Quello che tu chiami schiavo pensa che è nato come te, gode dello stesso cielo, respira la stessa aria, vive e muore, come viviamo e moriamo noi. Puoi vederlo libero cittadino ed egli può vederti schiavo.
Seneca
INTRODUZIONE
Il Paradiso è la terza delle tre cantiche che compongono la Divina Commedia, dopo l'Inferno e il Purgatorio; a differenza delle altre due Cantiche questa è, a volte, un po' noiosa, come ricordiamo anche dai nostri studi liceali.
La struttura del Paradiso è costruita sul sistema geocentrico di Aristotele e di Tolomeo: al centro dell'universo sta la Terra, nella regione sublunare, e intorno a essa nove sfere concentriche, responsabili del movimento dei pianeti. Mentre l'Inferno è un luogo presente sulla Terra, il Paradiso è un mondo immateriale, etereo, diviso in nove cieli: i primi sette prendono il nome dai corpi celesti del sistema solare (nell'ordine Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno), gli ultimi due sono costituiti dalla sfera delle stelle fisse e dal Primo mobile (concepito come un cielo purissimo senza astri). Il tutto è contenuto nell'Empireo. Il rapporto tra Dante e i beati è molto diverso rispetto a quello che il poeta ha intrattenuto coi dannati e i penitenti: tutte le anime del Paradiso, infatti, risiedono nell'Empireo, e precisamente nella Candida Rosa, dal quale essi contemplano direttamente Dio; tuttavia, per rendere più comprensibile al viaggiatore l'esperienza del Paradiso, le figure gli appaiono di cielo in cielo, in una precisa corrispondenza astrologica tra la qualità di ogni pianeta e il tipo di esperienza spirituale compiuta dal personaggio descritto: ad esempio, nel cielo di Venere appaiono gli spiriti amanti, e in quello di Saturno gli spiriti contemplativi.
All'ingresso del Paradiso terrestre, situato sulla cima della montagna del Purgatorio, Virgilio, che secondo l'interpretazione figurale rappresenta la Ragione, scompare (Purgatorio, canto XXX) e viene sostituito da Beatrice, raffigurante la Teologia. Ciò simboleggia l'impossibilità per l'uomo di giungere a Dio per il solo mezzo della ragione umana: è necessario un diverso livello di "ragione divina" (ossia di verità illuminata), rappresentato appunto dall'accompagnatrice.
Successivamente, a Dante si affiancherà una nuova guida: Beatrice, infatti, lascia maggiore spazio a san Bernardo di Chiaravalle, pur restando presente e pregando per il poeta nel momento dell'invocazione finale del santo alla Madonna. La Teologia (Beatrice) non è sufficiente per elevarsi alla visione di Dio, alla quale si può giungere solo attraverso la contemplazione mistica dell'estasi, rappresentata allegoricamente da san Bernardo. Nello scandire i tempi del viaggio attraverso il Paradiso, Dante ha presente lo schema dell'Itinerario della mente in Dio di San Bonaventura, che prevedeva platonicamente tre gradi di apprendimento: l'Extra nos, ovvero l'esperienza dei sette cieli, corrispondente alla conoscenza sensibile della teoria platonica; l'Intra nos, o l'esperienza delle stelle fisse, corrispondente alla visione immaginativa; il Supra nos, o l'esperienza dell'Empireo, corrispondente alla conoscenza intellettuale. In questa scansione sono tuttavia presenti anche elementi di carattere scolastico-aristotelico (vita mondana, attiva e contemplativa) e agostiniano (la vita attiva secondo la Scientia, e la vita contemplativa secondo la Sapientia).
Nel Paradiso dimora l'eterna beatitudine: le anime contemplano la divinità di Dio e sono colme di grazia. Via via che Dante ascende, intorno a lui aumenta la luminosità, e il sorriso di Beatrice diviene sempre più abbagliante. Dante arriverà a vedere Dio e a contemplare la Trinità grazie all'intercessione della Madonna invocata da San Bernardo. Durante il viaggio in Paradiso, Dante affronta molte questioni filosofiche e teologiche spiegandole sulla base del sapere medievale.
