Empedocle, il padre della chimica

Empedocle (in greco antico Empedoklês) è stato un filosofo e politico siceliota, vissuto nel V secolo a.C. ad Akragas (oggi Agrigento). Stabilire con sufficiente precisione il periodo in cui è vissuto Empedocle è di importanza fondamentale per cogliere l'originalità di questo filosofo rispetto ai suoi predecessori, Parmenide e Anassagora. Dalle testimonianze lasciate da Platone e Aristotele si può arrivare a una cronologia i cui tratti essenziali sono ben attestati dai documenti antichi. Parmenide è di una quindicina di anni più anziano di Anassagora, nato tra il VI e il V secolo. Empedocle, di qualche anno soltanto più giovane di Anassagora, è dunque più vecchio di Democrito, nato una trentina di anni dopo Anassagora nel 470/469. Si sarebbero quindi succeduti per la nascita: Parmenide, Anassagora, Empedocle e Democrito.
Secondo il racconto di Diogene Laerzio, Empedocle nacque da una famiglia antica, nobile e ricca di Agrigento. Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo da Agrigento nel 470, egli partecipò alla vita politica della città negli anni fra il 446 e il 444 a.C., schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei "Mille". La tradizione gli attribuisce uno spirito caritatevole nei confronti dei poveri e severo verso gli aristocratici. Si dice anche che abbia rifiutato il governo della città che gli era stato offerto. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso, dove forse conobbe Protagora e Erodoto. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia. Il suo atteggiamento politico non è ben chiaro se Diogene Laerzio afferma:
«Successivamente Empedocle abolì anche l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici. Anche Timeo nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui - dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: "Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro". Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo posteriore, quando Agrigento era in balìa delle contese civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì.» (Diogene Laerzio, VIII,66,67)
Secondo il racconto di Diogene Laerzio, si iscrisse alla Scuola pitagorica divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti: secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la tradizione. L'edizione, fondamentale dell'opera di Empedocle la si deve al filologo francese Jean Bollack che nel 1969 tradusse correttamente il titolo come Les Origines. Dei circa duemila versi che componevano l'opera ne conservavamo, fino a qualche decennio fa, solo trecentocinquanta. Nel 1990 il filologo belga Alain Martin avviò lo studio di un papiro conservato presso la Biblioteca Nazionale e Universitaria di Strasburgo proveniente dall'antica città egiziana di Panopoli (oggi Achmim) databile intorno al I secolo d.C.. La traduzione di questo papiro, che conteneva per l'appunto l'opera di Empedocle, realizzata dallo stesso Martin insieme al filologo tedesco Oliver Primavesi, ci ha consegnato complessivi settantaquattro esametri dei quali venticinque coincidono con quelli già posseduti.
«Ma da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini,
lo sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine.»
(Empedocle, D-K 31 B 28, traduzione di Ilaria Ramelli e Angelo Tonelli, in I Presocratici a cura di Giovanni Reale, Bompiani, Milano 2006-2012, pp. 670-671)
In Empedocle, Amore è indicato anche con il nome di Afrodite, o con il suo appellativo di Kýpris, indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita». Tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del De rerum natura. In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto.
«Empedocle occupa un posto a parte nella storia della filosofia presocratica. Se si prescinde da quella figura poco conosciuta e per qualche verso mitica che è Pitagora, egli appare in effetti il primo autore dell'antichità a voler riunire contemporaneamente in un solo e medesimo sistema concezioni filosofiche e credenze religiose. [....] nessun pensatore prima di lui aveva inserito all'interno di un quadro filosofico questa corrente di idee mistiche delle quali si troverà più tardi l'eco nelle iscrizioni funerarie dell'Italia meridionale e nei dialoghi di Platone: per Empedocle, infatti, come per gli anonimi autori delle iscrizioni funerarie, l'uomo, essendo di origine divina, non raggiungerà la vera felicità che dopo la morte, quando si riunirà alla compagnia degli dèi.» (Denis O' Brien, Empedocle in Il sapere greco. Dizionario critico, vol. 2. Torino, Einaudi, 2007, p. 80).
Di Empedocle conserviamo due opere: Sulle Origini o Sulla Natura e Purificazioni; anche se è stata sollevata l'ipotesi, priva di sufficiente fondamento, che questi due titoli si riferiscano a una singola opera.
Il timore religioso di Empedocle appare fin dalle prime righe di Origine:
«O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti,
da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente.
E a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia,
io mi rivolgo: ciò che spetta agli effimeri ascoltare,
tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto.
Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria
fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità,
che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza»
.
(Empedocle Poema fisico Libro I Proemio (D-K 31 B 3), traduzione di Carlo Gallavotti. Milano, Mondadori/Fondazione Lorenzo Valla, 2013, p.9)
L'opera di Empedocle si presenta come dipendente dalla concezione di Parmenide dell'Essere che "veramente è", ovvero che nulla nasce e nulla muore e l'Essere sempre permane, laddove cerca, tuttavia, di dare conto della presenza dei fenomeni che l'esperienza evidenzia. La soluzione individuata da Empedocle risiede nel fatto che i fenomeni di nascita e morte sono plausibili qualora li intendessimo come un venire e un andare delle cose per mezzo di mescolanza e separazione, cose che comunque sempre "sono":
«Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita
di nessuna delle cose mortali, né fine alcuna di morte funesta,
ma solo c'è mescolanza e separazione
di cose mescolate, ma il nome di nascita, per queste cose, è usato dagli uomini.»

