Con le immagini del WEBB ci si avvicina all'alba dell'Universo.Il telescopio Webb ha immortalato due galassie all'origine del Cosmo
Da quando è entrato in funzione, il James Webb sta svelando un Universo ricco di oggetti celesti. Riesce a farlo soprattutto perché osserva nella lunghezza d’onda infrarossa. Tutto ciò che non abbiamo mai visto e che è rimasto finora nascosto, questo telescopio spaziale lo sta rivelando giorno dopo giorno.
Conosciuta come GLASS-z13, questa galassia risale a 300 milioni di anni dopo il Big Bang, circa 100 milioni di anni prima rispetto a qualsiasi cosa precedentemente identificata, ha detto all'AFP Rohan Naidu dell'Harvard Center for Astrophysics. Immagine ingrandita di Glass-z-13. La galassia più lontana che l'uomo abbia mai osservato.
Diverse immagini dal WEBB WEBB: Nebulosa NGC 3132 WEBB: Nebulosa della Carena Dietro la coltre di polvere e gas in queste incredibili "scogliere cosmiche" ci sono piccole stelle nascoste, ora scoperte da Webb. Si tratta della Nebulosa della Carena, in tutto il suo splendore.
È un gruppo di cinque galassie a 290 milioni di anni luce nella costellazione di Pegaso.
È l’immagine infrarossa più profonda e nitida dell’universo lontano fino ad oggi. Per ottenerla è stata utilizzato un tempo di esposizione molto lungo per raccogliere la massima quantità di luce possibile. Come riporta la Nasa, la fotocamera a infrarossi di Jwst ha catturato un altro affascinante soggetto, che ha fornito agli scienziati informazioni aggiuntive sulla nascita di una stella: si tratta di L1527, protostella di “soli” 100.000 anni, all'interno della regione di formazione stellare della Nube del Toro, a circa 460 anni luce dalla Terra. Le nubi di materiale stellare incandescente sono visibili solo alla luce infrarossa, rendendole un bersaglio ideale per la fotocamera di Webb, che le ha ritratte mentre alimentano la protostella, assumendo una peculiare forma a clessidra, con L1527 al centro. I colori delle nubi, che variano dal blu all’arancione, dipendono dalla densità del materiale presente in quella regione, con il blu che indica le aree in cui vi è meno polvere stellare; inoltre la regione superiore dell’immagine, oltre alla polvere e ai gas, mostra anche le espulsioni di materiale dalla protostella. Infine, al centro dell’immagine, appare una linea scura, attraverso cui filtra la luce di L1527: si tratta di un disco protoplanetario, che i ricercatori hanno stimato avere all'incirca le dimensioni del nostro Sistema solare. Non è raro, infatti, che condizioni del genere permettano la nascita, oltre alle stelle, anche di pianeti: in sostanza, la foto di Webb mostra come potevano apparire il Sole e il nostro Sistema solare all’inizio della loro formazione. ESO 350-40, soprannominata Galassia Ruota di Carro (in inglese Cartwheel Galaxy), è una galassia peculiare con le caratteristiche di una galassia lenticolare e di una galassia ad anello: È situata in direzione della costellazione dello Scultore alla distanza di circa 500 milioni di anni luce dalla Terra. Le sue dimensioni sono stimate in circa 150.000 anni luce di diametro, quindi leggermente superiori a quelle della Via Lattea e ha una massa di circa 2,9-4,8 x 109 masse solari, con una velocità di rotazione di 217 km/s Magnifica immagine degli iconici Pilastri della creazione, le dense colonne di gas e polvere interstellare della Nebulosa Aquila (a 6.500 anni luce dalla Terra) che ospitano stelle in formazione, catturate per la prima volta dal telescopio Hubble nel 1995: questa volta, come riporta la Nasa, è merito del James Webb Space Telescope, che ha immortalato lo stesso soggetto del suo predecessore ma con un dettaglio mai visto prima. I dati derivanti dalla suggestiva immagine, afferma l’agenzia spaziale statunitense, aiuteranno i ricercatori a studiare i modelli di formazione delle stelle, comprendendo meglio come, nel corso di milioni di anni, esse originano da queste nubi e la loro evoluzione. Queste immagini hanno aumentato notevolmente il nostro livello di comprensione dei processi di formazione stellare in atto all'interno della nebulosa. Si pensa che le sue aree oscure siano associate a protostelle o comunque a oggetti stellari giovani. Nasa, Esa e Csa (agenzia spaziale canadese) hanno pubblicato una nuova, spettacolare immagine della Phantom Galaxy (M74), distante 32 milioni di anni luce, nella costellazione dei Pesci. La foto è stata realizzata combinando i dati delle osservazioni, in diverse lunghezze d'onda (infrarosso/visibile), dei telescopi spaziali James Webb e Hubble. M74 risulta particolarmente interessante per gli astronomi che studiano l'origine e la formazione delle galassie a spirale, sia per il suo orientamento, ben rivolto verso la Terra, sia per la sua struttura, con bracci protesi e ben definiti. In particolare, l'acuta vista del James Webb (JSWT) ha rivelato la presenza di delicati filamenti di gas e polvere tra le immense spire di M74. La mancanza di gas nella regione nucleare, inoltre, ha fornito una visuale non oscurata dell'ammasso stellare nel “cuore” della galassia. L'analisi spettroscopica di M74 nella lunghezza d'onda del medio infrarosso, ottenuta dal JSWT attraverso il MIRI (Mid-InfraRed Instrument), punta a migliorare la nostra conoscenza delle prime fasi della formazione stellare in quella zona di Universo. Questa osservazione è parte di un più ampio progetto che prevede il tracciamento infrarosso di 19 galassie con stelle in formazione, nell'ambito della collaborazione internazionale.
“Sono passati tre decenni dall’ultima volta che abbiamo visto questi anelli deboli e polverosi, e questa è la prima volta che li vediamo nell'infrarosso”. È con queste parole che la scienziata Heidi Hammel, del team interdisciplinare del telescopio spaziale James Webb (JWST) della NASA, ha introdotto le prime spettacolari immagini di Nettuno e dei suoi anelli, nella visione più nitida mai osservata. Alcuni degli anelli planetari più deboli non venivano infatti osservati da quando la sonda Voyager 2 divenne, nel 1989, il primo veicolo spaziale ad osservare Nettuno durante un sorvolo.
La galassia, denominata NGC 7469, dista circa 220 milioni di anni luce dalla Terra e ospita una regione centrale estremamente luminosa, chiamata nucleo galattico attivo (AGN), che si diffrange in una sorprendete stella a sei punte perfettamente allineata con il centro galattico. Nell’immagine sono visibili anche altre due punte più corte e più deboli, create sempre dalla diffrazione della luce sugli specchi di Webb. Nel complesso, NGC 7469 si estende per circa 90.000 anni luce di diametro, dominati dagli eleganti bracci a spirale che si allungano nello spazio, e gode di un orientamento invidiabile, in quanto il piatto del suo piano galattico è rivolto quasi direttamente verso la Terra, offrendo possibilità di osservazioni sbalorditive. La natura compatta della sua struttura e la presenza di una grande quantità di polvere hanno però reso difficile ottenere sia la risoluzione sia la sensibilità necessarie allo studio di questo sistema, ma grazie agli strumenti a infrarossi e spettroscopici del Webb, gli astronomi sono riusciti a ottenere immagini e spettri con dettagli senza precedenti. A rendere unica la nuova immagine è la sorprendente stella a sei punte che si allinea perfettamente con il cuore di NGC 7469. “A differenza della galassia, questo non è un vero oggetto celeste, ma un artefatto di imaging noto come picco di diffrazione, un modello prodotto quando la luce si piega attorno ai bordi taglienti di un telescopio, in questo caso dovuto al luminoso nucleo galattico attivo irrisolto – spiega l’ESA in una nota – . Lo specchio primario di Webb è composto da segmenti esagonali che contengono ciascuno bordi su cui la luce si diffrange, dando sei punte luminose. Le due punte più corte e più deboli sono invece create dalla diffrazione dal puntone verticale che aiuta a sostenere lo specchio secondario di Webb”. Gli studiosi hanno inoltre confermato l’esistenza di gas atomico diffuso e altamente ionizzato, che sembra uscire dal nucleo a circa 6,4 milioni di chilometri all’ora, come parte di un deflusso galattico che era stato precedentemente identificato, ma che Webb ha rivelato con precisione sbalorditiva. Con l’analisi dei dati ancora in corso, verranno sicuramente svelati ulteriori segreti di questo nucleo galattico e dell’anello di starbust che lo circonda. Nebulosa Tarantola. La Nebulosa Tarantola (nota anche come 30 Doradus o con le sigle di catalogo NGC 2070 e C 103) è una vastissima regione H II situata nella Grande Nube di Magellano. È la più grande regione di formazione stellare conosciuta nel Gruppo Locale di galassie. Galassia Fantasma. La galassia M74, conosciuta anche come “Galassia Fantasma”, si trova a circa 32 milioni di anni luce dalla Terra in direzione della costellazione dei Pesci ed è quasi di fronte a noi. Questa posizione privilegiata assieme alle sue braccia a spirale ben definite, la rende uno dei bersagli preferiti dagli astronomi che studiano l’origine e la struttura delle spirali galattiche. M74 è una particolare classe di galassie a spirale nota come “spirale di grande design”, il che significa che le sue braccia sono prominenti e ben definite, a differenza della struttura irregolare e irregolare vista in alcune galassie a spirale. La visione profonda del James Webb ha rivelato delicati filamenti