Pitagora (in greco antico: Pythagóras; Samo, tra il 580 a.C. e il 570 a.C. – Metaponto, 495 a.C. circa) è stato un matematico, taumaturgo, astronomo, scienziato, politico e fondatore, a Crotone, di una delle più importanti scuole di pensiero dell'umanità, che prese da lui stesso il nome: la Scuola pitagorica.
Il suo pensiero ha avuto enorme importanza per lo sviluppo della scienza occidentale, perché ha intuito per primo l'efficacia della matematica per descrivere il mondo. Le sue dottrine segnerebbero la nascita di una riflessione improntata all'amore per la conoscenza. La scuola a lui intitolata fu il crogiolo nel cui ambito si svilupparono molte conoscenze, in particolare quelle matematiche e le sue applicazioni come il noto teorema di Pitagora.
Pitagora è stato indicato in passato come l'autore del termine "filosofia" inteso come "amore per la sapienza". La storia della filosofia fa risalire questo nuovo termine a fonti come Eraclide Pontico, Cicerone (nelle Tuscolane) e Diogene Laerzio (nelle Vite e dottrine dei più celebri filosofi).
Autori moderni tra cui Walter Burkert e Christoph Riedweg hanno messo in dubbio questa tradizione antica. Riedweg ha rilevato come intendere modestamente il filosofo come colui che ama la sapienza ma non la possiede perché solo gli dei sono veramente sapienti, voglia significare che con un'apparente «umile definizione della filosofia», il filosofo pretenderebbe di «raggiungere qualcosa di irraggiungibile»: la sapienza divina.
Questa interpretazione del termine "filosofia", non corrisponde al senso delle dottrine dei presocratici dove l'interesse fondamentale era la conoscenza della natura escludendo ogni altra considerazione trascendente per cui quel significato piuttosto sembra essere più adeguato alla dottrina platonica.
In un frammento che si fa risalire ad Eraclito, poi, sarebbe già indicato, prima ancora che in Pitagora, il termine "filosofia" e così anche in un'opera precedente di Erodoto il quale, però, per l'uso normale, cioè non nel suo significato specifico, che egli ne fa nelle sue Storie rende difficile pensare che questa parola sia nata negli anni venti del V secolo quando probabilmente fu pubblicata la sua opera.
Infine questa attribuzione di modestia che si troverebbe nel significato del filosofo che "ama la sofia che però non gli appartiene" non si confarebbe al carattere di Pitagora che orgogliosamente si poneva come un capo religioso dalla personalità carismatica.
«Quanto Pitagora comunicava ai discepoli più stretti, nessuno è in grado di riportare con sicurezza: in effetti presso di loro il silenzio era osservato con grande cura».[ Porfirio in DK 14 A 8a; in Pitagora, Versi aurei. Seguiti dalle vite di Porfirio e Fazio, da testi pitagorici e da lettere di donne pitagoriche, a cura di S. Fumagalli, Mimesis, Milano, 1996, p. 72.]
La figura del "saggio" di Samo, Pitagora, è una delle più controverse della storia del pensiero, non solo religioso, della Grecia antica. La ragione di questa problematicità risiede sostanzialmente nella scarsa decifrabilità – quando non attendibilità – delle testimonianze che lo riguardano.
La figura storica di Pitagora viene malgrado tutto menzionata da scrittori suoi contemporanei o di poco posteriori come Senofane, Eraclito, Erodoto, e sembra essere accertata ma la sua fisionomia di filosofo risulta confusa poiché si mescola alla leggenda narrata nelle numerose Vite di Pitagora, composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del neopitagorismo, nelle quali il filosofo viene presentato come figlio del dio Apollo. Secondo la leggenda, il nome risalirebbe etimologicamente ad una parola che significherebbe "annunciatore del Pizio", cioè del dio Apollo (Pythagòras), composto da (Pýthios, un epiteto di Apollo) e agorà ("piazza"); altre fonti identificano il primo elemento con pèitho ("persuadere"), quindi "colui che persuade la piazza", "colui che parla in piazza", "oratore della piazza".
