«Umana cosa è aver compassione degli afflitti; e come che a ciascuna persona stea bene, a coloro è massimamente richiesto, li quali già hanno di conforto avuto mestiere, et hannol trovato in alcuni: fra’ quali, se alcuno mai n’ebbe bisogno, o gli fu caro, o già ne ricevette piacere, io son uno di quegli.»
(Giovanni Boccaccio, Decameron, Proemio)
GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni.
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Franz Kafka
Ero giovane e gran divoratore di libri, rubando le ore al sonno; quando mi capitò La metamorfosi ne fui affascinato, anche per l'affetto che provo perr Ovidio, e corsi a comprare e leggere Il processo e Il castello. Mi dilettavo un po' con i pennelli e dipinsi un enorme scarafaggio chiuso in una stanza. Ritengo che Il processo sia uno dei massimi romanzi una vetta, confronatbile con I fratelli Karamazov. Un amico ebreo mi portò a visitare la tomba di Kafka al cimitero ebraico di Praga, città che ho visitato molte volte e che amo.
Franz Kafka (Praga, 3 luglio 1883 – Kierling, 3 giugno 1924) è stato uno scrittore praghese di lingua tedesca. Nato nei territori dell'Impero austro-ungarico, divenuti Repubblica cecoslovacca a partire dal 1918, è ritenuto una delle maggiori figure della letteratura del XX secolo e importante esponente del modernismo e del realismo magico.
La maggior parte delle sue opere, come Die Verwandlung (La metamorfosi), Der Prozess (Il processo) e Das Schloss (Il castello), sono pregne di temi e archetipi di alienazione, brutalità fisica e psicologica, conflittualità genitori-figli, presentano personaggi in preda all'angoscia esistenziale, labirinti burocratici e trasformazioni mistiche. Le tematiche di Kafka, il senso di smarrimento e di angoscia di fronte all'esistenza, caricano la sua opera di contenuti filosofici che hanno stimolato l'esegesi dei suoi libri specialmente a partire dalla metà del Novecento. Nei suoi scritti è frequente imbattersi in una forma di crisi psicologica che pervade il protagonista sino all'epilogo della narrazione, e che lo getta in modo progressivo in un'attenta analisi introspettiva.
Non sono pochi i critici che hanno intravisto nei suoi testi elementi tali da farlo ritenere un interprete letterario dell'Esistenzialismo. Altri infine hanno «coniato per Kafka la formula di "allegorismo vuoto". Come ogni autore allegorico, Kafka rappresenta una vicenda per "dire altro"; ma questo "altro" resta indecifrabile e dunque indicibile.»
Kafka nacque in una famiglia ebraica della classe media di lingua tedesca a Praga, la capitale del Regno di Boemia, allora parte dell'Impero austro-ungarico. Nel corso della sua vita, la maggior parte della popolazione cittadina parlava il ceco e la divisione tra parlanti la lingua ceca e quella tedesca era una realtà tangibile, in quanto entrambi i gruppi cercavano di rafforzare la propria identità nazionale. La comunità ebraica era in mezzo tra le due correnti, sollevando naturalmente domande in merito a chi appartenessero. Kafka stesso conosceva approfonditamente ambedue le lingue, considerando il tedesco come lingua madre.
Il palazzo Kinsky dove Kafka frequentò il ginnasio
Kafka intraprese una formazione giuridica e ottenne un lavoro in una compagnia di assicurazioni. Iniziò a scrivere racconti nel suo tempo libero, lamentandosi sempre del poco tempo a disposizione per dedicarsi a quella che considerava la sua vocazione. Kafka preferiva comunicare per lettera; scrisse centinaia di lettere ai familiari e alle amiche intime. I destinatari principali furono suo padre, la sua fidanzata Felice Bauer e la sua sorella più giovane Ottla. Ebbe un complicato e travagliato rapporto con il padre che influì notevolmente sui suoi scritti. La sua appartenenza alla cultura ebraica fu in lui fonte di profondi conflitti interiori, nonostante non sentisse un particolare legame con le sue radici. Tuttavia, i critici sostengono che la sua origine ebraica abbia influenzato le sue opere.
Solo poche opere di Kafka furono pubblicate durante la sua vita: le raccolte di racconti Betrachtung (Contemplazione) e Ein Landarzt (Un medico di campagna) e qualche opera singola (come La Metamorfosi) in riviste letterarie. Preparò l'edizione di una raccolta di racconti, Ein Hungerkünstler (Un digiunatore), pubblicata solo dopo la sua morte. Le opere di Kafka rimaste incompiute, tra cui i suoi romanzi Il Processo, Il Castello, e America (noto anche come Der Verschollene, Il Disperso), furono pubblicate postume, in gran parte dal suo amico Max Brod, che non assecondò il desiderio di Kafka, il quale voleva che i suoi manoscritti venissero distrutti. Albert Camus, Gabriel García Márquez e Jean-Paul Sartre sono tra gli scrittori che hanno subìto maggiormente l'influenza dei lavori di Kafka; il termine "kafkiano" è entrato nella lingua italiana per descrivere situazioni esistenziali come quelle presenti nei suoi scritti.
Franz Kafka nacque nei pressi della Piazza della Città Vecchia di Praga, in Boemia (al secolo una provincia dell'Impero austro-ungarico), il 3 luglio del 1883, primogenito di una famiglia borghese di ebrei aschenaziti. Il padre, Hermann Kafka (1852-1931), era il quarto figlio di Jakob Kafka, uno shoc?et, ovvero un macellaio rituale, originario di Osek, un villaggio ceco con la presenza di una considerevole comunità ebraica, situato nei pressi della città di Strakonice (nella Boemia meridionale). Hermann, in seguito, si trasferì con la famiglia a Praga. Dopo essere stato commesso viaggiatore, aprì un negozio di oggettistica e abbigliamento (Galanteriewaren) ed arrivò ad impiegare alle sue dipendenze fino a 15 persone; l'insegna del negozio raffigurava una cornacchia (kavka, pronunciato kafka e spesso informalmente trascritto in tal maniera, significa appunto "cornacchia" in ceco). La madre, Julie Löwy (1856-1934), era la figlia di Jakob Löwy, un ricco mercante di vendite al dettaglio originario di Podebrady, cittadina non troppo distante dalla città di Nymburk (nella Boemia centrale), ed aveva ricevuto un'istruzione superiore a quella del marito.
