Purgatorio, canto II

CANTO II. Il sole sta ormai tramontando all'orizzonte di Gerusalemme, il cui cerchio meridiano sovrasta la città col suo punto più alto, e la notte, che gira opposta al sole, sorge dal Gange nella costellazione della Bilancia, in cui non si trova più quando essa supera per durata il giorno; così sulla spiaggia del Purgatorio l'aurora diventa da rossa progressivamente arancione.
Dante e Virgilio sono ancora sul bagnasciuga, pensando al cammino che devono intraprendere, quando al poeta pare di vedere sul mare una luce simile a quella di Marte quando è velato dai vapori che lo avvolgono, che si muove rapidissima verso la riva. Dante distoglie un attimo lo sguardo per parlare a Virgilio, e quando torna a guardare la luce la vede più splendente e più grande. In seguito ai lati di essa compare qualcosa di bianco e un altro biancore al di sotto: il maestro resta in silenzio, fino a quando capisce che il primo biancore sono delle ali e allora grida a Dante di inginocchiarsi e di unire le mani in preghiera, perché si avvicina un angelo del Paradiso. Virgilio spiega a Dante che l'angelo non usa remi né vele o altri strumenti umani, ma tiene le ali aperte e dritte verso il cielo, fendendo l'aria con penne eterne che non cadono mai.
Man mano che l'angelo si avvicina e diventa più visibile a Dante, questi non riesce a sostenerne lo sguardo e deve volgere gli occhi a terra. Poi il nocchiero celeste viene a riva spingendo una barchetta così leggera che non affonda minimamente nell'acqua; l'angelo sta a poppa e nella barca di sono più di cento anime, che intonano a una voce il Salmo In exitu Israel de Aegytpo. L'angelo fa loro il segno della croce, quindi le anime si gettano sulla spiaggia e il nocchiero riparte con la stessa velocità con cui è giunto.
La folla delle anime si guarda intorno, come qualcuno inesperto di un luogo, mentre il sole è ormai alto e la costellazione di Capricorno sta già declinando dalla metà del cielo. I nuovi arrivati si rivolgono ai due poeti chiedendo di mostrargli la via per il monte, ma Virgilio li informa che anch'essi sono appena arrivati in quel luogo, attraverso una via talmente aspra che l'ascesa del monte sembrerà uno scherzo. Le anime si accorgono che Dante respira ed è vivo, impallidendo per lo stupore: esse si accalcano intorno a lui per la curiosità, come fa la gente attorno al messaggero che porta notizie di pace, quasi dimenticandosi di accedere al monte per purificarsi dai loro peccati.
Dante vede una della anime farsi avanti per abbracciarlo, il che spinge il poeta a fare altrettanto, ma i suoi tre tentativi vanno a vuoto in quanto le braccia attraversano lo spirito, inconsistente, e tornano al suo petto. Dante è stupito e l'anima sorride, invitandolo a separarsi dagli altri penitenti. Il poeta lo segue e i due si appartano, finché Dante lo riconosce come l'amico Casella e lo prega di fermarsi un poco a parlargli: il penitente risponde dicendo che gli vuole bene da morto come da vivo, e gli chiede perché si trova in quel luogo. Dante risponde che fa questo viaggio per salvarsi l'anima e chiede a sua volta a Casella perché giunga solo ora in Purgatorio dopo la sua morte. Il penitente spiega che non gli è stato fatto alcun torto se l'angelo nocchiero gli ha negato più volte di condurlo lì, poiché la sua volontà è conforme a quella di Dio. In realtà, spiega, da tre mesi l'angelo ha raccolto tutti quelli che hanno voluto salire sulla barca: è stato allora che Casella è stato preso alla foce del Tevere, dove si raccolgono tutte le anime non destinate all'Inferno e dove l'angelo si è diretto dopo aver lasciato la spiaggia del Purgatorio. A questo punto Dante prega Casella, se una nuova legge non glielo vieta, di confortarlo col suo canto come faceva quand'era in vita, poiché il poeta è giunto lì con tutto il corpo ed è quindi particolarmente affaticato.
Casella inizia a intonare la canzone Amor che ne la mente mi ragiona, cantando con tale dolcezza che essa è ancora presente nell'animo di Dante. Non solo lui, ma anche Virgilio e tutte le anime stanno ad ascoltare il canto di Casella, contenti e appagati come se non avessero altri pensieri. Sono tutti attenti alle note, quando ricompare all'improvviso Catone che rimprovera aspramente le anime, accusandole di lentezza e negligenza e spronandole a correre al monte per purificarsi dai peccati che impediscono loro di vedere Dio. Le anime fuggono disordinatamente verso il monte, come quando i colombi, che stanno beccando tranquillamente il loro pasto, sono spaventati da qualcosa e volano via d'improvviso, e anche i due poeti scappano allo stesso modo.