Si giunse a considerarlo profeta, guaritore, mago e ad attribuirgli veri e propri miracoli [Salvatore Fazìa, Versi Aurei, Editrice Veneta, 2014 p. 134.]. Soprattutto in Giamblico e nei Neoplatonici viene costruita questa immagine soprannaturale del filosofo quale mito della religiosità pagana forse in opposizione al dilagante Cristianesimo e alla figura del Cristo.
È quasi impossibile distinguere, nell'insieme di dottrine e frammenti a noi pervenuti, non solo ciò che appartiene al pensiero di Pitagora ma neppure, nonostante i tentativi di John Burnet di separare il pensiero del primo pitagorismo da quello successivo. Anche Aristotele, che si può considerare il primo storico della filosofia, nella difficoltà evidente di identificare la dottrina del maestro, parla genericamente de «i cosiddetti pitagorici».
La vita di Pitagora è poco nota e la maggior parte delle testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda. Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Senofane, Eraclito ed Erodoto hanno dato testimonianze tali da far pensare alla esistenza storica di Pitagora, pur se inserita nella tradizione leggendaria. La più antica testimonianza su Pitagora risale a un detto canzonatorio di Senofane (VI secolo a.C.), dove Pitagora si sarebbe lamentato con un tale perché picchiava un cane in cui egli aveva riconosciuto l'anima di un suo amico. Nel IV secolo, lo scettico Timone di Fliunte accusa Pitagora di essere stato un ciarlatano; altrettanto Cratino, poeta comico ateniese, accusa i pitagorici di usare la retorica per ingannare i loro uditori. Anche Eraclito ha sostenuto che Pitagora, figlio di Menarco, fosse un erudito, ma di "artificiosa astuzia" e incapace di comprendere cosa caratterizzasse la sua erudizione.
Secondo queste fonti, Pitagora nacque nella prima metà del VI secolo a.C. nell'isola di Samo, dove fu scolaro di Ferecide e Anassimandro subendone l'influenza nel suo pensiero. Secondo alcune ricostruzioni, il padre potrebbe essere stato un cittadino facoltoso di nome Mnesarco, questi trovandosi a Delfi volle chiedere alla Pizia delucidazioni sul suo futuro e la sacerdotessa predisse la nascita di un figlio utile al genere umano e saggio. Secondo altre fonti, Pitagora non nacque in Grecia, ma nell'omonima città di Samo in Calabria, dopo essersi trasferito insieme alla famiglia di facoltosi mercanti.
Attribuibile alle leggende sulla vita di Pitagora è il suo matrimonio con Teano, dalla quale avrebbe avuto tre figli: due maschi, Arimnesto e Telauge, e una femmina, Damo.
Da Samo, Pitagora si trasferì nella Magna Grecia. Dei suoi viaggi in Egitto e a Babilonia, narrati dalla tradizione, non vi sono fonti certe; essi sono ritenuti, almeno in parte, leggendari. Viste le testimonianze, è probabile che l'erudito Pitagora, giunto a Crotone da Samo intorno al 530 a.C., abbia impressionato le élite locali e, guadagnando presto la loro fiducia, le abbia infine spinte ad adottare costumi più sobri e a cercare l'armonia all'interno della propria comunità. A Crotone fondò la Scuola pitagorica. Secondo Russell, il trasferimento di Pitagora si dovette a cause politiche in quanto il filosofo non approvava la tirannide di Policrate.
Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei democratici contro il partito aristocratico pitagorico, la casa dove si erano riuniti gli esponenti più importanti della fazione fu incendiata. Si salvarono Archippo e Liside che si rifugiò a Tebe. Secondo una versione, Pitagora prima della sommossa si era ritirato a Metaponto, dove morì. Secondo altri invece casualmente era assente alla riunione nella casa incendiata e quindi riuscì a salvarsi fuggendo prima a Locri, quindi a Taranto e da lì a Metaponto dove morì. A questo riguardo Porfirio (232-305 d.C.) scrisse:
«Si dice che Pitagora abbia trovato la morte nella comunità di Metaponto, dopo essersi rifugiato nel piccolo tempio dedicato alle Muse, dove rimase quaranta giorni privo del necessario per vivere. Altri autori affermano che i suoi amici, nell'incendio della casa dove si trovavano riuniti, gettatisi nelle fiamme aprirono una via di uscita al maestro, formando con i loro corpi una sorta di ponte sul fuoco. Scampato dall'incendio Pitagora, raccontano ancora, si diede la morte, per il dolore di essere stato privato dei suoi amici. »[Porfirio, Vita di Pitagora, 57, tradotto in Stefano Fumagalli, Versi aurei seguiti dalle vite di Pitagora, di Porfirio e Fozio, da testi pitagorici e da lettere di donne pitagoriche, Mimesis Edizioni, Milano, 1996, pp. 93-94.]
