora almeno sussiste la speranza che a seconda che l'uno dei due ci si mostrerà o più confuso o più chiaro, così pure ci si può mostrare anche l'altro; e se poi non siamo in grado di vedere né l'uno né l'altro, allora, per quanto ne siamo capaci spingeremo il ragionamento fra ambedue (31) nel modo più conveniente.
TEETETO: Bene.
OSPITE: Diciamo ora in quale modo talvolta ci avviene di chiamare la stessa cosa con molti nomi.
TEETETO: Quale ad esempio? Dinne un assaggio.
OSPITE: Noi diciamo «uomo» denominandolo in molti modi, riportiamo a lui i colori, i lineamenti, grandezze, alvagità e virtù: e in tutte queste e in mille altre qualità noi non solo diciamo che è «uomo», ma anche che è buono e
infinite altre cose e così anche per gli altri oggetti, secondo lo stesso criterio, ponendo che ciascuna cosa è una a sua volta la diciamo molteplice e anche con altri nomi.
TEETETO: Tu dici il vero.
OSPITE: è proprio di qui, io penso, che ai giovani e ai vecchi che si sono messi tardi a imparare noi allestiamo un convito. Infatti è alla portata di ognuno capire subito che è impossibile che il molteplice sia l'uno e l'uno il molteplice e subito si compiacciono non lasciando dire «uomo buono», ma «il buono è buono» e «l'uomo è uomo». Tu incontri infatti, o Teeteto, come io penso, spesso quelli che si sono applicati con zelo su questioni di tal genere, talvolta uomini piuttosto attempati che per povertà nell'acquisizione della loro intelligenza, hanno suscitato ogni meraviglia su argomenti di taglio e che sono convinti di avere trovato in merito la quintessenza della sapienza.
EETETO è proprio così .
OSPITE: Affinché il nostro argomentare si riferisca a coloro che da sempre e in qualunque maniera hanno discettato intorno all'«essenza», si rivolgano a questi e agli altri, con quanti abbiano discusso in precedenza, le cose che ora saranno dette come in una domanda.
TEETETO: E quali?
OSPITE: Forse non dobbiamo congiungere l'essenza al «moto» e alla «stasi» né alcun'altra cosa, ma come cose che non ammettono di essere mischiate e che è impossibile prendano parte le une dalle altre, in questo modo le porremo nei nostri ragionamenti? O le condurremo tutte a uno stesso punto come suscettibili di comunanza tra di loro, o alcune sì e altre no? Di queste possibilità, Teeteto, quale mai diremo che essi sceglieranno?
TEETETO: Io, a queste domande, per conto loro, non ho nulla da rispondere.
OSPITE: E perché non esamineresti una cosa per volta rispondendo le cose importanti su ciascuna questione?
TEETETO: Dici bene.
OSPITE: Supponiamo dunque, se tu vuoi, che essi dicano per prima cosa che nessuna cosa ha con nulla, sotto nessun riguardo, nessuna forza di comunanza. E questo non vuol dire dunque che moto e stasi non hanno parte in alcun modo dell'«essenza».
TEETETO: Non è certo no!
OSPITE: Ebbene? Forse vi sarà fra queste cose quella che non ha comunanza con l'essenza? (32)
TEETETO: Non vi sarà.
OSPITE: Con questa concessione dunque, alla svelta, come pare, ogni cosa diviene sconvolta e la posizione di quelli che fanno muovere il tutto e di quelli che lo fanno stare immobile come un «uno» e di quanti affermano che gli «esseri» sono, similmente stando sotto le stesse forme e gli stessi aspetti. Tutti costoro infatti vi connettono l'«essere», gli uni sostenendo che esso in realtà si muove, gli altri invece che in realtà se ne sta fermo.
TEETETO: è così .
OSPITE: E tutti coloro che rendono uno il tutto, ora invece lo dividono, sia che lo portino all'unità, e dall'unità all'estremità, dividendolo in elementi infiniti e da questo lo rimettano insieme, sia che pongano che questo avviene a
gradi, sia invece che pongano che questo avviene sempre, secondo tutte queste cose non dicono proprio nulla, se non sussiste alcuna mistione.
TEETETO: è giusto.
OSPITE: E ancora questi fra tutti terrebbero dietro alle posizioni più ridicole, quanto al ragionamento, quelli che non lasciano che nessuna cosa in comunanza di qualità con un'altra possa venire chiamata diversamente.
TEETETO: Come dici?
OSPITE: Siccome in ogni circostanza sono obbligati a usare le parole «essere», e «a parte» e «degli altri» e «di per se stesso» e di svariate altre espressioni, ed essendo incapaci di escluderle o di connetterle all'interno dei loro
ragionamenti, non hanno certo bisogno di altri che li contraddicano, ma hanno in casa propria avversario e il contestatore, che grida all'interno, e vanno in giro portandolo sempre attorno come lo stravagante Euricle. (33)
TEETETO: Tu dici cosa autentica e vera.
OSPITE: Che sarà se consentiremo che tutte le cose abbiano potere di comunanza tra di loro?
TEETETO: Questo anch'io mi sento capace di scioglierlo.
OSPITE: E in che modo?
TEETETO: In questo: il «movimento» stesso si fermerebbe del tutto e la «stasi» stessa si muoverebbe a sua volta se si congiungessero tra di loro. (34)
OSPITE: Ma questo per le inderogabili necessità è impossibile, cioè che il «moto» stia fermo e la «stasi» si muova?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Resta solo un terzo punto.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ma una almeno di queste possibilità è necessaria: che tutte le cose o nessuna, oppure alcune sì , altre no, vogliano mescolarsi tra di loro.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma si è trovato impossibile il verificarsi delle prime due.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Allora se vorrà rispondere correttamente porrà il restante delle tre possibilità. (35)
TEETETO: Sì,certamente.
OSPITE: Siccome alcuni elementi sono pronti a fare questo, a congiungersi, altri invece no, capiterebbe loro su per giù come alle lettere: fra esse infatti alcune si armonizzano con le altre, alcune no.
ThETETO Come no?
OSPITE: Le vocali invece, a differenza delle altre lettere, sono come un legame che si intromette tra tutte, tanto che senza una di esse è impossibile alle altre armonizzarsi tra di loro l'una all'altra.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: E dunque ognuno conosce quali lettere hanno la possibilità di accomunarsi tra di loro; o c'è bisogno di un'arte per chi intenda fare questo con sicurezza?
TEETETO: C'è bisogno di un'arte.
OSPITE: Quale?
TEETETO: Della grammatica.
OSPITE: Ebbene? A proposito di suoni acuti e gravi non è ancora così . Chi possiede l'arte di capire quali suoni si lascino unire e quali no, è un musico, e chi non lo capisce è incompetente.
TEETETO: è così .
OSPITE: E troveremo altrettante differenze tra le altre arti e le attività prive di arte?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ebbene? Siccome abbiamo concordato che anche i generi hanno per gli stessi motivi la possibilità di mescolanza tra di loro, non è forse necessario che si faccia avanti con una certa conoscenza, mediante i ragionamenti, chi ha intenzione di dimostrare quali generi con quali altri possano armonizzare e quali invece non lo ammettano tra di loro? E soprattutto se fra tutti quanti ve ne sono che si tengono insieme, tanto da avere in sé la possibilità di mescolarsi, e così nelle distinzioni, se ce ne sono altri, tra tutti quanti, che sono causa della distinzione stessa.
TEETETO: Come potrebbe non esservi bisogno di conoscenza, e anzi, della più grande!
OSPITE: E quale nome daremo ora, Teeteto, a questa conoscenza? O forse, per Zeus, senza accorgercene siamo caduti nella scienza degli uomini liberi e rischiamo d'aver trovato prima il filosofo, pure ricercando il sofista?