(Empedocle, D-K 31 B 8, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.I, Milano, Laterza, 2009)
"Origine", "nascita", "morte", sono dunque "mescolanza" e "separazione" di alcune sostanze che sono eterne e indistruttibili. Empedocle individua quindi in quattro "sostanze", da lui indicate con il termine di "radici" primordiali, non nate ed eternamente uguali, l'origine di ogni cosa: fuoco, aria, terra, acqua.
Queste "radici" sono indicate dal filosofo come dèi e chiamati col nome di: Zeus, Era, Adoneo e Nestis. In questo modo «I primi principi si empiono così dell'essenza e del soffio vitale di poteri divini.»
Accanto alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore e Odio, anche Discordia o Contesa; avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" («Amore che avvince»), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile uguale a se stesso e infinito. Egli è Dio e le quattro "radici" le sue "membra", e quando Odio distrugge lo Sfero:
«Tutte, l'una dopo l'altra, fremevano le membra del dio».
Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente alla periferia dello Sfero, le quattro "radici" si separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi: prima bisessuate e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi e femmine, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate; alla fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e femmine, poi esseri bisessuati che finiscono per riunirsi, con le quattro "radici" che li compongono, nello Sfer.
Quando prevale l'amore, tutti gli elementi sono fusi insieme in una sfera perfettamente omogenea senza determinazioni e conflitti interni, isolata in mezzo al nulla, lo sphairos o sfero. Così descrive Empedocle lo stato dello sphairos:
Simile ovunque a se stesso ed ovunque indeterminato,
sfero rotondo che gode la sua solitudine piena.

Così, nel poema successivo, Purificazioni, gli esseri viventi, parti costitutive, dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo.
«È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi
ed eterno, suggellato da vasti giuramenti:
se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto
o se qualcuno abbia peccato giurando un falso giuramento,
i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva,
tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando
nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo
mutando i penosi sentieri della vita.
L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare,
il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi
del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell'etere:
ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano.
Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e vagante
per aver dato fiducia alla furente Contesa.»

(Empedocle, D-K 31 B 115, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009, pp.410-411)
«L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del "demone" decaduto? Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento. L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l'Amore. I "demoni" esiliati "lontano dagli dèi" saranno allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la Discordia.» (Denis O' Brien, Empedocle in La sapienza greca ... p. 90)
«Quando le parti dell'Amore che sono i "demoni" si riuniscono nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente. Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio» (Denis O' Brien, Empedocle in La sapienza greca ... p. 90)
Dal che, come Pitagora, anche a Empedocle ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione carnea:
«Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo sangue dei beati», ed Empedocle dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità della mente?» (D-K 31 B 136, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009)
«Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto,
lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo
coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo ai clamori
dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa.
E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre
dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni.»