Il Canto è strutturalmente diviso in due parti, che corrispondono all'arrivo dell'angelo nocchiero con la barca dei penitenti e all'incontro col musico Casella, che si conclude col rimprovero di Catone che, come si vedrà, non è privo di significato allegorico. L'episodio è aperto dall'ampia e complessa descrizione astronomica dell'alba, che rappresenta un piccolo proemio dopo quello della Cantica del Canto I: Dante descrive il sole e la notte come due figure astronomiche che percorrono la stessa strada ai punti opposti del cielo, per cui il sole sta tramontando sull'orizzonte di Gerusalemme e la notte spunta sul Gange, il punto estremo dell'Occidente; essa è in congiunzione con la costellazione della Bilancia che, metaforicamente, tiene in mano, mentre le cade di mano quando supera in durata il giorno (vuol dire che dopo l'equinozio di autunno è il sole ad essere in congiunzione con la Bilancia). L'immagine si completa con quella dell'Aurora, personificata come la dea classica, che è rossastra quando il sole sta per sorgere e diventa giallo-arancione ora che sull'orizzonte del Purgatorio è l'alba. La metafora astronomica proseguirà a metà circa del Canto, quando Dante spiegherà che il sole è salito nel cielo tanto da aver cacciato il Capricorno dallo zenit, dardeggiando con le sue saette ogni punto della spiaggia.
A questo inizio segue poi l'apparizione dell'angelo nocchiero, non a caso introdotta anch'essa da un'immagine astronomica (quella di Marte che rosseggia talvolta nel cielo del mattino, temperato dai vapori che lo avvolgono). È il primo incontro con un ministro celeste e la sua apparizione avviene per gradi, con la descrizione della luce che si muove rapidissima, del biancore che appare ai suoi lati (le ali) e al di sotto (la veste), infine con Virgilio che invita Dante a inginocchiarsi in segno di riverenza poiché ormai vedrà di sì fatti officiali.
Quasi tutti i commentatori hanno sottolineato l'enorme differenza tra questo traghettatore e il nocchiero infernale Caronte, che trasportava le anime dannate al di là dell'Acheronte: l'angelo non usa strumenti umani, non ha remi né vele, si limita a spingere da poppa la barca che non affonda nell'acqua e dentro la quale più di cento anime intonano il Salmo che rievoca la fuga degli Ebrei dall'Egitto (il fatto era interpretato come allegoria della liberazione dal peccato). Il vasello snelletto è leggiero è il lieve legno che dovrà portare Dante in Purgatorio, come lo stesso Caronte gli aveva predetto in Inf., III, 91-93 e da esso le anime si accalcano sulla riva, inesperte del luogo e incerte sulla direzione da prendere; si stupiscono nel vedere che Dante è vivo e gli si accalcano intorno come un messaggero che porta buone notizie (è uno schema che si ripeterà più volte nei primi Canti del Purgatorio).
L'incontro con l'amico e musico fiorentino Casella è il primo colloquio con l'anima di un penitente, e l'episodio costituisce una pausa narrativa caratterizzata da grande serenità e pace dopo l'asprezza della discesa attraverso l'Inferno. Al di là della difficile identificazione del personaggio, su cui si sono fatte varie congetture, il dato significativo è il grande affetto che egli ancora dimostra a Dante (che tenta inutilmente tre volte di abbracciarlo, con evidente imitazione di due passi virgiliani), mentre l'incontro dà modo a Dante di puntualizzare alcune cose fondamentali circa il destino delle anime non dirette all'Inferno: è Casella a spiegare che le anime salve si raccolgono alla foce del Tevere, dove l'angelo raccoglie chi lui vuole e quando vuole, secondo la imperscrutabile volontà divina, il che giustifica il fatto che lui giunga solo ora in Purgatorio (la cosa aveva stupito Dante, che lo sapeva morto da qualche mese).
L'indizione per l'anno 1300 del Giubileo da parte di Bonifacio VIII ha permesso a tutte le anime di salire sulla barca ed è per questo che Casella ha potuto fare il suo arrivo in Purgatorio: Dante gli chiede di cantare per lui, per confortarlo della fatica del viaggio che sta compiendo, e l'amico esaudisce la sua preghiera intonando la canzone Amor che ne la mente mi ragiona (quella commentata nel III Trattato del Convivio), che probabilmente lui stesso aveva musicato. La canzone, forse dedicata inizialmente a Beatrice e rientrante nei canoni dello Stilnovo, nel Convivio era stata reinterpretata allegoricamente alla luce della donna gentile e della Filosofia, quindi rimanda al periodo del cosiddetto «traviamento» di Dante e del peccato che la stessa Beatrice gli rifaccerà nei Canti finali del Purgatorio; il canto di Casella è così melodioso che tutti, incluso Virgilio, si attardano ad ascoltarne le note, come se nessun altro pensiero toccasse loro la mente, avvinti dal potere della musica che Dante, proprio nel Convivio, descriveva come irresistibile.