TEETETO: In che modo parli?
OSPITE: Dunque il distinguere secondo generi e non ritenere come diverso un aspetto che sia lo stesso, né per lo stesso uno che sia diverso, non diremo forse che questo è proprio della disciplina dialettica? (36)
TEETETO: Sì , lo diremo.
OSPITE: Dunque colui che è capace di fare questo conosce perfettamente anche un'idea sola fra molte, che se ne sta disposta per ogni dove, mentre ciascun elemento se ne sta a parte, e molte altre differenti tra di loro, che sono strette insieme dall'esterno da una sola, e quest'una che si tiene congiunta in unità attraverso una moltitudine di interi, e molte ancora che si tengono del tutto distinte. E questo è, il sapere dove i singoli possono avere comunanza tra essi e dove no, distinguere per generi.
TEETETO: è assolutamente così .
OSPITE: Ma l'attitudine alla dialettica, a mio parere, non la concederai a nessun altro se non a chi fa filosofia in modo puro e giusto.
TEETETO: E come potrebbe uno concederla a qualcun altro?
OSPITE: In un luogo siffatto, e ora e in seguito, troveremo il filosofo, se vorremo cercarlo; certo, è difficile vederlo chiaramente, ma la difficoltà è diversa da quella del vedere il sofista.
TEETETO: E come?
OSPITE: L'uno, il sofista, se ne rifugge nel buio del non essere, e vi si immerge fino al logoramento, e per la tenebra del luogo è difficile da vedersi. O no?
TEETETO: Pare.
OSPITE: Il filosofo invece, essendo sempre dedito all'idea dell'essere con i suoi ragionamenti, per la lucentezza del luogo, a sua volta non è assolutamente agevole a scorgersi. Infatti lo sguardo dell'anima della moltitudine non ha la possibilità di star saldo nel contemplare la divinità. (37)
TEETETO: E che queste cose stiano così è non meno verisimile rispetto a quelle dette prima.
OSPITE: Dunque sul filosofo tra breve faremo ricerca con maggior chiarezza, se ancora vorremo; ma sul sofista è evidente che non si deve lasciar perdere prima di averlo esaminato per bene.
TEETETO: Dici bene.
OSPITE: Che alcuni generi dunque tendono a congiungersi tra di loro noi lo abbiamo ammesso, e altri no: alcuni in modo minore, altri in modo maggiore: nulla impedisce poi che altri, potendo passare attraverso tutti, con tutti possano congiungersi. Dopo di ciò seguitiamo nel ragionamento facendo la ricerca in questo modo, non su tutti gli aspetti, per non confonderci tra molti, ma scegliendone alcuni di quelli che vengono chiamati i più grandi, considerando per prima cosa quali essi sono uno per volta, poi, come stanno quanto a forza di comunanza tra di loro, tanto che, se non potremo
afferrare l'essere e il non essere in tutta chiarezza, almeno su di essi non ci troviamo a essere privi di argomentazione, per quanto lo consente il criterio della nostra attuale ricerca, per vedere se ci è dato di venircene fuori incolumi dicendo che il non essere è realmente non essere.
TEETETO: Dunque occorre farlo.
OSPITE: I più grandi fra tutti i generi che or ora noi passavamo in rassegna sono l'«essere» stesso, la «stasi», il «moto».
TEETETO: I più grandi di molto.
OSPITE: Ma abbiamo anche detto che due di essi, moto e stasi, non possono mescolarsi tra di loro.
TEETETO: Sì , certamente.
OSPITE: L'essere invece si può mescolare con gli altri due: infatti, in certo qual modo l'uno e l'altro sono.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma questi divengono tre?
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: Ciascuno di essi perciò è differente dagli altri due, ma è identico a se stesso.
TEETETO: è così .
OSPITE: Ora poi cosa abbiamo voluto significare circa identico e diverso? Sono forse questi due generi, diversi dai tre, per quanto sempre congiunti con quelli per necessità, e si deve fare la ricerca su cinque e non su tre come essi sono e non ci siamo accorti che con questo «autentico» e «diverso» abbiamo denominato qualcuno dì quei generi prima ricordati?
TEETETO: Forse.
OSPITE: Eppure né il moto né la stasi sono essi stessi né il diverso né l'identico.
TEETETO: Come?
OSPITE: Perché quello che diciamo in comune del moto e della stasi, è che non è possibile che questo sia né l'uno
né l'altro dei due.
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: Il moto allora starebbe fermo e la stasi si muoverebbe: infatti congiungendosi all'uno e all'altro, l'identico e il diverso, forzerebbe l'altro a cambiare in senso contrario la sua natura, in quanto lo mette a parte del contrario.
TEETETO: è esatto.
OSPITE: L'uno e l'altro però hanno parte dell'identico e del diverso.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ma noi non diciamo che il moto è l'identico e il diverso, e nemmeno della stasi.
TEETETO: No, certo.
OSPITE: Dobbiamo allora pensare l'essere e l'identico come una sola cosa?
TEETETO: Forse.
OSPITE: Ma se l'essere e l'identico non significano nulla di diverso, quando ancora noi discorrendo di moto e stasi affermiamo che ambedue sono, intenderemo così di significare che l'uno e l'altro sono l'identico poiché «sono»?
TEETETO: Ma questo è impossibile.
OSPITE: Ebbene è impossibile che l'identico e l'essere siano una cosa sola.
TEETETO: Un presso a poco.
OSPITE: Poniamo dunque l'«identico» come quarto aspetto oltre gli altri tre?
TEETETO: Ma certo.
OSPITE: Ebbene? Il «diverso» lo dobbiamo chiamare come quinto? O si deve invece pensare questo e l'essere come due nomi soltanto per un genere solo?
TEETETO: Forse.
OSPITE: Ma, a mio parere, sarai d'accordo che fra gli esseri, alcuni sono essi stessi in sé altrì invece si richiamano ad altri. (38) TEETETO: Perché no?
OSPITE: Ma il diverso è sempre in relazione al diverso. O no?
TEETETO: è così .
OSPITE: Questo non potrebbe darsi se l'essere e il diverso non fossero differenti del tutto. Ma se il diverso avesse parte dei due aspetti, come l'essere, potrebbe essere talvolta che uno fra i diversi fosse diverso non rispetto a un diverso. Ora ci risulta che ciò che è diverso, non può essere assolutamente altro da quello che è, se non rispetto a un altro diverso.
TEETETO: Tu dici come sta il problema.
OSPITE: Bisogna dire dunque che la natura del diverso è giusta fra quegli aspetti nei quali abbiamo operato la scelta.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E noi diremo che essa è passata attraverso tutti quanti gli aspetti: ciascuno infatti è diverso dagli altri non per la sua natura ma per avere parte dell'idea del diverso.
TEETETO: è esattamente così .
OSPITE: Riprendiamo allora così i cinque aspetti, uno per volta.
TEETETO: Come?
OSPITE: In primo luogo il moto che è del tutto diverso dalla stasi. O come dobbiamo dire?
TEETETO: Così .
OSPITE: Dunque non è la stasi.
TEETETO: No, assolutamente.
OSPITE: «è», dunque, per essere a parte dell'essere?
TEETETO: «è».
OSPITE: Ma a sua volta il moto è diverso dall'identico?
TEETETO: Certo.
OSPITE: Non è dunque l'identico.
TEETETO: Infatti non lo è.
OSPITE: Eppure esso sembrava anche l'identico per il fatto che tutto partecipava dell'identico.
TEETETO: Sì , certo.
OSPITE: Dunque bisogna ammettere che il moto è l'identico e il non identico, e non c'è da prendersela. Quando infatti chiamiamo il modo identico e non identico, non lo intendiamo in eguale maniera, ma quando lo chiamiamo
identico, lo chiamiamo così per la partecipazione di esso identico rispetto al moto, e quando invece lo chiamiamo non identico avviene per la sua comunanza al diverso, mediante la quale, separandosi dall'identico, è divenuto non più quello, ma diverso, tanto che si dice bene di nuovo ora, quando si dice che non è identico.