Si suppone che i genitori di Kafka parlassero una varietà di tedesco con influenze yiddish talvolta definita con il termine dispregiativo Mauscheldeutsch. Essendo il tedesco importante per migliorare la propria condizione sociale, probabilmente incoraggiarono i figli ad impararlo correttamente. Hermann e Julie ebbero sei figli, di cui Franz era il maggiore. Due suoi fratelli, Georg e Heinrich, morirono durante l'infanzia prima che Franz compisse sette anni; le sue tre sorelle furono Gabriele ("Ellie") (1889-1942), Valerie ("Valli") (1890-1942) e Ottilie ("Ottla") (1892-1943). Tutte e tre saranno vittime della Shoah: le prime due furono deportate dai nazisti nel ghetto di Lódz e poi uccise nel vicino campo di sterminio di Chelmno nel 1942, mentre la terza, internata dapprima nel ghetto di Terezín, morì nel campo di concentramento di Auschwitz nel 1943.
Statua di Kafka a Praga.
Dal 1889 al 1893 Kafka frequentò la scuola elementare tedesca Deutsche Knabenschule presso il Masný trh/Fleischmarkt (mercato della carne), ora conosciuto come Strada Masná. La sua educazione ebraica si concluse con la celebrazione del Bar Mitzvah all'età di 13 anni, tuttavia non dimostrò mai interesse nel frequentare la sinagoga, in cui si recava con il padre solo per le principali quattro festività all'anno.
Dopo aver lasciato la scuola elementare nel 1893, Kafka fu ammesso al rigoroso liceo classico, Altstädter Deutsches Gymnasium, una scuola secondaria all'interno del Palazzo Kinsky. Il tedesco era la lingua di istruzione, ma Kafka parlava e scriveva anche in ceco, egli studiò per otto anni, ottenendo buoni voti e completò gli esami di maturità nel 1901.
Ammesso all'Università tedesca di Praga nel 1901, Kafka iniziò a studiare chimica, ma poi passò a giurisprudenza dopo due settimane. Anche se questa disciplina non lo interessava particolarmente, essa poteva offrirgli una serie di possibilità di carriera che compiacevano suo padre. Inoltre, gli studi di legge richiedevano un corso di studi più lungo, permettendo al giovane Kafka di prendere lezioni di storia tedesca e storia dell'arte. Inoltre, egli aderì ad un club studentesco, Lese-und Redehalle der Deutschen Studenten, che organizzava eventi letterari, letture e altre attività. Gli amici di Kafka furono il giornalista Felix Weltsch, studente di filosofia, e l'attore Yitzchak Lowy, che proveniva da una famiglia ortodossa chassida di Varsavia e gli scrittori Oskar Baum e Franz Werfel.
Il 1º novembre 1907, Kafka venne assunto presso le Assicurazioni Generali, una compagnia di assicurazioni italiana di Trieste, dove lavorò per quasi un anno. Da quanto si può apprendere dalla sua corrispondenza, durante quel periodo fu particolarmente infelice, anche a causa dell'orario di lavoro, dalle 08:00 alle 18:00, che gli rendeva estremamente difficile concentrarsi sulla scrittura, attività che sempre maggiormente stava assumendo importanza nella sua vita. Pertanto, il 15 luglio 1908 si dimise. Due settimane più tardi trovò un impiego più compatibile con le sue esigenze di scrittore, facendosi assumere all'Istituto di Assicurazioni contro gli Infortuni per il Regno di Boemia. Il lavoro lo portava ad indagare e a valutare i risarcimenti per le lesioni personali per i lavoratori industriali; incidenti come dita o arti amputati erano all'ordine del giorno in quel periodo. Il padre spesso definì il lavoro del figlio come un "ufficiale assicurativo", o come viene riportato letteralmente un "lavoro del pane", a indicare un'occupazione svolta con il solo obiettivo di pagare le bollette. Tuttavia Kafka venne rapidamente promosso e i suoi doveri inclusero l'elaborazione delle richieste di risarcimento, la scrittura di relazioni e la contrattazione come gli imprenditori i quali ritenevano che le loro imprese fossero state inserite in una categoria di rischio troppo elevata, fatto che gli comportava un premio assicurativo maggiore. Kafka arrivò a compilare la relazione annuale dell'istituto assicurativo per molti anni, durante la sua permanenza, e i suoi rapporti furono sempre ben accolti dai suoi superiori. Solitamente riusciva anche a terminare il lavoro per le prime ore del pomeriggio, in modo da avere il tempo per dedicarsi alla scrittura. Anni dopo, Brod coniò il termine Der Enge Prager Kreis ("The Close Praga Circle") per indicare il gruppo di scrittori, che comprendeva Kafka, Felix Weltsch e lui.
Nel marzo del 1924, la tubercolosi alla faringe di cui Kafka soffriva peggiorò, ed egli fece ritorno da Berlino a Praga, dove i membri della sua famiglia, soprattutto la sorella Ottla, si presero cura di lui. Il 10 aprile si recò alla casa di cura del dottor Hoffmann a Kierling, nei pressi di Vienna, per il trattamento, dove morì il 3 giugno 1924. La causa della morte sembra essere la fame: la condizione della faringe di Kafka gli rese l'alimentazione troppo dolorosa e dal momento che la nutrizione parenterale non era ancora stata messa a punto, non c'era modo di nutrirlo. Sul letto di morte, Kafka stava modificando "Un digiunatore" (letteralmente "Un artista del digiuno").
Nell'odissea onirica ddi Kafka la morte non poteva che sopraggioungere per fame, come per Gregor il protagonista de La metamorfosi.
