La sostenuta crescita degli anni cinquanta fa emergere un vecchio problema del Paese, la scarsità di fonti d'energia e il sempre crescente fabbisogno energetico della produzione e dei consumi.
Inizialmente, vengono sfruttate al massimo le potenzialità offerte dal sistema idroelettrico e vengono costruite centrali alimentate da combustibili fossili, tanto che nel 1952 la produzione di energia elettrica è già raddoppiata rispetto al 1938.
Nel 1962, il 70% dell'energia elettrica è prodotta da impianti idroelettrici, ma dal 1962, con il petrolio calato a 9,7 $/barile e sotto la pressione dell'Eni, che spinge per un utilizzo massiccio degli idrocarburi, la produzione di energia elettrica da tale fonte subisce un'impennata.
Nel frattempo, nel settore privato si manifesta un notevole interesse per l'energia nucleare e vengono effettuati investimenti per valutare la possibilità di avviare un progetto italiano di reattore nucleare. Questo interesse dei privati è anche dovuto al tentativo di allontanare il pericolo della nazionalizzazione delle società elettriche, con la dimostrazione di una volontà dei privati di investire in ricerche a rischio.
Il governo istituisce, da parte sua, il Comitato nazionale per le ricerche nucleari (Cnrn, successivamente Cnen e infine Enea), con gli obiettivi dichiarati di sostenere lo sforzo dei privati e di gestire i rapporti con le varie organizzazioni internazionali che stavano nascendo per il controllo delle applicazioni pacifiche dell'energia nucleare.
Nella realtà, il Cnrn sarà il cavallo di Troia dello stato per boicottare le iniziative delle società elettriche private nel settore nucleare. Peraltro, il mondo della politica ha iniziato a discutere della nazionalizzazione dell'elettricità e l'associazione Amici del mondo è particolarmente attiva per il conseguimento di questo obiettivo. L'attivismo delle imprese private porta, nel frattempo, all'acquisto di tre centrali elettronucleari (Latina, 1958 - Garigliano, 1959 - Trino Vercellese, 1965).
Gli anni sessanta rappresentano un importante snodo della politica dei governi in campo energetico; i socialisti, infatti, impongono la nazionalizzazione del settore, con la costituzione dell'ente nazionale per l'energia elettrica (Enel). Il punto è che, nonostante le tariffe elettriche siano fissate dal Comitato interministeriale dei prezzi (Cip) e che, nel 1961, sia stata completata l'unificazione delle tariffe elettriche su tutto il territorio nazionale, le società elettriche private fanno utili che distribuiscono agli azionisti e la cosa è ritenuta peccaminosa nella chiesa socialista.
È interessante notare che il massimo teorizzatore della programmazione nazionale, Pasquale Saraceno, è contrario a questa nazionalizzazione; egli sostiene, infatti, che due grandi società elettriche la meridionale Sme e la piemontese Sip, sono già pubbliche, essendo di proprietà dell'Iri, e che queste società potrebbero fare una politica di investimenti e di prezzi, costringendo i privati a seguirle.
I nazionalizzatori affermano che un produttore unico sarebbe in grado di realizzare tali economie di scala da consentire vistose riduzioni delle tariffe. Nella cruda realtà dei fatti questo calo tariffario non si vedrà mai; infatti, appena costituito l'ente, i lavoratori chiedono che i loro stipendi siano adeguati agli stipendi dei lavoratori delle altre aziende statali. Il costo del lavoro pro capite, a lira corrente, aumenta, rapidamente, portandosi, all'inizio degli anni settanta, su tassi di crescita superiori al 10% l'anno. Il numero degli addetti sale vertiginosamente. L'ente è costretto ad acquistare impianti e componenti sul mercato nazionale da altre aziende pubbliche, spesso inefficienti e fuori mercato, perdendo la possibilità di acquistare il meglio al minor costo. L'opzione nucleare viene bloccata, prima per l'opposizione dello stato all'iniziativa privata, successivamente per il "caso Ippolito" (il segretario generale del Cnen viene processato per irregolarità amministrative), poi per le indecisioni sul tipo di reattore e per i problemi finanziari dell'Enel, impegnata a indennizzare gli azionisti delle società nazionalizzate e, infine, per le opposizioni delle comunità locali.
L'unica centrale che verrà realizzata dall'Enel sarà quella da 840 megawatt di Caorso, che avviata nel 1968 e terminata, dopo enormi ritardi, nel 1981, andrà soggetta ad una serie innumerevole di inconvenienti tecnici fino al fermo definitivo.
Una delle motivazioni per la creazione delle aziende pubbliche era l'affermazione che il settore privato non sarebbe stato in grado di creare una cultura manageriale, cultura che sarebbe, invece, cresciuta nell'industria di stato.