TEETETO: Esattamente.
OSPITE: Ora, se anche lo stesso moto in qualche modo avesse parte della stasi, non sarebbe affatto strano denominarlo «statico».
TEETETO: Sarebbe correttissimo invece, se ammetteremo che dei generi alcuni tendono a mescolarsi, altri no.
OSPITE: Ma a questa dimostrazione noi eravamo giunti prima rispetto alle presenti deduzioni, essendoci convinti che queste cose avvengono così secondo natura.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Diciamo dunque di nuovo: il moto dunque è diverso dal diverso, come altro era anche rispetto all'identico
e alla stasi?
TEETETO: è necessario.
OSPITE: In certo modo dunque non è diverso ma anche diverso, secondo, il ragionamento attuale.
TEETETO: è vero.
OSPITE: Cosa viene dunque dopo questo? Diremo dunque che il moto è diverso dagli altri tre, mentre non lo diciamo per il quarto, pur avendo ammesso che sono cinque i generi intorno ai quali e nei quali avevamo deciso di fare la ricerca?
TEETETO: E come? è impossibile accettare un numero minore rispetto a quello che si evidenziava poco fa.
OSPITE: Senza remore dunque diremo e sosterremo con forza che il moto è diverso dall'essere?
TEETETO: Senza remora alcuna, assolutamente.
OSPITE: E dunque inoppugnabilmente il moto è realmente non essere e essere, poiché ha parte anche dell'essere?
TEETETO: Nel modo più evidente.
OSPITE: Esiste dunque di necessità l'essere del non essere rispetto al moto ma anche per tutti i generi. Infatti per tutti la natura del diverso rendendo ciascuno differente dall'essere lo fa non essere, e così per tutte queste cose insieme diremo correttamente che non sono, e di nuovo, poiché hanno parte dell'essere, che sono e sono «esseri».
TEETETO: è probabile che sia così .
OSPITE: Riguardo ciascuno dei suoi aspetti dunque l'essere è molteplice, e il non essere, per la sua quantità, è senza
fine. (39) TEETETO: Pare.
OSPITE: Si deve dire dunque che l'essere di per se stesso è differente dagli altri generi.
TEETETO: è necessario.
OSPITE: Per noi, dunque, per quante volte gli «altri» sono, altrettante l'«essere» non è. Gli altri infatti non sono questo che è uno, ma senza termine rispetto al numero, non sono, a loro volta, l'essere.
TEETETO: Su per giù è così .
OSPITE: Ora anche a questo proposito non c'è da prendersela, dato che la natura dei generi ammette la comunanza degli uni con gli altri. Se uno non ammette queste considerazioni, convinto dei ragionamenti di prima, Si convinca ora di quelli che ne seguono.
TEETETO: Dici il giusto.
OSPITE: Vediamo ora questo problema.
TEETETO: Quale?
OSPITE: Quando parliamo del non essere, come pare, noi non diciamo qualcosa di contrario, ma soltanto di diversoall'essere.
TEETETO: Come?
OSPITE: Quando, ad esempio, parliamo di una cosa non grande, ti sembra forse che con tale frase noi vogliamo significare il piccolo e non l'eguale?
TEETETO: Come?
OSPITE: Ma non saremo d'accordo quando «negazione» venga fatta significare per «contrarietà», bensì acconsentiremo soltanto a che il «né» e il «no» significhino un qualcosa d'altro dai nomi che vengono dopo le parole poste prima delle negazioni, o piuttosto da quegli oggetti presso i quali sono posti i nomi pronunciati dopo la negazione.
TEETETO: è esattamente così .
OSPITE: E ora pensiamo anche a questo, se anche tu sei d'accordo.
TEETETO: A cosa?
OSPITE: La natura del diverso a me pare smisurata in tante parti allo stesso modo che la scienza.
TEETETO: E come?
OSPITE: In certo modo è una anche quella; ma ciascuna parte, separandosi da essa con il congiungersi a un qualcosa, assume un proprio nome particolare. Ed è per questo che è possibile parlare di molte arti e di molte scienze.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Dunque anche le parti della natura del diverso, pur essendo essa solo una, possono subire lo stesso processo di divisione.
TEETETO: Può darsi. Ma in che modo dobbiamo dire?
OSPITE: Vi è una parte del diverso che si oppone al bello?
TEETETO: Sì , c'è.
OSPITE: Diremo che questa è anonima, oppure possiede un nome?
TEETETO: Lo possiede. Quello che noi sempre proclamiamo «non bello», per questo non è diverso rispetto a nessun'altra cosa se non alla natura del bello. (40)
OSPITE: Orsù, ora dimmi questo.
TEETETO: E cosa?
OSPITE: Un altro degli esseri, separato da un particolare unico genere, e che poi a sua volta è in antitesi a un altro essere, non avviene così che questo sia il non bello?
TEETETO: Così .
OSPITE: Avviene dunque che l'opposizione di un essere contro un altro sia il non bello.
TEETETO: è giustissimo.
OSPITE: E dunque? Secondo questo ragionamento dunque il bello avrà parte maggiore dell'essere, minore il non bello?
TEETETO: Per nulla.
OSPITE: In modo analogo si deve dire che «sono» il non grande e il grande?
TEETETO: In modo analogo.
OSPITE: E dunque si deve porre anche il «non giusto» allo stesso modo del «giusto», per nulla di più circa l'essere l'uno dell'altro?
TEETETO: Ebbene?
OSPITE: E diremo che in questa stessa maniera anche per le altre cose, in quanto la natura del diverso ci si è manifestata tra gli esseri, e, «essendo» essa pure è necessario porre le sue parti tra gli esseri non meno di nessun'altra.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Dunque, a quel che sembra, quando la natura di parte del diverso contrasta con quella dell'essere, l'una contro l'altra, l'opposizione non è minore rispetto alla sostanza dell'essere stesso, in quanto non viene a significare cosa contraria all'essere, ma questo soltanto, diversa da quello.
TEETETO: è molto chiaro.
OSPITE: E quale nome possiamo attribuirle?
TEETETO: è evidente che questo è proprio «il non essere», quello di andavamo alla ricerca a motivo del sofista.
OSPITE: Dunque, come dicevi, il non essere non resta indietro sostanzialmente a nessun altro degli esseri: e bisogna con coraggio sostenere che il non essere è sicuramente, ha una propria natura, allo stesso modo che il grande era grande, il bello era bello, e il non grande non grande, e il non bello non bello, e così anche il non essere allo stesso modo era ed è non essere, un aspetto unico che conta tra i molteplici esseri. Oppure, a questo proposito, quale incertezza abbiamo ancora, Teeteto?
TEETETO: Nessuna.
OSPITE: Ma lo sai dunque che non abbiamo prestato fede a Parmenide molto oltre alla proibizione.
TEETETO: E in che cosa?
OSPITE: Molto oltre a quello che egli ci aveva negato di indagare, noi protraendo ancora avanti la ricerca ci siamo distaccati da lui.
TEETETO: E in che modo?
OSPITE: Poiché egli dice in un passo: «non accettar violenza su questo mai, che sia quel che non è; ma tu, pure
cercando, da questa via allontana il pensiero». (41)
TEETETO: Infatti, dice proprio così .
OSPITE: Noi dunque non solo abbiamo accertato che il «non essere è» ma abbiamo mostrato quale si trova a essere l'aspetto del non essere. Infatti avendo dimostrato che la natura del diverso è spartita in minuscole parti per tutti gli esseri tra di loro, abbiamo avuto il coraggio di affermare che ciascuna piccola parte di essa che si oppone all'essere, questa è veramente il non essere.