È a questo punto che si inserisce il duro rimprovero di Catone, che riappare all'improvviso e mette fine al canto esortando gli spiriti a non essere lenti, a non peccare di negligenza indugiando ad ascoltare la bella musica invece di correre al monte per iniziare il percorso di purificazione. Il richiamo non è casuale e si comprende alla luce del significato che alla musica e all'arte in genere era assegnato nel Medioevo: fine dell'arte non è quello di dare piacere o quetar tutte le voglie dando appagamento all'anima, come per lo più ritiene la concezione moderna, bensì quello di fornire un utile ammaestramento e insegnamento di carattere morale per raggiungere la salvezza.
Ogni manifestazione artistica che distolga l'animo umano dai suoi doveri e lo appaghi inducendo a dimenticarsi dei propri obblighi non solo è disdicevole, ma addirittura pericolosa sul piano religioso: in questo senso va interpretato il rimprovero di Catone, così come la reazione delle anime che scappano disordinatamente verso il monte (inclusi Dante e Virgilio); il fatto che la canzone scelta da Dante fosse dedicata alla Filosofia e sia tratta dal Convivio non è forse del tutto casuale, poiché è probabile che quell'opera costituisse un tentativo pericoloso sul piano dottrinale di arrivare alla verità non attraverso la grazia e la teologia, ma esclusivamente con l'uso della ragione umana.
Dante respinge quindi qualsiasi concezione dell'arte, inclusa la poesia, di carattere puramente edonistico e non finalizzata alla salvezza spirituale, come del resto già aveva fatto nell'episodio di Paolo e Francesca che stavano leggendo per diletto la storia di Lancillotto e Ginevra ed erano caduti nel peccato: il canto solitario di Casella si contrappone a quello del Salmo che tutte le anime avevano intonato a una voce, il cui scopo non era però quello di consolare l'anima afflitta ma celebrare la liberazione dal peccato e dai vincoli terreni.
Note e passi controversi
Il meridian cerchio (v. 2) è il meridiano, il cui arco sovrasta Gerusalemme con lo zenit, il suo punto più alto. Il v. 6 indica invece che la Notte tiene in mano la Bilancia, cioè è in congiunzione con essa, quando è più corta del giorno, mentre dopo l'equinozio d'autunno nella costellazione entra il sole e alla Notte le bilance cadono di mano. Nel v. 13 sorpreso significa «offuscato», «velato» (cfr. I, 97: l'occhio sorpriso / d'alcuna nebbia); alcuni mss. leggono sul presso del mattino, ma è lezione poco probabile. La descrizione dell'angelo fatta da Virgilio (vv. 31-36) è stilisticamente elevata e contiene l'anafora Vedi...che all'inizio e alla fine delle due terzine. Alcuni mss. leggono il v. 44 tal che faria beato per iscripto, «tale che la sua beatitudine pareva scritta sul suo volto», ed entrambe le lezioni sono accettabili. Il salmo intonato dalle anime (v. 46) è il 113, che veniva cantato accompagnando il defunto al cimitero in quanto libero dai vincoli terreni. Il messaggero che porta notizie di pace con in mano un ramoscello d'ulivo (vv. 70-72) non è solo reminiscenza classica, ma corrisponde a un uso del tempo di Dante testimoniato, fra gli altri, da G. Villani (Cron., XII, 105). I vv. 80-81 si rifanno quasi letteralemente a Aen., II, 792-793; VI, 700-701 (ter conatus ibi collo dare bracchia circum; / ter frustra comprensa manus effugit imago, «per tre volte tentò di abbracciarlo al collo e per tre volte lo spirito, vanamente afferrato, sfuggì le mani»); i due episodi virgiliani raccontano l'incontro di Enea con la moglie morta Creusa e con l'ombra del padre Anchise. I vv. 98-99 alludono al Giubileo dell'anno 1300, indetto da papa Bonifacio VIII il 22 febbraio ma valevole a partire dal 24 dicembre del 1299; ciò fa supporre che Casella sia morto poco prima e sollevano la questione del perché egli giunga solo ora in Purgatorio. Si è ipotizzato che le anime chiedano di salire sulla barca dell'angelo solo quando si sentono pronte, analogamente alla fine della loro purificazione.