Il suo corpo fu riportato a Praga, dove venne cremato l'11 giugno 1924 e sepolto nel nuovo cimitero ebraico di Praga a Žižkov. Una lapide alla base della stele funeraria commemora le tre sorelle dello scrittore, morte nei lager nazisti fra il 1942 e il 1943. Sul muro di fronte un'altra lapide ricorda l'amico Max Brod, il quale aveva curato la pubblicazione postuma di buona parte delle opere di Kafka. Kafka, sconosciuto durante la sua vita, divenne famoso subito dopo la sua morte, a differenza di Anatole France che venerato da vivo cadde nell'oscurità da morto.
Kafka poco prima della morte
La tomba di Franz Kafka e dei suoi genitori nel nuovo cimitero ebraico di Praga a Žižkov.
La metamorfosi
La metamorfosi (Die Verwandlung in tedesco) è il racconto più noto dello scrittore. L'opera fu pubblicata per la prima volta nel 1915 dal suo editore Kurt Wolff a Lipsia.
All'inizio del racconto, il protagonista Gregor Samsa si risveglia una mattina ritrovandosi trasformato in un enorme insetto. La causa di tale mutazione non viene mai rivelata. Tutto il seguito del racconto narra dei tentativi compiuti dal giovane Gregor per cercar di regolare - per quanto possibile - la propria vita a questa sua nuova particolarissima condizione mai vista prima, soprattutto nei riguardi dei genitori e della sorella e con il suo datore di lavoro.
Trama
Una mattina il giovane Gregor si accorge al suo risveglio di essersi trasformato in un insetto. Questo cambiamento non è facile da accettare per lui, ma soprattutto per la sua famiglia, composta dai due genitori e da una sorella minore. Vari episodi porteranno il protagonista a riflettere sulle sue condizioni prima e dopo la trasformazione e questo lo porterà a prendere una decisione drastica.
Parte I
Gregor Samsa, un commesso viaggiatore che grazie al suo lavoro mantiene la propria famiglia, si risveglia un mattino nelle sembianze di un orrido e gigantesco insetto. In un primo momento crede che si tratti solamente di un brutto sogno; ciò non gli impedisce infatti di riflettere su quanto priva d'autentiche gioie sia la vita che sta conducendo. Guardando subito dopo l'orologio a muro, s'accorge d'aver dormito troppo, e che se non si sbriga subito, perderà il treno con la conseguenza di arrivar in ritardo al posto di lavoro e dover quindi dare spiegazioni al proprio capo.
La madre, accortasi che il figlio non è ancora partito, bussa alla porta della sua stanza preoccupata, non essendo questa affatto una cosa comune da parte sua; gliene chiede spiegazione, convinta che sia malato. Gregor risponde cercando di tranquillizzarla, assicurandole che sarebbe uscito quanto prima per prendere almeno il treno delle sette; anche se ciò non gli avrebbe evitato di arrivare, per la prima volta dopo tanti anni, in ritardo sul lavoro. Si rende conto però che la sua voce è impercettibilmente cambiata.
Anche la sorella Grete, con cui ha sempre avuto un rapporto molto affiatato, gli sussurra attraverso la porta pregandolo di aprire: a questo punto tutti i membri della famiglia cominciano seriamente a pensare che lui sia davvero malato. Gregor intanto sta cercando di alzarsi dal letto, ma gli risulta del tutto impossibile muovere il corpo; mentre sta provando a spostarsi s'accorge che il suo capo-ufficio, il procuratore, è appena giunto presso la sua abitazione, determinato a capire il motivo dell'assenza ingiustificata del suo sottoposto alla partenza del convoglio delle cinque.
Nella sua nuova situazione, Gregor risulta nel frattempo in grande difficoltà nei movimenti e dopo esser finalmente riuscito, con immani sforzi, a rotolare col corpo a terra, per l'ennesima volta ripete a tutti che presto aprirà la porta della propria stanza. Il procuratore spazientito lo avverte delle conseguenze a cui rischia di andare incontro se persevera con quest'atteggiamento, fino a minacciarlo di licenziamento: aggiunge inoltre che i risultati da lui conseguiti recentemente son stati del tutto insoddisfacenti.
Gregor non è d'accordo e prova a rispondere, ma oramai nessuno potrebbe più capire una sola parola di quello che sta dicendo; riesce infine a sbloccare il chiavistello della porta con la bocca. L'uscio si schiude, facendo prima retrocedere fino alla rampa delle scale e poi fuggire fuori dall'appartamento l'inorridito ospite e lasciando impietriti i familiari. La madre di Gregor sviene mentre il padre lo ricaccia dentro la camera utilizzando il bastone lasciato dal procuratore, un giornale arrotolato e picchiando i piedi per terra in modo da spaventarlo.
Gregor rimane addolorato, il padre richiude la porta a chiave: la vista di ciò che Gregor è diventato ha scatenato forti reazioni d'orrore. Esausto, Gregor si addormenta.
Parte II
Risvegliatosi, il giovane vede che qualcuno gli ha lasciato del latte e un po' di pane; inizialmente entusiasta scopre però in fretta che non ha più alcun gusto per il latte. Decide poi di stabilirsi sotto il divano. La mattina dopo la sorella, vedendo che non ha toccato il latte, lo sostituisce con avanzi di cibo in decomposizione, che Gregor mangia con gusto.
Da questo momento in poi inizia una routine in cui la sorella lo nutre e pulisce la stanza, mentre Gregor sta nascosto sotto al divano per non spaventarla. A Gregor non rimane che passar il suo tempo ad ascoltare attraverso il muro i discorsi dei familiari; spesso questi discutono della difficile situazione finanziaria in cui improvvisamente si sono venuti a trovare, ora che Gregor non è più in grado di badare a loro. Neppure Grete potrà più frequentare le tanto desiderate lezioni di violino al conservatorio.
Più il tempo passa e più Gregor pare trovarsi a proprio agio dentro al suo nuovo corpo, inizia difatti a scalare le pareti e correre sul soffitto allegramente; scoperto il nuovo passatempo del fratello, Grete decide di rimuovere alcuni dei mobili così da lasciargli più spazio. Cercando però di non far portar via un quadro appeso al muro (che raffigura una donna in pelliccia), Gregor vi si posa sopra facendo svenire la madre. Corre fuori dalla stanza fino in cucina, dove il padre lo vede e gli lancia delle mele, una delle quali si conficca nella sua schiena-corazza.
