L’incompetenza si manifesta con l’uso di troppe parole.
Ezra Pound
1. Introduzione
Seguito di "Evoluzione dell'impresa - Capitolo 3". Per andare al Capitolo 5 clicca qui.
L'impresa, come s'è detto più volte, è, costantemente, costretta a cambiare e adeguarsi alle trasformazioni del mercato, ma, oggi, come nel passato, sono ancora poche le persone in grado di modificare in modo significativo l'impresa. Queste persone possono essere definite con l'espressione di leadership (1) aziendale.
Ogni nuova idea nasce, generalmente, dal pensiero di un uomo ed è per questo che, in un'epoca caratterizzata dalla creatività, la leadership assume un ruolo ancora più importante che nel passato; il leader deve possedere una visione del "mondo" tale, che gli consenta di vedere più avanti degli altri e di conseguenza di agire in anticipo sui tempi.
Sull'argomento della leadership è opportuna un'analisi approfondita, poiché, se leadership equivale a imprenditore e imprenditore equivale a impresa, sarà necessario "leggere" questo soggetto, al quale la società civile ha affidato il compito di creare ricchezza, attraverso le sue azioni, le reazioni agli stimoli esterni, i rapporti con l'ambiente nel quale egli opera.
Nel tratteggiare il profilo della leadership mi sono ispirato fondamentalmente ad un certo numero di imprenditori e manager incontrati nel corso delle sue attività di manager e di imprenditore.
2. Che cosa è la leadership
Ogni impresa eccellente mira al raggiungimento di un ruolo di preminenza nei rami di attività in cui opera; alla leadership spetta il compito di incubare, stimolare, sostenere, conquistare questo obiettivo.
Per il conseguimento di questo target, la leadership deve metabolizzare una serie di "valori".
- Possedere la vision mirata al raggiungimento del successo dell'impresa.
- Essere elemento trainante ed esempio per i collaboratori.
- Essere creativa.
- Essere in grado di determinare processi di cambiamento nell'impresa finalizzati al coinvolgimento degli stakeholder.
- Riuscire a creare valore per l'impresa.
- Essere in grado di valutare lo stato di salute dell'impresa non tanto e non solo dagli indicatori economico-finanziari, ma da indicatori di natura intangibile o da segnali provenienti dal mercato e dall'impresa.
2.1 Differenza tra management e leadership
Spesso i manager, in particolare quelli delle grandi aziende, si attribuiscono l'etichetta di leadership aziendale. È questo un pregiudizio da smantellare: può esistere una grande differenza tra una leadership e un management; io, personalmente, nel corso della mia attività, ha conosciuto molti modesti manager e pochi veri leader, questi, quasi esclusivamente, nelle piccole e medie imprese.
La leadership è cosa diversa dal management; in questa definizione non c'è nulla di misterioso e la differenza non ha nulla a che fare con il carisma o altri tratti della personalità. Leadership e management sono due funzioni aziendali distinte e complementari, entrambe necessarie per il successo della grande, come della piccola impresa. Al management è affidata la gestione della complessità, alla leadership è affidato il cambiamento; oggi in piena transizione dalla "vecchia" alla "nuova" economia la maggior parte delle aziende di tutti i paesi industrializzati soffre di eccesso di management e di carenza di leadership, conseguentemente ne risultano gravi difficoltà nel gestire il cambiamento.
D'altra parte un lavoro svolto presso l'Mit ha mostrato che su 280 aziende statunitensi di successo prese in considerazione, solo tre sono state in grado di mantenere una posizione di preminenza di mercato per più di 18 anni; la causa del decadimento è stato attribuita alla incapacità al cambiamento mostrato da tali aziende.
Circa la longevità di un'impresa esistono punti di eccellenza, che vanno citati. La Dupont, impresa nata ben duecento anni fa per la produzione della polvere da sparo, nel 1920 era uno dei principali azionisti della General Motors e oggi è essenzialmente un'impresa chimica.
La General Electric, che è oggi il maggiore gruppo industriale del pianeta, alla sua nascita realizzava lampadine e trasformatori, dopo la seconda guerra mondiale produceva centrali termiche, reattori nucleari, impianti, treni ed elettrodomestici, oggi ricava la maggior parte dei suoi utili da attività di servizio nel campo della finanza e dell'affitto di aeromobili a gran parte delle compagnie aeree del mondo.
La direzione di un'impresa comprende management e leadership, funzioni diverse e complementari (Hinterhuber, 1999) le cui differenze possono essere così riassunte.
La leadership
- Scopre nuove opportunità e gli strumenti per attuarle o farle attuare.
- Crea nuovi paradigmi.
- Considera normale lavorare per breakthroughs.
- E' orientata alla creatività.
- E' in grado di cambiare radicalmente il sistema dell'impresa.
- Ha grande rispetto per le persone.
- E' in grado di motivare i collaboratori in modo da porli nelle condizioni di fornire prestazioni di spicco.
- La sua autorevolezza deriva dalla condivisione della vision, della mission, delle strategie e degli atteggiamenti da parte dei collaboratori.
- Ha metabolizzato l'atteggiamento del servire.
- E' alla ricerca non del cliente in sè ma del cliente da fidelizzare.
- Pensa in modo pro-attivo.
- Sfugge all'identificazione (in un ruolo, ad esempio), mediante l'auto-osservazione: vede dall'esterno il suo comportamento e lo adegua alle necessità poste dagli eventi esterni.
Dai punti sopra elencati si evince che il compito più significativo che compete alla leadership è attivare nel sistema aziendale salti qualitativi, che possano condurre a vere e proprie rivoluzioni organizzative nell'impresa. Per ottenere questi obiettivi, che potrebbero trovare ostacoli proprio tra i collaboratori, la leadership dovrebbe agire facendo riferimento ai seguenti comportamenti (Kotter, 1999):
- Creare il senso dell'urgenza.
- Attivare un gruppo di lavoro abbastanza autorevole.
- Creare una vision adeguata e stimolante, capace di creare il consenso.
- Comunicare la vision in modo chiaro.
- Conferire ai collaboratori ampie responsabilità decisionali.
- Cercare risultati positivi sul breve tempo, in modo da convincere gli scettici.
- Affrontare i punti più delicati del cambiamento con slancio.
- Incorporare nella cultura aziendale i nuovi comportamenti assunti per la gestione del cambiamento.
Il management
- Trova soluzioni ai problemi.
- Lavora all'interno di paradigmi definiti e accettati.
- Opera per cambiamenti incrementali.
- Adotta metodi e tecniche per porre cose e persone al posto giusto e al momento giusto.
- Usa l'uomo come risorsa per conseguire degli obiettivi.
- La sua autorità deriva dalla posizione gerarchica e dalla competenza specialistica.
- Ha metabolizzato l'atteggiamento del fare.
- Pensa in funzione dell'agire.
- Vede il cliente solo come opportunità di business.
- E' orientato all'identificazione (in un ruolo ad esempio).
Da quanto detto la distinzione tra leadership e management non è né arbitraria né semantica, è, all'opposto, molto forte. Quelle aziende che confondono la leadership con il management saranno in grado di gestire i piccoli miglioramenti incrementali, ma non saranno in grado di introdurre modifiche di ampio respiro, quei breakthroughs, che possono consentire di cogliere l'occasione di un nuovo business ed evitare il declino.
D'altra parte, i nuovi paradigmi della gestione d'impresa, impongono al manager, pur riservandogli una funzione diversa da quella della leadership, la necessità di una cultura maggiormente imprenditoriale; se non avviene questo cambiamento i manager possono diventare l'anello debole delle imprese e fisiologicamente essere estromessi ad ogni riorganizzazione aziendale o ad ogni mutamento del business.