(Empedocle D-K 31 B 137, traduzione di Gabriele Giannantoni in Presocratici vol.1, Milano, Mondadori, 2009)
La sua oratoria brillante, la sua conoscenza approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome:
«Scoppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, Empedocle pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese (le acque di) altri due fiumi di quelli vicini: con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessò la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò nel fuoco.»
Si diceva che fosse un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, la guarigione della vecchiaia, e il controllo di vento e pioggia.
I sicelioti lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli.
Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo; mentre Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che, gettatosi nel cratere dell'Etna, il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo. In realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o, come sembra più probabile, nel Peloponneso. Secondo Aristotele, Empedocle morì all'età di 60 anni (ca. 430 a.C.), mentre altri autori affermano che visse fino all'età di 109.
Una biografia di Empedocle scritta da Xanto di Lidia, suo contemporaneo, è andata perduta. A Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. Come già detto, a noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: Sulla natura ( titolo per altro comune a molte opere filosofiche antiche) e Purificazioni. Della prima, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa 400 frammenti di diseguale ampiezza sugli originali 2000 versi, mentre della seconda, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di un centinaio rispetto agli originali 3000. La lingua da lui usata è il dialetto ionico.
Lo stile di Empedocle viene lodato dagli antichi:
«Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico Empedocle scrisse un poema egregio» (Cicerone, De Oratore 1, 217)
«padre della retorica» (Aristotele fr. 1, 9, 65)
Lucrezio (De rerum natura 727 ss.) lo prende addirittura come modello. Ernest Renan lo definisce «uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo Cagliostro».
RIASSUMENDO : Empedocle era dell’opinione che tutta la materia non fosse altro che una sostanza derivante da varie combinazioni di quattro elementi fondamentali: acqua, terra, fuoco ed aria. Due ulteriori principi, amore e odio, agirebbero sulle sostanze primordiali combinandole e separandole in infinite combinazioni. Questa teoria gli vale il titolo di padre della chimica (non si indigni l'anima di Boyle); infatti il concetto dell'esistenza di composti primordiali che si combinano e si separano è proprio alla base della chimica. In epoche successive vennero aggiunte particolari proprietà, agli elementi fondamentali di Empedocle. Aristotele attribuì ad ogni elemento elencato da Empedocle due attributi (caldo/freddo e secco/umido) mentre Platone, uno dei padri fondatori della geometria solida, associò ad ognuno di essi una particolare conformazione tridimensionale (tetraedri, ottaedri, dodecaedri, ecc.)