TEETETO: E nel modo più assoluto, ospite, a me pare che abbiamo detto cose verissime.
OSPITE: Ma qualcuno non venga a dire che noi siccome rendiamo chiaro che il non essere è il contrario dell'essere, abbiamo il coraggio di sostenere che è. Noi, infatti, da tempo diciamo di un contrario dell'essere di lasciarlo perdere, se c'è o no, se è logico o se è del tutto illogico. Quello che noi abbiamo detto ora, cioè che il non essere è, o qualcuno ci convince che non è detto bene, dandone la dimostrazione, o, finché non è possibile, deve dire anche lui quel che diciamo noi, che i generi si mescolano gli uni con gli altri e che l'essere e il diverso attraversando ogni cosa e attraversandosi all'interno l'uno con l'altro, il diverso venendo ad avere parte dell'essere è proprio a causa di questa partecipazione, ma non è quello di cui partecipa, ma diverso, e poiché è diverso dall'essere è molto chiaro che necessariamente «è» il non essere. L'essere poi in quanto a sua volta ha parte del diverso sarebbe diverso dagli altri generi, ed essendo diverso da tutti quelli non è nessuno di essi né di tutti gli altri eccetto se stesso, tanto che a sua volta l'essere indiscutibilmente mille volte su mille non è, e così anche gli altri, sia uno per uno che tutti insieme, in molti modi sono, in molti altri no.
TEETETO: è vero.
OSPITE: E se qualcuno non crede a queste contraddizioni deve fare la propna ricerca e dire qualcosa di meglio di quello che abbiamo detto ora. Ma se poi si compiace come se avesse escogitato un qualcosa di difficile, trascinando i discorsi ora da una parte, ora da un'altra, non si è certo dedicato a cose degne di molta dedizione, come attestano ora i nostri ragionamenti. Trovare questo infatti non è cosa acuta né difficile, trovare quello invece è difficile e insieme anche bello.
TEETETO: E cosa?
OSPITE: Quello che è stato detto anche prima: il lasciare perdere queste cose che sono molto alla mano per chi le
dice, ed essere in grado di seguire questioni singolarmente dandone il contraddittorio, quando uno viene a dire che il
diverso è in qualche modo identico, e che l'identico è diverso, tenergli dietro in quella peculiare maniera e anche
secondo quello che egli sostiene che l'uno e l'altro vengono a essere. Ma il mostrare che l'identico sia diverso in una
certa o in un'altra maniera e che il diverso sia l'identico, e il grande piccolo e il simile dissimile, e compiacersi così di
porre innanzi sempre i contrari nei ragionamenti, non è questa una vera confutazione, ma è chiaro che è una posizione
sorta da poco propria di uno che si è accostato da poco tempo all'essere.
TEETETO: è esattamente così .
OSPITE: E difatti, o buon amico, mettere mano a separare tutto da tutto non solo non è ben ordinato ma soprattutto è proprio di uno culturalmente rozzo e lontano dalla filosofia.
TEETETO: E perché?
OSPITE: La soppressione più completa di tutti i ragionamenti consiste nello sciogliere ciascuna posizione dal tutto: infatti attraverso l'intreccio delle forme tra di loro sorge in noi il ragionamento.
TEETETO: è vero.
OSPITE: Considera dunque ora se non è l'occasione appropriata di condurre la polemica con costoro e di forzarli ad ammettere che l'uno aspetto si mescola con l'altro.
TEETETO: Per quale scopo?
OSPITE: Perché il ragionamento per noi appartenga a uno solo dei generi dell'essere. Privati di questo, infatti, che è
quel che più conta, saremo privati della filosofia. E ancora, nel momento presente occorre che noi stabiliamo che cosa è
mai il ragionamento; se ne fossimo privati nel senso che assolutamente non è nulla, in qualche modo non saremmo più
in grado di dire più nulla. E saremmo privati, se lo ammettessimo della possibilità che esista una qualche mescolanza di
una qualunque cosa con un'altra.
TEETETO: è giusto, ma non riesco a comprendere perché dobbiamo stabilire tra noi cos'è il ragionamento.
OSPITE: Ma, forse, seguendomi da questa parte lo comprenderai molto facilmente.
TEETETO: Da quale parte?
OSPITE: Si è già reso manifesto a noi che il non essere è un genere fra gli altri, sparso accanto a tutti gli esseri.
TEETETO: è così .
OSPITE: Dunque, dopo ciò, bisogna considerare se si mescola con l'opinione e con il ragionamento.
TEETETO: E perché?
OSPITE: Se questo non si mescola a opinione e ragionamento è necessario che tutto sia vero; se si mescola invece
opinione e ragionamento diventano falsi. Perché opinare e dire quel che non è fa nascere il falso nel pensiero e nel
ragionamento.
TEETETO: è così .
OSPITE: E quando c'è il falso c'è anche l'inganno.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E se c'è l'inganno ne consegue che tutto sia pieno di parvenze, di immagini, di apparenze.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma noi dicevamo che il sofista si era rifugiato in questo luogo, lui che pretendeva essere la negazione
assoluta dell'esistenza del falso, perché a suo parere, non si può né pensare né dire il non essere, in quanto il non essere
non ha alcuna parte in nessun modo della realtà.
TEETETO: Era quel che diceva.
OSPITE: Ora invece è apparso chiaro che ha parte dell'essere, tanto che su questo punto non vorrà ancora fare
polemiche. Potrebbe forse sostenere che degli aspetti, alcuni parte del non essere, altri no, e che il ragionamento e
l'opinione sono di quelli che non ne hanno parte, tanto che quanto all'arte che produce raffigurazioni e immagini, nella
quale sosteniamo che lui si trova, egli potrebbe ancora polemizzare che assolutamente non è, poiché opinione e
ragionamento non hanno parte col non essere; non può esistere dunque assolutamente il falso, dal momento che non
sussiste questa comunanza. Per questi motivi dobbiamo considerare prima cosa sono ragionamenti, opinione,
immaginazione, perché una volta che ci siano manifeste, possiamo ancora vedere la comunanza di esse con il non
essere, e, dopo averlo constatato, dimostrare che il falso esiste e, dimostrato questo, possiamo mettere in lacci su questo
punto il sofista, se è colpevole, oppure lasciandolo andare, farne la ricerca in un altro genere.
TEETETO: Come pare, ospite, sembra perfettamente vero quanto è stato detto fin dall'inizio riguardo il sofista, che
è un genere difficile da prendere a caccia. Pare infatti che si carichi di problemi, dei quali quando ne getta innanzi uno è
necessario contrastarlo in ogni modo prima di potere raggiungere lui. Ora, a fatica, siamo andati oltre a quello gettato
innanzi nel senso che il non essere non è, e ne viene gettato innanzi un altro, e occorre dimostrare che il falso è e
secondo ragionamento e secondo opinione, e dopo questo forse un altro ancora, e ancora un altro dopo quello.
E la fine, come pare, non si potrà mai vedere.
OSPITE: Coraggio, Teeteto. Chi ha qualche possibilità, pur se modesta, deve procedere sempre avanti. Se si
scoraggia in questi frangenti, che potrebbe fare in altri, in cui non riuscisse a portare a compimento nulla, o anche di
nuovo fosse respinto all'indietro?
Piuttosto tardi, dice il proverbio, uno di questi tali potrebbe conquistare una città. Ora, mio buon amico, siccome si è
andati oltre a quello che tu dici, è stata espugnata da noi la fortezza più grande, le altre questioni ormai sono facili e di
minore conto.
TEETETO: Dici bene.
OSPITE: Consideriamo ora per prima cosa, come è stato detto poco fa, ragionamento e opinione per renderci conto
più chiaramente se il non essere si congiunge con essi, o se l'uno e l'altro sono veri in modo assoluto, e nessuno dei due
è falso.