Moltissime aziende, nel corso della loro storia, hanno tentato profondi cambiamenti culturali e organizzativi, ma poche sono quelle che hanno coronato con il successo il loro obiettivo. Per lo più, le azioni di cambiamento organizzativo incappano in qualche forma di resistenza: i lavoratori resistono ai cambiamenti perché pensano di perdere qualcosa, o perché non hanno capito quali sono le ragioni del cambiamento, o per mancanza di fiducia nel management, o perché vedono le cose in modo diverso da come le vedono i manager, o perché temono di non essere all'altezza di eventuali nuovi compiti che potrebbero esser loro assegnati.
Come già detto, spesso il cambiamento è stato affidato a manager, privi delle qualità della leadership. Le ragioni dell'insuccesso di un cambiamento organizzativo possono essere le seguenti (Kotter, 1999):
- Non aver creato un senso di urgenza sufficientemente forte.
- Non aver creato un gruppo sufficientemente motivato e autorevole per la gestione del processo.
- La mancanza di una vision sufficientemente lungimirante, efficace e comprensiva.
- Non aver comunicato la vision in modo adeguato.
- Non aver rimosso gli ostacoli che intralciano la nuova vision.
- Non aver creato condizioni di successo sul breve termine.
- Aver cantato vittoria troppo presto.
- Non aver incorporato i cambiamenti nella cultura d'impresa.
Giova notare che, secondo il lessico convenzionale, esistono due tipi di leadership che operano secondo due diversi paradigmi.
In base al primo paradigma, il leader è spinto da un'enorme energia, indica una direzione chiara e i suoi collaboratori lo seguono come un eroe per raggiungere l'obiettivo indicato.
Il secondo paradigma vede il leader come un saggio e gli elementi centrali che creano il rapporto con i collaboratori sono la fiducia, l'atteggiamento orientato al servizio, l'affiatamento, l'empatia.
I due paradigmi sembra che non possano convivere, ma essi potrebbero rappresentare le due facce della leadership, da presentare in occasioni diverse della vita dell'impresa, la prima quando è necessaria l'azione, la seconda quando è necessario elaborare una strategia.
La leadership, come vedremo meglio, deve individuare e stabilire rapporti con tutti i soggetti che possono contribuire alla crescita di valore dell'impresa o che, indirettamente, hanno rapporti con l'impresa, ma un'attenzione particolare essa dovrà avere con i propri collaboratori e con i clienti.
3. Il rapporto con i collaboratori
Alla base dei compiti di una leadership eccellente sta la creazione e la formazione di un team di collaboratori da responsabilizzare e con i quali creare un clima di affiatamento e trasparenza.
La cosiddetta "sindrome del cavaliere solitario", dell'imprenditore "faccio tutto io" (2) deve tendere a scomparire, salvo rischiare la scomparsa delle aziende, specie per i problemi generazionali connessi con la successione.
L'imprenditore, che ha interiorizzato l'importanza di circondarsi di validi collaboratori, dovrebbe essere in grado di dare una risposta alle seguenti domande, per ciascuno di essi.
- Qual è il suo punto di vista sulla mission aziendale.
- Qual è il suo obiettivo personale.
- Che tipo di sostegno vorrebbe da me.
- Qual è il suo obiettivo professionale.
- Quali sono le sue idee sul concetto di valore per l'impresa.
- I suoi valori sono compatibili con i valori dell'impresa.
Creare un clima di collaborazione vuol dire trasmettere fiducia e sicurezza, la fiducia di avere una leadership che sa dove sta andando, la sicurezza di poter disporre del vantaggio competitivo di una leadership che sa guardare nel futuro meglio dei concorrenti e che saprà dare sempre maggior valore all'impresa.
4 Il rapporto con i clienti
Secondo Pareto il 20% dei clienti genera l'80% del fatturato, cosicché, la leadership dovrà "preoccuparsi" di questo zoccolo di clienti, approfondirne la conoscenza, studiarne i bisogni manifesti e latenti, coinvolgerli nello sviluppo, informarli sugli orientamenti strategici, cercare di stabilire con loro un rapporto analogo a quello che avrebbe con i suoi collaboratori. Infatti, nell'ottica del prosumer il cliente è per definizione un collaboratore e, nella "casa degli stakeholder", il cliente è uno dei pilastri.
Assicurata la necessaria attenzione allo zoccolo duro dei clienti fidelizzati, che creano una gran parte del valore per l'impresa, la leadership dovrà, costantemente, attivarsi per incrementare il numero dei clienti e, possibilmente, diversificarne la tipologia. Non sono rari i casi di aziende che si avviano verso un declino irreversibile, trascinatevi dalla crisi dei propri key-client.
5 Le responsabilità della leadership
Vi sono alcuni "compiti" che l'imprenditore non può delegare e che se svolti in modo adeguato dànno all'imprenditore il carisma del leader (Hinterhuber, 1999); come abbiamo già detto queste responsabilità, normalmente, sono più ampie e coinvolgenti di quelle già descritte e richieste alla leadership dalle nuove norme Iso.
Nei prossimi paragrafi vengono analizzati una serie di compiti, numerosi e complessi, che competono alla leadership aziendale; tali compiti, come si potrà capire, non si conciliano con la gestione ordinaria dell'impresa. Pertanto, in un circolo virtuoso, quanto più l'imprenditore si libera di impegni operativi della gestione quotidiana, tanto più può occuparsi dei compiti che competono alla leadership, e quindi con maggior probabilità la sua impresa potrà mirare alla preminenza sul mercato.
Un leader capace dovrà individuare i compiti più consoni alle necessità della propria impresa e più adeguati alla creazione di valore.
5.1 La vision
Compito del leader è possedere la vision che gli consenta di indicare la direzione verso la quale sviluppare l'impresa e dare ai collaboratori un senso reale e fondato delle azioni di ciascuno.
La vision si estrinseca quindi più in indicazioni di percorso che nella creazione di confini, più in ciò che apre che in ciò che chiude, più in ciò che prospetta che in ciò che preclude, in sostanza nei nuovi orizzonti che schiude.
La vision deve ovviamente essere associata a ipotesi concrete e dimostrabili e alla capacità di essere comunicata in modo trasparente e facile (preferibilmente con scritti ufficiali) in modo che gli stakeholder.
- Accettino i valori e le norme che la vision richiede.
- Possano riconoscere e capire il ruolo che dovranno svolgere nel gioco di squadra.
- Riescano ad utilizzare al meglio le proprie potenzialità.
- Siano motivati e determinati ad assumersi responsabilità.
- Siano facilitati ad operare secondo i principi della qualità totale.
Giova sottolineare che la realizzazione di visions particolarmente ambiziose (Kotter, 1999) infonde energia nei collaboratori, non solo perché li spinge nella direzione giusta, ma anche perché soddisfa alcuni bisogni primari dell'uomo: appagamento, appartenenza, riconoscimento, autostima.
In sintesi la vision rappresenta l'immagine aziendale desiderata nel lungo termine, e viene, normalmente, esplicitata dalla leadership attraverso frasi chiare e concise che ne definiscono l'essenza nei confronti di tutti gli stakeholder (ad esempio «Nei prossimi tre anni vogliamo diventare impresa leader in Europa nella nostra nicchia di mercato», «Entro cinque anni dobbiamo essere riconosciuti internazionalmente come impresa di riferimento nel nostro settore per la qualità dei prodotti»).
5.2 La mission
La mission può essere definita la ragion d'essere di un'impresa e può essere formulata rispondendo alle seguenti domande.
- Perché esistiamo.
- Qual è il nostro mercato.
- Quali sono i nostri principali clienti.
- Quali sono i nostri principali prodotti.
- Quali sono i nostri valori.
Si tratta, quindi, della descrizione del business, della tipologia dei prodotti o dei servizi, dei mercati, delle tecnologie, dei valori fondamentali e delle priorità strategiche di medio termine di un'impresa.
Si può, un po' provocatoriamente affermare, che la mission aziendale può essere confrontata al regolamento di un condominio.
- Deve essere enunciata in modo chiaro e visibile.