La natura del colore delle cose
Tra i pochi frammenti degli scritti di Empedocle che ci sono pervenuti, alcuni riguardano il colore. Il punto centrale del suo pensiero sul colore è contenuto nel frammento 71, in cui afferma che le cose di questo mondo sono caratterizzate oltre che dalla forma anche dal colore. E poiché le cose sono costituite dai quattro elementi fondamentali, ci deve essere una relazione tra gli elementi che formano le cose e i colori delle cose stesse. La relazione è la seguente: due dei quattro elementi fondamentali, il fuoco e l’acqua, sono colorati. Il colore del fuoco è il bianco, il colore dell’acqua è il nero. Il sole, per esempio, è fuoco e produce la luce che è chiara, dunque al fuoco è assegnato il bianco. La pioggia, invece, è acqua, ed è presentata come scura, dunque all’acqua è assegnato il nero. Bianco e nero, come sempre nell’antica Grecia, significano anche rispettivamente chiaro e scuro. Gli altri due elementi, l’aria e la terra, rimangono senza colore. Aezio ( dossografo greco del I secolo d.C.) scrive che a questi elementi Empedocle associa giallo e rosso, senza esplicitare l’associazione, e questa idea verrà ripresa da altri studiosi, ma è molto probabile che si tratti di una tradizione che attribuisce a Empedocle un’idea non sua. D’altra parte Empedocle, che postula il colore bianco del fuoco e il colore nero dell’acqua, afferma che dall’accostamento di bianco e nero vengono generati tutti gli altri colori. Questa affermazione verrà sostenuta da gran parte dei filosofi antichi, a cominciare dal più influente, Aristotele, e sarà considerata valida per tutto il Medioevo. Per cercare di avvicinarci al pensiero di Empedocle possiamo pensare all’arcobaleno, che è formato dalla luce del sole e dall’acqua della pioggia, e dunque i suoi colori sono il risultato della combinazione di particelle di fuoco e di acqua e in fin dei conti di bianco e di nero. Si può anche partire dal colore del sole, che è fuoco, e che Empedocle dice bianco, ma che non rimane sempre bianco. A mezzogiorno lo è, ma all’alba e durante l’aurora può apparire di colore lilla, pesca, arancio; e al tramonto può apparire giallo, arancio, rosa, rosso, i colori che vengono prodotti dall’incontro tra le particelle del sole (bianco, chiaro) che si combinano in varie proporzioni con le particelle dell’acqua (nera, scura) che esiste nell’atmosfera e che cambiano man mano che la quantità di acqua aumenta e quella di fuoco si riduce al minimo. Oppure si può partire dall’altro estremo, cioè dal colore dell’acqua, che Empedocle dice nera, ma non rimane sempre nera perché il colore cambia in funzione dell’illuminazione. Nel profondo del mare appare blu scura e nera, ma se è illuminata dal sole (fuoco) può apparire azzurra o anche bianca. In questo caso la produzione dei colori è il risultato della combinazione di acqua con parti di fuoco emesso dal sole in diverse proporzioni. Dunque per Empedocle tutti i colori sono generati dal bianco e dal nero, o meglio sono prodotti dalla combinazione di chiaro e di scuro. Solo nel XVII secolo Newton darà al colore la sistemazione oggi accettata dalla scienza moderna ma, curiosamente, poco dopo Newton, la teoria di Empedocle verrà rivalutata da Johann Wolfgang von Goethe che la porrà alla base della sua teoria del colore, la Farbenlehre, che tuttavia veniva considerata, in questa parte, errata già ai tempi di Goethe stesso.

L’anatomia dell’occhio
Empedocle si occupa anche dell’occhio e afferma che è completamente costituito da fuoco e acqua. Famosa è la similitudine della lanterna:
Come nella notte tempestosa qualcuno, pensando di uscire,
si arma di un lume, splendore di fuoco ardente,
e adatta lanterne [con teli] che riparano da ogni genere di vento
e disperdono il soffio dei venti che spirano,
ma la luce, proiettandosi fuori, più lontano che può
brilla tra gli spiragli [tra i teli] con raggi infaticabili,
così allora [Afrodite] formò la pupilla rotonda,
il fuoco primordiale stava serrato in membrane e in tessuti sottili
che lo difendevano dall’acqua profonda che circolava intorno,
ma permettevano al fuoco di proiettare fuori, il più lontano possibile