Gregor è ora ferito e i suoi movimenti diverranno difficili e dolorosi.
Parte III
Una sera viene lasciata per errore la porta della camera di Gregor aperta, mentre Grete in soggiorno sta suonando il violino per i genitori e i nuovi pensionanti che hanno dovuto accogliere in casa per avere delle entrate extra; il fratello, ascoltandola, ne rimane fortemente impressionato. Subito dopo viene però scorto - s'era insinuato fuori dalla camera per poter ascoltare meglio - e il padre cerca di ricacciarlo indietro; i tre inquilini annunciano che sarebbero rimasti ma senza pagare l'affitto a causa delle condizioni veramente disgustose in cui è tenuto l'appartamento.
Dopo poco tempo Grete trova un impiego e Gregor resta completamente abbandonato a se stesso: il padre è d'accordo sul fatto che devono sbarazzarsi di Gregor il prima possibile per evitare di finire in rovina. Il rifiuto da parte della sua famiglia e la percezione di gravare sulle loro già scarse finanze senza poter contribuire in alcun modo, fanno piombare Gregor in uno stato di depressione tale da condurlo a rifiutare il cibo offertogli fino a giungere ad una morte lenta. Ha deciso così di liberare la famiglia dalla propria presenza.
In seguito a ciò, la famiglia caccia i tre pensionanti, si sbarazza del suo cadavere (la cameriera - che sarà licenziata - lo getta nella spazzatura di propria iniziativa), ne dimentica l'esistenza e riesce a risollevarsi dai problemi economici che l'avevano afflitta. Il finale delinea quasi un lieto fine per la famiglia. Decidono di trasferirsi in un appartamento più piccolo di quello attuale per risparmiare ulteriormente; infine i genitori notano che, a dispetto delle difficoltà attraversate, la loro figliuola pare esser molto cresciuta in bellezza, e pensano che potrà presto trovarsi un buon marito.
Personaggi
Gregor Samsa
Grete Samsa
Signora Samsa
Signor Samsa
Il procuratore (solo nella prima parte)
Le domestiche
I tre signori (solo nella terza parte)
Temi
In quest'opera confluiscono più temi che spesso ricorrono nelle opere dell'autore:
Alienazione e depersonalizzazione dell'individuo cui è imposto un ruolo non suo;
Il rapporto problematico padre-figlio;
Il senso di angoscia;
Il senso dell'ambiguità;
Lo spiazzamento;
La continua ricerca dell'allegoria e della metafora usate in tutta la loro enigmaticità e ambivalenza;
L'egoismo e l'ingratitudine come moventi fondamentali del comportamento umano: così, quando Gregor lavora e sostiene la famiglia viene trattato con rispetto, ma quando diventa un peso, questa stessa famiglia non tarda a disprezzarlo e ad accogliere la sua morte con sollievo.
Allegoria e interpretazioni
Attraverso la condizione ripugnante del protagonista e la sostanziale incapacità dei parenti di instaurare con lui un rapporto umano, l'autore vuole rappresentare l'emarginazione alla quale il "diverso" viene tragicamente condannato nella società. L'insetto non simboleggerebbe altro che questo "diverso". La metafora dell'insetto rappresenta la dipendenza di Kafka dalla famiglia e la negazione della sua libertà artistico-espressiva nella letteratura. Già in una lettera alla sorella Elli, Kafka aveva definito la famiglia come un "contesto veramente animale", che soffoca la libera espressione dell'individuo con l'egoismo oppressivo di un amore "assurdo e bestiale".
Nonostante la famiglia di Gregor tenti, almeno inizialmente, di mantenere un contatto umano con lo sventurato, si percepisce quasi subito il ribrezzo che suscita in loro la vista della condizione ributtante nella quale egli versa. Nemmeno lo stretto grado di parentela e il ricordo di un passato normale e felice riescono a salvare Gregor dalla condanna alla quale sembra, fin dall'inizio, destinato. Dapprima, scoperta la nuova condizione dell'uomo, i familiari provano raccapriccio; poi paura di avere contatti diretti con esso, tant'è che il poveretto decide di nascondersi, quando gli viene portato il cibo, per non suscitare spavento; poi insofferenza (che si manifesta nel lancio di mele, da parte del padre, a Gregor, che viene ferito), e infine rassegnazione. Gregor è diventato un peso, i familiari stessi si augurano che muoia. La madre, il padre e la sorella ne sono comprensibilmente affranti, tuttavia sanno che quella è l'unica via d'uscita da una situazione divenuta oramai insostenibile.
In occasione della stampa della seconda edizione, adombrando la possibilità di altre interpretazioni del racconto, il 25 ottobre 1915 Kafka scrisse al suo editore Kurt Wolff, che aveva affidato al disegnatore Ottomar Starke il compito di illustrarne la copertina:
«Siccome Starke fa illustrazioni concrete, mi è passato per la mente che voglia disegnare magari l'insetto. Questo no, per carità, questo no! Non vorrei limitare il campo della sua competenza, ma rivolgere soltanto una preghiera perché naturalmente io conosco meglio il racconto. Non lo si può far vedere neanche da lontano. Se questa intenzione non c'è, e quindi la mia preghiera diventa ridicola, tanto meglio. A Lei sarei grato se volesse trasmettere e ottenere il mio desiderio».
Albert Camus, ne Il mito di Sisifo, sostiene che la metamorfosi sia una rappresentazione dell'etica della lucidità, che può trasformare facilmente l'uomo in una bestia. Tale interpretazione fa pensare anche al racconto kafkiano come a un'anticipazione dell'olocausto, anche se certamente il testo trascende una lettura storica peraltro successiva alla scrittura del racconto.