- Deve contenere le regole fondamentali della vita aziendale.
- Deve essere rispettata da tutti.
- Il suo obiettivo principale è la soddisfazione del complesso degli stakeholder.
La mission assolve, quindi, tre funzioni:
- La funzione di orientamento. Ogni stakeholder deve disporre di informazioni chiare per il conseguimento degli obiettivi comuni; la navigazione deve procedere su una rotta tracciata e nota a tutti.
- La funzione di legittimazione. La prima legittimazione viene normalmente dall'imprenditore, ma, nell'impresa è ancora più importante la legittimazione proveniente dagli stakeholder, per ciascuno dei quali la mission deve prevedere un codice di comportamento, gli obiettivi e un sistema di valori.
- La funzione di motivazione. Fissando per ciascun collaboratore, in modo chiaro e semplice, obiettivi raggiungibili, si stimola il collaboratore ad offrire il massimo impegno nel raggiungimento del compito affidatogli, ma ancor più a sviluppare un'autoanalisi volta a riconoscere il proprio potenziale di crescita professionale. Il collaboratore, in base alle sue potenzialità, dovrà essere in grado di dare una risposta alla seguente domanda: «Che tipo di contributo posso offrire all'impresa per il soddisfacimento degli stakeholder, innanzitutto i clienti?».
La mission ha valore se non si ferma al presente ma si proietta nel futuro, pertanto essa deve essere flessibile e ripensata almeno ogni anno.
5.3 Le competenze distintive
La leadership dovrà operare perché la propria impresa raggiunga l'eccellenza grazie a competenze che le consentano di essere diversa dalle altre.
Esistono una miriade di Pmi che godono di questa realtà, ma, a titolo esemplificativo, non si può non far riferimento alle competenze distintive di alcuni grandi brands: McDonald's per la forza del marketing orientato ai giovani, Swatch per il design ed il marketing, l'industria delle macchine fotografiche giapponesi per la meccanica di precisione e per la microelettronica, Sony per la miniaturizzazione, Benetton per la pubblicità, Microsoft per il software, Volvo per la robustezza delle auto, Ikea per l'arredamento economico.
Come già ampiamente descritto (Caruso, 1999), uno degli elementi del vantaggio competitivo di un'impresa è la differenziazione; questa caratteristica può essere acquisita grazie al costante sviluppo delle competenze distintive dell'impresa..
Le competenze distintive, generalmente:
- non sono tangibili,
- sono nel dna dell'impresa,
- si sviluppano tramite informazione e conoscenza,
- sono un insieme di componenti che creano autostima.
Compito della leadership è quindi quello di porsi le seguenti domande.
- Qual è il nostro principale know-how.
- Qual è il nostro maggiore potenziale conoscitivo.
- In che cosa siamo migliori della concorrenza.
- Il nostro prodotto/servizio mette in evidenza le nostre competenze distintive.
- Quali sono le fonti che ci hanno fatto acquisire quelle competenze.
- Come possono essere rafforzate quelle fonti
- Quale altra opportunità di business può nascere dal nostro know-how.
- Tutti gli stakeholder sono consci di queste nostre competenze.
La leadership dovrà preoccuparsi di sviluppare in azienda anche le competenze emotive che consentono di trasmettere ai collaboratori cuore, entusiasmo (si potrebbe dire "lavorare divertendosi"), senso di appartenenza, spirito di sacrificio e di evitare la caduta nel buco nero della routine, della de-responsabilizzazione, della burocratizzazione, del disimpegno emotivo.
5.4 Prodotti e servizi chiave
Uno dei compiti della leadership è analizzare la propria fornitura sulla base della capacità di creare valore. Infatti, un prodotto o un servizio possono collocarsi in una delle seguenti classi:
- contribuire nel breve-medio termine all'aumento di valore dell'impresa,
- determinare un aumento del valore nel medio-lungo termine,
- non appartenere a nessuna delle due categorie di cui sopra.
Questi ultimi devono essere abbandonati, i prodotti/servizi chiave sono quelli che aumentano il valore dell'impresa nel breve-medio e quelli che determineranno la crescita di valore futuro.
La scelta dei prodotti/servizi chiave, il loro rafforzamento e completamento e le relative strategie, di tipo offensivo, difensivo o di disinvestimento, sono tra le decisioni più importanti che competono alla leadership; la strategia necessaria per sostenere una fornitura dipende, naturalmente, dal tipo di fornitura.
Una fornitura può articolarsi in cinque tipologie.
- Prodotti di consumo e di consumo durevole.
- Prodotti industriali.
- Servizi.
- Informazione e conoscenza.
- Soluzione di un problema chiavi in mano.
Possiamo definire alcune caratteristiche di ciascun tipo di fornitura.
- Prodotti di consumo e di consumo durevoli: non richiedono il contatto diretto con il cliente, esistono ampie fasce d'acquirenti, l'acquirente può essere diverso dal consumatore, generalmente il bene è acquistato d'impulso o emotivamente, ha un ciclo di vita breve, ha scarse esigenze di servizio alla clientela, gli strumenti principali del marketing sono la pubblicità, le promozioni, il direct marketing.
- Prodotti industriali: richiedono il contatto diretto tra il produttore e il cliente, esistono pochi acquirenti, l'acquisto può dipendere da più decision maker, al prodotto va spesso associato un servizio (addestramento, servizi post vendita, assistenza), richiedono, a volte, una personalizzazione, gli interventi pubblicitari sono mediamente contenuti; il marketing opera, preferibilmente, con le riviste specializzate, con mostre e fiere, creando un rapporto di partnership con il cliente.
- Servizi alle persone e alle imprese: elemento fondamentale di questo tipo di fornitura è il contatto con il cliente; altre caratteristiche sono l'intangibilità, l'eterogeneità (dovuta ai bisogni differenziati dei clienti), la contestualità (della produzione e dell'erogazione), la non immagazzinabilità (che determina difficoltà nel far fronte ai picchi della domanda), la soggettività della qualità (Fitzgerald, 1998). La vendita si basa sulla serietà (referenze, immagine) dell'operatore.
- Informazione, conoscenza e soluzioni: le caratteristiche di queste forniture sono, l'intangibilità, l'eterogeneità, la non ostentabilità, la non sicurezza del risultato. La vendita si basa sul prestigio (referenze, notorietà, immagine) dell'operatore. Queste sono le forniture tipiche di strutture di consulenza, di ricerca e delle università. Informazione e conoscenza sono legate, per lo più, al trasferimento di un know-how e pertanto sono, frequentemente, fornite da consulenti o enti preposti. La soluzione di un problema chiavi in mano è la fornitura tipica delle organizzazioni di R&S (divisioni di gruppi industriali, centri governativi, società indipendenti, università).
È proprio l'esistenza di tipologie diverse di fornitura che facilita la possibilità di cogliere opportunità di business diversificate.
5.5 La cultura d'impresa
La cultura d'impresa è l'insieme dei valori e delle relative norme adottati e riconosciuti dall'impresa; in concreto si traducono nel comportamento dei dipendenti in ogni singola funzione, dal centralinista alla segretaria, dall'addetto al recupero crediti al manager.
Esempi di valori che caratterizzano la cultura d'impresa sono.
- Comportamento imprenditoriale.
- Orientamento all'innovazione.
- Orientamento ai clienti.
- Orientamento ai collaboratori.
- Orientamento ai costi.
- Orientamento al servizio.
- Orientamento alla formazione.
- Orientamento alla qualità.
- Flessibilità.
- Tolleranza verso gli errori.
- Rispetto della persona.
- Apertura verso il mondo esterno.
- Capacità di lavorare in team.
Quanto più la cultura d'impresa è vissuta dai "capi", e via, via, fino ai livelli inferiori, tanto più facilmente la leadership riuscirà a coinvolgere i collaboratori nella realizzazione della mission e della vision dell'impresa.