TEETETO: è giusto.
OSPITE: Orsù, secondo quanto si diceva sugli aspetti e sulle lettere, facciamo di nuovo l'esame allo stesso modo sui
nomi.
Apparirà infatti in qualche maniera quanto ora viene ricercato.
TEETETO: E quale problema dobbiamo ascoltare sui nomi?
OSPITE: Se tutti sono in armonia tra di loro o nessuno; se alcuni tendono ad armonizzarsi e altri no.
TEETETO: Questo almeno è chiaro che alcuni tendono ad armonizzarsi, altri invece no.
OSPITE: Tu, forse, intendi dire questo: le parole pronunciate l'una dopo l'altra e che hanno una qualche
significazione, queste appunto si armonizzano, quelle invece che pure in serie ininterrotta non significano nulla, non si
lasciano armonizzare.
TEETETO: E cosa intendi dire con questo?
OSPITE: Ciò per cui credevo tu avessi pensato a dirti d'accordo. Noi abbiamo, nel linguaggio, un doppio genere di
indicazioni circa l'essenza.
TEETETO: Quali sono?
OSPITE: L'uno è chiamato «nomi», l'altro «espressioni».
TEETETO: Spiegami l'uno e l'altro.
OSPITE: L'indicazione che abitualmente designa le azioni noi la chiamiamo verbo.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E il segnale della voce che viene posto secondo quelli che le compaiono viene chiamato «nome».
TEETETO: Esattamente.
OSPITE: Ora, solo con i nomi, pur messi in fila, non è possibile mai avere un discorso e neppure con verbi separati
dai nomi.
TEETETO: A questo punto non ci sono arrivato.
OSPITE: è chiaro che tu ti fissavi su qualcos'altro, quando, poco fa, ti dicevi d'accordo. Poiché è proprio questo che
io volevo dire, che questi nomi, anche se vengono detti, così , di seguito, non danno luogo a un discorso.
TEETETO: Come?
OSPITE: Per esempio: «marcia», «corre», «dorme» e quanti altri verbi designano azioni, anche se uno li pronuncia
tutti in fila, per nulla di più costruisce un discorso.
TEETETO: E come potrebbe farlo?
OSPITE: E ancora quando si dice «leone», «cerbiatto», «cavallo» e quanti altri nomi furono attribuiti a quelli che
compiono le azioni, neppure secondo questa serie mai si realizzò un discorso. Perché né in questa né in quella maniera
le parole pronunziate non indicano né azione, né inazione, né realtà dell'essere, né del non essere prima che qualcuno
non abbia fuso i verbi con i nomi. Allora si armonizzano e il primo intreccio diviene subito un discorso, quasi il più
semplice e il più piccolo dei discorsi.
TEETETO: E in quale senso dici questo?
OSPITE: Quancio qualcuno dice: «L'uomo impara» non ammetti anche tu che questo è il più corto e il più semplice
dei discorsi?
TEETETO: Sì .
OSPITE: Già allora, infatti, in qualche modo esprime le cose che sono, che divengono, che sono divenute, che
diverranno e non nomina solo, ma porta a compimento qualcosa intrecciando i verbi con i nomi. Perciò noi diciamo che
parla e non fa soltanto dei nomi e appunto a questo tessuto attribuiamo il nome di discorso.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: E così , come avveniva per le cose, che alcune stavano in armonia con le altre, e alcune no, così avviene
anche per le significazioni della voce: alcune non si armonizzano, altre invece armonizzandosi tra di loro creano il
discorso.
TEETETO: è certamente così .
OSPITE: C'è ancora questa piccola questione.
TEETETO: Quale?
OSPITE: Un discorso è necessario, quando vi sia, che sia un discorso di qualcosa, mentre è impossibile che non lo
sia di qualcosa.
TEETETO: Infatti.
OSPITE: E non dovrà anche essere di una determinata natura?
TEETETO: Come no?
OSPITE: Volgiamo la mente a noi stessi.
TEETETO: Ce n'è bisogno.
OSPITE: Ti dirò un discorso ponendo insieme oggetto ad azione tramite il nome e il verbo. Tu dovrai dirmi su cosa
verta il discorso.
TEETETO: Sarà così secondo le mie possibilità.
OSPITE: «Teeteto siede». è forse un discorso lungo?
TEETETO: No, è misurato.
OSPITE: è tuo compito dire intorno a cosa riguarda e a chi.
TEETETO: è chiaro intorno a me e su me.
OSPITE: E cosa dire su quest'altro?
TEETETO: Quale?
OSPITE: «Teeteto, con il quale ora parlo, vola».
TEETETO: Anche su questo non si può dire altro eccetto che riguarda me ed è su me.
OSPITE: E possiamo dire che ciascun discorso, necessariamente, ha una sua qualità?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E di queste quale bisogna dire che ha ognuno di essi?
TEETETO: Che l'una in qualche modo è vera, l'altra invece falsa.
OSPITE: E quello fra essi che è vero dice a tuo proposito quello che è come è.
TEETETO: E che cosa se no?
OSPITE: E il falso dice cose diverse da quelle che sono?
TEETETO: Sì .
OSPITE: Dice dunque le cose che non sono come se fossero.
TEETETO: Un presso a poco.
OSPITE: Dice cose che sono diverse da quelle che sono a tuo riguardo.
Dicevamo infatti che su ciascun oggetto ci sono molte cose che sono e molte che non sono.
TEETETO: Esattamente.
OSPITE: Ora, il discorso che ho detto su di te successivamente, per prima cosa, da quando abbiamo fissato che è il
discorso, è gioco-forza che sia uno dei più brevi.
TEETETO: Proprio ora lo abbiamo riconosciuto.
OSPITE: Poi che riguardi qualcuno.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ora, se non è a tuo riguardo non lo è nemmeno di un altro.
TEETETO: E in che modo potrebbe esserlo?
OSPITE: Ma non essendo a riguardo di nessuno non potrebbe nemmeno, nel modo più assoluto, essere un discorso:
abbiamo infatti dimostrato che era tra le cose più impossibili che, essendo un discorso non fosse un discorso di nessuno.
TEETETO: è molto giusto.
OSPITE: Quanto è detto su di te, detto poi in un senso e in un altro, come se fossero le cose che non sono, nel modo
più assoluto una tale combinazione fatta di verbi e di nomi viene a essere realmente e veramente un discorso falso.
TEETETO: è verissimo.
OSPITE: Ebbene? Pensiero, opinione, immaginazione, non è chiaro ormai che tutti sorgono veri e falsi nella nostra
anima?
TEETETO: Come?
OSPITE: Lo saprai più facilmente se prima capirai cosa mai siano e in che cosa differiscano per ciascuno gli uni
dagli altri.
TEETETO: Basta che tu me lo conceda.
OSPITE: Pensiero e discorso dunque sono la stessa cosa: solo che l'uno è il dialogo che avviene all'interno
dell'anima con se stessa senza parole, ed è proprio questo che viene chiamato pensiero. (42) TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ma il flusso dall'anima che vien fuori attraverso la bocca insieme con la voce viene chiamato discorso.
TEETETO: è vero.
OSPITE: Ma nei discorsi noi sappiamo che c'è...
TEETETO: Cosa?
OSPITE: L'affermazione e la negazione.
TEETETO: Lo sappiamo.
OSPITE: Ora quando avviene nell'anima secondo il pensiero, ma in silenzio, avresti di che chiamarlo se non
opinione?
TEETETO: E come?
OSPITE: Ma allorché si presenta a qualcuno, non di per se stesso, ma attraverso una sensazione, una tale esperienza
in quale altro modo si potrebbe correttamente chiamare se non immaginazione?
TEETETO: In nessuno.