TESTO

Già era ‘l sole a l’orizzonte giunto
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;                                    3

e la notte, che opposita a lui cerchia, 
uscia di Gange fuor con le Bilance, 
che le caggion di man quando soverchia;                     6

sì che le bianche e le vermiglie guance, 
là dov’i’ era, de la bella Aurora 
per troppa etate divenivan rance.                                     9

Noi eravam lunghesso mare ancora, 
come gente che pensa a suo cammino, 
che va col cuore e col corpo dimora.                             12

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, 
per li grossi vapor Marte rosseggia 
giù nel ponente sovra ‘l suol marino,                            15

cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, 
un lume per lo mar venir sì ratto, 
che ‘l muover suo nessun volar pareggia.                   18

Dal qual com’io un poco ebbi ritratto 
l’occhio per domandar lo duca mio, 
rividil più lucente e maggior fatto.                                   21

Poi d’ogne lato ad esso m’appario 
un non sapeva che bianco, e di sotto 
a poco a poco un altro a lui uscio.                                  24

Lo mio maestro ancor non facea motto, 
mentre che i primi bianchi apparver ali; 
allor che ben conobbe il galeotto,                                   27

gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. 
Ecco l’angel di Dio: piega le mani; 
omai vedrai di sì fatti officiali.                                           30

Vedi che sdegna li argomenti umani, 
sì che remo non vuol, né altro velo 
che l’ali sue, tra liti sì lontani.                                          33

Vedi come l’ha dritte verso ‘l cielo, 
trattando l’aere con l’etterne penne, 
che non si mutan come mortal pelo».                           36

Poi, come più e più verso noi venne 
l’uccel divino, più chiaro appariva: 
per che l’occhio da presso nol sostenne,                    39

ma chinail giuso; e quei sen venne a riva 
con un vasello snelletto e leggero, 
tanto che l’acqua nulla ne ‘nghiottiva.                            42

Da poppa stava il celestial nocchiero, 
tal che faria beato pur descripto; 
e più di cento spirti entro sediero.                                  45

In exitu Israel de Aegypto
cantavan tutti insieme ad una voce 
con quanto di quel salmo è poscia scripto.                 48

Poi fece il segno lor di santa croce; 
ond’ei si gittar tutti in su la piaggia; 
ed el sen gì, come venne, veloce.                                   51

La turba che rimase lì, selvaggia 
parea del loco, rimirando intorno 
come colui che nove cose assaggia.                            54