Gli angeli delle gerarchie si suddividono in tre sfere di tre cori (o ordini) ciascuno, secondo la dottrina già abbozzata da san Paolo. I tre ordini superiori rivolgono lo sguardo direttamente a Dio, e vivono completamente immersi in Lui. Sono Serafini, angeli il cui atto è solo amore; i Cherubini che sussistono nella conoscenza; i Troni la cui caratteristica consiste nella partecipazione attiva all'altissima presenza di Dio. Seguono le Dominazioni, le Virtù, le Potestà: la loro esistenza si attua nella collaborazione, attraverso la contemplazione e l'amore, al piano di Dio. Gli ultimi tre cori, Principati, Arcangeli e Angeli, vivono partecipando dell'atto stesso divino che crea e regge il mondo, al divenire del cosmo e alla storia dell'uomo. Gli angeli sono anche messaggeri di Dio di cui Egli si serve per agire nel mondo.
Secondo un'antichissima dottrina le intelligenze angeliche muovono le sfere celesti, poiché il primo effetto dell'azione divina è l'anelito verso di Lui, consistente nel movimento, e questo si attua nel circolo che è forma di eternità. La sfera più esterna gira più rapidamente poiché più vicina all'empireo, il luogo dove risiede Dio.
Cherubini - Raffaello
RIASSUNTO DEL CANTO IV
Il canto quarto del Paradiso di Dante Alighieri si svolge nel cielo della Luna, ove risiedono le anime di coloro che mancarono ai voti fatti. Le parole di Piccarda Donati fanno nascere in Dante due dubbi ugualmente tormentosi, a tal punto che non sa quale esprimere per primo ed è costretto a tacere. Sebbene Dante non parli, Beatrice, la quale vedendo ogni cosa in Dio conosce anche i pensieri di Dante, esplicita i due dubbi. Il primo è riferito al fatto che il non compiere un bene (il voto di Piccarda in questo caso) per violenza altrui possa diminuire il nostro merito. Il secondo riguarda la discesa delle anime dalle stelle ai corpi umani e il loro ritorno in cielo, secondo la teoria di Platone argomentata nel dialogo Timeo. Beatrice inizia a sciogliere i dubbi di Dante confutando la teoria di Platone sopra citata. Tutti i beati hanno dimora nell'Empireo: il fatto che appaiano nei diversi cieli ha lo scopo di mettere in evidenza il diverso grado di beatitudine, e ha quindi un significato simbolico e didascalico. Solo in questo modo, attraverso la via del senso, infatti, si parla alla mente umana: la Scrittura di Dio ci è comprensibile perché si adatta alla capacità di comprensione degli uomini, e per lo stesso motivo la Chiesa rappresenta gli angeli, che sono puro spirito, con corpi umani. Dunque le affermazioni del Timeo non corrispondono alla realtà (ammesso che il testo sia correttamente inteso) là dove dice che ogni anima torna alla stella da cui si è distaccata quando è entrata in un corpo umano. Forse il protagonista del dialogo platonico non è lontano dal vero se intende che alle sfere celesti vada attribuito un influsso sulle anime; in base a questa convinzione, intesa erroneamente in senso assoluto, si sono attribuiti ai corpi celesti i nomi delle divinità pagane.Il secondo dubbio di Dante (sull'inadempienza dei voti a causa dell'altrui violenza) viene da Beatrice giudicato meno pericoloso in quanto il credere "ingiusta" la giustizia divina non è fonte di eresia, anzi a suo modo è conferma della fede in Dio. Beatrice argomenta che Piccarda e Costanza non si opposero alla violenza con la necessaria energia, e lo dimostrerebbe il fatto che non ritornarono al chiostro in un momento successivo, quando avrebbero potuto farlo. Mancò loro, insomma, quella forza di volontà che ebbero ad esempio San Lorenzo martire fermo sulla graticola e Muzio Scevola con la mano nel braciere.