di gas e polvere nei grandiosi bracci a spirale di M74, che si snodano verso l’esterno dal centro dell’immagine. La mancanza di gas nella regione del nucleo ha consentito anche una visuale non oscurata dell’ammasso al centro della galassia. Un'altra splendida immagine della galassia Fantasma, M74 Orione o il Cacciatore è un'importante costellazione, forse la più conosciuta del cielo, grazie alle sue stelle brillanti e alla sua posizione vicino all'equatore celeste. La costellazione conta circa 130 stelle visibili a occhio nudo ed è identificabile dall'allineamento di tre stelle che formano la Cintura di Orione (dal vertice destro alto della foto, 3 cm in basso e 1 cm di lato), incorniciate da un rettangolo di quattro stelle più luminose; le tre stelle della Cintura sono chiamate in diversi modi a seconda della tradizione: i Tre Re, i Re Magi, il rastrello, i tre mercanti, i bastoni. La sagoma dell'eroe è invece delineata da nove stelle. Orione è molto utile per trovare altre stelle. Estendendo la linea della Cintura verso sudest, si può trovare Sirio (a Canis Majoris); verso nordovest, Aldebaran (a Tauri). Una linea verso est che attraversa le due spalle indica la direzione di Procione (a Canis Minoris). Una linea da Rigel verso Betelgeuse punta a Castore e Polluce, a e ß Geminorum. WEBB ha osservato il pianeta GIOVE in grande dettaglio mostrando le colossali tempeste e le enormi aurore che si producono nella sua atmosfera. Oltre a essere particolarmente spettacolari da vedere, queste immagini aiuteranno gli astronomi ad approfondire le loro conoscenze sul pianeta più grande del nostro sistema solare. L’osservazione all’infrarosso consente di cogliere dettagli che altrimenti non potremmo vedere e che sono molto utili per studiare le caratteristiche degli oggetti spaziali. Le immagini vengono poi elaborate per essere rese visibili ai nostri occhi, utilizzando colori che consentano di mettere in evidenza particolari caratteristiche. Ai poli del pianeta sono visibili aurore, rese con una colorazione dal verde al rosso, che raggiungono alte quote nell’atmosfera del pianeta. È inoltre ben visibile la Grande Macchia Rossa, la tempesta che dura da almeno tre secoli e che è la più grande di tutto il Sistema solare, talmente ampia da poter contenere quasi tre pianeti delle dimensioni della Terra. Nell’immagine, la macchia appare bianca, perché come fanno altre nubi nell’atmosfera gioviana, riflette grandi quantità di luce solare e di conseguenza appare molto luminosa nei filtri utilizzati per osservare il pianeta all’infrarosso. SATURNO. Dati provenienti dalla navicella spaziale Cassini rivelano che il maestoso sistema di anelli di Saturno possiede una propria atmosfera, separata da quella del pianeta. Gli strumenti a bordo della Cassini sono stati in grado di stabilire che l'ambiente attorno agli anelli è come un'atmosfera, composta principalmente da ossigeno molecolare. Gli anelli di Saturno sono composti in gran parte da ghiaccio mischiato con quantità più piccole di polvere e materiale roccioso. Sono straordinariamente sottili: pur avendo un diametro di oltre 250.000 chilometri, il loro spessore raggiunge a malapena i 1,5 chilometri. Nonostante il loro aspetto impressionante, gli anelli contengono pochissimo materiale - se fossero compressi in un unico corpo, questo non misurerebbe da una parte all'altra più di 100 chilometri. L'origine degli anelli è sconosciuta. Un tempo gli scienziati credevano che gli anelli si fossero formati contemporaneamente ai pianeti, aggregandosi da nuvole vorticose di gas interstellare 4.000 milioni di anni or sono. Oggi si ritiene invece che gli anelli siano più "giovani", forse hanno solo qualche centinaia di migliaia di anni. Secondo un'altra teoria, una cometa sarebbe passata troppo vicina a Saturno, frantumandosi a causa delle correnti mareali. Forse una delle lune di Saturno è stata colpita da un asteroide frantumatosi in pezzi che adesso formano gli anelli. Anche se Saturno può avere posseduto gli anelli sin dalla sua formazione, il sistema di anelli non è stabile e deve essere rigenerato da processi continui, probabilmente grazie all'esplosione di satelliti più grandi. Le molecole di acqua sono dapprima estratte dalle particelle che costituiscono gli anelli per effetto della luce solare ultravioletta. Si scindono poi in idrogeno e ossigeno molecolare e atomico per effetto della fotodissociazione. Il gas idrogeno si disperde nello spazio, l'ossigeno atomico e qualsiasi altro residuo di acqua si ghiacciano e rimangono a formare il materiale degli anelli a causa delle basse temperature, lasciando così una concentrazione di molecole di ossigeno. Il dottor Andrew Coates, co-ricercatore per CAPS, del Mullard Space Science Laboratory (MSSL) dello University College di Londra, spiega: "Quando l'acqua fuoriesce dagli anelli, si scinde a causa della luce solare; l'idrogeno e l'ossigeno atomico che ne derivano vengono quindi dispersi, mentre rimane l'ossigeno molecolare. L'INMS (lo spettrometro do massa) osserva il gas ossigeno neutro, il CAPS (spettrometro per la rilevazione del pasma) osserva gli ioni di ossigeno molecolare e ottiene una "panoramica degli elettroni" degli anelli. Questi ultimi rappresentano i prodotti ionizzati di quell'ossigeno e alcuni elettroni aggiuntivi spinti fuori dagli anelli per effetto della luce solare". Il dottore Coates ritiene che l'atmosfera degli anelli è, probabilmente, tenuta sotto controllo da forze gravitazionali e da un equilibrio fra la perdita di materiale dal sistema degli anelli e nuove aggiunte di materiale fornito da particelle degli anelli stessi. MARTE. Secondo quanto riportato dall'ESA, osservare Marte per il JWST è una sfida impegnativa non perché sia troppo debole, ma per il motivo opposto: essendo (relativamente) vicino, la sua emissione è elevata tanto da arrivare alla "saturazione del rivelatore". Le immagini di Marte sono state catturate utilizzando la Near-Infrared Camera (NIRCam) con due diverse tipologie di emissione nell'infrarosso. In particolare è stato osservato il pianeta a 2,1 µm che è la frequenza più vicina allo spettro del visibile. Si è passati poi a quella a 4,3 µm che invece mostra l'emissione termica di Marte, sia della superficie che dell'atmosfera. Qui si può vedere la differenza tra l'equatore e i poli, con il Polo Nord marziano che è più freddo in quanto si trova nel periodo invernale. Anche l'anidride carbonica ha un effetto su questo filtro e sulla rilevazione e parte dell'emissione viene catturata proprio da questa molecola. Inoltre è stato utilizzato anche NIRSpec (Near-Infrared Spectrograph) del telescopio spaziale James Webb per rilevare anche lo spettro. Lo scopo finale è quello di riuscire a rilevare tracce di composti come metano e acido cloridrico che aiuteranno a definire la costituzione dell'atmosfera di Marte e la sua variabilità al cambiare delle stagioni e delle ore del giorno anche se già ora si possono notare le "impronte spettrali" delle nuvole ghiacciate, della polvere marziana e dei differenti tipi di roccia. In generale le prime analisi mostrano una maggiore differenza nelle osservazioni di NIRCam rispetto a quelle di NIRSpec ma i dati dovranno ancora essere valutati nel loro complesso.
Atmosfera di Marte. Si notano CO2, CO e H2O Dopo la Terra, Marte è il pianeta più studiato del sistema solare. Grazie alle numerose missioni che hanno portato orbiter, lander e rover ad analizzare il suolo marziano, i planetologi hanno scoperto che il Pianeta Rosso non è sempre stato arido: in passato aveva corsi d’acqua, laghi e mari. Non solo: Marte è stato anche testimone di un’importante attività geologica che nel tempo ne ha modellato la superficie. Prova ne sono il vulcano più alto del sistema solare, l’Olympus Mons, e la regione vulcanica più estesa, i Tharsis Montes. Si pensava che l’attività geologica fosse ormai sopita, ma i dati raccolti dalla missione NASA InSight, che ha portato sul pianeta strumenti sismologici e geofisici, dimostrano che è ancora presente, come evidenziato in uno studio pubblicato su «Nature Astronomy» . Gli autori hanno studiato i dati raccolti dal sismometro SEIS, lo strumento principale a bordo di InSight, che in quasi quattro anni ha registrato oltre 1300 terremoti. L’aspetto notevole è che gli epicentri si concentrano attorno alla regione denominata Cerberus Fossae, caratterizzata da spaccature di origine vulcanica; la prova che il vulcanismo su Marte è ancora attivo. Per la prima volta dell'anidride carbonica è stata chiaramente rilevata nell'atmosfera di un esopianeta. Alla scoperta hanno partecipato anche ricercatori dell'Università di Ginevra e di quella di Berna. "Appena abbiamo visto i dati era chiaro che si trattasse di una scoperta spettacolare", ha detto Dominique Petit dit de la Roche, scienziata dell'UNIGE e co-autrice dello studio. "È la prima volta che il CO2 viene individuato su un pianeta fuori dal sistema solare", aggiunge l'esperta. L'esopianeta WASP-39b è un gigante gassoso caldo che transita davanti alla propria stella. Quando un pianeta transita direttamente davanti alla sua stella, una parte della luce di essa passa attraverso il corpo celeste prima di raggiungere il telescopio. "L'atmosfera in quel momento filtra certi colori più di altri", spiega Monika Lendl, a sua volta professoressa all'UNIGE e coautrice dello studio. Utilizzando il telescopio James