Da tutte parti saettava il giorno 
lo sol, ch’avea con le saette conte 
di mezzo ‘l ciel cacciato Capricorno,                              57

quando la nova gente alzò la fronte 
ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete, 
mostratene la via di gire al monte».                               60

E Virgilio rispuose: «Voi credete 
forse che siamo esperti d’esto loco; 
ma noi siam peregrin come voi siete.                           63

Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, 
per altra via, che fu sì aspra e forte, 
che lo salire omai ne parrà gioco».                               66

L’anime, che si fuor di me accorte, 
per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo, 
maravigliando diventaro smorte.                                    69

E come a messagger che porta ulivo 
tragge la gente per udir novelle, 
e di calcar nessun si mostra schivo,                             72

così al viso mio s’affisar quelle 
anime fortunate tutte quante, 
quasi obliando d’ire a farsi belle.                                   75

Io vidi una di lor trarresi avante 
per abbracciarmi con sì grande affetto, 
che mosse me a far lo somigliante.                              78

Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! 
tre volte dietro a lei le mani avvinsi, 
e tante mi tornai con esse al petto.                                81

Di maraviglia, credo, mi dipinsi; 
per che l’ombra sorrise e si ritrasse, 
e io, seguendo lei, oltre mi pinsi.                                    84

Soavemente disse ch’io posasse; 
allor conobbi chi era, e pregai 
che, per parlarmi, un poco s’arrestasse.                      87

Rispuosemi: «Così com’io t’amai 
nel mortal corpo, così t’amo sciolta: 
però m’arresto; ma tu perché vai?».                              90

«Casella mio, per tornar altra volta 
là dov’io son, fo io questo viaggio», 
diss’io; «ma a te com’è tanta ora tolta?».                     93

Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio, 
se quei che leva quando e cui li piace, 
più volte m’ha negato esto passaggio;                         96

ché di giusto voler lo suo si face: 
veramente da tre mesi elli ha tolto 
chi ha voluto intrar, con tutta pace.                                  99

Ond’io, ch’era ora a la marina vòlto 
dove l’acqua di Tevero s’insala, 
benignamente fu’ da lui ricolto.                                      102

A quella foce ha elli or dritta l’ala, 
però che sempre quivi si ricoglie 
qual verso Acheronte non si cala».                               105

E io: «Se nuova legge non ti toglie 
memoria o uso a l’amoroso canto 
che mi solea quetar tutte mie doglie,                           108

di ciò ti piaccia consolare alquanto 
l’anima mia, che, con la sua persona 
venendo qui, è affannata tanto!».                                   111

Amor che ne la mente mi ragiona 
cominciò elli allor sì dolcemente, 
che la dolcezza ancor dentro mi suona.                       114

Lo mio maestro e io e quella gente 
ch’eran con lui parevan sì contenti, 
come a nessun toccasse altro la mente.                     117

Noi eravam tutti fissi e attenti 
a le sue note; ed ecco il veglio onesto 
gridando: «Che è ciò, spiriti lenti?                                 120

qual negligenza, quale stare è questo? 
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio 
ch’esser non lascia a voi Dio manifesto».                  123

Come quando, cogliendo biado o loglio, 
li colombi adunati a la pastura, 
queti, sanza mostrar l’usato orgoglio,                          126

se cosa appare ond’elli abbian paura, 
subitamente lasciano star l’esca, 
perch’assaliti son da maggior cura;                             129

così vid’io quella masnada fresca 
lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, 
com’om che va, né sa dove riesca: 

né la nostra partita fu men tosta.                                   133

PARAFRASI

Il sole era già arrivato sull'orizzonte il cui meridiano sovrasta Gerusalemme col suo punto più alto;

e la notte, che ruota in posizione opposta a quella del sole, spuntava fuori dal Gange in congiunzione con la Bilancia, mentre non è così quando la sua durata eccede quella del giorno;

così le guance bianche e rosse della bella Aurora, là dove mi trovavo io, per il passare del tempo diventavano arancio (era l'alba).

Noi eravamo ancora sul lido, come qualcuno che pensa al cammino che deve fare ed è pronto col desiderio, ma esita col corpo.