Chiarito questo punto, Beatrice introduce un altro tema, talmente complesso che Dante non potrebbe affrontarlo da solo: nel canto precedente ella ha reso Dante certo della veridicità delle anime; poi egli ha saputo da Piccarda che Costanza si è sempre conservata fedele nel suo cuore ai voti pronunciati, il che pare in contraddizione con ciò che Beatrice ha appena affermato. Ella ricorda che molte volte accade che si compia qualcosa contro la propria volontà per evitare un male peggiore (cita l'esempio mitologico di Alcmeone); in questo modo la violenza dell'oppressore si mescola alla volontà della vittima. Una volontà "assoluta", ovvero libera e incondizionata, non acconsente mai al male; ma di fatto vi acconsente se teme di cadere altrimenti in una colpa più grave. Piccarda ha alluso alla volontà assoluta, Beatrice invece alla volontà condizionata: le loro affermazioni sono dunque entrambe vere. In tal modo le parole di Beatrice, alimentate direttamente dalla verità divina, soddisfano entrambi i dubbi di Dante. Dante, dichiarando di non poter adeguatamente ringraziare Beatrice, riconosce che l'intelletto umano è insaziabile se non è illuminato dal vero: esso vi trova pace come una fiera nella sua tana; ma da ogni verità raggiunta scaturisce un nuovo dubbio, ed è proprio della natura umana l'avvicinarsi per gradi al sommo della verità. Perciò Dante manifesta un altro dubbio: è possibile compensare la mancata adempienza di un voto con buone azioni di altro genere? Beatrice risponde con uno sguardo sfavillante d'amore. Il canto, considerato "uno fra i più dottrinari del Paradiso, non presenta cambiamenti di scena né nuovi personaggi, ma si sviluppa come una lezione quasi ininterrotta di Beatrice, relativa ai dubbi sorti nella mente di Dante in seguito all'incontro con Piccarda narrato nel canto precedente. Sono in realtà dubbi di notevole portata intellettuale che si possono far risalire al periodo nel quale Dante, dopo la morte di Beatrice, frequentò assiduamente "le scuole de li religiosi e le disputazioni de li filosofanti" (Convivio, II, 12, 7). Il secondo dubbio formulato è il primo a ricevere spiegazione, in quanto investe direttamente un problema di fede, ovvero se l'anima sia creata e infusa direttamente da Dio. Sembrerebbe opporsi a questo dogma il presentarsi delle anime nei singoli cieli, ma in realtà esse appartengono tutte all'Empireo, cielo non materiale e pura emanazione della mente divina. L'argomentazione è presentata da Beatrice in modo graduale e ordinato, e appare dosata con prudenza là dove confuta la teoria platonica espressa da Timeo nel dialogo che da lui prende il nome. Non è ben noto il grado di conoscenza che Dante poteva avere del dialogo, che peraltro era fino al secolo XII l'unico testo platonico conosciuto direttamente nell'Europa occidentale[2]. Beatrice infatti esprime qualche riserva sulla corretta interpretazione da darsi alle parole di Timeo (vv.55 e 59: "forse"...forse").
Il secondo dubbio sciolto è il primo formulato e riguarda la condizione di chi non mantiene fede al voto pronunciato in quanto costretto con la violenza. Se è vero, come è vero, che Piccarda e Costanza hanno subito violenza, come mai sono "qui rilegate per manco di voto" (Paradiso, III, v.30), ossia godono di un grado di beatitudine in certo modo limitato? Il dubbio non mette in discussione i principi della dottrina cristiana ma sottolinea come in certi casi la giustizia di Dio sia poco comprensibile alle menti degli uomini.
Beatrice, sempre con impeccabile ragionamento e lessico tipico della Scolastica (filosofia), distingue tra volontà assoluta (dal latino absolutus ovvero libero, sciolto) e libertà condizionata, riconoscendo che non è facile incontrare esempi di virtù come quelli, eminenti, di San Lorenzo e di Muzio Scevola.
Muzio Scevola di P. Rubens
L'argomentazione esauriente suscita in Dante profonda gratitudine, espressa con una raffinatezza di linguaggio che richiama la lirica d'amore medioevale (vv.118-123), arricchita da metafore non consuete (v.127: la mente che si acquieta nel vero "come fera in lustra"; vv.130-131: il nuovo dubbio come un pollone al piede di un albero; v.132: il procedere graduale verso la verità come un salire di colle in colle verso la cima). Un'ultima metafora (v.138: "statera" ossia bilancia, per indicare la giustizia divina) emerge nella formulazione dell'ultimo dubbio, che Dante questa volta esprime con le proprie parole anziché lasciare che sia Beatrice a intuirlo.