OSPITE: E poiché si è dato un discorso vero a un discorso falso, e fra questi poi si è manifestato il pensiero, come
dialogo dell'anima con se stessa, e l'opinione come risultato del pensiero, e quello che denominiamo «sembra» è una
mistione di sensazione e di opinione, ne consegue che anche di queste condizioni che sono congeneri al discorso alcune
fra esse e talvolta siano false.
TEETETO: Come no?
OSPITE: E ti accorgi dunque che opinione e discorso falso sono stati trovati prima di quanto non fosse l'aspettativa
quando, poco fa, avevamo timore di lanciarci in un'impresa del tutto interminabile, compiendo questa ricerca?
TEETETO: Me ne accorgo.
OSPITE: Allora non scoraggiamoci nemmeno per il resto. Siccome oramai queste cose ci si sono manifestate,
ricordiamoci delle distinzioni operate prima secondo gli aspetti.
TEETETO: E quali?
OSPITE: Distinguiamo due aspetti dell'arte figurativa, l'una che fa le rappresentazioni, l'altra le apparenze.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E dicemmo anche che eravamo nell'incertezza in quale delle due fosse il sofista.
TEETETO: Era proprio così .
OSPITE: E mentre ci dibattevamo in questa incertezza, fummo colti da una vertigine ancora più grande al
manifestarsi del ragionamento che mette in discussione tutto, secondo cui immagine, simulacro, apparenze non sono
assolutamente, dato che non esiste alcun falso né alcuna circostanza, né in alcun luogo.
TEETETO: Dici il vero.
OSPITE: Ma ora, poiché è apparso chiaro che c'è discorso e opinione falsa, ammetti pure che sono imitazioni degli
esseri e che da questa disposizione ne puo venire un'arte tesa all'inganno.
TEETETO: Si può concedere.
OSPITE: E che il sofista apparteneva a uno di questi due aspetti era stato riconosciuto da noi anche nelle
considerazioni di prima.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Dunque mettiamo mano ancora dividendo in due tronconi il genere proposto, a farci avanti sempre verso la
destra di ciò che è stato sceverato, tenendoci alla comunanza con il sofista, finché, togliendo via tutto quello che è in
comune con lui, e lasciandogli la sua congenita natura, possiamo dimostrare, soprattutto a noi stessi, quale è, poi anche
a quelli che, per natura, sono molto vicini al genere di un tale metodo.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: Dunque non abbiamo dato inizio facendo distinzione fra l'arte del creare e quella di acquistare?
TEETETO: Sì .
OSPITE: E nell'arte d'acquistare non si mostrava a noi il tratto del sofista nella caccia, nella competizione, nel
commercio e in alcuni altri aspetti simili?
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ora, poiché l'arte della imitazione lo ha incluso in sé, è evidente che è l'arte del creare che per prima va
divisa in due; l'imitazione infatti è una sorte di creazione, noi diciamo di immagini, ma non di cose autentiche. O no?
TEETETO: Certamente sì .
OSPITE: Dell'arte della creazione, per prima cosa, due siano le parti.
TEETETO: Quali?
OSPITE: L'una divina e l'altra umana.
TEETETO: Non ho ancora capito.
OSPITE: Arte della creazione, se concordiamo le cose dette all'inizio, affermavamo che è ogni potenza che divenga
causa alle cose che non erano prima di divenire dopo.
TEETETO: Me ne ricordo.
OSPITE: Ebbene tutti gli esseri mortali e quante piante sulla terra germogliano da semi e da radici e quanto senza
animazione sta sulla terra, corpi atti a liquefarsi e a non liquefarsi, non diremo che sorgono poi per opera di un altro
artefice che non sia dio dal momento che prima non erano? O dobbiamo avvalerci dell'opinione e del detto dei molti?
TEETETO: E quale?
OSPITE: Quello secondo cui la natura li crea per una causa nativa e senza un pensiero che li faccia nascere, o si
deve ritenere che siano nati secondo un criterio prestabilito e da una scienza divina che proviene dal dio?
TEETETO: Io, probabilmente a causa della mia età, spesso cambio parere da una tesi all'altra; ma ora guardando te e
comprendendo che tu ritenga che essi siano creati per intervento del dio, la penso anch'io a questa maniera.
OSPITE: Bene, Teeteto. E se anche pensassi che sei uno di quelli che in seguito potranno pensarla altrimenti, ora
con un ragionamento sorretto da logica stringente, tenterò di farti concordare. Dato però che comprendo la tua natura,
che, anche senza i nostri discorsi, si volge da sola a ciò da cui dici di essere attratto, lascerò andare: sarebbe tempo
sprecato. Ma porrò che le cose che si dicono create da natura sono opera di un'arte divina, e quelle composte dagli
uomini in derivazione dalle prime, sono fatte da arte umanaa, e secondo questo ragionamento due sono i generi dell'arte
della creazione: l'uno divino, l'altro umano.
TEETETO: Giusto.
OSPITE: Dividi pure ora di nuovo, l'una e l'altra in due parti.
TEETETO: Come?
OSPITE: Come allora hai diviso tutta l'arte della creazione in estensione, ora, invece, fallo di nuovo in lunghezza.
TEETETO: Si tagli pure!
OSPITEE: Così quattro diventano le sue parti: due, in riferimento a noi, sono umane, le altre due, in riferimento agli
dèi, sono divine.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Ma le parti poi divise di nuovo in senso opposto, tagliando l'arte della creazione a una parte per volta da
ciascuna parte, le parti restanti possono essere chiamate, quasi con esattezza, arti che creano le immagini. E secondo
queste, l'arte della creazione verrà divisa di nuovo in due parti.(43)
TEETETO: Esponi pure come è di nuovo l'una e
l'altra.
OSPITE: Noi, in qualche modo, e gli altri esseri viventi e gli elementi primi da cui tutte le cose sono generate, il
fuoco e l'acqua e quelli congiunti a queste cose, sappiamo che sono tutte generate da dio e create da lui a una a una. O
no?
TEETETO: Sì .
OSPITE: Di ciascuna di queste seguono delle immagini, non reali, ma create anch'esse da un'arte divina.
TEETETO: Quali?
OSPITE: Quelle che avvengono nel sonno e quante anche di giorno vengono chiamate «parvenze naturali», l'ombra
quando nel fuoco sorge improvvisa una tenebra, quando una doppia luce, una consueta e l'altra estranea, si congiunge in
una sola e su piani splendidi e levigati determina un aspetto che provoca una sensazione contraria a quella che
abitualmente si aveva prima.
TEETETO: Due allora sono le opere della creazione divina, l'oggetto reale e l'immagine che a ciascuno di essi tiene
dietro.
OSPITE: E che dire dell'arte nostra, quella degli uomini? Non costruisce forse le case con l'edilizia e un'altra sorta di
abitazione con la pittura, che è come un sogno umano fatto per chi è desto?
TEETETO: Ma certamente.
OSPITE: Così dunque anche della nostra arte umana del creare si può avere la distinzione in due come due sono le
specie di opere che la riguardano: diciamo la cosa e avremo l'arte creatrice di cose; e diremo immagine e avremo l'arte
creatrice di immagine.
TEETETO: Ora ho compreso meglio e pongo due specie al doppio aspetto dell'arte di creazione, secondo un taglio
netto arte divina e arte umana, secondo un altro possibilità creatrice delle cose stesse, e capacità creatrice delle cose loro
somigliantissime.
OSPITE: Ma dell'arte creatrice di immagini ricordiamo che ci doveva essere come genere, l'uno che è arte di creare
le raffigurazioni e l'altro le apparenze, se il falso era realmente falso e che fosse manifesto di essere per natura come uno
degli esseri.
TEETETO: Era infatti così che si diceva.