Webb per decomporre la luce nei suoi colori, si possono identificare le "impronte digitali" caratteristiche dei diversi gas che determinano la composizione dell'atmosfera, illustra Lendl. Il team di ricerca è così riuscito a rilevare l'"impronta digitale" dell'anidride carbonica nella luce che attraversa l'atmosfera di WASP-39b. Scoprire queste informazioni riguardo a un pianeta permette di capirne meglio l'origine e la sua evoluzione. Individuando senza ombra di dubbio la presenza di CO2 nell'atmosfera di esopianeti lontani è stato quindi compiuto un passo fondamentale nella ricerca di mondi adatti alla vita. Sono stati rilevati, H2O, CO2, CO, K, Na, SO2 e altro. NETTUNO. Secondo quanto riportato dalle agenzie spaziali, grazie alle possibilità offerte dal JWST è stato possibile catturare l'immagine più nitida degli anelli di Nettuno. Alcuni degli anelli di Nettuno non erano mai stati osservati prima ed è servita la potenza del telescopio spaziale James Webb e la sua vista a infrarossi per permettere di rilevarli. Come nel caso di Giove, anche con Nettuno è stato possibile vedere le bande che caratterizzano il pianeta che risplendono in diverse colorazioni.Per la cattura delle immagini è stata impiegata ancora una volta la NIRCam (Near-Infrared Camera) dedicato al vicino infrarosso con lunghezze d'onda comprese tra i 0,6 µm e i 5 µm. A causa della presenza di metano nella composizione del pianeta e visto che questa molecola assorbe le frequenze rilevate dal JWST in questo spettro, la sua colorazione è più scura rispetto alle immagini di Hubble. Le zone più chiare invece sono invece nubi ad alta quota che riflettono la luce solare prima che possa raggiungere le zone ricche di metano. La struttura dell'atmosfera di Nettuno è evidenziata da Webb con una striscia più luminosa verso l'equatore dove le temperature sono maggiori e quindi risplendono maggiormente nell'infrarosso. Il JWST ha anche rilevato una zona di nubi che circondano il Polo Sud del pianeta. Il telescopio ha rilevato 7 satelliti naturali (dei 14 conosciuti). In particolare, a fare bella mostra di sé è Tritone che brilla molo più delle altre lune presenti nell'immagine e sembra quasi essere una stella sullo sfondo. La motivazione della sua lucentezza è dovuta alla superficie ricoperta di azoto allo stato solido che riflette il 70% della luce solare che lo colpisce (ed è quindi anche più brillante di Nettuno stesso). La composizione chimica di URANO è simile a quella di Nettuno ma differente rispetto a quella dei giganti gassosi più grandi (Giove e Saturno). Per questa ragione gli astronomi talvolta preferiscono riferirsi a Urano e Nettuno trattandoli come una classe separata, i "giganti ghiacciati". L'atmosfera del pianeta, sebbene sia simile a quella di Giove e Saturno per la presenza abbondante di idrogeno ed elio, contiene una proporzione elevata di "ghiacci", come l'acqua, l'ammoniaca e il metano, assieme a tracce di idrocarburi. Quella di Urano è anche l'atmosfera più fredda del sistema solare, con una temperatura minima che può scendere fino a 49 K (-224,2 °C). Possiede una complessa struttura di nubi ben stratificata, in cui si pensa che l'acqua si trovi negli strati inferiori e il metano in quelli più in quota. L'interno del pianeta al contrario sarebbe composto principalmente di ghiacci e rocce. Come gli altri pianeti giganti, Urano possiede un sistema di anelli planetari, una magnetosfera e numerosi satelliti. E' un NETTUNO inedito, con sfumature bianche invece che del solito blu, quello che appare nell'ultimo ritratto in alta definizione eseguito da WEBB. Il cambio di look di Nettuno (dovuto al fatto che il pianeta è stato ripreso nell'infrarosso invece che nello spettro della luce visibile) non è l'unico elemento di sorpresa: nell'immagine spiccano infatti gli anelli di Nettuno con una nitidezza che non si vedeva da oltre trent'anni, da quando cioè la sonda Voyager 2 vi passò accanto nel 1989. La qualità dell'immagine è tale da mostrare anche le fioche bande di polvere che circondano il pianeta, così come una sottile linea luminosa intorno all'equatore (probabile spia della circolazione atmosferica che alimenta venti e turbolenze) e sette delle 14 lune in orbita (la più visibile è Tritone). Questo risultato mostra le buone condizioni del telescopio. VENERE è il secondo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole con un'orbita quasi circolare che lo porta a compiere una rivoluzione in 225 giorni terrestri. Con una magnitudine massima di -4,6, è l'oggetto naturale più luminoso nel cielo notturno dopo la Luna e per questo motivo è conosciuto fin dall'antichità. Venere è visibile soltanto poco dopo il tramonto e poco prima dell'alba. La scoperta che si tratta dello stesso oggetto sarebbe stata introdotta in occidente da Pitagora, ma sarebbe dovuta agli astronomi della Mesopotamia. Infatti nella Tavoletta di Venere di Ammi-Saduqa sono riportate osservazioni risalenti al 1550 a.C. o antecedenti, in cui non si fa distinzione fra l'astro del mattino e quello della sera. Classificato come un pianeta terrestre, a volte è definito il "pianeta gemello" della Terra, cui è molto simile per dimensioni e massa. Tuttavia per altri aspetti è piuttosto differente dal nostro pianeta. L'atmosfera di Venere è costituita principalmente da anidride carbonica ed è molto più densa dell'atmosfera terrestre, con una pressione al livello del suolo pari a 92 atm. La densità e la composizione dell'atmosfera creano un impressionante effetto serra che rende Venere il pianeta più caldo del sistema solare. Venere è avvolto da uno spesso strato di nubi altamente riflettenti, composte principalmente di acido solforico, che impediscono la visione nello spettro visibile della superficie dallo spazio. MERCURIO, vista del Bacino Caloris. Mercurio è il primo pianeta del sistema solare in ordine di distanza dal Sole e il più piccolo in dimensioni. E' proprio a causa della sua vicinanza al Sole che è difficile osservarlo. Lo si può fare soltanto poco prima dell'alba o subito dopo il tramonto e solo nelle notti molto serene. Mercurio si trova a 58 milioni di chilometri dal Sole, poco più di un terzo della distanza che separa la Terra dal Sole. La sua orbita è molto ellittica; il pianeta la percorre in soli 88 giorni, più velocemente di qualsiasi altro pianeta. Allo stesso tempo, Mercurio ruota lentamente su se stesso: il giorno, cioè la durata di una rotazione, su Mercurio dura 59 volte più che sulla Terra. Mercurio ha una caratteristica particolare, dovuta al suo moto: se ci fossero degli abitanti sul pianeta essi vedrebbero il Sole sorgere al mattino, poi calare brevemente ed infine risalire ancora. Allo stesso modo, alla sera lo vedrebbero calare, risalire in cielo e infine tramontare. Mercurio compie tre rotazioni ogni due rivoluzioni intorno al Sole. Il risultato è che un qualsiasi punto della sua superficie rimane esposto ai raggi solari per ben 176 giorni terrestri. Mercurio non ha né satelliti né anelli. Si tratta di un pianeta molto spoglio. Non possiede nemmeno una vera e propria atmosfera, ma solo un tenue strato di gas che non basta a ripararlo dagli intensi raggi solari. Per questo motivo non c'è acqua sul pianeta: i raggi solari la farebbero evaporare. Mcurio non possiede atmosfera anche perché ha una massa troppo piccola. Mercurio è, dopo Plutone, il più piccolo pianeta del Sistema Solare. E' grande solo un terzo della Terra: misura 4.878 chilometri di diametro. La sua massa è pari a 330 miliardi di miliardi di tonnellate. La densità di Mercurio è 5,43 volte quella dell'acqua, di poco inferiore a quella della Terra. Il pianeta è costituito per l'80% da un grosso nucleo di materiale ferroso. L'enorme pressione degli strati sovrastanti fa sì che probabilmente il nucleo si trovi allo stato liquido. PLUTONE e Caronte. Il suo status di pianeta fu messo in discussione nel 1992 in seguito all'individuazione di diversi oggetti di dimensioni simili nella fascia di Kuiper; la scoperta di Eris nel 2005, un pianeta nano che è il 27% più massiccio di Plutone, ha portato infine l'Unione Astronomica Internazionale a riconsiderare la definizione di pianeta e a riclassificare così Plutone come pianeta nano. Fra i corpi celesti del sistema solare, Plutone è il sedicesimo per grandezza e il diciassettesimo per massa, ed è per diametro il più grande dei pianeti nani e degli oggetti transnettuniani conosciuti (in ambedue le categorie è superato come massa da Eris). Ha inoltre massa e dimensioni inferiori a quelle dei maggiori satelliti naturali del sistema solare: i satelliti medicei di Giove, Titano, Tritone e la Luna. Paragonato a quest'ultima in particolare, la sua massa è pari a un sesto e il volume a un terzo. Come gli altri oggetti della fascia di Kuiper, Plutone è composto principalmente di ghiaccio e roccia. La sua orbita è piuttosto eccentrica e inclinata rispetto al piano dell'eclittica, mentre la sua distanza dal Sole varia da 30 a 49 UA. Periodicamente Plutone, durante il suo perielio, viene a trovarsi più vicino al Sole di Nettuno, tuttavia, non gli si avvicina mai a meno di 17 UA. Plutone ha cinque lune conosciute: Caronte (la più grande, con un diametro che è poco più della metà del suo), Stige, Notte, Cerbero e Idra. Plutone e Caronte vengono considerati un sistema binario o un pianeta doppio, poiché il baricentro del sistema giace al di fuori di entrambi.