TESTO
Intra due cibi, distanti e moventi
d’un modo, prima si morria di fame,
che liber’omo l’un recasse ai denti; 3
sì si starebbe un agno intra due brame
di fieri lupi, igualmente temendo;
sì si starebbe un cane intra due dame: 6
per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo,
da li miei dubbi d’un modo sospinto,
poi ch’era necessario, né commendo. 9
Io mi tacea, ma ‘l mio disir dipinto
m’era nel viso, e ‘l dimandar con ello,
più caldo assai che per parlar distinto. 12
Apologo di Buridano
Fé sì Beatrice qual fé Daniello,
Nabuccodonosor levando d’ira,
che l’avea fatto ingiustamente fello; 15
e disse: «Io veggio ben come ti tira
uno e altro disio, sì che tua cura
sé stessa lega sì che fuor non spira. 18
Tu argomenti: "Se ‘l buon voler dura,
la violenza altrui per qual ragione
di meritar mi scema la misura?". 21
Ancor di dubitar ti dà cagione
parer tornarsi l’anime a le stelle,
secondo la sentenza di Platone. 24
Queste son le question che nel tuo velle
pontano igualmente; e però pria
tratterò quella che più ha di felle. 27
D’i Serafin colui che più s’india,
Moisè, Samuel, e quel Giovanni
che prender vuoli, io dico, non Maria, 30
non hanno in altro cielo i loro scanni
che questi spirti che mo t’appariro,
né hanno a l’esser lor più o meno anni; 33
ma tutti fanno bello il primo giro,
e differentemente han dolce vita
per sentir più e men l’etterno spiro. 36
Qui si mostraro, non perché sortita
sia questa spera lor, ma per far segno
de la celestial c’ha men salita. 39
Così parlar conviensi al vostro ingegno,
però che solo da sensato apprende
ciò che fa poscia d’intelletto degno. 42
Per questo la Scrittura condescende
a vostra facultate, e piedi e mano
attribuisce a Dio, e altro intende; 45
e Santa Chiesa con aspetto umano
Gabriel e Michel vi rappresenta,
e l’altro che Tobia rifece sano. 48
Quel che Timeo de l’anime argomenta
non è simile a ciò che qui si vede,
però che, come dice, par che senta. 51
Dice che l’alma a la sua stella riede,
credendo quella quindi esser decisa
quando natura per forma la diede; 54
e forse sua sentenza è d’altra guisa
che la voce non suona, ed esser puote
con intenzion da non esser derisa. 57
S’elli intende tornare a queste ruote
l’onor de la influenza e ‘l biasmo, forse
in alcun vero suo arco percuote. 60
Questo principio, male inteso, torse
già tutto il mondo quasi, sì che Giove,
Mercurio e Marte a nominar trascorse. 63
L’altra dubitazion che ti commove
ha men velen, però che sua malizia
non ti poria menar da me altrove. 66
Parere ingiusta la nostra giustizia
ne li occhi d’i mortali, è argomento
di fede e non d’eretica nequizia. 69
Ma perché puote vostro accorgimento
ben penetrare a questa veritate,
come disiri, ti farò contento. 72
Se violenza è quando quel che pate
niente conferisce a quel che sforza,
non fuor quest’alme per essa scusate; 75
ché volontà, se non vuol, non s’ammorza,
ma fa come natura face in foco,
se mille volte violenza il torza. 78
Per che, s’ella si piega assai o poco,
segue la forza; e così queste fero
possendo rifuggir nel santo loco. 81
Se fosse stato lor volere intero,
come tenne Lorenzo in su la grada,
e fece Muzio a la sua man severo, 84
così l’avria ripinte per la strada
ond’eran tratte, come fuoro sciolte;
ma così salda voglia è troppo rada. 87
E per queste parole, se ricolte
l’hai come dei, è l’argomento casso
che t’avria fatto noia ancor più volte. 90
Ma or ti s’attraversa un altro passo
dinanzi a li occhi, tal che per te stesso
non usciresti: pria saresti lasso. 93
Io t’ho per certo ne la mente messo
ch’alma beata non poria mentire,
però ch’è sempre al primo vero appresso; 96