[Empedocle Dell’origine] Frammento 84 DK
L’occhio è come una lanterna nella notte di tempesta, costituito di fuoco (che potrebbe risiedere nel cristallino) che si proietta esternamente, circondato da acqua (gli umori che circondano il cristallino) e tenuto separato da essa da membrane (cioè il cristallino e gli umori rimangono separati). Le proporzioni di acqua e fuoco non sono le stesse per tutti gli individui. Gli occhi scuri hanno più acqua che fuoco; gli occhi chiari più fuoco che acqua. Gli occhi migliori sono quelli in cui acqua e fuoco sono presenti in equilibrio. Gli occhi degli animali che vedono meglio di giorno hanno poco fuoco e più acqua, e di giorno il poco fuoco interno viene aiutato dalla luce. Gli occhi degli animali che vedono meglio di notte contengono poca acqua e più fuoco e la poca acqua interna viene aiutata dall’oscurità della notte.
La visione del colore
Empedocle chiarisce anche come arrivano all’occhio le parti di bianco e di nero che generano i colori. Gli oggetti emettono effluvi cioè emanazioni, esalazioni che si diffondono per l’aria e che arrivano all’occhio. Un effluvio ha certe proporzioni di particelle dei quattro elementi: particelle di acqua, di terra, di aria e di fuoco. L’occhio, come tutte le materie, è dotato di pori, ossia di meandri tra le parti solide elementari. I pori non sono tutti uguali, in particolare nell’occhio ci sono pori che accolgono solo le particelle di fuoco e pori che accolgono solo le particelle di acqua degli effluvi. L’occhio non ha pori per accogliere le particelle di aria e di terra, che dunque non vengono percepite e non partecipano al processo della visione, in accordo con il fatto che gli elementi aria e terra non hanno colore e dunque sono invisibili. Siamo in grado di percepire il colore proprio perché questi pori consentono agli effluvi di portare all’interno dell’occhio le informazioni sul colore dell’oggetto da cui provengono. E quando vediamo il colore dell’oggetto diciamo di “vedere l’oggetto”. Nel dialogo Menone, scritto da Platone (nato circa negli anni in cui la vita di Empedocle terminava), Socrate (S.) descrive a Menone (M.) la teoria della percezione del colore di Empedocle.
M. E del colore, Socrate, cosa dici?
S. Vuoi che ti risponda alla maniera di Gorgia, sì che tu possa seguirmi meglio?
M. Lo voglio sì!
S. Seguendo le tesi di Empedocle, non dite che dalle cose scaturiscono certi effluvi?
M. Senza dubbio!
S. E che vi sono dei pori che ricevono e lasciano passare gli effluvi?
M. Sicuro!
S. E che tra gli effluvi alcuni sono perfettamente corrispondenti ai pori, altri, invece, minori o maggiori?
M. Proprio così!
S. E c’è qualcosa che chiami vista?
M. Sì.
S. Di qui “comprendi quello ch’io dico”, disse Pindaro: effluvio di figure è il colore che esattamente corrisponde alla vista ed è sensibile.
M. Ottima, Socrate, mi sembra la tua risposta.
S. Forse perché si adegua alle tue abitudini, e perché, ad un tempo, credo, ti serve per capire in che consiste la voce, l’odorato, e molte altre cose dello stesso genere.

[Platone Menone]
Quando vediamo che un oggetto è bianco significa che l’oggetto emette un effluvio con una grande quantità di particelle di fuoco (e poche particelle di acqua, o nessuna) che raggiungono l’occhio e entrano nei pori adatti a riceverle. Similmente, un oggetto che vediamo nero emette una grande quantità di particelle di acqua (e niente particelle di fuoco) che raggiungono e penetrano nell’occhio. Tutti gli altri colori si formano dalla proporzione di bianco e di nero che contengono. Un oggetto di colore, per esempio, verde emette particelle di fuoco e particelle di acqua in una certa proporzione; queste particelle arrivano all’occhio e penetrano attraverso i rispettivi pori del fuoco e dell’acqua. L’occhio registra la proporzione complessiva di fuoco e acqua e, secondo tale proporzione, viene generata (in un modo che Empedocle non spiega) la percezione del colore verde.
Emissionista e immissionista
Dai pochi frammenti che ci sono giunti non è chiaro se Empedocle appoggia la teoria emissionista dei raggi visuali o quella immissionista degli effluvi. La similitudine della lanterna può essere interpretata come espressione di una teoria emissionista di tipo pitagorico, mentre la teoria degli effluvi è di tipo immissionista e prelude alla visione degli atomisti. Anche Aezio non dà una risposta definitiva:
"Empedocle fornisce spiegazioni [della visione] sia per mezzo dei raggi sia per mezzo degli effluvi; per lo più, però, nel secondo modo: infatti, ammette le emanazioni." [Aezio Placita Philosophorum]
Può anche essere che Empedocle intendesse combinare le due teorie e in tal caso il suo pensiero può essere considerato uno stadio di transizione tra la precedente teoria pitagorica e un’altra grande concezione della realtà, la teoria degli atomi di Democrito.

AUDIO: https://www.youtube.com/watch?v=cHUJdMNxPI4

Eugenio Caruso - 10 maggio 2020



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