La genesi dell'opera
Le lettere di Kafka a Felice Bauer, con cui lo scrittore boemo ebbe tra il 1912 e il 1917 una relazione sentimentale dalle alterne vicende, sono fondamentali per capire la genesi e lo sviluppo de La metamorfosi. Dal carteggio veniamo a sapere che la mattina del 17 novembre 1912, dopo aver lavorato fino a tarda notte a Il disperso – romanzo ancora allo stadio di abbozzo e destinato a rimanere incompiuto e a essere pubblicato postumo con il titolo America –, Kafka uscì da un sonno agitato con un'idea fissa che non lo abbandonò e portò alla nascita del libro: che sensazione si proverebbe a risvegliarsi trasformati in un insetto?
Quel giorno stesso, rispondendo a una missiva di Felice, affermò di volere attendere la sera stessa alla stesura di una storia ispirata dal conturbante pensiero. Tuttavia, quello che doveva essere un breve racconto rivelò sin dall'inizio una portata ben più vasta e complessa. Solo a inizio dicembre, infatti, annunciava alla donna di aver portato la storia a compimento con la morte del protagonista.
Alla pubblicazione mancavano però ancora quasi tre anni. Kafka riprese in mano Il disperso dandone alle stampe il primo capitolo, mentre solo nel gennaio 1914 tornò ad occuparsi del racconto, correggendolo in vari punti. Dopo ulteriori temporeggiamenti, La metamorfosi comparve per la prima volta sul mensile Die weißen Blätter (I fogli bianchi, ottobre 1915) e due mesi più tardi presso l'editore Kurt Wolff di Lipsia, nella collana Der jüngste Tag (Il giorno del giudizio).
L'11 giugno 1916 compariva sul Prager Tagblatt un breve testo intitolato La ritrasformazione di Gregor Samsa (Die Rückverwandlung des Gregor Samsa, edito in Italia da Vitalis Verlag), poche pagine in cui il protagonista del racconto kafkiano, portato fuori dalla città e abbandonato in cima alle immondizie, ritrova una notte le sembianze umane e ritorna in vita, riguadagnando all'alba la città, conscio del fatto che le sofferenze patite lo hanno reso un uomo, pronto a ricominciare il percorso della propria esistenza. Il giovanissimo autore, Karl Brand, nato in Moravia nel 1895, aveva conosciuto Kafka a Praga nelle riunioni letterarie del Caffè Arco. Malato di tubercolosi e impossibilitato a lavorare, iniziò a nutrire una sorta di empatia per il protagonista de La metamorfosi. Tormentato dai sensi di colpa per il proprio pur involontario parassitismo e per i soldi che i genitori dovevano spendere per le cure, pensò di trovare una soluzione in questo tentativo letterario che ebbe, tra gli altri, gli apprezzamenti di Franz Werfel e Johannes Urzidil. Brand morì nel 1917, vinto dalla tubercolosi.
AUDIO
Il processo
Il processo è un romanzo scritto in tedesco fra il 1914 e il 1915, pubblicato postumo per la prima volta nel 1925. Ritenuta una delle sue migliori opere, esso racconta la storia di Josef K., un uomo arrestato e perseguito dall'autorità senza che venga mai a sapere la natura del suo crimine. Nell'opera è indagata anche la passiva accettazione, da parte degli altri personaggi, dell’ineluttabilità di una giustizia che funziona come un fenomeno fisico, con sue logiche autoreferenziali e insondabili, contro cui a nulla servono la razionalità e la lucidità di Josef K., processato per motivi misteriosi. Chiara è l'influenza di Dostoevskij - che Kafka chiamava "parente di sangue" - in particolare dai suoi romanzi Delitto e castigo e I Fratelli Karamazov. Pur lasciandola incompiuta (alcuni capitoli intermedi non vennero ultimati e sopravvivono in forma frammentaria), Kafka scrisse il capitolo finale dell'opera.
Il romanzo si compone di 10 capitoli, scritti principalmente fra l'agosto del 1914 e il gennaio del 1915, ma riveduti a più riprese da Kafka fino al 1917. Sebbene l'opera sia incompiuta, l'ordine dei capitoli rispecchia le indicazioni dell'autore, e sono presenti, sia il capitolo iniziale, sia quello finale.
Il manoscritto giunse nel 1920 nelle mani di Max Brod, amico di Kafka, che lo valutò come la più grande opera dello scrittore. Brod esaminò il manoscritto, eseguendo alcune piccole modifiche per compensarne le lacune, e contrariamente alla volontà dell'autore, che desiderava che l'opera fosse bruciata dopo la sua morte, pubblicò il romanzo nel 1925. Come scrisse Bruno Schulz nella prefazione dell'edizione del 1936:
«Il romanzo, che Max Brod ricevette nel 1920 dall'autore sotto forma di manoscritto, è incompiuto. Alcuni capitoli frammentari, che avrebbero dovuto trovare la loro collocazione prima del capitolo conclusivo, vennero da lui separati dal romanzo, basandosi su quanto dichiarato da Kafka, e cioè che questo processo in idea è a dire il vero incompiuto e che le sue ulteriori peripezie non avrebbero apportato più nulla di essenziale al senso fondamentale della questione.»
In questo romanzo più ancora che nelle altre sue opere, Kafka usa uno stile che serve lo scopo di rendere la narrazione spersonalizzante e angosciosa. I personaggi sono spesso indicati in modo parziale e criptico; dello stesso protagonista non viene mai chiaramente esplicitato il cognome (che rimarrà sempre 'K.'). La trama presenta diverse contraddizioni, che non sono però da attribuirsi all'incompiutezza dell'opera: in effetti, esse sono introdotte ad arte per mettere in dubbio qualsiasi punto di riferimento certo per il lettore e trascinarlo così in una condizione quasi onirica. Tutto ciò conferisce al romanzo un'aura spettrale e inquietante.
Trama
Il protagonista del romanzo, Josef K., è impiegato come procuratore presso un istituto bancario. Una mattina, due uomini a lui sconosciuti si presentano presso la sua abitazione, dichiarandolo in arresto, senza tuttavia porlo in stato di detenzione. K. scopre così di essere imputato in un processo. Pensando a un errore, decide di intervenire con tempestività per risolvere quello che ritiene essere uno spiacevole (ma temporaneo) malinteso.