e poi potesti da Piccarda udire
che l’affezion del vel Costanza tenne;
sì ch’ella par qui meco contradire. 99
Molte fiate già, frate, addivenne
che, per fuggir periglio, contra grato
si fé di quel che far non si convenne; 102
come Almeone, che, di ciò pregato
dal padre suo, la propria madre spense,
per non perder pietà, si fé spietato. 105
A questo punto voglio che tu pense
che la forza al voler si mischia, e fanno
sì che scusar non si posson l’offense. 108
Voglia assoluta non consente al danno;
ma consentevi in tanto in quanto teme,
se si ritrae, cadere in più affanno. 111
Però, quando Piccarda quello spreme,
de la voglia assoluta intende, e io
de l’altra; sì che ver diciamo insieme». 114
Cotal fu l’ondeggiar del santo rio
ch’uscì del fonte ond’ogne ver deriva;
tal puose in pace uno e altro disio. 117
«O amanza del primo amante, o diva»,
diss’io appresso, «il cui parlar m’inonda
e scalda sì, che più e più m’avviva, 120
non è l’affezion mia tanto profonda,
che basti a render voi grazia per grazia;
ma quei che vede e puote a ciò risponda. 123
Io veggio ben che già mai non si sazia
nostro intelletto, se ‘l ver non lo illustra
di fuor dal qual nessun vero si spazia. 126
Posasi in esso, come fera in lustra,
tosto che giunto l’ha; e giugner puollo:
se non, ciascun disio sarebbe frustra. 129
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
a piè del vero il dubbio; ed è natura
ch’al sommo pinge noi di collo in collo. 132
Questo m’invita, questo m’assicura
con reverenza, donna, a dimandarvi
d’un’altra verità che m’è oscura. 135
Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi
ai voti manchi sì con altri beni,
ch’a la vostra statera non sien parvi». 138
Beatrice mi guardò con li occhi pieni
di faville d’amor così divini,
che, vinta, mia virtute diè le reni,
e quasi mi perdei con li occhi chini. 142
NOTE
- Gli esempi citati da Dante ai vv. 1-6 sono affini a quello cosiddetto dell'«asino di Buridano», attribuito al filosofo scolastico francese del XIV sec. secondo cui un asino, posto tra due mucchi di fieno ugualmente distanti e appetibili, morirebbe di fame non sapendo quale scegliere. Dante sostituisce all'asino l'uomo, ovvero un essere dotato di intelletto e non spinto solo dagli appetiti sensibili.
- Ai vv. 13-15 si allude al racconto biblico (Dan., II, 1 ss.) in cui il profeta Daniele interpretò il sogno del re babilonese Nabucodonosor, che l'aveva dimenticato e, adirato, voleva condannare a morte i saggi che non erano riusciti a soddisfare le sue richieste.
- Al v. 27 felle significa «fiele» e, per estensione, veleno (Beatrice indica che tale opinione è pericolosa sul piano dell'ortodossia).
- Al v. 28 s'india è neologismo dantesco e vuol dire «penetra in Dio».
- Il v. 33 allude alla dottrina platonica per cui l'anima permarrebbe più o meno a lungo nell'astro a seconda dei meriti.
- Ai vv. 43-45 Dante si rifà a san Tommaso, Summa theol., I, q. I, a. 9: conveniens est Sacrae Scripturae divina et spiritualia sub similitudine corporalium tradere... Est autem naturale homini ut per sensibilia ad intellegibilia veniat: quia omnis nostra cognitio a sensu initium habet («è necessario che la Sacra Scrittura tramandi le cose divine e spirituali attraverso similitudini fisiche; del resto è naturale per l'uomo giungere alla conoscenza intellettiva attraverso immagini sensibili, poiché ogni nostra conoscenza prende inizio dai sensi»).
- L'altro che Tobia rifece sano (v. 48) è l'arcangelo Raffaele, che guarì Tobia dalla cecità (Tob., III, 25; VI, 16).
- Al v. 53 decisa è latinismo e vuol dire «separata» (da decĭdo, «tagliare»).