Quasi sicuramente Pitagora non lasciò nulla di scritto e le opere Tre libri e Versi aurei vanno ascritte ad autori sconosciuti, che li redassero in epoca cristiana o di poco antecedente.
Giamblico, fondatore di una scuola neoplatonica ad Apamea in Siria, attesta invece che i primi libri a contenuto pitagorico pubblicati erano opera di Filolao.
Le dottrine proprie di Pitagora
L'importanza fondamentale della figura di Pitagora per la storia religiosa e filosofica dell'umanità è legata a regole proprie della vita. La condotta di vita pitagorica contiene numerose regole, per lo più centrate sulla condizione di "purezza", molte delle quali risultano nelle loro motivazioni a noi incomprensibili, già in antichità si era tentato di fornirne una spiegazione. A queste regole verranno affiancate, in epoca tarda, spiegazioni simboliche. Oltre alle regole di "purezza", fondamentali per il bíos pythagorikós, risultano le regole alimentari: la più nota consiste nella proibizione di cibarsi di essere animati, nel contempo tuttavia vi sono delle prescrizioni che consentono sia i sacrifici sia la consumazione di carne (solo alcuni tagli e solo di alcuni animali) il che fa sostenere a Riedweg che «il vegetarismo più rigoroso rimase probabilmente limitato alla cerchia più interna della comunità pitagorica, in cui non erano più in vigore i "criteri di socialità" normale, tra l'altro anche a motivo della comunione dei beni.» Altra regola fondamentale per i pitagorici riguardava l'astensione del consumo delle fave.
Nel bíos pythagorikós compare per la prima volta anche il divieto di avere relazioni extraconiugali.
Sebbene sembri che Pitagora non abbia lasciato scritti, tuttavia i suoi discepoli gli attribuirono un'estesa dottrina, arrivando anche a scrivere opere a suo nome.
Una versione della morte di Pitagora è collegata all'idiosincrasia del filosofo e della sua Scuola per le fave, che i pitagorici si guardavano bene dal mangiare, evitando anche il semplice contatto. Secondo la leggenda, Pitagora stesso, in fuga dagli scherani di Cilone di Crotone, preferì farsi raggiungere e uccidere piuttosto che mettersi in salvo in un campo di fave.
Esistono due interpretazioni riguardo al divieto di mangiare fave. Quella di Gerald Hart, secondo cui il favismo era una malattia diffusa nella zona del crotonese e ciò conferirebbe al divieto una motivazione profilattica-sanitaria. Dunque Pitagora viveva in zone di favismo diffuso, e da questo nasceva la sua proibizione igienica; ma perché i medici greci non avevano identificato questa patologia? Nell'esperienza quotidiana le fave erano un cardine dell'alimentazione che tutt'al più causava flatulenze e insonnia e se qualcuno che aveva mangiato fave contemporaneamente si ammalava i due fatti non venivano collegati. Se dunque Pitagora dell'astenersi dal mangiare fave ne fa addirittura un precetto morale è perché i greci del VI secolo a.C. avevano un modo diverso dal nostro di considerare le malattie nel senso che le riferivano alla religione per cui, come ha messo in luce Claude Lévi-Strauss, le fave erano considerate connesse al mondo dei morti, della decomposizione e dell'impurità, dalle quali il filosofo si deve tenere lontano.
Il vegetarianismo
«Pitagora ed Empedocle avvertono che tutti gli esseri viventi hanno eguali diritti, e proclamano che pene inespiabili sovrastano a coloro che rechino offesa a un vivente.»