BUCO NERO. Il James Webb ha offerto agli scienziati una visione senza precedenti di un buco nero molto distante, scrutando strati di polvere di stelle per tracciare la struttura e la composizione del materiale che vortica intorno a esso. Il risultato, come spiegato dall’Agenzia spaziale europea, è che Webb ha osservato il buco nero a lunghezze d’onda mai osservate prima: sono stati rilevati nel gas che gravita attorno al buco nero: idrogeno atomico, idrogeno molecolare o due atomi di idrogeno legati e ioni di ferro. Questo campo profondo utilizza un ammasso di galassie lensing per trovare alcune delle galassie più lontane mai rilevate. A sinistra, l’immagine di Hubble. A destra, il James Webb. A 4,2 miliardi di anni luce di distanza, nella costellazione dello Scultore, c’è un denso ammasso di galassie noto come SMACS 0723. La sua enorme massa, come prevede la teoria di Einstein, curva lo spazio-tempo. Ciò fa sì che i raggi di luce provenienti da sorgenti lontane che si avvicinano a SMACS 0723 subiscono una deflessione. È ciò che gli astronomi chiamano lente gravitazionale. Le lenti gravitazionali come SMACS 0723 sono molto utili in quanto agiscono come lenti d’ingrandimento che hanno l’effetto di aumentare la visibilità degli oggetti che, dalla prospettiva terrestre, si trovano dietro le lenti. In questo modo, gli scienziati possono vedere in modo molto dettagliato oggetti che sono estremamente distanti ma che, grazie alle lenti gravitazionali, appaiono più vicini e più grandi. Durante i suoi oltre 30 anni di attività, il telescopio spaziale Hubble ha ripreso grazie alle lenti gravitazionali, oggetti a più di 12 miliardi di anni luce di distanza. Ma il James Webb, oltre ad avere uno specchio tre volte più grande, opera nell’infrarosso, quindi nella nuova immagine è possibile vedere galassie che non apparivano nelle foto di Hubble, o che apparivano come punti sfocati e senza alcun dettaglio. Con una risoluzione senza precedenti, le galassie più lontane nell’immagine si trovano a 13,1 miliardi di anni luce di distanza. Si trova a 13,4 miliardi di anni luce. Si è formata quando l’Universo era ancora in uno stato primordiale, il Big Bang infatti risale a circa 14 miliardi di anni fa. L’esistenza della galassia più antica è stata confermata dai dati raccolti dallo spettrografo NIRSSpec e dalla NIRCam. Webb che è lo strumento che può vedere più indietro nel tempo di qualsiasi altro mai utilizzato finora. Insieme alla galassia più antica, ne sono state avvistate altre impressionantemente vecchie, per un totale di 4: “Era fondamentale dimostrare che queste galassie abitano effettivamente l'universo primordiale. È molto probabile che galassie più vicine si trasformino in galassie molto distanti”, ha dichiarato la dottoressa Emma Curtis-Lake, astronoma britannica presso l'Università dell'Hertfordshire. “Per la prima volta, abbiamo scoperto galassie solo 350 milioni di anni dopo il Big Bang, e possiamo essere assolutamente fiduciosi delle loro fantastiche distanze", ha ribadito il dottor Brant Robertson dell'Università della California Santa Cruz. E' impressionante come si veda bene la struttura a spirale della galassia, nell'ingrandimento sulla destra. Il QUASAR dell'immagine SDSS J165202.64+172852.3, è un quasar “estremamente rosso” che esiste nell’universo primordiale, 11,5 miliardi di anni fa. I quasar sono un tipo raro e incredibilmente luminoso di nucleo galattico attivo (AGN). Questo quasar è uno dei nuclei galattici conosciuti più potenti che sia stato visto a una distanza così estrema. Gli astronomi avevano ipotizzato che l’emissione estrema del quasar potesse causare un “vento galattico”, spingendo il gas libero fuori dalla sua galassia ospite e forse influenzando notevolmente la futura formazione stellare nell’area. Un AGN è una regione compatta al centro di una galassia, che emette abbastanza radiazione elettromagnetica da eclissare tutte le stelle della galassia. Gli AGN, inclusi i quasar, sono alimentati dal gas che cade in un buco nero supermassiccio al centro della loro galassia. In genere emettono grandi quantità di luce su tutte le lunghezze d’onda, ma questo nucleo galattico è un membro di una classe insolitamente rossa. Oltre al suo intrinseco colore rosso, la luce della galassia è stata ulteriormente spostata verso il rosso dalla sua distanza. Ciò ha reso Webb, dotato di una sensibilità senza precedenti nelle lunghezze d’onda dell’infrarosso, perfettamente adatto per esaminare la galassia in dettaglio. Per studiare il movimento del gas, della polvere e del materiale stellare nella galassia, il team ha utilizzato lo spettrografo nel vicino infrarosso del telescopio (NIRSpec). Questo potente strumento può raccogliere simultaneamente spettri attraverso l’intero campo visivo del telescopio, invece che solo da un punto alla volta. Ciò ha consentito di esaminare simultaneamente il quasar, la sua galassia e l’ambiente circostante. La spettroscopia è stata fondamentale per comprendere il movimento dei vari flussi e venti che circondano il quasar. I movimenti dei gas influenzano la luce che emettono e riflettono, facendola cambiare verso il rosso o verso il blu in proporzione alla loro velocità e direzione. Il team è stato in grado di vedere e caratterizzare questo movimento tracciando l’ossigeno ionizzato negli spettri di NIRSpec. Precedenti studi condotti, tra gli altri, dal telescopio spaziale Hubble di NASA/ESA e dallo strumento Near-Infrared Integral Field Spectrometer sul telescopio Gemini-North hanno richiamato l’attenzione sui potenti flussi del quasar e gli astronomi avevano ipotizzato che la sua galassia ospite potesse fondersi con un compagno invisibile. Ma il team non si aspettava che i dati NIRSpec di Webb indicassero chiaramente che non stavano solo guardando una galassia, ma almeno altre tre che vorticavano attorno ad essa. Grazie ai nuovi dati, è stato possibile mappare i movimenti di tutto questo materiale circostante, portando alla conclusione che SDSS 165202.64+172852.3 fosse in realtà parte di un denso nodo di formazione di galassie. “Ci sono pochi protocluster di galassie conosciuti in questo primo periodo. È difficile trovarli e pochissimi hanno avuto il tempo di formarsi dal Big Bang“, ha detto l’astronoma Dominika Wylezalek dell’Università di Heidelberg in Germania, che ha condotto lo studio su questo quasar. “Questo alla fine potrebbe aiutarci a capire come si evolvono le galassie in ambienti densi… È un risultato entusiasmante”. Utilizzando le osservazioni di NIRSpec, il team è stato in grado di confermare tre compagni galattici di questo quasar e mostrare come sono collegati. I dati di archivio di Hubble suggeriscono che potrebbero essercene ancora di più. Le immagini della Wide Field Camera 3 di Hubble avevano mostrato materiale esteso che circonda il quasar e la sua galassia. Ora, il team sospetta che potrebbero aver osservato il nucleo di un intero ammasso di galassie, rivelato solo ora dalle nitide immagini di Webb. “Il nostro primo sguardo ai dati ha rivelato rapidamente chiari segni di importanti interazioni tra le galassie vicine“, ha affermato il membro del team Andrey Vayner della Johns Hopkins University di Baltimora, negli Stati Uniti. “La sensibilità dello strumento NIRSpec è stata immediatamente evidente e mi è stato chiaro siamo in una nuova era della spettroscopia a infrarossi”. Le tre galassie confermate sono in orbita l’una intorno all’altra a velocità incredibilmente elevate, un’indicazione che è presente una grande quantità di massa. Se combinato con il modo in cui sono racchiuse nella regione intorno a questo quasar, il team ritiene che questo segni una delle più dense aree conosciute di formazione di galassie nell’universo primordiale. “Nemmeno un denso nodo di materia oscura è sufficiente per spiegarlo”, afferma Wylezalek. “Pensiamo che potremmo vedere una regione in cui due enormi aloni di materia oscura si stanno fondendo insieme“. Immagine, ritoccata artisticamente, di una galassia con un brillante quasar al centro. Un quasar è un buco nero supermassiccio molto luminoso, distante e attivo con una massa da milioni a miliardi di volte la massa del sole. Tra le cose più luminose dell’universo, la luce di un quasar è superiore alla luce di tutte le stelle messe insieme nella sua galassia ospite. I quasar si nutrono di materia in caduta e scatenano torrenti di vento e radiazioni, formando le galassie in cui risiedono. Usando le abilità uniche di Webb, gli scienziati studieranno sei dei quasar più distanti e luminosi dell’universo. Webb ha catturato la sua prima, spettacolare supernova, ovvero il “finale esplosivo” di una stella di massa enorme. L'evento, che dura una frazione di secondo, è talmente energetico e violento che da solo riesce a sprigionare una luminosità equivalente a quella della galassia stessa in cui si verifica. Durante il processo il materiale di cui è composta la stella viene espulso quasi completamente attraverso una bolla di gas, proiettata nello spazio a velocità di decine di migliaia di chilometri al secondo. La luce del fenomeno si attenua giorno dopo giorno, quindi per riuscire a individuarlo bisogna essere molto fortunati, puntando lo strumento nel posto giusto e al momento giusto. La supernova si trova in una galassia a circa 3 o 4 miliardi di anni luce dalla Terra. Si tratta di una scoperta davvero sorprendente, anche perché il James Webb Space Telescope non è stato costruito per cercare supernove. Questa è un’attività che di solito viene eseguita da telescopi di rilevamento che scansionano vaste porzioni di cielo a intervalli brevissimi. D’altra parte Webb guarda nel dettaglio un’area molto piccola dell’universo. Ad esempio, la prima immagine rilasciata dalla NASA a metà luglio copriva un’area grande quanto un granello di sabbia. Dobbiamo spostarci a circa 5.000 anni luce della Terra: si tratta di 17 anelli di polvere concentrici emanati da un sistema binario di stelle nota come WR140, nella costellazione del Cigno, costituito da una stella di Wolf-Rayet (stella con una massa pari almeno a 25 volte quella del Sole, molto evolute ed eruttive) e da una stella supergigante blu ancora più grande, che gravitano attorno un’orbita che si compie in otto anni. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature Astronomy. Per le sue caratteristiche intrinseche, la stella Wolf-Rayet genera potenti venti che spingono enormi quantità di gas nello Spazio: ogni anello si crea quando, ogni otto anni, le due stelle si avvicinano e i loro venti stellari si incontrano, comprimendo il gas e formando polvere stellare. Come gli anelli del tronco di un albero, le spire di polvere segnano il passare del tempo. "Stiamo osservando oltre un secolo di produzione di polvere", ha affermato Ryan Lau, autore principale dello studio. “L'immagine illustra anche quanto sia sensibile questo telescopio. Prima eravamo in grado di vedere solo due anelli di polvere, usando telescopi terrestri. Ora, con WEBB, ne vediamo almeno 17”. L'osservazione del cosmo ci consente di vedere immagini straordinariamente affascinanti. Webb ha scoperto il suo primo esopianeta e questo corpo celeste ha quasi le dimensioni della Terra. L'Agenzia Spaziale Europea ha appena reso noto la conferma dei ricercatori della presenza di un pianeta extrasolare, un pianeta che orbita attorno a un'altra stella diversa dal Sole. Formalmente classificato come Lhs 475 b, il pianeta ha quasi esattamente le stesse dimensioni del nostro, con un clock pari al 99% del diametro terrestre, aggiunge l'Esa. Il gruppo di ricerca è guidato da Kevin Stevenson e Jacob Lustig-Yaeger, entrambi del laboratorio di fisica applicata della Johns Hopkins University a Laurel, nel Maryland, e il team ha scelto di osservare questo obiettivo con Webb dopo aver esaminato attentamente i dati del Transiting Exoplanet Survey Satellite della Nasa, che suggerivano l'esistenza del pianeta. Lo spettrografo nel vicino infrarosso (NirSpec) di Webb ha catturato il pianeta in modo semplice e chiaro con solo due osservazioni di transito. All'08 gennaio 2023 risultano conosciuti 5300 pianeti extrasolari in 3906 sistemi planetari diversi (di cui 851 multipli); inoltre 2717 è il numero di pianeti candidati e altri 84 possibili pianeti sono in attesa di conferma o controversi. Recentemente è stato scoperto a 100 anni luce di distanza un sosia della Terra intorno alla stella TOI 700, dove esiste un sistema planetario di almeno 4 pianeti. Il nuovo pianeta, denominato TOI 700e ha dimensioni simili alla Terra e si trova nella zona abitabile, ossia a una distanza tale dalla sua stella da poter avere acqua liquida in superficie. Il Webb ha recentemente osservato quella che in gergo è chiamata "luce intracluster" (ICL), ovvero l'emissione molto debole prodotta dalle stelle delle loro galassie mentre interagiscono all'interno di un ammasso. "In questo studio mostriamo il grande potenziale di JWST per l'osservazione di un oggetto così debole", ha dichiarato Mireia Montes, prima autrice dell'articolo, in una dichiarazione dell'Instituto de Astrofísica de Canarias. "Questo ci permetterà di studiare gli ammassi di galassie che sono molto più lontani e in modo molto più dettagliato." L'osservazione di questa luce, infatti, ha grandi implicazioni non solo per comprendere l'evoluzione delle galassie e degli ammassi di galassie, ma anche per un mistero cruciale per la nostra intera comprensione del cosmo. Nonostante la potenza di Webb, la scoperta non deriva solo dalle osservazioni dirette, ma piuttosto dalle analisi e dagli studi teorici. Questa luce è ancora estremamente debole e le galassie nell'ammasso sono estremamente luminose. "Analizzando questa luce diffusa, scopriamo che le parti interne dell'ammasso sono formate dalla fusione di galassie massicce, mentre le parti esterne sono dovute all'accrescimento di galassie simili alla Via Lattea", continua Montes. Un ruolo importante è dato dalla materia oscura (presente anche all'interno della stanza in cui ci troviamo) che interagisce solo gravitazionalmente. In un ammasso, con centinaia se non migliaia di galassie, questa materia si diffonde attraverso e intorno... e questa "luce spettrale" è proprio un modo per rintracciarla! Una prova dell'esistenza della materia oscura è data dall'osservazione di effetti di lente gravitazionale in presenza di una massa visibile che risulta insufficiente a giustificarli. Nel 2008 un gruppo di ricercatori, coordinati dall'Istituto di Astrofisica di Parigi, utilizzando il telescopio Canada-France-Hawaii Telescope (Cfht) posto sul monte Mauna Kea nelle Hawaii, studiò migliaia di immagini constatando la deviazione che la luce subiva anche in punti dove non erano visibili masse.