- Al v. 68 argomento è stato variamente interpretato, poiché può voler dire «prova», «dimostrazione», oppure «motivo». Forse Beatrice indica semplicemente che la giustizia divina è argumentum fidei, ovvero materia inconoscibile all'intelletto e che può essere solo oggetto di fede.
- I due esempi ai vv. 82-84 sono relativi a san Lorenzo, il martire spagnolo arso vivo su una graticola nel 258 d.C. durante le persecuzioni dell'imperatore Valeriano, e a Gaio Mucio Scevola, il giovane romano che tentò di uccidere il re di Chiusi Porsenna e, avendo fallito, bruciò la mano destra per punirla (Livio, Ab Urbe condita, II, 12). Da osservare che i due esempi sono tratti dalla tradizione cristiana e pagana.
- Ai vv. 103-105 Dante allude al mito di Alcmeone, il figlio di Anfiarao che uccise la madre Erifile poiché questa aveva rivelato il nascondiglio del padre (Stazio, Theb., VII, 787-788; Ovidio, Met., IX, 408). Qui Dante dice in maniera imprecisa che era stato Anfiarao a chiedere al figlio di vendicarlo.
- Al v. 118 amanza è provenzalismo e vale «prediletta».
- La formula esse frustra (v. 129) nel senso di «essere invano» è propria del linguaggio della Scolastica.
- L'espressione mia virtute diè le reni (v. 141) indica che la virtù visiva di Dante, sopraffatta dall'aspetto di Beatrice, batte in ritirata, cioè viene meno.
PARAFRASI
Un uomo dotato di libera scelta, posto fra due cibi a uguale distanza e ugualmente appetibili, morirebbe di fame prima di mangiarne uno;
così un agnello starebbe tra due lupi che vogliono divorarlo, ugualmente temendo; così starebbe un cane tra due daini:
per cui, se io tacevo, non biasimo né lodo me stesso, poiché ciò era inevitabile visto che ero spinto dai miei dubbi allo stesso modo.
Io tacevo, ma il mio desiderio era dipinto sul mio viso e insieme a esso la mia domanda, ancora più evidente che se non avessi parlato.
Beatrice si comportò come Daniele quando placò l'ira di Nabucodonosor, che era diventato ingiustamente crudele;
e disse: «Vedo bene come entrambi i desideri ti attraggono, così che la tua ansia frena se stessa e non traspare al di fuori.
Tu ragioni così: "Se la buona volontà persiste, per quale motivo la violenza altrui diminuisce per me la misura di ben meritare (la mia beatitudine)?".
Ti dà ancora motivo di dubitare il fatto che le anime sembrano tornare alle stelle, secondo l'opinione di Platone.
Queste sono le questioni che premono in egual misura la tua volontà; perciò tratterò per prima quella che è più pericolosa sul piano dottrinale.
Quel Serafino che è più vicino a Dio, Mosè, Samuele, Giovanni Battista o Evangelista, addirittura Maria, hanno la loro sede nello stesso Cielo (Empireo) di questi spiriti che ti sono appena apparsi, né la loro permanenza lì ha una durata più lunga o più breve;
ma tutti loro adornano il Cielo più alto, e hanno un grado di felicità diverso a seconda che sentano più o meno lo Spirito Santo.
Ti sono apparsi qui nel I Cielo non perché esso sia assegnato loro come sede, ma per manifestare visibilmente il loro minor grado di beatitudine.
Bisogna parlare così al vostro ingegno, poiché apprende solo attraverso i sensi ciò che poi diventa oggetto di conoscenza intellettiva.
Per questo la Scrittura si adegua alle vostre facoltà e attribuisce tratti fisici a Dio, intendendo altro;
e la Santa Chiesa raffigura con aspetto umano gli arcangeli Gabriele e Michele, e l'altro (Raffaele) che guarì Tobia.
Ciò che il dialogo platonico Timeo afferma riguardo alle anime è diverso da ciò che si vede qui, dal momento che sembra che il filosofo intenda proprio quello che dice.
Platone afferma che l'anima torna dopo la morte alla sua stella, poiché crede che essa se ne sia staccata quando la natura diede ad essa una forma sostanziale;
ma forse la sua opinione è diversa dal senso letterale, e in tal caso non è degna di essere derisa.