Ben presto, K. si rende conto che il processo intentato nei suoi confronti è effettivamente in corso. K. tenta inizialmente di affrontare la macchina processuale con la logica e il pragmatismo che gli derivano dal suo lavoro presso la banca. Tuttavia, tempi e modalità di svolgimento del processo, né altri aspetti del suo funzionamento, non vengono mai pienamente rivelati all'imputato, neppure nel corso della sua deposizione presso il tribunale. A K. non verrà mai comunicato il capo di imputazione che pende su di lui.
Dietro consiglio dello zio, K. affida a un avvocato il mandato di difenderlo. Pur rassicurando K. in merito all'impegno profuso per il suo caso, l'avvocato pare tuttavia procedere con la medesima opacità che è propria del tribunale, mettendo in atto iniziative la cui efficacia K. non è in grado di valutare appieno. K. decide infine di rimuovere il mandato all'avvocato, a dispetto del tentativo di dissuasione da parte dello stesso legale difensore. K. entrerà anche in contatto con un pittore, Titorelli, che sembrerà prodigarsi a suo vantaggio, anche in questo caso però senza effetti tangibili.
Questa rinuncia alla difesa prelude all'epilogo della vicenda. Josef K. viene infatti prelevato da due agenti del tribunale e condotto in una cava, dove viene giustiziato con una coltellata. K. muore in conseguenza di una condanna inflittagli da un tribunale che non lo ha mai informato in merito alla natura delle accuse a suo carico, e che non gli ha mai fornito alcun riferimento per attuare una vera difesa.
Arresto. Colloquio con la signora Grubach. Arriva la signorina Bürstner
La mattina del suo trentesimo compleanno Josef K., procuratore finanziario in una delle più importanti banche cittadine, si risveglia con la sgradita sorpresa di trovarsi due uomini, a lui del tutto sconosciuti, ad attenderlo nella camera dove risiede in affitto; identificatisi molto laconicamente come agenti di polizia, chiamati rispettivamente Wilhelm e Franz, i due gli fanno chiaramente intendere che la loro intenzione è quella di arrestarlo, comunicandogli altresì che a suo carico sta già venendo imbastito un processo penale.
A Josef K. non viene fornita alcuna indicazione circa la colpa per cui sta per essere messo sotto processo e i due agenti paiono voler eludere qualunque domanda dell'interessato. Questa situazione viene introdotta fin dal celebre incipit:
«Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.»
Benché sia da considerarsi dunque in stato d'arresto, gli agenti non tentano alcuna azione nei confronti di Josef ma anzi viene lasciato libero di continuare indisturbato con la propria vita di tutti i giorni; può anche recarsi a lavorare in banca come al solito. Frastornato da quest'improvviso avvenimento, il protagonista, dicendosi sicuro che tutta la faccenda sia soltanto un enorme e madornale malinteso, decide di intervenire il prima possibile per cercare di chiarire, pur nell'estrema opacità della situazione, la sua assoluta estraneità a qualunque crimine che gli si contesti.
Quella sera stessa, al ritorno dal lavoro, parla della faccenda con la sua affittuaria, la signora Grubach, che quella mattina aveva fatto accomodare i due agenti in camera sua mentre era ancora addormentato. La padrona di casa, giustificatisi per averli fatti entrare senza avvisarlo, tende però a sminuire la cosa e lo rassicura infatti sulla gravità dell'arresto:
«Lei non deve prendersela troppo a cuore. Che cosa non capita nel mondo!»
In cerca d'un po' di compagnia e sostegno morale, va quindi a far visita alla vicina, la signorina Bürstner; al termine della conversazione - in cui ha ricostruito per filo e per segno la scena dell'arresto - e dopo essersi ripetutamente scusato per l'intrusione in camera sua, Josef improvvisamente si lascia trasportare dai propri sentimenti e la bacia.
Primo interrogatorio
Ricevuta una telefonata che lo convoca espressamente davanti alla corte per la domenica seguente, Josef K. si reca - ancora abbastanza fiducioso nella sua perfetta estraneità davanti a ogni fatto imputatogli - alla prima udienza del processo intentatogli. Seguendo l'indirizzo che gli è stato consegnato si ritrova in un quartiere della periferia, abitato da famiglie povere: gli edifici presentano lo stesso identico aspetto dismesso ed egli fatica un po' a trovare la sede del tribunale. Quando riesce infine a individuarne il palazzo, scopre che l'aula di tribunale è alloggiata nella squallida soffitta dell'ultimo piano; qui incontra il giudice istruttore, che lo sta attendendo nell'aula gremita fino all'inverosimile.
Josef, anche se non ha ancora la più pallida idea di che cosa sia stato accusato, si lancia prontamente in un'appassionata e accalorata arringa difensiva, arrivando ad attaccare anche il malfunzionamento della burocrazia giudiziaria. Fa così un lungo discorso in cui arriva a denigrare l'intera validità processuale, inclusi gli agenti che lo hanno così arbitrariamente dichiarato in arresto, accusandoli oltretutto d'essersi strafogati la sua colazione e d'averlo derubato d'alcuni capi di biancheria intima. Durante la lunga autodifesa, la moglie dell'usciere si trova occupata in un angolo buio in un'impegnativa attività sessuale con uno sconosciuto, il tutto però nella più assoluta indifferenza generale. Conclusa l'arringa, Josef si ritira dall'aula senza che alcuno dica alcunché.
Nella sala delle udienze deserte. Lo studente. Le cancellerie
La settimana dopo, Josef K. decide di tornare in tribunale, volendo avervi un altro colloquio con la corte pur non essendo stato riconvocato, ma al suo arrivo ritrova l'aula spoglia e deserta, oltreché sporca. Imbattendosi nella moglie dell'usciere, Josef attacca a parlarle, mostrandosi baldanzoso e sicuro di sé e confidandole di non prendere seriamente né il processo né tantomeno la minaccia di un'eventuale condanna.