OSPITE: Si manifestavano dunque, e per queste ragioni ne faremo la conta, senza discussione, due aspetti.
TEETETO: Sì .
OSPITE: L'aspetto dell'apparenza, dunque, lo dividiamo ancora una volta in due.
TEETETO: E come?
OSPITE: Vi è un'apparenza che avviene per mezzo di strumenti, un'altra invece ove lo stesso creatore dell'apparenza
offre se stesso come strumento.
TEETETO: Come dici?
OSPITE: A mio parere quando qualcuno avvalendosi del proprio corpo intende farne apparire le linee identiche alle
tue o della propria voce per renderla simile alla tua, questo processo dell'arte dell'apparenza viene chiamato con
esattezza mimica.
TEETETO: Sì .
OSPITE: Riserviamoci dunque questo aspetto dell'arte delle apparenze chiamandolo mimetico. Tutto l'altro poi
lasciamolo da parte, perché stanchi, e lasciamo pure che un altro lo riconduca a unità e gli attribuisca un nome a lui
confacente.
TEETETO: Parte dunque venga riservata, l'altra venga accantonata.
OSPITE: Ma anche questo, Teeteto, vale la pena di considerarlo ancora doppio. Cerca di capire per quali ragioni.
TEETETO: Di' pure.
OSPITE: Alcuni imitatori compiono questa operazione sapendo bene quello che imitano, altri, invece, senza saperlo.
E quale distinzione più seria porremo noi che misconosere e conoscere?
TEETETO: Nessuna.
OSPITE: L'imitazione dunque della quale si diceva poco fa era quella di chi sa; qualcuno infatti, conoscendo te e i
tuoi lineamenti, potrebbe imitarli.
TEETETO: Come no?
OSPITE: Ma che dire della forma della giustizia e complessivamente di tutta la virtù? Non sono dunque molti che,
pur non conoscendola, ma in qualche modo raffigurandosela, compiono ogni sforzo per farla apparire come cosa
presente in essi, dandosi a imitarla in particolar modo con le opere e con le parole?
TEETETO: Certamente ce ne sono molti.
OSPITE: E forse dunque tutti ottengono di sembrare giusti, pur non essendolo affatto, o avviene tutto il contrario di
questo?
TEETETO: Tutto il contrario.
OSPITE: Occorre dire dunque a mio parere che questo è un imitatore differente da quello di prima, questo che non
conosce, e quello invece che sa.
TEETETO: Sì .
OSPITE: E dove prendere poi un nome che si addica all'uno e all'altro di essi? è evidente infatti che è difficile,
poiché, come pare, c'era un'antica e stolta indolenza di dividere i generi secondo gli aspetti in quelli che se ne sono
occupati prima, tanto che nessuno ha posto mano a effettuare la distinzione. Ed è per questo che vi è necessità di fare
provvigione di nomi. Tuttavia, anche se è alquanto ardito dirlo in questo modo, per fare una distinzione, chiameremo
l'imitazione che avviene con l'opinione «dossomimetica», e quella che avviene con conoscenza una «imitazione
cognitiva».
TEETETO: Sia pure così .
OSPITE: Dunque ci si deve avvalere della prima: il sofista infatti non si trova tra chi sa, ma tra chi imita.
TEETETO: Certamente.
OSPITE: Ora esaminiamo il «dossoimitatore» come un ferro, per vedere se è sano o se si trova con qualche piega in
sé.
TEETETO: Certamente. Esaminiamolo pure.
OSPITE: Ne ha dunque, e parecchie. Una fra queste è l'imitazione del balordo, che crede di sapere quello di cui ha
appena una opinione; quanto ai lineamenti ostentati dall'altro, per l'incessante stravolgimento che opera nei
ragionamenti, ha sempre molto sospetto e timore di non conoscere quelle cose per le quali di fronte agli altri si atteggia
come uno che le conosce bene.
TEETETO: è proprio così il genere di ciascuno dei due di cui parli.
OSPITE: E dunque possiamo supporre l'uno come «imitatore semplice», l'altro come «imitatore ironico»?
TEETETO: è verisimile.
OSPITE: E del secondo, poi, dobbiamo dire che è un solo genere, oppure due?
TEETETO: Vedi tu.
OSPITE: Considerando la cosa, a me pare siano due. Vedo l'uno capace di fare ironia in pubblico, con lunghi
discorsi, di fronte alle moltitudini; l'altro in privato, con brevi discorsi che costringono l'interlocutore a venire in
contraddizione con se stesso.
TEETETO: è molto vero quello che dici.
OSPITE: E quale mostreremo quale soggetto dei discorsi lunghi: il politico o il demagogo?
TEETETO: Il demagogo.
OSPITE: E che dire dell'altro? Sapiente o sofista?
TEETETO: è impossibile chiamarlo sapiente, poiché abbiamo posto che non sa.
Ma siccome è un imitatore del sapiente è chiaro che prenderà un nome in qualche modo a lui corrispondente: e ho
capito ormai che lui è proprio quello che occorre chiamare realmente e veramente «sofista».
OSPITE: E dunque lo incateneremo ancora, come prima, concatenando il suo nome dalla fine al principio?
TEETETO: Esattamente.
OSPITE: è stata definita dunque la mimetica dell'arte di contraddizione ironica, parte ancora dell'arte dell'opinione,
quella del genere dell'apparenza che deriva da quella di creare immagini, che è umana e non divina e appartiene all'arte
del creare, come parte che crea mirabilia nei discorsi: di questa genia, di questo sangue chi dicesse che è il sofista
verace, a quel che sembra, direbbe il vero al massimo grado.
TEETETO: è assolutamente così
NOTE AL SOFISTA .
1) Il dialogo segue idealmente lo svolgimento del Teeteto a conclusione del quale Socrate ha dato appuntamento ai suoi interlocutori per avere un nuovo incontro all'indomani presso il portico del Re. Con essi appare un nuovo personaggio: l'ospite di Elea che resta anonimo per tutto il dialogo, e ha il compito di portavoce della dottrina eleatica, cioè di Parmenide e della sua «scuola».
2) Odissea
3) Parmenide di Elea (sesto-quinto secolo a.C.). Fu anche in Atene ove pare che conoscesse
Socrate molto giovane: il suo pensiero è esattamente l'opposto di quello di Eraclito. Da un frammento del suo Sulla
natura in esametri, leggiamo: «L'essere è, il non essere non è». L'essere dunque è uno e immobile, perché con mutazioni
diverrebbe non essere: è compatto e viene rappresentato dalla forma della sfera che non si interrompe mai, in nessun
punto, dal non essere. Parmenide è pure il titolo di un dialogo platonico, quando il filosofo, già avanti negli anni, rivede
criticamente la sua dottrina. (Su Eraclito, anche note 73 e 76 al Cratilo.) Empedocle di Agrigento (quinto secolo a.C.) si
ispirò al pensiero di Eraclito, Parmenide, Pitagora. Per lui sono i quattro elementi fondamentali della filosofia
presocratica a dare costituzione al tutto. Egli li chiamò le «radici» che non hanno nascita, ma dalla loro aggregazione e
dissolvimento avviene il processo inarrestabile del divenire. L'influsso di Parmenide su di lui è dato dal fatto che, nel
suo pensiero, i quattro elementi non subiscono cambiamenti di sorta; quello di Eraclito invece sta nel fatto che la nostra
esperienza è soggetta a continui mutamenti. Dei suoi poemi Sulla natura e Purificazioni ci restano complessivamente circa 500 versi.
4) Il "ti ése" applicato alla realtà, non alla pura parola. Ma soprattutto quando la cosa non c'è dinanzi, attraverso
l'intenzionalità sensitiva, separare il "ti ése" al livello linguistico e il "ti ése" al livello reale è difficile, perché la realtà ci
è dinanzi.