Se analizziamo la storia dell'Enel possiamo affermare che essa è caratterizzata da una serie interminabile di errori commessi proprio dai suoi manager. La legge istitutiva dell'ente assegna all'Enel il compito di sviluppare il proprio potenziale produttivo per soddisfare le future richieste del mercato, cosicché i grandi programmatori dell'ente si mettono al lavoro.
Una grossa centrale elettrica richiede una decina d'anni per essere completata, pertanto la programmazione deve essere fatta con proiezioni di almeno quindici anni. Nel 1975 i grandi manager di stato dell'Enel prevedono che nel 1990 la richiesta di energia elettrica sarà tra i 420 e i 520 terawattore (1), i dati a consuntivo del 1995 daranno poco più di 200 terawattore, molto meno della metà; la previsione del 1980, sempre per il 1990, si attesta tra 330 e 380 terawattore. Le ragioni di questi enormi scarti tra previsioni e consuntivi possono essere tante, ma il dato di fatto è che vengono commessi clamorosi errori.
Conseguentemente, la storia dell'Enel è costellata di mastodontici piani di investimento.
Nel 1967 il direttore generale dell'ente pronostica che entro il 1980 l'Enel avrebbe avuto installati 6.500 megawatt nucleari.
Nel 1975 si prevede la costruzione di 20.000 megawatt nucleari da realizzarsi entro il 1985.
Il primo Piano energetico nazionale (Pen), sempre nel 1975, prevede addirittura, entro il 1990, l'entrata in funzione tra 46.000 e 62.000 megawatt nucleari.
Il secondo Pen, nel 1977, prevede "solo" 12.000 megawatt nucleari entro il 1985.
Nel 1979, i piani dell'Enel prevedono la costruzione di quattordici impianti a carbone da 640 megawatt ciascuno.
Il Pen del 1981, approva la scelta nucleare più carbone, con la trasformazione a carbone di centrali termoelettriche per 3.700 megawatt e la costruzione ex novo di impianti a carbone per 17.000 megawatt.
Il Pen del 1985 conferma i 12.000 megawatt nucleari e riduce a 12.000 megawatt gli impianti a carbone.
Fortunatamente, questi giganteschi piani non vengono realizzati perché il management dell'Enel, ancora una volta, non mette in conto le difficoltà riguardanti la scelta dei combustibili (si alternano, via via le ipotesi olio, nucleare, nucleare più carbone, carbone, policombustibili, gas), le difficoltà finanziarie e autorizzative, i tempi di realizzazione. Questo elenco di problemi rallenta, fortunatamente, lo sviluppo di una produzione enormemente in eccesso rispetto alla domanda.
L'Enel, con il passare degli anni, perde credibilità e potere contrattuale, tanto che qualunque amministrazione locale è in grado di porre il veto alla costruzioni di qualsiasi tipo di nuova centrale. Questa situazione conduce l'Enel, negli anni ottanta, alla necessità di ingenti acquisti di energia elettrica dall'estero.
Se i programmi di costruzione sono sempre stati al di sopra degli effettivi fabbisogni, gli ordinativi effettivamente emessi, grazie all'inefficienza dell'ente, sono stati largamente al di sotto dei programmi, compensando quindi gli errori di previsione. Gli investimenti hanno avuto un andamento di forte irregolarità con periodi di investimenti e periodi di calma piatta; di converso, fortunatamente, più regolare è stato l'andamento dell'entrata in servizio degli impianti a causa di una cattiva programmazione e di un cattivo controllo dei tempi di realizzazione. Ancora una volta due inefficienze di segno opposto si sono sommate salvando il sistema elettrico.
Nel frattempo il settore evolve spensieratamente verso una completa dipendenza dagli idrocarburi. Contestualmente, la lunga fase espansiva delle economie industrializzate ha determinato una richiesta enorme di materie prime e quindi anche di petrolio e gas, i produttori di petrolio si associano in un cartello l'Opec (Organization of petroleum exporting countries), cosicché il potere di mercato passa dalla domanda all'offerta.
Nel 1973, quando scoppia la guerra del Kippur tra Egitto e Israele, si assiste alla prima grave crisi petrolifera. Il petrolio viene usato come arma economica dai paesi arabi che ne riducono la produzione. I continui rincari del greggio costringono i paesi consumatori a varare misure di emergenza. In Italia iniziano le "domeniche a piedi" e viene aumentato il prezzo di benzina e gasolio. Per ridurre i consumi elettrici, viene ridotto l'orario di apertura dei negozi, l'illuminazione pubblica viene pressoché dimezzata, le trasmissioni televisive terminano alle 22,45.
L'Italia, energeticamente dipendente dall'estero, viene colpita duramente dal punto di vista economico. L'inflazione supera le due cifre e nel 1975, per la prima volta dalla fine della guerra, si ha una caduta del reddito.
Redazione
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(1) Un terawattore equivale a un miliardo di kWh.