LA GRANDE NUBE DI MAGELLANO. I ricercatori hanno mostrato la nuova immagine ripresa dal Mid-Infrared Instrument (Miri), che fornisce modalità di osservazione e analisi spettroscopica a lunghezze d'onda nel medio infrarosso (da 5 a 28 micron). L'hanno poi confrontata fianco a fianco con una fotografia della stessa porzione di cielo, scattata in precedenza dal telescopio spaziale Spitzer, il primo a fornire immagini ad alta risoluzione dell'Universo del vicino e medio infrarosso per valutarne le differenze. Mentre l'immagine di quest'ultimo risulta essere piuttosto sfocata, quella appena scattata dal telescopio telescopio Webb ha una nitidezza eccezionale: il Miri, infatti, è stato capace di catturare il gas interstellare, e centinaia di stelle e galassie sullo sfondo, con dettagli “senza precedenti”, commentano i ricercatori. Più nel dettaglio, dall'immagine si può addirittura osservare l'emissione di “idrocarburi policiclici aromatici”, o molecole di carbonio e idrogeno, fondamentali per l'equilibrio termico e la chimica del gas interstellare. . LA GALASSIA GHZ2/GLASS-z12 è molto luminosa e robusta. La sua luce ha viaggiato per oltre 13,184 miliardi di anni e ha percorso una distanza di almeno 26,596 miliardi di anni luce. Così, per esaminarla, gli addetti ai lavori si sono rivolti ad ALMA. Le osservazioni confermano l'età della galassia: GHZ2/GLASS-z12 è nata 367 milioni di anni dopo il Big Bang. “Il lavoro di JWST è appena iniziato, ma stiamo già adattando i nostri modelli di come si formano le galassie nell'Universo primordiale per corrispondere a queste osservazioni. La potenza combinata di Webb e dell'array di radiotelescopi ALMA ci dà la fiducia necessaria per spingere i nostri orizzonti cosmici sempre più vicini all'alba dell'Universo", afferma infine Jorge Zavala, dell'Osservatorio Astronomico Nazionale del Giappone. L’emissione di linee luminose indica che questa galassia ha arricchito rapidamente le sue riserve di gas con elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio. Questo fornisce alcuni indizi sulla formazione e sull’evoluzione della prima generazione di stelle, e sulla durata della loro vita. Jorge Zavala ha aggiunto: “La piccola separazione che osserviamo tra il gas di ossigeno e l’emissione delle stelle potrebbe anche suggerire che queste prime galassie hanno subito violente esplosioni, che hanno spinto il gas lontano dal centro della galassia nella regione circostante, e persino oltre”. Le osservazioni di ALMA forniscono quindi una solida prova dell’esistenza di galassie nelle prime centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang. Inoltre, confermano i sorprendenti risultati delle osservazioni di Webb: nonostante il suo lavoro sia appena iniziato, i ricercatori stanno già modificando i modelli di formazione delle galassie nell’Universo primordiale per adattarli alle nuove osservazioni. La potenza combinata del James Webb e di ALMA sta aiutando gli scienziati in questo senso, e soprattutto, sta garantendo la certezza di poter spingere i nostri orizzonti cosmici sempre più vicino agli albori dell’Universo.
Questa incredibile foto mostra due galassie che si fondono formando una curiosa immagine molto simile a un fagiolo. La galassia inferiore ha una forma a spirale per lo più regolare, mentre la galassia superiore è leggermente distorta
TELESCOPIO WEBB. STELLA WR 124. Ciò che vediamo al centro di questa nuova bellissima immagine è una stella”, spiega Amber Straughn della NASA, “La luce di questa stella ha viaggiato nello spazio per circa 15.000 anni fino a raggiungere i rilevatori del telescopio. Il materiale che si vede intorno alla stella centrale e che sembra polvere, è polvere. Alla fine della vita di una stella, essa rilascia il suo materiale esterno nel resto dell'universo. Quella polvere si diffonde nel cosmo e finirà per creare pianeti”. La stella di cui parla l’astrofisica americana che lavora al progetto del telescopio spaziale James Webb si chiama WR 124 e si trova a 15.000 anni luce dalla Terra nella costellazione del Sagittario. Si tratta di una stella di di Wolf-Rayet, è 30 volte più massiccia del nostro Sole e ha già disperso abbastanza materiale per 10 soli. Osservare le stelle di Wolf-Rayet - le più luminose e massicce, molto calde rispetto alla media – in questa effimera fase della loro esistenza è cosa rara. Il destino di una stella di Wolf-Rayet dipende probabilmente dalla sua massa, ma si pensa che molte di esse finiscano la loro vita con esplosioni spettacolari come le supernove. Il telescopio ha catturato, con un dettaglio senza precedenti, la stella in procinto di trasformarsi in una Supernova grazie ai suoi potenti strumenti a infrarossi - La NIRCam (Near-Infrared Camera) e lo strumento per l'infrarosso medio (MIRI). La prima bilancia la luminosità del nucleo, il secondo rivela la struttura a grumi della nebulosa di gas e polveri del materiale espulso che circonda la stella. L'osservazione di WR 124 è stata una delle prime effettuate da Webb dopo il suo lancio alla fine del 2021. Il telescopio spaziale Hubble aveva scattato una foto qualche anno fa in cui la stessa stella appariva più simile a una palla di fuoco, senza i dettagli della nuova immagine. Quando il gas espulso si allontana dalla stella e si raffredda, si forma polvere cosmica che brilla nella luce infrarossa rilevabile da Webb. Questa trasformazione, dicono gli scienziati, si verifica solo in alcune stelle e di solito è l'ultimo passo prima che esplodano, diventando supernove. TELESCOPIO WEBB. Potrebbe sembrare una fitta ragnatela sospesa nello spazio. Si tratta invece della parte centrale di una galassia non distante da noi, NCG 5068, osservata nel vicino infrarosso e nel medio infrarosso dal telescopio James Webb. Questa immagine composta ci mostra in falsi colori l'intricata e complessa struttura centrale di una galassia particolarmente “fertile”, che sta producendo una grande quantità di nuove stelle. Grazie alla sua sensibilità infrarossa, James Webb ci permette di “sollevare” il velo di polveri che avvolge gli astri in formazione consentendoci così di scoprire dettagli altrimenti invisibili in banda ottica.
WEBB. Stella Fomalhaut. Si tratta di una stella di circa 400 milioni di anni a 25 anni luce dal Sole, la più brillante della costellazione del Pesce Australe, ma anche la 18esima più brillante tra tutte le stelle visibili a occhio nudo. Il nome è di origine araba e significa “nella bocca del pesce” come suggerisce la sua posizione all’interno della costellazione del Pesce Australe. Moltissime tra le stelle più brillanti possiedono anche una denominazione araba. Per alcune stelle questa denominazione fu data originariamente da astronomi arabi, ma per la maggior parte si tratta di una traduzione in arabo dell’originario nome greco presente nel trattato Almagesto del 150 d.C. scritto dall’astronomo Tolomeo. Ciò che ha reso Fomalhaut particolarmente interessante per gli astronomi è il suo disco circumstellare di asteroidi, nel quale si è scovato un esopianeta. Questo esopianeta, seguendo la convenzione adottata per "battezzare" gli esopianeti, era stato chiamato Fomalhaut b. Il James Webb Space Telescope ha rivelato per la prima volta dettagli inaspettati sulla fascia di asteroidi, che sembra essere costituita da tre anelli concentrici, probabilmente modellati dalle forze gravitazionali prodotte dal o dai pianeti che si nascondono al loro interno. Considerando le proporzioni degli anelli più esterni, la dimensione dell’intero sistema sarebbe pari a circa il doppio di quella del Sistema Solare: gli anelli più esterni si trovano infatti a una distanza di circa 23 miliardi di chilometri dalla stella, pari a circa 150 volte la distanza che separa la Terra dal Sole. I dati emersi da queste osservazioni sono stati pubblicati su Nature Astronomy.