Poiché non esiste una soluzione garantita per la crescita e la valorizzazione della cultura d'impresa è necessario che la leadership favorisca la comunicazione con e tra i collaboratori, al fine di favorire misure pro-attive.
La leadership, allo scopo di monitorare il livello della cultura d'impresa, dovrebbe informarsi presso i propri collaboratori sui seguenti temi.
- Quali valori, motivazioni, comportamenti considerate determinanti per l'impresa.
- Quali valori ritenete che manchino nella nostra impresa.
- Per quali valori siete disposti ad impegnarvi senza riserve.
- Quali dovrebbero essere le norme per il conseguimento di quei valori.
La leadership deve accertarsi della dedizione dei propri collaboratori ai valori aziendali; se qualche collaboratore, anche se raggiunge gli obiettivi affidatigli, non condivide tali valori è preferibile che venga allontanato. In tal modo si rinuncia forse a qualche guadagno sul breve, ma si opera per costruire un insieme di collaboratori coesi e compatti.
5.6 L'organizzazione
L'organizzazione dell'impresa è il complesso delle strutture, delle risorse umane e materiali, dei processi, delle regole che consentono lo svolgimento ottimale dei ruoli a tutti gli stakeholder.
La leadership è responsabile dell'organizzazione aziendale, organizzazione che essa deve saper mettere continuamente in discussione, specie per evitare le burocratizzazioni, gli autocompiacimenti, l'allentamento delle responsabilità.
Il principio che deve sottendere l'organizzazione dell'impresa è quello della gestione per processi; spesso i vari reparti di un'impresa (3) operano come piccole repubbliche indipendenti alle quali non è chiesto di informarsi su cosa accade nelle altre repubbliche, ma solo di raggiungere gli obiettivi posti dal "capo". Questo tipo di organizzazione, duro a morire, è figlio, sia del principio della gestione per obiettivi, sia delle strutture rigidamente funzionali che per anni hanno dominato la scena dell'organizzazione aziendale.
Compito della leadership è abbattere le barriere tra le varie "repubbliche" e introdurre il principio che tutti i dipendenti lavorano per processi che attraversano orizzontalmente reparti e funzioni aziendali e che oltrepassano i confini della stessa impresa. Seguendo i principi base della Qualità, è opportuno iniziare con l'instaurare un rapporto, tra le varie "repubbliche" del tipo fornitore-cliente.
Questo cambiamento radicale dei comportamenti, difficile da conseguire in tempi stretti, è facilitato dall'adozione, in azienda, di due metodologie che poggiano proprio sull'ottimizzazione dei processi, quella dell'articolazione di tutte le attività aziendali secondo il modello delle catene del valore e quella del total quality management.
5.7 Gli stakeholders
Un altro dei compiti della leadership è l'individuazione degli stakeholder, cioè di tutti coloro, che, come già visto, in modo più o meno rilevante possono influenzare o contribuire alla crescita del valore dell'impresa.
Compito della leadership non è solo l'individuazione degli stakeholder, ma anche il loro monitoraggio al fine di individuare eventuali ostacoli o problemi che i singoli soggetti potrebbero incontrare; il leader dovrebbe sondare, quindi, gli stakeholder con una serie di domande.
- Quali sono i principali ostacoli e problemi operativi dell'area da voi presidiata.
- Quali di quegli ostacoli/problemi sussistono tuttora.
- Quali possono essere le cause di questi ostacoli/problemi.
- Quali sono le principali urgenze da affrontare e risolvere in questo momento.
- Quali interventi culturali, organizzativi e tecnici possono risolvere tali situazioni.
5.8 La comunicazione all'interno dell'impresa
La comunicazione all'interno dell'impresa è uno degli strumenti fondamentali per il successo, specie nel caso in cui la leadership voglia riorganizzare l'impresa.
Come s'è già detto, la fluidità della comunicazione intra-aziendale trova, spesso, ostacoli nelle differenti esperienze del personale, nei diversi gradi di cultura, preparazione, addestramento e mentalità, nelle diverse abitudini, nella sottostima dell'importanza della funzione, nella volontà di non diffondere le informazioni, nella gelosia.
Per ottimizzare il processo della comunicazione la leadership dovrà impegnare molte energie al fine di sensibilizzare le persone a leggere e ad ascoltare, di creare un clima per la libera circolazione delle informazioni e delle idee, di creare gli strumenti per la circolazione delle informazioni, di far sì che la politica aziendale sia recepita da tutti in modo chiaro.
Quando si è parlato d'impresa eccellente è stato più volte sottolineato il valore della responsabilizzazione dei dipendenti in modo che essi, superato il ruolo della semplice dipendenza, si sentano portati a giocare quello della partnership (Moglia, 1998); per arrivare a questa conquista l'impresa deve comportarsi in modo trasparente e la comunicazione deve essere chiara e tempestiva.
Ogni dipendente deve essere messo nelle condizioni di valutare come sta andando lui stesso, il suo reparto, l'impresa; se non ha una chiara visione di che cosa ci si attende da lui, di come può contribuire al raggiungimento dei traguardi aziendali e se quanto fa non gli viene riconosciuto e non gli porta vantaggi concreti non potrà mai diventare un partner dell'impresa (Ivancic, 1998).
Nel progettare il proprio processo di comunicazione l'impresa non può ignorare gli aspetti psicologici ed emotivi delle relazioni che caratterizzano l'organizzazione aziendale nel suo insieme.
L'impresa è costituita da relazioni e da persone e pertanto è pervasa di ambiguità, vulnerabilità, conflittualità, ma gli studi più avanzati hanno evidenziato che è possibile far scaturire energia positiva da valenze negative.
È necessaria una leadership in grado di favorire approcci comunicativi "caldi" orientati a sollecitare dialogo, ascolto e fiducia. Solo attraverso il coinvolgimento del "cuore" (Whyte, 1997), oltre che della mente delle persone, è possibile ottenere la condivisione del dettato strategico dell'impresa e quindi "produrre" l'energia necessaria all'impresa per superare ogni tipo di difficoltà.
5.9 Il vantaggio competitivo
Elemento centrale della strategia di un'impresa è il conseguimento di una posizione di preminenza all'interno di un settore di produzione o di servizi; tale posizionamento si realizza attraverso il vantaggio competitivo.
Come già accennato, secondo Porter un'impresa può godere di due tipi di vantaggio competitivo: costi bassi o differenziazione.
Questi due tipi di vantaggio competitivo, combinati con l'ambito delle attività per le quali un'impresa cerca di ottenerli, porta a tre strategie di base: leadership di costo, differenziazione e focalizzazione.
La focalizzazione ha due varianti: focalizzazione sui costi e sulla differenziazione. Le leadership di costo e di differenziazione tendono a conquistare il vantaggio competitivo in una vasta gamma di segmenti del settore industriale, mentre le strategie della focalizzazione mirano al vantaggio in un segmento ristretto. Giova notare che spesso le leadership di costo e di differenziazione sono insidiate proprio dalle aziende (in generale Pmi) che attuano la strategia di focalizzazione; operando, infatti, su segmenti stretti è più facile ridurre i costi e differenziarsi.
Compito della leadership è la ricerca e la conquista del vantaggio competitivo. Questo può essere ottenuto ottimizzando una serie di elementi.
- L'innovazione tecnologica e la creatività.
- Le competenze distintive.
- Il pensare più in termini di bisogni che di prodotti/servizi.
- La continuità con il cliente (fino a farlo sfumare in un prosumer).
- La gestione nel suo complesso.
- Il benchmarking (6) e le best practice (imparare dai migliori).
- Il coinvolgimento dei collaboratori.
- La comunicazione e l'immagine esterna.
I fattori del vantaggio competitivo possono essere di breve durata e il mercato può subire cambiamenti che devono essere individuati tempestivamente. Il monitoraggio costante dei fenomeni ambientali e la loro evoluzione, nonché la velocità con la quale si individuano e si comprendono sono, pertanto, prerequisiti indispensabili per il successo dell'impresa.
