Assembrarsi in piena zona rossa solo per evitare a un leader politico, con la violenza e la prepotenza, di poter esplicare un diritto fondamentale in una realtà delicata dove l’assenza endemica delle istituzioni ufficiali grava da tempo sulle spalle dei “penultimi”: gli italiani. Per difendere almeno gli ultimi? Ossia gli immigrati, sfruttati dalla camorra e dai caporali? No, come mera prova di forza antifascista condita da meridionalismo a buon mercato.
È quello che è avvenuto a Mondragone, la cittadina nel casertano al centro della crisi del contagio da Covid-19 a causa di un focolaio scoppiato in un’enclave – gli ex palazzi Cirio – abitata da rom e immigrati bulgari e sottratta da anni a ogni controllo. Sul luogo, chiamato da tantissimi residenti esasperati (lo dimostrano i lenzuoli appesi sui balconi del paese che da giorni invocano «Salvini metti ordine»), è arrivato l’ex ministro dell’Interno e leader della Lega.
L’accoglienza? Da una parte i suoi sostenitori e diversi cittadini di Mondragone (indicativa l’immagine di un ragazzo che spiega all’ex ministro di non riuscire più a vivere perché abitante proprio nei pressi dei palazzi “ex Cirio”) che aspettavano di poter accendere i riflettori grazie a un politico attento a questi temi. Dall’altra chi? I soliti centri sociali, diversi provenienti direttamente da Napoli, che hanno inscenato una protesta così vibrante e muscolare (con lanci di bottiglie, scontri con la polizia e caccia al giornalista) da riuscire a bloccare il comizio di Matteo Salvini.
L’accusa? Sempre la stessa: «sciacallo», «soffia sui problemi», «razzista». La soluzione? Nessuna, a parte la sardinata «Mondragone non si Lega». Altro che camorra, degrado, abbandono del territorio da parte delle istituzioni. Non una parola su Vincenzo De Luca, che dopo mesi a minacciare il “lanciafiamme” per i runner, continua a non essere tempestivo quando è costretto ad uscire dai social per incontrare la realtà. Il problema, per i centri sociali e Potere al Popolo, è solo “limitare” l’incontro dei mondragonesi con Salvini e quindi la democrazia di prossimità: proprio quella dove quella stessa sinistra è totalmente e colpevolmente scomparsa.
Da notare, poi, non solo la facilità e l’impunità con cui si impedisce l’esercizio di un diritto democratico come un comizio, ma la mancata reazione da parte delle forze politiche che si stracciano le vesti contro l’odio sui social o il diffondersi del clima di intolleranza in Italia.
E quello che va in scena di piazza in piazza contro Salvini che cos’è se non odio scientificamente riproposto col solo scopo di creare scompiglio? Stesso discorso – cambiando scenario ma non sostanza – è quello che è avvenuto nei confronti di Susanna Ceccardi, la candidata governatrice della Toscana che è stata apostrofata dallo sfidante del Pd Eugenio Giani come una sorta di animale «al guinzaglio di Salvini».
Un’uscita misogina, sessista, densa di pregiudizio e di odio politico. Anche qui, a parte una timida presa di distanza di Laura Boldrini, non vi è stata alcuna voce a sinistra che si è espressa a difesa della dignità della donna. Vale lo stesso principio adottato nei confronti di Salvini: se è contro la Lega il sessismo non è “peccato civile”. E l’odio stesso diventa “democratico”, un apostrofo rosa…
Antonio Rapisarda, 2 luglio - nicola porro.it