WEBB. Galassia NGC 1433 WEBB - Galassia NGC 628 nella costellazione dei Pesci
WEBB - Altra immagine della Galassia NGC 628 Lontana 390 anni luce dalla Terra, la Rho Ophiuchi è un complesso di nubi molecolari e la regione di formazione stellare più vicina al nostro pianeta. È proprio qui che il Webb Space Telescope ha immortalato questo scatto a infrarossi dove è possibile osservare e ammirare circa cinquanta giovani stelle, le cui masse sembrerebbero essere simili a quella del Sole. In questo scatto ad infrarossi sono state immortalate delle aree rosse equivalenti a degli enormi getti di idrogeno molecolare, causati proprio dall'esplosione delle stelle appena nate, le cui dimensioni sono paragonabili, o in alcuni casi superiori, a quelle del Sole. Più al centro, invece, lo scatto rappresenta una grande cavità polverosa giallastra che è stata scavata da una giovane stella, le cui dimensioni sono significative. Si pensa, infatti, che questa stella abbia delle dimensioni molto più grandi rispetto a quelle del nostro Sole. Le aree più scure che circondano alcune stelle e che vengono ritratte nell'immagine rilasciata dal Webb Space Telescope, sono delle ombre causate da dischi protoplanetari. Sono proprio questi dischi protoplanetari che fanno pensare che stiamo per assistere alla nascita di sistemi planetari che potrebbero essere molto simili al nostro. FOTO DAL WEBB La galassia NGC 1363. NGC 1363 è una galassia a spirale barrata situata nella costellazione dell'Eridano a circa 435 milioni di anni luce dalla Via Lattea . Fu scoperta dall'astronomo americano Sherburne Wesley Burnham nel 1877.
La galassia NGC 7496. Al centro di NGC 7496, una galassia a spirale barrata, c'è un nucleo galattico attivo (AGN) Un AGN è un buco nero supermassiccio che emette getti e venti di plasma. L'AGN risplende al centro di questa immagine Webb. Inoltre, l'estrema sensibilità di Webb rileva anche varie galassie di fondo, molto distanti da NGC 7496, che in alcuni casi appaiono verdi o rosse. NGC 7496 si trova a oltre 24 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione di Grus. In questa immagine di NGC 7496, blu, verde e rosso sono stati assegnati ai dati MIRI di Webb a 7,7 - 10 - 11,3 e 21 micron.
La galassia a spirale barrata EGS–23205 vista da Hubble (a sinistra) e la galassia barrata EGS-24268 vista Webb (a destra). Università del Texas ad Austin. L’universo si sta mostrando davvero senza confini per il telescopio James Webb. Le nuove incredibili immagini catturate dall’osservatorio spaziale della NASA rivelano le due più antiche (e distanti) galassie simili alla via Lattea, mostrando per la prima volta la loro struttura a spirale barrata che le accomuna all’ammasso del nostro Sistema solare. Entrambe risalgono a circa 11 miliardi di anni fa, ma mentre la prima – denominata EGS-23205 – era stata vista dal telescopio spaziale Hubble come una macchia a forma di disco, la seconda galassia barrata, denominata EGS-24268, non era mai stata osservata in precedenza. Come spiegato dagli studiosi, le “barre” svolgono un ruolo importante nell’evoluzione delle galassie, incanalando il gas nelle regioni centrali e favorendo la formazione stellare. “Risolvono il problema della catena di approvvigionamento nelle galassie – ha sottolineato Jogee – . Proprio come abbiamo bisogno di portare la materia prima dal porto alle fabbriche dell’entroterra che realizzano nuovi prodotti, una barra trasporta potentemente il gas nella regione centrale dove viene rapidamente convertito in nuove stelle a una velocità tipicamente da 10 a 100 volte maggiore che nel resto della galassia”. La presenza di barre in un’era così precoce della storia dell’universo è certamente una scoperta importante per la comprensione dell’evoluzione delle galassie, così come per la conoscenza dei meccanismi che sottendono la crescita dei buchi neri supermassicci, che potrebbero essere alimentati dal gas convogliato dalle barre lungo il loro percorso.
WEBB. Questa immagine ritrae Ngc 346, una regione di formazione stellare situata all'interno della Piccola Nube di Magellano, una delle galassie satelliti della Via Lattea visibile dall'emisfero australe. A 200mila anni luce da noi, in questo luogo si stanno formando moltissime stelle. Webb sta mostrando dettagli senza precedenti di questo luogo, come la presenza di molti più componenti pesanti (diversi da idrogeno ed elio) di quanto ci si aspettasse. Non è la prima volta che grazie al JWST vengoo rilevati elementi pesanti. WEBB. Due galassie distinte, nella costellazione boreale dei Cani da Caccia: La più grande è la famosa Galassia Vortice (anche nota come NGC 5194 e talvolta M51A) è una classica galassia a spirale. Fu scoperta da Charles Messier il 13 ottobre del 1773. La più piccola galassia compagna nota come NGC 5195 è parzialmente coperta da un braccio di polvere della spirale Vortice (con la quale interagisce) ed è stata scoperta da Pierre Méchain nel 1781. WEBB. Arp 273 (APG 273) è una coppia di galassie interagenti situata in direzione della costellazione di Andromeda. La coppia è formata dal'interazione della galassia spirale UGC 1810 che appare vista di faccia (face-on) e dalla cinque volte più piccola galassia spirale UGC 1813 che appare invece quasi di profilo (edge-on). Quest'ultima mostra i segni distintivi di attiva formazione stellare nel nucleo galattico e si ipotizza che abbia già attraversato in passato la galassia più grande. Nell'estremità di uno dei bracci di spirale di UGC 1810 si intravede una terza piccola galassia. Il 28 gennaio 1962 nella galassia UGC 1810 è stata individuata una supernova di tipo II catalogata come SN 1962R. Arp 273 fa parte dell'ammasso di galassie Abell 347, a sua volta componente del Superammasso di Perseo-Pesci (SCl 40). Giova notare la pulizia dell'immagine rispetto a quella trasmessa da Hubble. Galassia NGC 1672: WEBB, HUBBLE E CHANDRA. NGC 1672 è una galassia a spirale barrata, ovvero una spirale dal cui rigonfiamento centrale si dipartono due prolungamenti di stelle che ricordano una barra. Si trova nella costellazione del Dorato, a 36 milioni di anni luce dalla Via Lattea, ed è particolare perché ha due bracci a spirale molto aperti e corti rispetto alla barra centrale. In questa immagine composita, la radiazione ad alta energia proviene da oggetti compatti, come stelle di neutroni e buchi neri, che estraggono materiale dalle stelle compagne o dai resti di stelle esplose. Questi oggetti sono di colore violetto. Riempiono le poderose braccia a spirale i dati di Hubble, che fotografano la polvere e il gas illuminati dalle stelle, mentre Webb nell’infrarosso guarda oltre la polvere, districando le regioni più luminose per mostrare cosa c’è al di là.
Dal telescopio James Webb arriva la più enigmatica delle immagini cosmiche scattate finora: è un punto interrogativo che appare non lontano da due giovani stelle in formazione distanti 1.470 anni luce, nella costellazione della Vela, chiamate Herbig-Haro 46/47. Al momento, però, non è affatto chiaro che cosa possa essere nello specifico questo elemento, di colore rossastro. Per capire di Xcosa si tratti serviranno ulteriori osservazioni Al momento ci sono soltanto ipotesi, come quella suggerita al sito Space.com da alcuni esperti dello the Space Telescope Science Institute, che gestisce le operazioni di Webb. "Probabilmente è una galassia lontana, o forse si tratta di due galassie che interagiscono fra loro". Potrebbero anche essere due lontane galassie in collisione, ma le possibili ipotesi sono davvero tante al momento. Di sicuro, agli astronomi non era mai successo di vedere qualcosa di simile e per saperne di più non resta che condurre ulteriori osservazioni, grazie all'incredibile vista del telescopio Webb, capace di spingersi indietro nel tempo, fino a 13,4 miliardi di anni fa, quando l'universo aveva appena 420 milioni di anni.