Se la leadership è stata capace di costruire un adeguato sistema di relazioni l'impresa disporrà di quella che Derek Abell (Fiocca, 1994) chiama la «finestra strategica» e cioè lo strumento per presidiare i cambiamenti che possono avvenire nell'ambiente circostante ed essere preparati alla difesa del vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza.
La continuità con il cliente è lo strumento più adeguato per raccogliere informazioni sul proprio vantaggio competitivo; la leadership dovrà costantemente essere in grado di dare risposta alle seguenti domande.
- Che cosa lega il cliente al mio prodotto.
- Quali elementi di utilità trova il cliente nel mio prodotto.
- In che modo il mio prodotto favorisce il successo del cliente.
- Che tipo di prodotto/servizio il cliente gradirebbe con entusiasmo.
Il vantaggio competitivo può essere quantificato anche attraverso l'analisi swot (strength, weakness, opportunity, threat), che mette in evidenza punti di forza, punti di debolezza, opportunità e minacce che caratterizzeranno la posizione competitiva dell'impresa su un orizzonte di due o tre anni. Si tratta di un'analisi molto imprenditoriale, poco basata sui dati e più su valutazioni dei trend e sulla conoscenza del mercato e di ciò che stanno facendo i concorrenti. Il risultato dell'analisi è l'individuazione, sia delle performance di breve-medio periodo delle quali si vuole ottenere un significativo miglioramento, considerando i punti di criticità e di vantaggio, sia dei processi aziendali necessari per ottenere i citati miglioramenti.
5.10 La strategia
La strategia è l'insieme dei piani, delle azioni e dei provvedimenti che consentono all'impresa di ottenere il soddisfacimento degli stakeholder; essa è l'evoluzione di un'idea guida originaria, che, a sua volta, nasce dalle competenze distintive che l'impresa ha saputo sfruttare e che vuole ulteriormente sviluppare.
La strategia deve avere connotati di flessibilità, poiché potrebbe essere conveniente, in funzione dei "condizionamenti" del mercato, modificarla; importante è restare fedeli all'idea guida.
La leadership dovrà avere il senso di ciò che è raggiungibile e la capacità di assegnare la giusta probabilità agli eventi, di individuare, tempestivamente, gli errori e porvi riparo, di avere fiducia nella propria vision, nelle proprie competenze distintive, nei propri valori, nel senso di responsabilità dei collaboratori.
L'approccio alla formulazione delle strategie deve avere un taglio prevalentemente creativo. Il pensiero e la visione strategica dipendono dalla capacità di percepire e cogliere indicazioni utili all'impresa anche da segnali deboli, che agli occhi dei più possono passare inosservati. L'approccio alla formulazione delle strategie basato solo su numeri e dati è sempre stato di ostacolo alla formulazione di una visione strategica orientata al cambiamento e un grave limite della maggior parte dei manager.
In sintesi il segreto del successo di una strategia sta nel:
- valutare la situazione attuale dell'impresa,
- analizzare segnali, anche deboli, che possono in qualche modo influenzare l'impresa,
- determinare obiettivi chiave,
- prevedere sviluppi che si avvicinino il più possibile al corso degli avvenimenti,
- prevedere lo sviluppo delle competenze distintive,
- allestire un sistema di controllo,
- lasciare aperte più opzioni,
- essere pronti a reagire con decisione,
- mettersi nei panni dei propri collaboratori,
- essere creativi,
- essere collaborativi.
Per competere sul mercato e imporre la propria idea guida originaria esistono tre tipi di strategia (Valdani, 1997):
- la guerra di movimento;
- la guerra di imitazione;
- la guerra di posizione.
I princìpi della guerra di movimento fondano il successo di un'impresa sulla capacità di anticipazione dei cambiamenti che si verificano nel mercato e sulla velocità di risposta ai bisogni della clientela, piuttosto che sulla semplice sottrazione di quote di mercato ai concorrenti.
La guerra di movimento richiede quindi una predisposizione alla generazione di valore attraverso la creazione di nuove opportunità, di nuove idee, di nuove iniziative di business.
La specificità di questo tipo di guerra richiede armi specifiche, quali:
- la generazione di conoscenza;
- l'informazione;
- la creatività;
- la capacità di:
- integrare competenze di imprese diverse e quindi sfruttare al meglio i vantaggi dell'impresa a rete,
- educare il mercato,
- generare nuovi standard,
- entrare e uscire da settori diversi di mercato.
Le imprese che applicano la strategia della guerra di movimento sono quelle che godono sul mercato del vantaggio del first mover o pioniere.
L'innovazione costituisce l'arma di quelle aziende che conducono la loro strategia con la guerra di movimento, strategia che le porta alla creazione di nuovi mercati. Ma la posizione di pioniere non può essere considerata la scelta più vantaggiosa per tutte le imprese o in tutti i momenti.
In moltissimi casi è la strategia delle imprese sfidanti-imitatrici che può risultare vincente.
La guerra di imitazione viene condotta disponendo di un'efficace finestra strategica che consenta di individuare, al suo nascere, l'esistenza di una novità sul mercato. Si tratta poi di acquisirne la tecnologia e di realizzare un prodotto che sia possibilmente migliore di quello del first mover, magari, solo in termini di marketing. Spesso l'imitatore non dispone della creatività del pioniere, ma potrebbe essere più flessibile e saper sfruttare meglio, in termini di marketing, l'innovazione.
La predisposizione alla guerra di posizione riflette la natura di un mercato caratterizzato da conflitti ben definiti, da beni con cicli di vita consolidati, da clienti che esprimono bisogni chiari, da concorrenti ben identificati. La guerra di posizione rappresenta, spesso, l'evoluzione naturale delle guerre di movimento e di imitazione. La riduzione di redditività, che spesso caratterizza le guerre di posizione, obbliga le imprese al continuo miglioramento dei processi di produzione e a frequenti ristrutturazioni. Prevalgono le strategie orientate al market sharing, al tentativo, cioè, di aumentare la propria quota di mercato facendo investimenti nel marketing.
Un aspetto negativo della politica del market sharing, che coinvolge quasi tutto il settore dei beni di largo consumo e dei beni di consumo durevoli è spesso una pubblicità ingannevole e volgare. Dice Oliviero Toscani, «una pubblicità che propone un modello sofisticato e ipnotico di felicità» in cui, con il prodotto, al consumatore viene promessa l'eterna giovinezza, la potenza, l'energia, la salute, «….trovo spaventoso che un immenso spazio di espressione rappresentato da quelle migliaia di chilometri quadrati di cartelloni affissi nel mondo intero, da quei pannelli giganteschi, da quelle centinaia di migliaia di pagine stampate, da quelle migliaia di ore di televisione e di radio rimangano riservate ad una iconografia imbecille, irreale e ingannevole» (AA.VV., 1999).
La storia delle imprese industriali insegna che nella fase di maturità l'impresa corre il pericolo che tutti si accontentino di raccogliere i frutti della fase pionieristica; l'impresa eccellente è, invece, quella che, avendo raggiunto la fase della maturità, ha la capacità di reinventarsi e introdurre nuove fasi pionieristiche prima che sia troppo tardi e l'impresa sia costretta ad adottare strategie di posizionamento, alle quali non è abituata.
Interessante rifarsi anche ai quattro punti chiave di Henry Mintzberg, circa il processo di formulazione della strategia (Mintzberg, 1996).
- Le strategie nascono e si sviluppano come frutti selvatici, non occorre l'artificiosa coltivazione in serra. E' necessario, cioè, lasciare emergere spontaneamente le diverse intuizioni, per ricondurle, successivamente, ad un orientamento comune.
- Le idee utili per la formazione di un progetto strategico possono nascere ovunque. E' necessario creare il clima ideale per favorirne la fioritura. La leadership dovrà curare la continuità con le persone più creative tra gli stakeholder, anche al fine di coglierne le idee che possano confluire nella definizione della strategia.