La donna è molto affascinante e tenta di sedurlo mostrandogli le gambe e un accenno di biancheria intima; in cambio della sua compagnia si offre d'aiutarlo, dandogli informazioni e notizie fresche sulla propria causa al processo, ma uno studente che ha improvvisamente fatto irruzione finisce per portarsela via.
K. incontra poi l'usciere, che comincia subito a lamentarsi di come tutti trattino e s'approfittino della moglie, invitando poi K. a ribellarsi al suo posto; lo trascina dunque a visitare la cancelleria distrettuale situata nel sottotetto del grigio casamento. Qui il protagonista incontra un imputato il quale, non credendo sia anche lui un accusato, lo strattona fino a spingerlo via, pensando che Josef non voglia altro che rubargli il posto in fila che è suo di diritto. Una ragazza poi, accompagnata a un uomo che lei gli presenta semplicemente come "Informatore", lo aiuta infine a ritrovare l'uscita.
L'amica della signorina Bürstner
Tornato a casa s'intrattiene, dopo un veloce scambio di convenevoli, in una conversazione su questa sua traversia legale con la signorina Montag, altra giovane affittuaria che divide la stanza con la Bürstner, ma mentre le sta parlando accoratamente del proprio caso sente attraverso le sottili pareti qualcuno muoversi assieme alla vicina nella camera a fianco: Josef a questo punto sospetta che la Bürstner lo stia facendo apposta per impedirgli di raccontar fino alla fine la propria storia. Poco dopo anche un altro inquilino, Lanz, s'intromette facendogli così perdere il filo del discorso. Sembrano quasi che siano in combutta contro di lui.
Il bastonatore
Durante una normale giornata di lavoro in banca, Josef K. sente dei lamenti provenire da uno dei ripostigli/magazzini dell'ufficio: aperta con decisione la porta scopre che un picchiatore sta per prendere a frustate i due ufficiali che gli avevano notificato l'arresto. Viene a sapere che questa è una punizione del tribunale per i piccoli crimini di cui li aveva accusati Josef nella sua arringa. Alla vista di quel triste spettacolo, Josef, mosso a compassione, ma anche preoccupato che la loro presenza sveli a tutti i suoi colleghi la sua spiacevole vicenda giudiziaria, cerca di dissuadere il picchiatore dal suo compito ma senza riuscirci. La stessa scena si ripete la sera successiva: aprendo la porta il protagonista si trova di fronte i tre uomini ma stavolta, richiudendo la porta, chiede disinvoltamente agli inservienti di dare una pulita nel magazzino imbrattato dal sangue dei due.
Lo zio. Leni
Il giovane protagonista riceve poi la visita dello zio, che ha saputo del processo. Durante il lungo colloquio che ne segue, questi, afflitto e preoccupato per la difficile situazione in cui s'è venuto a trovare il nipote, lo invita a rivolgersi a un noto e apprezzato "avvocato dei poveri" suo amico, di nome Huld; nel contempo gli consiglia vivamente di non prendere troppo alla leggera, come sembra abbia fatto finora, l'accusa che gli è stata rivolta dal tribunale.
Josef K. segue il consiglio dello zio e nello studio di Huld conosce una certa Leni, sua assistente nonché infermiera personale (e, sospetta, forse anche sua amante), che lo prende immediatamente in simpatia e gli consiglia, mentre in qualche modo non esita un attimo a corteggiarlo, di essere in generale un po' meno intransigente. Finisce che i due si baciano.
Durante la discussione col legale diventa sempre più chiaro come questo processo sia differente da qualsiasi altro regolare procedimento giudiziario: la colpa presunta è data tutta alla burocrazia che lo gestisce, la quale è molto ampia e con molteplici livelli e mantiene segrete le regole della corte oltre all'identità dei giudici. L'avvocato può preparargli una difesa ma, dal momento che l'accusa è sconosciuta, l'impresa potrebbe rivelarsi alquanto ardua; per giunta asserisce che le difese da lui inviate non è detto che vengano poi effettivamente lette da qualcuno al tribunale.
Josef capisce che il lavoro di Huld è quello di affrontare e star dietro ai potenti funzionari del tribunale che operano dietro le quinte; è davvero un lavoro molto duro. Mentre stanno ancora discorrendo, il legale rivela che il capo della cancelleria del tribunale si trova proprio in quel momento nascosto a origliare in un angolo della grande stanza in cui si trovano loro. Chiamato in causa questi esce per partecipar alla conversazione ma, proprio in quel preciso istante, Josef viene trascinato da Leni in un'altra stanza; qui anche lei s'offre d'aiutarlo e i due hanno poi un rapporto sessuale. All'uscita, Josef trova lo zio visibilmente arrabbiato, poiché a suo dire il fatto che se ne sia andato proprio nell'instante in cui entrava in scena il capocancelliere risulta come una grave mancanza di rispetto che potrebbe nuocere gravemente al suo caso.
L'avvocato. L'industriale. Il pittore
Josef K. torna più volte a far visita al proprio avvocato, che lo ragguaglia via via sul funzionamento del tribunale. Da Huld egli viene anche a sapere che lui stesso dovrà scrivere una memoria personale da presentare al tribunale. Ma più parla con l'avvocato e più le cose sembrano mettersi per il verso sbagliato: Huld infatti lo informa di come la sua situazione si riveli esser giorno dopo giorno sempre più disastrosa, pur senza fornirgli mai delle vere e proprie spiegazioni.
S'abbandona poi nel raccontargli le numerose altre volte in cui ha raccolto la difesa di altri clienti disperati e di come li abbia aiutati grazie anche alle sue molteplici conoscenze, di cui si fa gran vanto. Intanto però la memoria difensiva sembra non esser mai pronta.
Frattanto il lavoro in banca per Josef si fa sempre più difficoltoso e comincia a scadere di qualità, consumato com'è dalla preoccupazione circa il suo caso. Un giorno riceve la visita di un industriale, uno dei maggiori clienti della banca in cui lavora: venuto a sapere delle difficoltà a cui sta andando incontro gli offre il proprio aiuto mandandolo da un amico pittore, un certo "Titorelli". Questi potrà certamente dargli buoni consigli, in quanto ha estese ed approfondite conoscenze con la corte.