(Cicerone)
Pitagora è tradizionalmente considerato l'iniziatore del vegetarianismo in Occidente grazie ad alcuni versi delle Metamorfosi di Ovidio, che lo descrivono come il primo degli antichi a scagliarsi contro l'abitudine di cibarsi di animali, reputata dal filosofo un'inutile causa di stragi, dato che la terra offre piante e frutti sufficienti a nutrirsi senza spargimenti di sangue; Ovidio lega il vegetarianismo di Pitagora alla credenza nella metempsicosi, secondo cui negli animali vi è un'anima non diversa da quella degli esseri umani.
Diogene Laerzio sostiene inoltre che Pitagora fosse solito mangiare pane e miele al mattino e verdure crude la sera; in più implorava i pescatori affinché ributtassero in mare quello che avevano appena pescato.
Insegnamenti
Intorno alla figura di Pitagora si è presto costituita una scuola che seguiva le indicazioni di vita proprie del maestro. A tal proposito si possono ricostruire alcuni insegnamenti.
La metempsicosi
Pochi sono gli elementi certi della dottrina pitagorica, tra questi la metempsicosi, ossia la dottrina della sopravvivenza della psyché alla morte e il suo trasferimento in altro corpo fisico. Oltre a Dicearco – posteriore di due secoli dopo Pitagora – ne parla Aristotele come di un "mito" pitagorico. Ione di Chio parla di metempsicosi, citando a Ferecide, dove tratta degli insegnamenti di Pitagora su un al di là felice se si conduce una vita moralmente adeguata. Platone si riferisce più volte alla dottrina della trasmigrazione delle anime, ma non si richiama mai a Pitagora; piuttosto cita pitagorici come Filolao. Diogene Laerzio riporta (attribuendolo a Senofane) un episodio in cui Pitagora difese un cane dal suo padrone poiché aveva riconosciuto nell'animale l'anima di un suo amico scomparso.
Derivato dall'orfismo, nella dottrina pitagorica vi è un aspetto religioso, relativo alla trasmigrazione delle anime che, per una colpa originaria, erano costrette ad incarnarsi in corpi umani o bestiali sino alla finale purificazione.
La novità del pensiero di Pitagora rispetto all'orfismo è rappresentato dalla considerazione della conoscenza come strumento di purificazione nel senso che l'ignoranza è ritenuta una colpa da cui ci si libera con il sapere. Questa particolarità della dottrina è ritenuta dagli studiosi sicuramente proveniente da Pitagora che viene tradizionalmente definito, a partire da Eraclito, come polymathés (erudito) che «…praticò la ricerca più di tutti gli altri uomini», anche se la sua fu una sapienza fraudolenta. Eraclito non specifica quale fosse il contenuto di questa sapienza. Porfirio, riferendosi al già citato Dicearco, parla di Pitagora come allievo di Aristotele e menziona, seppur due secoli dopo la morte del filosofo, gli aspetti principali della sua filosofia: l'immortalità dell'anima, la sua trasmigrazione fra varie specie animali in un ciclo di rinascite, per cui tutti gli esseri viventi vanno riconosciuti come appartenenti ad una sola specie. Porfirio non accenna ad alcun interesse di Pitagora per la matematica, mentre insiste sul problema dell'anima. Questo ha fatto pensare che Porfirio e Giamblico (un altro tardo autore fonte del pitagorismo) appartenessero entrambi alla scuola platonica, determinando una sorta di sincretismo tra la dottrina pitagorica e quella platonica, una «platonizzazione del pitagorismo».
a²+ b²= c²
Rappresentazione del famoso "teorema" di Pitagora. Tale teorema è inserito alla proposizione 47 del I libro degli Elementi di Euclide (IV-III sec. a.C.).
Matematici e Acusmatici
Nella dottrina pitagorica, la base della realtà e di ogni cosa in essa contenuta è composta dai numeri. Così, non solo gli elementi corporei sono composti da numeri, ma anche il cosmo e i suoi astri, gli dèi, i concetti, la musica con la sua harmonia.