Ed ecco, come quando Marte, offuscato dal mattino, rosseggia temperato da spessi vapori verso ovest sulla superficie del mare, così mi apparve (possa ancora vederla!) una luce che veniva dal mare, così veloce che nessun uccello si muove altrettanto rapidamente.

Non appena distolsi un poco lo sguardo da essa per domandare al mio maestro, la rividi più splendente e più grande.

Poi a ogni lato di essa mi sembrò di vedere un biancore indefinito, e poco a poco al di sotto ne apparve un altro.

Il mio maestro non disse nulla, finché apparve che il primo biancore erano delle ali; quando conobbe quel nocchiero, mi gridò: «Su, su, piega le ginocchia. Ecco l'angelo di Dio: unisci le mani (in preghiera); ormai vedrai ministri di questo tipo.

Vedi come rifiuta gli strumenti umani, così che non vuole remi, né altra vela che non siano le sue ali, pur in luoghi così lontani.

Vedi come le tiene dritte verso il cielo, fendendo l'aria con le piume eterne che non cadono come penne mortali».

Poi, non appena l'uccello divino venne più verso di noi, appariva più chiaramente: allora i miei occhi non ne sostennero lo sguardo da vicino, ma fui costretto a chinarli in basso; e quello venne a riva con una barchetta stretta e leggiera, al punto che non affondava minimamente nell'acqua.

Il divino timoniere stava a poppa, ed era tale che renderebbe beati al solo descriverlo; e dentro la barca sedevano più di cento spiriti.

Tutti insieme cantavano a una voce il Salmo «Nella fuga di Israele dall'Egitto», anche con i versi seguenti.

Poi fece loro il segno della croce ed essi si gettarono tutti sulla spiaggia; ed egli se andò, veloce come era venuto.

Il gruppo di anime che rimase lì sembrava inesperto del luogo, e si guardava intorno come colui che sperimenta cose nuove.

Il sole saettava il giorno da ogni parte, avendo già cacciato con le infallibili frecce il Capricorno dal punto mediano del cielo,

quando i nuovi arrivati si rivolsero a noi, dicendoci: «Se voi la sapete, mostrateci la via per arrivare al monte».

E Virgilio gli rispose: «Voi forse credete che noi siamo esperti di questo luogo; ma noi siamo forestieri proprio come voi.

Siamo appena arrivati, poco prima di voi, attraverso un'altra strada che fu così ardua che l'ascesa del monte al confronto ci sembrerà uno scherzo».

Le anime, che si erano accorte che io ero vivo vedendomi respirare, impallidirono per lo stupore.

E come la gente si affolla intorno al messaggero che porta notizie di pace, e nessuno si mostra schivo di accalcarsi,

così quelle anime fortunate si assieparono tutte quante intorno al mio viso, quasi dimenticando di andare a purificarsi.

Io vidi una di loro farsi avanti per abbracciarmi, con così grande affetto che mi spinse a fare altrettanto.

Oh, ombre inconsistenti, tranne che nell'aspetto! tre volte tentai di abbracciarla con le mani, e altrettante le ritrovai vuote al mio petto.

Credo di essermi stupito molto; allora l'ombra sorrise e si tirò in disparte, e io seguendola mi spinsi un po' lontano.

Dolcemente mi disse di fermarmi; allora lo riconobbi e lo pregai di fermarsi un poco a parlarmi.

Mi rispose: «Come ti ho amato nel corpo mortale, così ti amo ora che sono un'anima: per questo mi fermo, ma tu perché sei qui?»

Io dissi: «Casella mio, faccio questo viaggio per tornare nuovamente qui dove mi trovo; ma come mai tu arrivi qui soltanto adesso?»

E lui a me: «Non mi è stato fatto nessun torto, se l'angelo, che prende quando e chi vuole, mi ha negato più volte di portarmi qui;

infatti il suo volere è conforme a quello divino: tuttavia, da tre mesi egli ha accolto sulla barca tutti coloro che hanno voluto salirci, senza opporsi.

Allora io, che ero rivolto al mare dove sfocia il Tevere, fui benevolmente accolto da lui.

Ora ha drizzato l'ala verso quella foce, dal momento che ogni anima che non è destinata all'Inferno si raccoglie sempre lì».