5) Ovviamente non può essere iscritta tra le inanimate l'arte di colui che si immerge sotto l'acqua.
6) Tutto questo giro di parole, come anche di immagini che precedono, è condotto con certa insistenza da Platone
per introdurre gradualmente, con ricchezza di esemplificazioni, il concetto e la figura di sofista.
7) In questa insistita (anche troppo) distinzione di generi, parti e specie, qui Platone parla di commercio diretto e
scambio.
8) Dallo scambio al minuto, che si compie in città, quello appunto di rivenduglioli al dettaglio, al commercio tra
città e città.
9) In breve il testo accenna qui all'arte dei bagni, cioè alla purificazione corporea esterna.
10) Si coglie in questo arzigogolato ragionamento una sorta di positivismo conguagliatorio: quasi un culto delle
distinzioni più ampie, quali che siano e non di fatti.
11) Appare qui superato l'intelletto etico: malattia, bruttezza, discordia, sproporzione, iniquità, ignoranza
(sproporzione tra anima e mira dell'anima). Come combatterli: ad esempio la ginnastica dell'anima è l'insegnare.
12) L'insegnare dunque, come si diceva, è visto come ginnastica dell'anima.
13) L'educazione dunque viene considerata come ginnastica mentale (dell'anima) che riesce a togliere l'ignoranza
dell'ignoranza.
14) La sofistica nobile, quella appunto che attraverso l'arte di educare contesta la credenza di chi pensa di sapere
senza sapere nulla, viene distinta da tutte le altre forme di sofistica.
15) Tra gli argomenti che si dibattevano negli incontri con i sofisti c'erano anche quelli della "polusophía"
'conoscenza di molte cose', e "pansophía" 'conoscenza di tutto'.
16) L'arconte re istruiva i processi: il sofista, dunque, come incantatore, mago, in fondo seduttore della gioventù,
doveva dare conto del suo operato.
Non si dimentichi che Socrate fu tratto in tribunale, giudicato e condannato presso a poco con tali accuse.
17) FrammentO dal poema di Parmenide Sulla natura, del quale possediamo ampi resti ad opera di Sesto Empirico,
di Simplicio e dello stesso Aristotele, che ne riportò in alcuni suoi trattati. La tesi principale di Parmenide è: «L'essere è,
il non essere non è».
18) Davvero efficace questa presentazione di filosofo astratto.
19) In queste ultime battute si può cogliere, almeno in forma implicita, già nella sofistica un metodo definitorio; e
c'è anche chi avanza il dubbio che possa essere vera la tesi di chi vede nella sofistica a grandi linee la tematica di
Socrate.
20) Nel Teeteto l'errore era visto nello scambio di una idea con un'altra o con un sensibile; e anche là apparivano
difficoltà. Qui l'errore è nel pensiero del non essere.
21) Per la scuola di Elea e Parmenide si veda la nota 3. Senofane di Colofone (sesto-quinto secolo a.C.) fu poeta e
filosofo. Per vivere esercitò il mestiere di rapsodo, non sempre ricavandone gli annessi guadagni, perché, secondo la
tradizione, ai versi omerici che recitava, faceva seguire i suoi commenti critici contro l'antropomorfismo della tradizione
e il suo politeismo, le pecche più che umane di cui sarebbero continuamente macchiati gli dèi. Tanto si ricava da un suo
poema didascalico, intitolato "Silloi", di cui restano scarsi frammenti. Affermò la superiorità della poesia e soprattutto
del pensiero sul valore che emergeva dalle gare di Olimpia che altro non erano che una esaltazione della forza e della
destrezza fisica. C'è chi lo considera come precursore del monismo cioè dell'Essere Uno della scuola di Elea e chi,
spostando più verso noi il ciclo della sua esistenza ne fa un divulgatore. Oltre alla critica contro l'antropomorfismo
politeistico il suo pensiero si segnala per aver tratteggiato un concetto di divinità secondo i canoni del posizioni "lógos
('ragione') facendone un essere unico, non mai generato, sufficiente per sé e in grado di compiere qualunque cosa con la
sola potenza del pensiero.
22) Per Muse della Ionia e della Sicilia devono intendersi rispettivamente Eraclito di Efeso e Empedocle di
Agrigento.
23) Notevole in Platone questo atteggiamento nei confronti e contro certa filosofia che non "dialoga".
24) Ancora una citazione dal Sulla natura di Parmenide.
25) Nelle ultime battute dell'ospite relative alla divisione in parti del tutto o tutto-uno e all'indivisibilità dello stesso
ente si assiste al superamento rispettivamente e al non superamento della posizione parmenidea.
26) L'essere dunque qui viene considerato come "potenza" di agire e patire, di influire a essere influenzato.
27) Dopo la distinzione fra essenza e divenire, il divenire viene visto anche come oggetto di sensazione (altrove di
opinione).
28) Le questioni qui si fanno sempre più sottili e insidiose: l'essere conosciuto è azione? Oppure l'essere conosciuto
è passione? E se l'essenza è mossa nell'essere conosciuto, allora non è più immutabile.
29) Condizioni oggettive dell'intelletto dunque sono idee di relazione: profondissime.
30) L'"essere" dunque è mobile e immobile a un tempo: e la definizione dell'"essere" non può che comprendere
moto e stasi.
31) Si nota qui un parallelismo gnoseologico fra essere e non essere: sciogliere le aporie dell'uno vuol dire sciogliere
quelle dell'altro.
32) è l'obiezione più radicale che si fa alla scuola di Megara e che la riconduce all'eleatismo.
33) Personaggio di cui sappiamo ben poco: godeva fama di poter predire il futuro per una voce che glielo suggeriva
dall'interno.
34) In Eraclito questo verrebbe visto come partecipazione fra gli opposti.
35) Siccome le tre possibilità sono state vagliate è il caso di dire: quartum non datur!
36) La scienza dialettica dunque, o filosofia, è vista qui come la musica delle idee, che sa quali sono gli accordi fra
esse idee o aspetti.
37) La differenza che intercorre fra filosofo e sofista è la stessa che sussiste tra luce e tenebre. Che la mente dei più
non possa elevarsi alla contemplazione divina è concetto svolto con ampiezza nella Repubblica.
38) Qui si tocca la questione dell'essere assoluto e relativo e cioè tra identità e diversità.
39) Dell'essere dunque qui viene vista la molteplicità, del non essere l'infinità.
40) La relatività del diverso è concepita come divisione del diverso (atomisticamente).
41) Vengono ripresi i versi parmenidei già citati.
42) Il pensiero dunque è uguale al dialogo dell'anima con se stessa al proprio interno senza parole.
43) E' il solito e ormal abusato procedimento. A parte il rigore dell'argomentazione, nel Sofista si avverte un senso di
maggiore pesantezza rispetto ai dialoghi precedenti. La stessa assenza di Socrate (presente come maschera muta) toglie
alla discussione l'abituale, fresca immediatezza.
Il personaggio di Teeteto, che nell'omonimo dialogo appariva come un giovinetto desideroso di apprendere, qui ha
un ruolo del tutto strumentale: quando non formula qualche domanda per introdurre un nuovo argomento, si limita a
reiterate professioni dì assenso alle posizioni dell'ospite.
Per certo siamo di fronte a un momento marcato del progressivo distacco di Platone dal pensiero di Socrate. Resta,
certo, la confutazione serrata delle posizioni sofistiche, condotta, tuttavia, quasi utilizzando propriO le peculiari
inclinazioni analitiche dei sofisti, la loro attitudine a introdurre una serie di sottili suddivisioni e distinguo. D'altro canto,
il giovane Platone aveva ben potuto conoscere e sperimentare da vicino quella tecnica argomentativa, sia pure posto al
riparo della solida dialettica di Socrate.
AUDIO
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Eugenio Caruso 11- 12 -2019