- Le strategie divengono patrimonio collettivo quando riescono a influenzare il comportamento dell'impresa. Le idee strategiche che hanno origine tra gli stakeholder possono avere il sopravvento su quelle convenzionali (nel senso della continuità con il passato), proprio perché nate spontaneamente, e vengono generalmente abbracciate più facilmente da tutti i soggetti dell'impresa.
E' necessario trovare un punto di equilibrio tra le idee strategiche emergenti e quelle convenzionali. Sarà compito della leadership fare in modo che le idee strategiche emergenti non creino punti di rottura tra gli stakeholder e stabilire quando è il momento adatto per procedere ai cambiamenti di strategia.
5.11 La pianificazione
La caratteristica peculiare della pianificazione è l'individuazione di tutti i possibili obiettivi aziendali e la scelta delle priorità; il principio utilizzato dall'impresa eccellente non può che essere stakeholder based e i riferimenti per il piano non possono che essere la mission e la vision aziendali.
La pianificazione aziendale deve partire da una bozza di piano poliennale, per il quale potrebbero essere utili i seguenti criteri.
- Realizzare una griglia di obiettivi e di azioni attraverso "istruttorie" condotte con gli stakeholder o tenendo conto delle loro esigenze.
- Analizzare la griglia degli obiettivi, al fine di riportare nel piano solo quelli che la leadership ritiene realmente importanti.
- Raggruppare obiettivi e azioni per affinità (in precedenza aggregati per fonte).
- Strutturare gli obiettivi; quelli di livello gerarchico superiore devono includere quelli di livello inferiore e quelli relativi agli effetti devono essere correlati a quelli relativi alle cause.
- Posizionare razionalmente gli obiettivi sulla scala temporale, attraverso adeguate correlazioni causali.
- Arricchire e affinare i contenuti raccolti.
- Posizionare in modo razionale obiettivi e azioni nell'articolazione formale del piano.
- Cercare di concretizzare gli obiettivi in termini di indicatori numerici.
Il piano poliennale va considerato un riferimento per la pianificazione delle attività, un insieme di ipotesi che diventeranno realtà solo nel momento in cui obiettivi e relative azioni saranno introdotti nel piano annuale. Fino a quel momento esso deve costituire solo la fonte a cui attingere e ispirarsi per definire dove potrebbe andare l'impresa nei successivi tre-quattro anni.
Nell'elaborazione del piano si dovrà evitare che esso sia il prolungamento analitico del passato; esso non si baserà sui trend, ma dovrà avere un impatto sull'impresa tale da determinare un miglioramento sensibile rispetto ai risultati tendenziali prevedibili. Esso non è un budget, non è un forecast plan, non è un business plan.
Il piano potrebbe essere articolato in quattro sezioni: obiettivi di business, obiettivi di capacità, obiettivi di breakthrough, principali attività previste (Merli, 1999).
Obiettivi di business. Questa sezione potrebbe comprendere: gli obiettivi economico-finanziari, gli obiettivi strategici che sono quelli di rilevanza con un orizzonte di almeno tre-quattro anni, gli obiettivi di customer satisfaction, gli obiettivi specifici del primo anno che sono più articolati di quelli poliennali e più dettagliati dal punto di vista quantitativo.
Obiettivi di capacità. Cioè tutti gli obiettivi di carattere organizzativo, culturale e tecnico emersi durante le istruttorie; si tratta di obiettivi riguardanti le future capacità dell'impresa.
Obiettivi di breakthrough. Sono obiettivi molto sfidanti ed estremamente importanti per il mantenimento della competitività aziendale; si tratta di una semplice trasposizione di obiettivi riportati in altre sezioni ed evidenziati per avere una visione d'assieme delle priorità gestionali per ciascun anno.
Principali attività previste. La sezione contiene ipotesi delle iniziative e delle azioni che dovranno essere attivate per perseguire gli obiettivi di piano. Esse sono già state individuate nei processi di istruttoria e vengono portate all'operatività (i cosiddetti piani operativi) nel piano annuale.
A valle del piano poliennale va elaborato il piano annuale; si procede pertanto ad una valutazione critica di quanto previsto nel piano poliennale per decidere se gli obiettivi previsti siano ancora prioritari o se l'impresa debba rivolgersi verso altri aspetti.
La definizione delle priorità è l'aspetto più delicato che compete alla leadership nel processo di pianificazione; è il momento della massima assunzione di rischio da parte dell'imprenditore. Una procedura da preferirsi è quella di individuare prima le priorità e poi elaborare i piani annuali, in modo da non correre il rischio di inserire troppi obiettivi e di volerli realizzare tutti.
La mia esperienza personale prova che spesso l'imprenditore, per non aver affrontato con sufficiente realismo il problema delle priorità, si trova impegnato ad affrontare troppi obiettivi, ritenuti tutti strategici, perdendo in efficacia ed efficienza. Un altro rischio connesso con un piano ridondante è che, all'atto pratico, gli obiettivi vengano tutti ridotti indiscriminatamente di una certa percentuale, perdendo ancora in efficacia e in efficienza.
5.12 Il deployment dei piani
Una volta definite le priorità, la leadership deve procedere al loro deployment, cioè all'individuazione delle leve attuative che meglio garantiscono la loro realizzazione, e all'impostazione del sistema gestionale ad esse finalizzato; si tratta di costruire il ponte tra pianificazione e operatività, il deployment è, infatti, il processo finalizzato all'individuazione delle modalità con cui perseguire gli obiettivi individuati.
Il deployment degli obiettivi prioritari, in generale, può fare riferimento a diverse leve attuative.
Per i progetti speciali (nuova fabbrica, nuovo processo di produzione) le leve attuative saranno la pianificazione del progetto e la definizione delle modalità gestionali.
Nel caso di progetti riorganizzativi si tratta di impostare metodologie di business process reengineering. Nel riquadro che segue sono mostrati i principi generali su cui focalizzarsi per un progetto riorganizzativo.
Organizzazione per processi
Priorità ai processi primari
Individuazione delle responsabilità di processo
Organizzazione dei processi di supporto al servizio dei processi primari
Decentramento (ai livelli più bassi) dei processi di supporto |
Organizzazione snella
Riduzione dei livelli gerarchici
Riduzione del frazionamento orizzontale lungo il processo
Ampliamento delle responsabilità |
Micro-organizzazione
Arricchimento delle mansioni
Allungamento delle mansioni
Flessibilità dei ruoli lungo il processo
Eliminazione di attività senza valore aggiunto |
Cultura manageriale
Priorità gestionale ai flussi-processi
Responsabilità globali di flusso
Deleghe operative e decisionali
Livelli di autorità coerenti con i livelli di responsabilità
Stimolazione di comportamenti imprenditoriali
Valorizzazione delle risorse soft rispetto alle risorse immateriali |
Per gli obiettivi da gestire in linea (miglioramento delle prestazioni di attività, agendo su modalità aziendali consolidate) si ricorre alla metodologia del breakthrough management.
Questa metodologia prevede le seguenti attività.
- Assegnare le giuste responsabilità operative.
- Individuare i target e gli indicatori operativi più adatti.
- Gestire le priorità giorno per giorno.
- Presidiare a vista gli indicatori degli obiettivi prioritari.
- Individuare i colli di bottiglia.
- Gestire adeguatamente i colli di bottiglia.
Per le nuove iniziative (un programma di potenziamento, un programma di miglioramento della qualità) si ricorre, generalmente, a logiche e modalità che sono nel patrimonio aziendale.
Le leve realizzative individuate vanno combinate con le forme organizzative più adatte per gestirle, individuabili in quattro tipologie.
- Incarichi individuali; la responsabilità di un progetto speciale viene affidata, in generale, ad una sola persona.