La galassia SPT0418-47 diventa visibile grazie al lensing gravitazionale. Elaborando dati raccolti nei mesi scorsi proprio grazie a Webb, un team internazionale di astronomi della Texas A&M University e dell’Università dell’Illinois ha rilevato la presenza di molecole organiche complesse in una galassia a più di 12 miliardi di anni luce di distanza dalla Terra, la galassia più lontana in cui siano mai state individuate queste molecole. Si tratta di idrocarburi policiclici aromatici, molecole organiche complesse piuttosto comuni sul nostro pianeta. Nello spazio, invece, sono presenti all’interno delle polveri contenute nel gas interstellare in prossimità di stelle giovani e massicce e sono coinvolte nei meccanismi di scambio energetico tra stelle e gas. Con il passare del tempo, queste molecole diventano sempre più grandi e formano nubi che permettono di regolare il riscaldamento e il raffreddamento del gas all’interno delle galassie. Grazie alle abilità di Webb nell’osservazione nell’infrarosso, gli scienziati hanno potuto distinguere i segnali provenienti dagli idrocarburi da quelli prodotti invece dai più massicci grani di polvere presenti in SPT0418-47. Vista dalla Terra, questa “città di stelle” si trova prospetticamente dietro un’altra galassia più vicina. La gravità della galassia in primo piano curva e distorce la luce di SPT0418-47, formando un cosiddetto “anello di Einstein” e rendendo l’oggetto retrostante circa 30 volte più luminoso e notevolmente ingrandito rispetto a quanto sarebbe altrimenti. Proprio grazie a questo effetto relativistico di lente gravitazionale, Webb ha potuto raccogliere dati su quella galassia incredibilmente distante. La sua luce è partita, infatti, in un’epoca in cui l’universo aveva meno di 1,5 miliardi di anni e ci fornisce perciò fondamentali informazioni circa i complessi processi chimici che riguardano la formazione stellare nell’universo neonato. Gli astronomi ritengono che la presenza di idrocarburi policiclici aromatici sia associata a processi di formazione stellare, ma in alcune regioni di SPT0418-47 sono state trovate queste molecole in assenza di formazione stellare, mentre in altre stelle in formazione non sono state trovate molecole di questo tipo. Quando l’Universo aveva solo il 10 per cento della sua età attuale, SPT0418-47 aveva già una massa simile a quella della Via Lattea, con una quantità di carbonio e ossigeno formata dalle sue stelle paragonabile a quella presente oggi nella nostra galassia. La scoperta ha decisamente sorpreso gli studiosi, lasciando anche molti punti aperti: come può una galassia così giovane contenere queste molecole complesse, segno del fatto che generazioni di stelle hanno già completato il loro ciclo vitale? Molto probabilmente saremo costretti a rivedere gli attuali modelli di evoluzione cosmica, provando a comprendere più a fondo come si è formata la polvere e come ha plasmato le prime generazioni di stelle e galassie. Il primo autore dello studio, Justin S. Spilker, del Dipartimento di fisica e astronomia della Texas A&M University, ha dichiarato: “non vediamo l’ora di capire se è proprio vero che dove c’è fumo (idrocarburi policiclici aromatici, ndr) c’è fuoco (stelle attive, ndr). Forse saremo anche in grado di trovare galassie così giovani che molecole complesse come queste non hanno ancora avuto il tempo di formarsi nel vuoto dello spazio: galassie tutte fuoco e niente fumo. L’unico modo per saperlo con certezza è osservare altre galassie, possibilmente ancora più lontane di SPT0418-47”. Scoperte come questa, pubblicata sulla rivista Nature, sono la testimonianza di ciò per cui il James Webb è stato creato: comprendere le prime fasi dell’Universo e pertanto confermare o negare la teoria del big bang o proporre teorie alternative, come quella di Roger Penrose. Roger Penrose e la sua teoria cosmologica Penrose e Vahe Gurzhadyan hanno elaborato una teoria denominata cosmologia ciclica conforme (CCC). Secondo Penrose, in una teoria esposta nel libro Dal Big Bang all'eternità, la materia e l'energia si dissolveranno anch'esse, i buchi neri assorbiranno il restante, evaporando poi tramite la radiazione di Hawking; solo i fotoni continueranno ad esistere, senza gravità. Alcuni scienziati, che accettano il modello, sostengono che il tempo si fermerà e si annulleranno le dimensioni e le distanze. Nel libro Dal Big Bang all'eternità, afferma che l'infinitamente piccolo allora equivarrà all'infinitamente grande, e l'universo apparentemente freddo e morto (o un universo disfatto) potrebbe così dare origine, per effetto dell'annullamento delle leggi fisiche precedenti, ad un nuovo Big Bang (l'entropia sarebbe la stessa della nascita del primo universo), anche se diverso da quello della teoria del Big Bounce. L'attuale universo sarebbe uno degli infiniti "eoni" (ognuno della durata di 10100) che costituiscono un eterno universo. «La cosa difficile da capire sulla CCC è proprio questa: in ogni eone l'universo si espande “da zero a infinito”, ma l'infinito futuro di ogni eone coincide esattamente con il Big Bang dell'eone successivo. Questo processo anti-intuitivo è possibile grazie alla scomparsa della massa – ovvero, delle masse a riposo delle particelle – negli estremi iniziale e finale dei due eoni. Senza massa a riposo non è possibile nessuna misura del tempo, e pertanto nessuna misura dello spazio.» (Roger Penrose ) Penrose afferma che la prova sarebbe contenuta nella radiazione cosmica di fondo, nei segni circolari solitamente attribuiti a fluttuazioni quantistiche da molti fisici, che sarebbero residui di esplosioni di buchi neri supermassicci pre-Big Bang. Prima di questo Penrose credeva che il Big Bang fosse necessariamente unico, e che non bisognasse domandarsi cosa ci fosse prima di esso, ma poi la sua idea si è evoluta nell'attuale, a partire dai primi anni duemila. Questo universo infinito e con infinite possibilità implica molte nuove ipotesi e speculazioni sul principio antropico forte e su teorie come la civiltà eterna di Dyson o la teoria del punto Omega di Frank Tipler. Nel 2015, Penrose ha proposto una soluzione al paradosso di Fermi (un famoso paradosso sulle civiltà extraterrestri), basata sulla propria cosmologia. Roger Penrose ha criticato l'attitudine di molti cosmologi verso la meccanica quantistica (pur ritenendola fondamentale), vissuta secondo lui come una "fede": in particolare, è un forte critico della diffusa teoria dell'inflazione cosmica (ricavata dai concetti di meccanica quantistica di energia del vuoto, energia di punto zero, transizione di fase quantistica e fluttuazione quantistica, secondo lui utilizzati a sproposito), definita da Penrose una "fantasia" e della teoria delle stringhe, descritta come un "fenomeno di moda". Fashion, faith and fantasy in the new physics of the universe è appunto il titolo di un saggio del 2016 fortemente critico contro la teoria delle stringhe, l'inflazione e l'applicazione della meccanica quantistica al macrocosmo. Nuove immagini del telescopio spaziale James Webb rivelano dettagli unici mai visti prima della 'diva' delle nebulose, la Nebulosa Anello generata da una stella morente. Gli 'occhi' a infrarossi del telescopio hanno permesso di ottenere una risoluzione spaziale e una sensibilità spettrale senza precedenti, con risultati superiori anche a quelli del telescopio Hubble, che esattamente dieci anni fa aveva scattato un 'primo piano' della stessa nebulosa. La nuova immagine ottenuta da Webb con lo strumento NirCam (Near-InfraRed Camera) mostra gli intricati dettagli della struttura filamentosa dell'anello interno, mentre l'immagine ottenuta con lo strumento Miri (Mid-InfraRed Instrument) rivela particolari delle strutture concentriche nella regione esterna dell'anello della nebulosa. "Quando abbiamo visto per la prima volta le immagini, siamo rimasti sbalorditi dalla quantità di dettagli in esse contenuti", afferma Roger Wesson dell'Università di Cardiff, nel Regno Unito. "L'anello luminoso che dà il nome alla nebulosa è composto da circa 20.000 singoli ammassi di denso gas di idrogeno molecolare, ognuno dei quali massiccio quanto la Terra. All'interno dell'anello c'è una stretta banda di emissione di idrocarburi policiclici aromatici, molecole complesse contenenti carbonio che non ci aspetteremmo nella Nebulosa". Un'altra rivelazione sorprendente, aggiunge il ricercatore, "è stata la presenza di dieci strutture concentriche regolarmente distanziate" appena oltre il bordo esterno dell'anello principale. Secondo gli esperti, questi archi potrebbero essersi formati ogni 280 anni per effetto dell’interazione della stella centrale con una compagna di piccola massa che orbita a una distanza paragonabile a quella tra la Terra e Plutone.
Questo grafico mostra i buchi neri supermassicci attivi più distanti attualmente conosciuti nell’universo. Tre, tra cui il più distante (all’interno della galassia Ceers 1019), sono stati recentemente identificati dalla Cosmic Evolution Early Release Science (Ceers) Survey del James Webb Space Telescope. I buchi neri individuati Ceers sono molto più piccoli di qualsiasi altro buco nero precedentemente noto nell’universo primordiale. Il buco nero all’interno della galassia Ceers 1019 era già presente 570 milioni di anni dopo il big bang, ed è molto meno massiccio di altri buchi neri trovati in precedenza nell’universo primordiale. La lista dei record battuti dal James Webb Space Telescope continua a crescere con nuove scoperte. L’ultima, rivelata dai ricercatori con la pubblicazione in The Astrophysical Journal Letters, riguarda la scoperta del buco nero più distante mai osservato, si trova nella galassia Ceers 1019. Il buco nero in questione è stato identificato in una delle immagini prodotte dal telescopio facenti parte del Cosmic Evolution Early Release Science (Ceers) Survey, un programma di osservazioni con l’obiettivo principale di studiare, attraverso immagini e spettroscopie, le antiche galassie nell’epoca della reionizzazione, il momento in cui i fotoni delle prime stelle hanno ionizzato il gas nel mezzo intergalattico. Il buco nero all’interno della galassia Ceers 1019 esisteva poco più di 570 milioni di anni dopo il big bang – estremamente presto nella storia comica – e pesa solo 9 milioni di masse solari, molto poco se confrontato con altri buchi neri lontani osservati attraverso altri telescopi, che arrivano a masse pari anche a miliardi di volte quella del Sole. Sebbene le sue dimensioni siano ridotte, questo buco nero è estremamente famelico, come rivela lo spettro ricavato dal Webb, che indica un consumo di gas, polvere e stelle alla massima velocità teoricamente possibile per le sue dimensioni. Il primo grafico mostra i buchi neri supermassicci attivi più distanti attualmente conosciuti nell’universo. Tre, tra cui il più distante (all’interno della galassia Ceers 1019), sono stati recentemente identificati dalla Cosmic Evolution Early Release Science (Ceers) Survey del James Webb Space Telescope. I buchi neri individuati Ceers sono molto più piccoli di qualsiasi altro buco nero precedentemente noto nell’universo primordiale. Anche se relativamente piccolo, questo buco nero è esistito così tanto tempo fa che resta difficile spiegare come possa essersi formato così presto dopo l’inizio dell’universo. I ricercatori sapevano da tempo che i buchi neri più piccoli dovevano esistere già nell’universo primordiale, ma solo con l’inizio delle osservazioni del Jwst sono stati in grado di effettuare rilevamenti definitivi. Il team non solo ha potuto distinguere quali emissioni nello spettro provengono dal buco nero e quali dalla galassia che lo ospita, ma ha anche potuto misurare la quantità di gas che il buco nero sta ingerendo e determinare il tasso di formazione stellare della galassia. I ricercatori hanno scoperto che questa galassia sta ingerendo quanto più gas possibile, sfornando al contempo nuove stelle. Per capire come mai, si sono rivolti alle immagini. Visivamente, Ceers 1019 appare come tre ammassi luminosi, non come un singolo disco circolare. «Non siamo abituati a vedere così tanta struttura nelle immagini a queste distanze», ha detto l’astronoma Jeyhan Kartaltepe del Rochester Institute of Technology di New York, membro del team Ceers. «La fusione con un’altra galassia potrebbe essere in parte responsabile dell’attività del buco nero di questa galassia, e questo potrebbe anche portare a un aumento della formazione stellare». Oltre al buco nero in Ceers 1019, i ricercatori hanno identificato altri due buchi neri più piccoli, esistiti 1 miliardo e 1,1 miliardi di anni dopo il big bang. Jwst ha inoltre individuato undici galassie che esistevano quando l’universo aveva un’età compresa tra 470 e 675 milioni di anni. «Finora la ricerca sugli oggetti dell’universo primordiale era in gran parte teorica», spiega l’astronomo Steven Finkelstein dell’Università del Texas a Austin, a capo del programma Ceers. «Con Webb, non solo possiamo vedere buchi neri e galassie a distanze estreme, ma possiamo anche iniziare a misurarli con precisione. È questa è l’enorme potenza di questo telescopio». Si chiama JADES-GS-z13-0, ma in termini più semplici possiamo chiamarla "la galassia più antica di sempre" perché è nata 350 milioni di anni dopo il Big Bang. Si trova a ben 13,4 miliardi di anni luce dalla Terra. Questo significa che i fotoni sono stati in transito per più di 13 miliardi di anni – quasi l'intera storia del cosmo – prima di raggiungere l'occhio del telescopio. Delle 250 galassie studiate, sono quattro quelle di cui è stata stimata l’esistenza già prima dei 400 milioni di anni dal Big Bang. Dopo le ricenti scoperte si potrà parlare ancora di big bang?