E io: «Se una nuova legge non ti toglie la memoria o l'abitudine al canto amoroso che era solito placare tutti i miei desideri, con esso ti prego di consolare un poco la mia anima, che venendo qui con il corpo fisico è tanto affaticata!»

Allora egli cominciò a cantare «Amor che ne la mente mi ragiona» così dolcemente, che la dolcezza di quel canto risuona ancora dentro di me.

Il mio maestro e io e quelle anime che erano con lui sembravamo così contenti, come se la nostra mente non fosse toccata da alcun pensiero.

Noi eravamo tutti intenti alle note, quando ecco che arrivò il vecchio dignitoso (Catone) che gridava: «Che significa questo, spiriti lenti?

quale negligenza, quale indugio è questo? Correte al monte a levarvi la scorza (del peccato) che non vi permette di vedere Dio».

Come quando i colombi, beccando biada o loglio, radunati per il pasto, tranquilli e senza mostrare il consueto orgoglio, se appare qualcosa che li spaventa lasciano subito il cibo perché sono assaliti da una preoccupazione maggiore;

così io vidi quelle anime appena arrivate lasciare il canto, e correre verso la montagna come qualcuno che va senza una meta precisa: e la nostra fuga (mia e di Virgilio) non fu meno precipitosa.

RIASSUNTO

In questo canto l’invito è a dimenticare quello che c’è in terra (anche ciò che è bello) per dedicarsi a Dio.
Sono circa le 6 di mattina e il sole sorge all’orizzonte, mentre i due poeti si trovano ancora fermi sulla spiaggia del Purgatorio. All’orizzonte appare un punto luminoso che va facendosi sempre più grande. Dopo poco appare a destra e a sinistra di quello e sotto qualcosa di bianco; finchè avvicinatosi ancora si distingue chiaramente che è un angelo. Esso sta a poppa di una veloce imbarcazione che sembra volare sull’acqua nonostante sia piena di spiriti (le anime che devono andare in purgatorio), questi cantano tutti insieme un salmo. Toccata la riva le anime scendono sulla spiaggia e l’angelo, dopo averle benedette, riparte velocissimo.
Le anime appena giunte e ignare del luogo chiedono ai due poeti la via per raggiungere la cima del monte. Virgilio risponde che anche essi sono nuovi del posto ove sono giunti da poco per via aspra e difficile. Le anime che si sono accorte che Dante è ancora vivo gli si affollano intorno stupite.
Una delle anime si stacca dal gruppo, avanza e fa l’atto di abbracciare Dante. Questi a sua volta cerca di cingerle il collo con le braccia, ma il tentativo, ripetuto tre volte, è vano, perché quello del penitente è corpo aereo. Dante riconosce nell’anima l’amico Casella, musico e gli chiede come mai solo ora giunga al Purgatorio.
Casella intona “Amor che ne la mente mi ragiona” una delle canzoni di Dante. Questi, Virgilio e tutti gli spiriti sono rapiti dalla dolcezza di quel canto.
Mentre i due poeti e tutto il gruppo delle anime stanno, rapiti, in ascolto di Casella ecco riapparire improvvisamente Catone che rimprovera gli spiriti della loro negligenza e li invita a correre al monte per purificarsi. Le anime si sparpagliano dirigendosi verso la montagna.

CASELLA
Musico e cantore toscano, di cui si hanno scarse notizie (sarebbe nato verso il 1250 a Firenze o a Pistoia, e morì forse poco prima della primavera del 1300, secondo quanto lo stesso Dante dice di lui nel Canto II del Purgatorio in cui compare). Gli antichi commentatori del poema lo descrivono come un musico molto apprezzato e grande amico di Dante, anche se non si sa quanto tali notizie dipendano dalla lettura del poema stesso; nel codice Vaticano 3214 si trova il suo nome in calce a un madrigale di Lemmo da Pistoia, poeta del Duecento, che recita: Casella sonum dedit (lo musicò Casella, il che è coerente con l'episodio dantesco).

VIDEO CANTO II https://www.youtube.com/watch?v=Pc7915t7VuE&t=223s

purgatorio

Eugenio Caruso - 8 giugno 2020



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