- I gruppi di progetto; da tre a sette persone, in genere scelte tra diverse funzioni, possono essere individuate per un progetto riorganizzativo. Esse si riuniscono con una certa cadenza, nominano un responsabile e terminano il loro lavoro entro cinque-sette mesi.
- I gruppi di studio, sono costituiti dai migliori quadri dell'impresa, quasi sempre interfunzionali. Vengono attivati quando non è chiaro il deployment di un obiettivo e occorre un'istruttoria per deciderlo. La durata di questi gruppi dovrebbe essere mantenuta nell'ordine del mese.
- Le responsabilità di linea; nell'ottica del breakthrough management è utile che i target operativi affidati alla linea vengano affrontati con i sistemi di miglioramento gestiti a vista. Una delle modalità più efficaci è quella dei sistemi sedac (structure for enhancing daily activity with creativity) che vengono utilizzati per migliorare performance di attività esistenti operando sul miglioramento delle modalità operative già utilizzate dall'impresa.
Una volta definiti il deployment e i sistemi gestionali per il conseguimento dei target prioritari la leadership dovrà adottare adeguati sistemi di monitoraggio come i ben noti Gantt (Metodo di rappresentazione grafica usato per il controllo visivo dell'andamento di grandezze significative dell'attività di un'impresa, elaborato da H.L. Gantt) o il Pert (Program evaluation and review technique, programma atto a facilitare la pianificazione e il controllo di progetti di sviluppo).
5.13 L'immagine e l'identità
L'immagine aziendale è come l'impresa vuole essere vista e percepita da terzi. Ciò comporta, da parte della leadership, dare risposta a due domande.
- Come ci vede oggi il mondo esterno.
- Cosa dobbiamo fare perché il mondo esterno ci veda come vorremmo ci vedesse.
Le componenti che influenzano l'immagine esterna sono sostanzialmente tre:
- Il comportamento di ciascun collaboratore nei riguardi dell'esterno; le attività dei collaboratori siano esse attività di contatto con la clientela, o attività di ricerca, o di fatturazione, o di segreteria, tutte influiscono sull'immagine dell'impresa. L'abbigliamento dei venditori, la velocità e il garbo della centralinista, la facilità nell'essere messo in contatto con la persona cercata, la cura nella confezione dei pacchi, le modalità nello svolgimento dell'attività di recupero crediti, la gentilezza nei rapporti interpersonali, sono tanti piccoli tasselli che concorrono alla formazione dell'immagine di un'impresa. Nel collaborare alla creazione dell'immagine tutti dovrebbero ricordarsi che, in ultima analisi, non è l'imprenditore a pagare gli stipendi, ma il cliente.
- Il design. E' rappresentato dal logo dell'impresa, dalla piacevolezza e dalla facilità di lettura dei cataloghi, delle brochure, del sito web, dallo stile di progettazione del prodotto, dall'edificio dell'impresa, dall'ambiente di lavoro.
- La comunicazione. Sulla comunicazione, quale mezzo per manifestare l'immagine aziendale, esiste una vasta letteratura (Ivancic, 1998). Si può aggiungere, forse, che oggi la quantità di informazioni che si riversa sulla scrivania e sul computer di chi lavora è enorme, e, contestualmente, si dedica poco tempo alla lettura. Le comunicazioni agli stakeholder, pertanto, devono essere brevi, precise, curate nei particolari e stimolanti.
La leadership deve avere sempre presente questi tre principi.
- L'immagine è un fattore decisivo sul mercato.
- L'immagine di un'impresa cresce più per la qualità delle componenti intangibili che per il valore intrinseco dei prodotti.
- L'immagine di un'impresa fa parte del prodotto, migliore è l'immagine, migliore è il prodotto.
In sintesi l'immagine deve essere chiarissima, deve cioè mettere in rilievo che l'eccellenza dell'impresa si fonda su competenze distintive essenziali per il segmento di clientela scelto. La creazione dell'immagine si basa su prove che hanno suscitato testimonianze da parte dei clienti; si tratta quindi di gestire queste prove. Un'accorta gestione dell'immagine viene confermata, sia dalla fierezza dell'appartenenza che mostrerà il personale, sia dal compiacimento o dall'orgoglio dei clienti di essere serviti da quell'impresa.
L'immagine deve, infine, poter sfumare nell'identità aziendale e cioè nella sua anima e nel suo cuore, nell'allineamento di tutti agli obiettivi dell'impresa e nel conseguente impegno comune verso il perseguimento della vision, della mission e dei valori aziendali.
5.14 La creatività
In un sistema informativo passivo (cioè organizzato dall'esterno), è corretto affermare che ogni idea è logica a posteriori; non così in un sistema informativo attivo (cioè auto-organizzato) nel quale un'idea può essere perfettamente logica a posteriori ma inaccessibile alla logica a priori.
Il pensiero creativo è una tecnica che sta sempre più prendendo piede, specie in Usa e in Giappone, con grandi risultati; la creatività è uno dei pilastri della piccola e media impresa e meriterebbe un trattato tutto su questo argomento.
Qui ci si limita a constatare che una delle responsabilità della leadership è fare in modo che la creatività abbia le più ampie possibilità di svilupparsi in azienda.
Per il conseguimento di questo obiettivo il leader dovrà liberarsi da alcuni comuni stereotipi come:
- la creatività è frutto del talento appannaggio di pochi eletti,
- la creatività va lasciata ai dipartimenti di R&S, nei quali alcuni individui sono liberi di gingillarsi sperando che, in qualche modo, emerga prima o poi un'idea,
- è sufficiente rimuovere inibizioni e ostacoli perché una persona diventi creativa,
- il brainstorming, dove ognuno può sparare alla cieca qualsiasi idea, è lo strumento per far lievitare la creatività aziendale,
- l'idea creativa nasce dalla fortuna,
e studiare le più moderne tecniche che consentono di sfruttare nel modo migliore l'intelligenza dell'uomo e il potenziale del suo pensiero creativo.
5.15 L'aggiornamento
Diverse volte ci si è soffermati sull'evidenza che, spesso, sopraffatti dal vortice della quotidianità, abbiamo poco tempo per leggere e quindi per riflettere.
Eppure una delle caratteristiche dell'impresa eccellente sta nel livello di aggiornamento di tutti gli stakeholder, innanzitutto della leadership; se questa non si rende conto della necessità dell'aggiornamento, che non può limitarsi al learning by doing, non potrà neanche convincere i collaboratori.
Se il leader è stato in grado di creare una struttura di stakeholder efficace, efficiente, affiatata e coesa negli obiettivi, sarà sempre meno coinvolto nell'attività quotidiana e potrà pertanto dedicare il suo tempo all'osservazione dell'orizzonte imprenditoriale, dicono in Usa potrà fare l'helicopter man. Ciò significa aggiornamento personale, partecipazione a conferenze di alto livello, coinvolgimento nelle iniziative delle associazioni di categoria e camerali. A cascata anche i suoi collaboratori saranno invogliati all'aggiornamento e al miglioramento professionale, in un circolo virtuoso: soddisfazione personale, miglioramento delle prestazioni, soddisfazione del cliente.
5.16 L'armonia tra la sfera interiore e il mondo esterno
Questa responsabilità che compete al leader sembrerebbe essere un elemento esterno ai problemi aziendali e al rapporto con gli stakeholder; in realtà non lo è. Il leader dovrebbe metabolizzare questo detto «Non sono insostituibile e la terra continua a girare anche senza di me».
Pochi sanno quanto le turbolenze e i conflitti interiori, le insoddisfazioni, le depressioni, i sensi di colpa, la paura di non farcela appaiano all'esterno di ciascuno e possano determinare, nell'interlocutore, stili regressivi di fuga (elusività, remissività) o di attacco (autocratico, aggressivo) e quindi situazioni difficili ai fini di stabilire un rapporto equilibrato (Caruso, 1999).