Saturno, catturato dallo strumento NIRCam del James Webb Space Telescope il 25 giugno 2023. L'iconica struttura di Saturno è stata osservata con nuovi dettagli impressionanti dal James Webb in un'immagine che ha evidenziato caratteristiche inaspettate dell'atmosfera del pianeta. Scattata nell'infrarosso, la suggestiva immagine cattura gli anelli di Saturno in tutta la loro maestosità, con la luce che sembra rimbalzare su di essi, risplendendo sullo sfondo. Questo effetto è dovuto alla specifica lunghezza d'onda dell'infrarosso utilizzata nell'immagine (3,23 micron). A questa lunghezza d'onda, l'atmosfera ricca di metano di Saturno assorbe quasi tutta la luce solare, il che significa che le sue strisce caratteristiche non sono visibili. Gli anelli non contengono metano, apparendo così in tutta la loro consueta luminosità. Progettata dai ricercatori del SETI Institut, la nuova osservazione di Saturno non è solo una bella immagine, ma è anche un test della capacità del JWST di rilevare deboli lune attorno a Saturno. Se si dà un'occhiata più da vicino all'immagine, si distinguono tre piccole luci situate a sinistra del gigante gassoso. Queste sono le lune di Dione, Encelado e Teti. L'immagine è a prova delle capacità di osservazione delle lune da parte del telescopio, che potrebbero portare alla scoperta di satelliti precedentemente sconosciuti in orbita attorno a Saturno, fornendo agli scienziati un quadro più completo dell'ambiente attuale del pianeta, così come del suo passato. Webb e la supernova SN 1987A. Questa immagine non è recente in quanto i dati risalgono a due osservazioni dell'1 e del 2 settembre 2022 grazie allo strumento NIRCam. Per capire le dimensioni di questo oggetto celeste bisogna considerare che l'immagine copre una zona ampia 8,5 anni luce (o 10,8 arcosecondi). La scelta di osservare SN 1987A con il telescopio spaziale James Webb è dovuta alla possibilità di comprendere come una supernova si sviluppa nel corso del tempo modellando le strutture di gas e polveri emesse e il mezzo interstellare. In particolare si può osservare una zona centrale definita dai ricercatori come dalla forma di "un buco di serratura" di colore azzurrognolo. Qui si trovano gas e polveri strutturati in agglomerati ed espulsi dall'esplosione della supernova. A causa della densità elevata della polvere anche il JWST non riesce a raccogliere immagini e dati da questa zona. Sempre guardando dall'interno verso l'esterno c'è quello che è stato chiamato anello equatoriale che circonda la zona centrale e che unisce due anelli più esterni che formano invece una forma "a clessidra". Sempre stando alle osservazioni, l'anello equatoriale è formato da materiale espulso ben prima dell'esplosione principale della supernova SN 1987A (migliaia di anni prima). La struttura di questo anello ha interagito con l'onda d'urto prodotto dall'esplosione quando quest'ultima ha colpito l'anello creando quelli che appaiono come "punti luminosi" e più caldi. Attualmente si sta cercando di trovare informazioni sulla stella di neutroni che si dovrebbe trovare al centro della supernova e il JWST sarà aiutato dai dati di Hubble e Chandra. Immagine da WEBB della galassia 6822. MIRI è sensibile al gas interstellare (in giallo), NIR vede le stelle.
La Galassia Vortice con i dati di NIRCam Gli scienziati hanno sottolineato come, grazie alla capacità di osservare nell'infrarosso con una risoluzione più elevata che in passato, Webb permette di guardare con "nuovi occhi" le regioni di formazione stellare che presentano grandi quantità di polvere cosmica. Proprio l'immagine catturata con MIRI (Mid-Infrared Instrument) di NGC 346 della Piccola Nube di Magellano ne è un chiaro esempio. La Piccola Nube di Magellano si trova nella costellazione del Tucano a una distanza di circa 200 mila anni luce dalla Terra ed è considerata meno recente della Via Lattea. Nell'immagine del telescopio spaziale James Webb è possibile individuare quelle che appaiono come "ragnatele" di colore blu che sono composte di polvere di silicati e idrocarburi policiclici aromatici.
WEBB ha rilasciato un’immagine raffigurante la regione di formazione stellare più vicina alla Terra, che si trova nella nube di Rho Ophiuchi, distante 390 anni luce da noi. Una foto che ritrae un insieme mozzafiato di 50 giovani stelle, tutte simili per massa al Sole o più piccole. La foto (in altissima risoluzione) mostra alcune aree scure, che sono le più dense dove la polvere avvolge le protostelle ancora in formazione ed enormi getti di idrogeno molecolare, rappresentati dalla coltre rossa che domina l’immagine. Si vede anche la stella S1, che ha scavato una caverna di polvere molto luminosa visibile nella parte bassa della foto. È l’unica stella più grande (per massa) del sole.
I resti della supernova Cassiopeia A (spesso abbreviata a Cas A) si trovano a 11.000 anni luce di distanza, nella costellazione di Cassiopea. Secondo il punto di vista terrestre, la sua esplosione è avvenuta circa 340 anni fa. "Con la risoluzione di Webb, ora possiamo vedere come la stella morente si è completamente disintegrata quando è esplosa, lasciando dietro di sé sottilissimi filamenti simili a frammenti di vetro", commenta Danny Milisavljevic dell'americana Purdue University, che ha guidato i ricercatori: "È davvero incredibile, dopo tutti questi anni passati a studiare Cas 9, riuscire a vedere questi dettagli, che ci stanno fornendo informazioni rivoluzionarie su come è esplosa questa stella".
Ngc 1300 Qui vediamo la galassia Ngc 1300, che si trova a circa 69 milioni di anni luce di distanza da noi, all’interno della costellazione Eridanus. In questa immagine si vedono chiaramente i “puntini rossi” corrispondenti alle stelle ancora in formazione. Ngc 1365 Questa immagine ritrae la galassia Ngc 1365, che si trova all’interno della costellazione Fornax, a 56 milioni di anni luce di distanza dalla Terra. Come sottolinea una news di Space.com, l’immagine mostra una potente diffrazione che parte dal centro della galassia: questo, spiega Eva Schinnerer, scienziata presso il Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg (Germania), potrebbe indicare la presenza di un buco nero super massiccio attivo. “Oppure - prosegue Schinnerer , gli ammassi stellari verso il centro [della galassia, sono così luminosi da aver saturato quell’area dell’immagine”. Ngc 7496 Questa immagine mostra la galassia Ngc 7496 che si trova a 24 milioni di anni luce di distanza dalla Terra, all’interno della costellazione Grus. In questo caso risultano evidenti le stelle (o gli ammassi di stelle) più mature fotografate dalla NirCam, che appaiono sotto forma di puntini blu. Ngc 5068 Come sottolinea Space.com, l’immagine della galassia Ngc 5068, della costellazione della Vergine, a 20 milioni di anni luce dalla Terra, mostra chiaramente i “buchi” nel materiale interstellare, dovuti probabilmente all’esplosione di una o più stelle. La galassia NGC 4303 è una galassia a spirale con un barra di gas e stelle al centro, a circa 55 miloni di anni luce dalla Terra nella costellazione della Vergine. I bagliori dorati corrispondono principalmente a nubi di idrogeno ionizzato, ossigeno e zolfo gassosi, che segnalano la presenza di stelle appena nate, mentre le regioni bluastre sullo sfondo rivelano la distribuzione di stelle più vecchie. NGC 1512 è una galassia a spirale barrata distante circa 38 milioni di anni luce dalla Terra nella costellazione dell'Orologio . La galassia mostra una struttura a doppio anello, con un anello (nucleare) attorno al nucleo galattico e un anello (interno) più esterno nel disco principale. La galassia ospita un disco UV esteso con almeno 200 ammassi con recente attività di formazione stellare.
L'immagine di Webb di NGC 3351 mostra una galassia a spirale barrata frontale ancorata alla sua regione centrale, che è ovale e mostra un punto bianco brillante al centro con ovali gialli più scuri e più chiari attorno ad esso. I bracci filamentosi a spirale arancioni della galassia ruotano in senso orario e formano un'ampia struttura circolare ai bordi esterni. NGC 3351 si trova a 33 milioni di anni luce di distanza nella costellazione del Leone. M 100 (nota anche come NGC 4321) è una galassia a spirale che si trova in direzione della costellazione della Chioma di Berenice, alla distanza di 55 milioni di anni luce da noi. Due immagini ottenute dalla NIRCam e dal MIRI del James Webb Space Telescope mostrano la regione di formazione stellare NGC 604, situata nella Galassia del Triangolo (M33), 2,73 milioni di luce di distanza dalla Terra. In queste immagini, bolle cavernose e filamenti di gas estesi disegnano un arazzo di nascita stellare più dettagliato e completo di quanto visto in passato. Si stima che NGC 604 abbia circa 3,5 milioni di anni. La nube di gas incandescenti si estende per circa 1300 anni luce. Al riparo tra gli involucri polverosi di gas di NGC 604 ci sono più di 200 tra i tipi di stelle più calde e massiccie tutte nelle prime fasi della loro vita. Questi tipi di stelle sono conosciuti come B e O, le ultime delle quali possono avere più di 100 volte la massa del nostro Sole. È abbastanza raro trovarne una tale concentrazione nell’Universo vicino. In effetti, non esiste una regione simile all’interno della nostra galassia. Questa concentrazione di stelle massicce, combinata con la sua distanza relativamente ravvicinata, fa sì che NGC 604 offra agli astronomi l’opportunità di studiare questi oggetti in un momento affascinante, all’inizio della loro vita. Le strisce arancioni brillanti nell’immagine nel vicino infrarosso del James Webb indicano la presenza di molecole a base di carbonio note come idrocarburi policiclici aromatici o IPA. Questo materiale svolge un ruolo importante nel mezzo interstellare e nella formazione di stelle e pianeti, ma la sua origine è un mistero. Man mano che ci si allontana dalle immediate schiarite di polvere, il rosso più profondo indica l’idrogeno molecolare. Questo gas più freddo è un ambiente “privilegiato” per la formazione stellare.
Eugenio Caruso - 17- dicembre 2022 Revisione del 30 gennaio 2023 Revisione del 31 luglio 2023
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