Secondo le tarde testimonianze di Giamblico e Porfirio nella scuola pitagorica si sarebbe verificata una distinzione tra i discepoli, a seconda del loro interesse per i contenuti "scientifici" o mistico-religiosi, in "Matematici" (da mathema, scienza) e "Acusmatici" (da akousma, detto orale). Dopo la morte di Pitagora sarebbe nata una contesa tra le due fazioni che si attribuivano l'eredità filosofica del maestro. I primi cercavano di rinnovare il Pitagorismo rifacendosi a una presunta dottrina segreta di Pitagora della quale essi si consideravano i depositari privilegiati. I "Matematici" sostenevano infatti che Pitagora avesse insegnato in pubblico ai più anziani, incaricati della guida politica della polis, senza curare troppo l'aspetto rigoroso del suo insegnamento. Di contro, avrebbe riservato il suo insegnamento basato sui mathémata ai discepoli più giovani. Questa tradizione della divisione tra i due gruppi di discepoli è stata considerata poco attendibile e storiograficamente poco fondata, anche se utile per evidenziare gli aspetti mistici della dottrina di Pitagora: l'insegnamento praticato dietro a una tenda dava un aspetto oracolare alla sua parola per gli allievi, semplici acusmatici, ascoltatori obbligati a seguire le lezioni in silenzio.
È quasi certo che l'insegnamento pitagorico avesse un aspetto mistico-religioso consistente in un addottrinamento dogmatico, secondo il noto motto della scuola “ipse dixit” (lo ha detto lui) e un contenuto che riguardava gli opposti e i numeri (in quanto principi cosmologici), da intendersi però, come hanno osservato vari autori (tra cui Édouard Schuré e René Guénon in un senso non solo quantitativo, ma anche qualitativo e simbolico.
Cosmografia
La concezione pitagorica dell'universo mette al centro di questo non la Terra, come in altre cosmografie antiche, ma il Fuoco: il nostro pianeta è solo uno dei corpi celesti che girano intorno al Fuoco. Gli altri astri erranti sono: l'Antiterra, che precede la Terra nella sua vicinanza al Fuoco in posizione all'esatto opposto della Terra e, dopo il nostro pianeta, seguono la Luna, il Sole e i cinque pianeti (Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno), tutti astri che unitamente al Fuoco sono contenuti all'interno dell'universo sferico delle Stelle fisse.
Secondo Aristotele, questa concezione pitagorica, decisamente non geocentrica, non è frutto di osservazioni empiriche quanto piuttosto si basa sulla loro valutazione della rilevanza degli enti: il Fuoco è il più importante anche rispetto alla Terra quindi il luogo che gli spetta è al centro del cosmo per questa ragione lo indicano anche come la "custodia di Zeus". Secondo Filolao il Sole è di natura vitrea e quindi questo astro si limita a riflettere luce e calore che sono propri del Fuoco.
"Scienza" e musica
Riguardo alle elaborazioni scientifiche attribuite a Pitagora, gli storici della filosofia non sono in grado di averne certezza. Le dottrine astronomiche sono sicuramente state elaborate dai suoi discepoli nella seconda metà del V secolo a.C.
Il teorema per cui il filosofo è famoso era già noto agli antichi Babilonesi, ma alcune testimonianze, tra cui Proclo, riferiscono che Pitagora ne avrebbe intuito la validità. Tale "teorema" è inserito alla proposizione 47 del I libro degli Elementi di Euclide. L'attribuzione a Pitagora di detto "teorema" la si deve tuttavia esclusivamente al commento di Proclo che, a sua volta, si rifaceva alla testimonianza di un oscuro Apollodoro il quale avrebbe sostenuto che Pitagora, dopo la scoperta del teorema avrebbe sacrificato un bue. Anche se è probabile che il "saggio" di Samo si sia interessato ad argomenti matematici e di filosofia della natura occorre ricordare che «fino a Platone e Aristotele inclusi, non esiste ombra di prova diretta che permetta di qualificare Pitagora come filosofo della natura o come matematico».
Di contro, si deve a Pitagora l'aver indicato come sostanza primigenia (archè) l'armonia, determinata dal rapporto tra i numeri e le note musicali, da cui deriva l'invenzione della scala musicale. Pitagora avrebbe tradotto sperimentalmente la sua intuizione costruendo un monocordo: tese una corda fra due ponticelli e ricavò l'ottava ponendo una stanghetta esattamente al centro della corda (1:2). Poi ne pose un'altra a 2/3 della lunghezza della corda, stabilendo così l'intervallo di 5ª. Sistemando a 3/4 un'altra stanghetta trovò l'intervallo di 4ª. La distanza, in termini di altezza, fra la 4ª e la 5ª la chiamò tono. La scala musicale basata su questi intervalli, che nel Medioevo era attribuita allo stesso Pitagora, ebbe una particolare importanza teorica, al di là della pratica musicale: Platone, nel dialogo Timeo, la descrisse come fondamento numerico dell'anima del mondo.