Se il leader riesce a trovare condizioni di vita (nelle dimensioni del benessere fisico, materiale, emozionale, intellettuale, sociale, spirituale), che si adattino alla sua personalità e alle sue possibilità, riuscirà a vivere in armonia con se stesso, e quindi anche con il mondo esterno e sarà in grado di gestire, in modo ottimale, la propria impresa, specie se essa poggia sulla creazione, sul mantenimento e sullo sviluppo di relazioni con il mondo esterno.
Uno degli strumenti per raggiungere uno stato di armonia tra la sfera interiore e il mondo esterno, quella che gli anglosassoni chiamano il well-being, è la pianificazione del tempo. Non esistono regole che possano aiutare molto nella realizzazione di una corretta pianificazione, ma esiste una regola generale che la leadership deve seguire: il tempo impiegato per impostare il futuro deve essere superiore al tempo impiegato per l'agire quotidiano.
In generale i collaboratori cercano di scaricare i problemi, che incontrano nel corso delle attività aziendali, sul leader. Questi può assumere due tipi di atteggiamento, quello reattivo, e cioè assumere su di sé la responsabilità di trovare la soluzione. Così facendo egli si fa imbozzolare nel quotidiano, perde il vantaggio di poter godere di un ambito decisionale autonomo e, necessariamente, avrà sempre meno tempo da dedicare a se stesso e alla programmazione del futuro.
Il secondo atteggiamento è quello pro-attivo, che lo porta alla difesa della propria autodeterminazione. Nel primo caso il rapporto tra collaboratore e leader prevede un input, la presentazione del problema e un output, la soluzione da parte del leader; nel secondo caso un input, la presentazione del problema, un feedback tra il leader e il collaboratore, e infine un output da parte del collaboratore. L'abilità nel gestire il feedback consente al leader di migliorare il rapporto con il collaboratore e difendere il proprio tempo e il proprio ambito decisionale.
Contestualmente la leadership dovrà preoccuparsi che i propri collaboratori godano di una buona armonia tra il mondo interiore e quello esterno; questo obiettivo è conseguibile facendo sì che i collaboratori trovino una convergenza tra i propri valori personali e quelli dell'impresa.
La leadership dovrà quindi costruire una cultura d'impresa progettata su valori; se si vuole ottenere quella convergenza il percorso è lungo e difficile, ma al termine di quel percorso l'impresa avrà acquistato "un'anima" e conseguito un comune sentire tra tutti i membri dell'organizzazione. Nella formulazione della vision e della mission aziendale l'impresa eccellente dovrà quindi lavorare sulla base di valori condivisibili non solo da tutti i collaboratori, ma anche da tutti gli stakeholder; il processo dovrà quindi essere condotto seguendo il circolo virtuoso top-down/botton-up/top-down.
Ogni anno la rivista Fortune pubblica l'elenco delle "100 migliori aziende" dal punto di vista della soddisfazione dei dipendenti sul posto di lavoro, in termini di senso di appartenenza, autostima, lavoro di gruppo ecc. La ricerca condotta nel 2000, sulla base di 36.000 risposte ad un ampio questionario, ha messo in evidenza che oltre, ovviamente, all'entità degli stipendi e alla sicurezza del posto di lavoro, la soddisfazione dei dipendenti dipende da una sorta di "gioia di vivere" che traspare dalle risposte pervenute dalle aziende prime classificate.
Questa gioia di vivere può essere sintetizzata in alcuni elementi.
- Tempo.
- Autonomia.
- Spazio.
- Tranquillità
- Ambiente ecologicamente sano.
- Ambiente culturalmente stimolante.
- Formazione e aggiornamento.
- Convivialità.
- Bellezza.
Le aziende "eccellenti" sono state gratificate dalla riconoscenza dei propri dipendenti proprio per aver realizzato alcuni di questi obiettivi. Chi avendo costruito l'impresa nel verde, nel silenzio e con disponibilità di grandi spazi, chi avendo programmato oltre 100 ore di aggiornamento all'anno per dipendente e chiamato nell'impresa scienziati di fama, chi avendo eliminato, tangibilmente, qualsiasi forma di discriminazione, chi promuovendo l'orario flessibile, il tele lavoro e il part time, chi avendo costituito un asilo all'interno dell'impresa, chi una palestra, chi un ambulatorio, chi barbiere e parrucchiere, chi un drugstore, chi organizzando incontri culturali, chi avendo curato la qualità e l'eleganza della mensa.
La ricerca di Fortune ha evidenziato, inoltre, che le imprese eccellenti in questa particolare graduatoria, risultavano eccellenti anche dal punto di vista delle performance aziendali.
5.17 Considerazioni conclusive sulla leadership
L'analisi svolta in questo capitolo sulla leadership imprenditoriale e sui compiti che su di essa incombono può essere considerata un percorso valido per specifiche situazioni, ma non per tutte.
Ad excludendum, ritengo che comportamenti e compiti della leadership di una grande impresa che opera nel settore dei beni di largo consumo o dei beni di consumo durevole debbano, in parte, seguire altri percorsi; non è pensabile per essa, ad esempio, un rapporto molto contiguo con gli stakeholder.
Come detto all'inizio del capitolo il percorso, suggerito per la leadership di un'impresa, è il risultato dell'osservazione dei comportamenti di imprenditori di Pmi; pertanto, principalmente a costoro sono indirizzate queste indicazioni, come pure alla leadership di grandi imprese che operino nel settore del business to business. Comunque, la lettura di questo "percorso di comportamenti" è suggerito anche a quel folto gruppo di manager che vogliono imprimere una svolta alla propria vita professionale.
Eugenio Caruso
NOTE
1. Si utilizza, normalmente, la dizione leadership aziendale poiché, se nella piccola o micro impresa, la leadership coincide, solitamente, con l'imprenditore, che, quindi, può essere definito il leader, nella media e grande impresa la leadership, generalmente, è costituita da due o più persone.
2. Il "delirio di onnipotenza" è, purtroppo, una sindrome che l'autore ha incontrato, non raramente, tra gli imprenditori; l'autostima è patologica
3. Ho trovato questo tipo di comportamenti anche nelle piccole e medie imprese, nelle quali l'imprenditore è sovraccarico di compiti operativi e non dedica il proprio tempo all'individuazione di segnali negativi per la vita aziendale.
4. Un esperto di comunicazione statunitense una volta mi disse «Voi italiani avete la cattiva abitudine di far circolare in azienda solo le buone notizie».
5. Benchmarking è uno strumento atto a confrontare i prodotti e i processi della propria impresa con leader di mercato, che appartengano o meno al settore merceologico dell'impresa.
Bibliografia
AA.VV., Il libro nero del capitalismo, Marco Tropea Editore, 1999.
Caruso E., Gestire l'impresa del 2000, FrancoAngeli, 1999.
Fiocca R., The best of marketing, Ed. Bridge, 1994.
Fitzgerald L., R. Johnston, S. Brignall, R. Silvestro, C. Voss, Misurare la performance nelle imprese di servizi, Egea, 1998.
Hinterhuber H.H., Eric Krauthammer, Vincere con la leadership, Sperling & Kupfer Editori, 1999.
Ivancic C., J. Bado, Open-book management, FrancoAngeli, 1998.
Kotter J.P. I leader, Il Sole 24 Ore Libri, 1999.
Merli G., C. Saccani, L'azienda olonico-virtuale, Il Sole 24 Ore Libri, 1994.
Mintzberg H., Ascesa e declino della pianificazione strategica Isedi, 1996.
Moglia T., Partner nella performance, FrancoAngeli, 1998.
Valdani E., Dalla concorrenza all'ipercompetizione, dall'evoluzione alla coevoluzione, Economia & Management, maggio 1997.
Whyte D., Risveglio del cuore in azienda, Guerini e Associati, 1997.
Per una panoramica più ampia sull'impresa moderna si rimanda a E. Caruso, L’impresa in un mercato che cambia Tecniche Nuove 2003