Se Platone vuole attribuire a queste sfere celesti il merito e il biasimo dell'influenza astrale, forse non è lontano dalla verità.
Questa dottrina, male interpretata, indusse all'errore quasi tutti i popoli, così che identificarono con i pianeti Giove, Mercurio, Marte.
L'altro dubbio che ti tormenta è meno pericoloso, poiché la sua malizia non ti potrebbe allontanare da me (dalla teologia).
Il fatto che la giustizia divina possa sembrare iniqua agli occhi degli uomini, è argomento di fede e non di eresia.
Ma poiché il vostro intelletto può ben interpretare questa verità, ti accontenterò come desideri.
Se la violenza sussiste quando colui che la subisce non asseconda in nulla colui che la compie, allora queste anime non furono scusate per essa;
infatti la volontà, se non vuole, non viene meno, ma fa come il fuoco che tende per natura a salire, anche se mille volte la violenza (del vento) lo spinge in basso.
Infatti, se la volontà si piega poco o molto, asseconda la violenza; e così fecero queste anime, dal momento che potevano tornare nel loro convento.
Se la loro volontà fosse stata integra, come quella che tenne san Lorenzo sulla graticola e quella che indusse Mucio Scevola ad essere severo con la sua mano, essa le avrebbe riportate sulla strada da cui erano state portate via, non appena libere dall'impedimento fisico; ma una volontà suprema di tal genere è troppo rara.
Martirio di San Lorenzo. Di Pietro da Cortona
E grazie a queste mie parole, se le hai ascoltate nel modo dovuto, è confutato l'argomento che ti avrebbe danneggiato altre volte.
Ma ora ti si presenta agli occhi un nuovo interrogativo, tale che non potresti risolverlo da solo: prima ne saresti vinto.
Io ti ho detto con certezza che l'anima beata non può mentire, poiché è sempre in comunione con la verità divina;
e poi hai sentito da Piccarda che Costanza si mantenne fedele in cuore alla regola monastica, cosicché sembra contraddirmi.
Molte volte, fratello, è accaduto che, per sfuggire un pericolo, si fece controvoglia ciò che non bisognava fare;
come Alcmeone, che, su preghiera del padre, uccise la propria madre, e mostrandosi devoto diventò spietato.
A questo proposito voglio che tu pensi che la violenza si mescola alla volontà, e questo fa sì che le offese compiute non si possono giustificare.
La volontà assoluta non acconsente al danno; ma vi acconsente in tanto in quanto teme di subire un danno maggiore, se si tira indietro.
Perciò, quando Piccarda esprime quel concetto, parla della volontà assoluta, mentre io parlo di quella relativa; quindi diciamo entrambe una cosa vera».
Questo fu il fluire abbondante e scorrevole del santo fiume (le parole di Beatrice) che sgorgò dalla fonte da cui deriva ogni verità (Dio); esso risolse entrambi i miei dubbi.
Dopo io dissi: «O prediletta del primo amante (di Dio), o donna divina, le cui parole mi inondano e scaldano al punto che mi ravvivano sempre di più, il mio sentimento non è abbastanza intenso per potervi ringraziare a sufficienza; Colui che tutto vede e tutto può (Dio) lo faccia per me.
Vedo bene che il nostro intelletto non si sazia mai, se non è illuminato da quel vero al di fuori del quale nessun'altra verità può sussistere.
Esso riposa in quella verità, come una belva nella sua tana, non appena l'ha raggiunta; e la può raggiungere, altrimenti ogni desiderio cadrebbe in vano.
Per questo desiderio di conoscenza ai piedi della verità nasce il dubbio, come un germoglio; e la natura ci spinge di altura in altura alla vetta più alta (alla verità).
Questo mi rende sicuro e mi spinge a domandarvi con deferenza, donna, di un'altra verità che non mi è chiara.
Io voglio sapere se l'uomo può compensare i voti mancati con altre opere di bene, tali che alla vostra bilancia non siano irrisorie».
Beatrice mi guardò con gli occhi pieni di scintille di amore così vive, che la mia virtù visiva, vinta, venne meno e per poco non mi smarrii con gli occhi bassi.
VIDEO SERMONTI
Eugenio Caruso - 04- 06 - 2021