Eredità
«Non so di nessun altro uomo che abbia avuto altrettanta influenza nella sfera del pensiero. […] Ciò che appare come il platonismo, si trova già, analizzandolo, nell'essenza del pitagorismo. L'intera concezione di un mondo eterno rivelato all'intelletto, ma non ai sensi, deriva da lui. Se non fosse per lui, i Cristiani non avrebbero pensato a Cristo come al Verbo; se non fosse per lui i teologi non avrebbero cercato prove logiche di Dio e dell'immortalità. Ma in lui tutto ciò è ancora implicito.»
(Bertrand Russell)
La figura di Pitagora ha esercitato una forte influenza polarizzatrice: da una parte i suoi estimatori (ad esempio Empedocle) dall'altra i suoi critici (ad esempio Senofane o Eraclito).
Per Platone, Pitagora è un esempio di maestro che insegna uno stile di vita; mentre Isocrate nella sua orazione su Busiride (XI) sostiene anche che «Pitagora di Samo, andato in Egitto e fattosi loro discepolo, portò in Grecia per primo lo studio di ogni genere di filosofia», ottenendo così l'ammirazione dei suoi contemporanei. Platone eredita da Pitagora l'idea dell'importanza della matematica come linguaggio per descrivere il mondo, pur mantenendola nell'ambito metafisico ma ripulendola dal pesante bagaglio misticheggiante in cui era immersa. L'astronomia della scuola pitagorica, che continua nella visione del cosmo di Platone, sarà destinata a diventare un modello di scienza, che, attraverso Copernico, sarà alla base della scienza moderna. L'influenza del progetto pitagorico-platonico è esplicita sugli scienziati della rivoluzione scientifica moderna, come Galileo e Keplero.
Plutarco riporta che Platone da vecchio si sia ricreduto sul geocentrismo riportato nel Timeo, il tutto a dimostrare come la teoria del Fuoco al centro dell'universo poteva aver avuto accoglimento nell'Accademia platonica.
Con Democrito, che titola una delle sue opere Pitagora, e che un contemporaneo, Glauco di Reggio, indica come discepolo di un pitagorico, terminano le testimonianze antiche sulla figura del "saggio" di Samo. Agli inizi IV secolo le testimonianze su Pitagora si fanno viepiù positive (cfr. ad esempio Antistene, Aristippo e Androne di Efeso) fino alla progressiva "monopolizzazione" della figura all'interno dell'Accademia platonica.
Voglio ricordare che Dante colloca Pitagora nell'inferno. .... dietro il portone della città di Dite, aperto dalla verga dell'angelo, si offriva una vista cruda al Poeta: una distesa di sepolcri, alcuni di questi, fiammeggianti, e dai quali escono orribili lamenti. Dante ha intuito che qui vengono puniti coloro "che l'anima col corpo morta fanno.", cioè chi non crede nell'immortalità dell'anima (gli epicurei o gli atei). Anche se Virgilio nel canto precedente aveva parlato di tutte le eresie, qui si incontrano solo eretici epicurei e anche il contrappasso è calibrato su di essi: poiché non credettero nella vita ultraterrena, essi sono ora morti tra i morti; inoltre loro non possono vedere nel presente e nel passato ma vedono soltanto il futuro; questo lo si può capire più avanti quando Cavalcante dei Cavalcanti chiederà a Dante di suo figlio: Guido Cavalcanti. Dante, passando tra le mura di Dite e le tombe scoperchiate domanda:
«La gente che per li sepolcri giace
potrebbesi veder? Già son levati
tutt'i coperchi, e nessun guardia face.»
Meravigla di trovare Pitagora qui e non nel nobile castello, con gli altri grandi filosofi.
VIDEO 1 https://www.youtube.com/watch?v=ejBunBKsODA
VIDEO 2 https://www.youtube.com/watch?v=V2oX0bWW6Hs
VIDEO 3 https://www.youtube.com/watch?v=xcDk-J6iG5Y
Eugenio Caruso - 3 giugno 2020