Josef va quindi a trovare il pittore, che abita nel solaio di un palazzo che si trova in un quartiere sul lato opposto della città rispetto al luogo dov'è situato il tribunale: mentre sta salendo i gradini d'ingresso s'imbatte in tre ragazze appena adolescenti che iniziano a schernirlo e a prenderlo in giro sessualmente. Titorelli si rivela essere il pittore ufficiale del tribunale, il ritrattista dei membri dell'intera corte - un "titolo" che ha ereditato dal padre - e ha pertanto una profonda comprensione del processo.
Josef viene quindi a sapere che, per quanto ne sappia il pittore, in merito al tipo di processo in cui è sottoposto non s'è mai verificato il caso d'una assoluzione: quando Josef dichiara a gran voce di essere innocente, Titorelli risponde che quando il tribunale si avvia, difficilmente recede dalle accuse mosse all'imputato: nessuno è mai innocente.
Il pittore spiega quindi al giovane che le sue opzioni, ora come ora, sono: ottenere un verdetto d'innocenza provvisoria da un tribunale di grado inferiore, che può però esser ribaltata in qualsiasi momento dai livelli più elevati della corte giudiziaria (e che porterebbe, nel qual caso, alla ripresa immediata del processo); oppure cercare d'ingraziarsi i giudici di più basso livello così da mantener immobile la sua causa.
Spiegatagli così per bene tutta la situazione Titorelli lo fa uscire infine da una porticina di servizio, in quanto le ragazzine di prima stanno bloccando la porta d'ingresso, sbarrandogli la strada. Non appena ha oltrepassato l'uscio, il giovane si ritrova immerso in un dedalo labirintico che presto riconosce esser quello degli uffici del tribunale, dall'aspetto oppressivo e soffocante.
Il commerciante Block. Licenziamento dell'avvocato
Josef torna da Huld per rinunciare ufficialmente al suo aiuto, avendo deciso sulla scorta dei consigli datigli dal pittore di riprender il pieno controllo della sua pratica. Nello studio dell'avvocato s'imbatte in Block, un cliente di Huld che gli si mostra all'apparenza come un individuo remissivo e oppresso: il suo caso infatti va avanti da ben cinque anni e, da imprenditore di successo che era, è passato ormai ad uno stato di quasi bancarotta.
L'uomo s'è così ridotto ad esser praticamente dipendente nei confronti di Huld e Leni, con la quale sembra pure coltivare una specie di relazione sessuale; Josef, infatti, l'incontra proprio mentre pare che questi si stia intrattenendo con la ragazza, ritrovandosi oltretutto a fare una piccola scenata di gelosia per aver trovato l'uomo in maniche di camicia. Block gli descrive per filo e per segno tutta la propria esperienza in fatto di processi, dicendo che gli imputati tendono a diventare superstiziosi e a isolarsi dal resto del mondo. K. ha poi modo di farsi ricevere dall'avvocato ma la discussione tra i due, durante la quale l'avvocato si fa persino beffe di Block, considerandolo "un cagnolino", s'interrompe bruscamente ed il capitolo è ritenuto perciò incompiuto.
Nel duomo
La banca chiede a Josef di accompagnare in un giro della città un facoltoso cliente italiano appena giunto per affari, mostrandogli i maggiori siti d'interesse culturali e fargli insomma da cicerone. Il cliente però non pare aver molto tempo libero a disposizione e perciò chiede a Josef di condurlo solo al duomo; si danno appuntamento lì per una cert'ora ma, quando Josef arriva all'orario stabilito, il cliente non si presenta.
Tanto per ingannar il tempo, Josef entra nella grande chiesa, che risulta in quel momento esser completamente vuota tranne che per una vecchia e un officiante; nota che il sacerdote sembra si sta preparando a dare un sermone da uno dei piccoli pulpiti secondari a lato della navata. Josef comincia poi ad allontanarsi per timore che il prete inizi a parlare e che quindi lui si trovi costretto a rimanere fino al termine della celebrazione.
Ma, invece di fare una predica, a un certo punto il sacerdote lo chiama per nome a gran voce dal pulpito. Avvicinatosi, il religioso lo rimprovera di certi suoi atteggiamenti, soprattutto riferiti alle donne; Josef gli chiede di scendere ma in quel momento ecco che due uomini entrano in chiesa. In realtà il sacerdote lavora per la corte del tribunale come cappellano del carcere, percui dice a Josef di sapere tutto del suo processo.
Le parole del cappellano, che espone in una specie di parabola sulla giustizia (un brano in realtà scritto dall'autore precedentemente alla composizione del romanzo ed intitolato Davanti alla legge), sembrano avere lo scopo di preparare Josef K. al peggio.
«Il tribunale non ti chiede nulla. Ti accoglie quando vieni, ti lascia andare quando vai.»
I due si mettono poi a discutere della corretta interpretazione da dare alla parabola, ma il prete conclude che il racconto, da lui definito peraltro parecchio antico, vi ha visto avvicendarvi nella sua analisi critica tantissimi funzionari della corte, ognuno dei quali è giunto a una diversa conclusione.
La fine
Josef si viene infine a trovare alla vigilia del suo trentunesimo compleanno. Due signori si presentano davanti alla porta della sua camera e lo prelevano senza dargli spiegazioni. Egli stesso d'altronde offre ben poca resistenza, capendo che sono gli esecutori della sentenza a cui il tribunale è in qualche modo giunto infine ad emettere. I due lo prendono sottobraccio e lo portano, dopo aver attraversato a piedi quasi l'intera città, a una cava di pietra.
Adagiano Josef dentro una buca, dopodiché uno dei due estrae un coltello da macellaio a doppio taglio. Mentre dà il suo ultimo sguardo alla vita, Josef K. scorge un uomo che si sta sporgendo da una finestra, alla cui vista viene colto da un moto di stizza al pensiero d'essere visto mentre sarà giustiziato. Viene accoltellato al cuore due volte, mentre pronuncia le sue ultime parole:
«"Come un cane!" disse e gli parve che la vergogna gli dovesse sopravvivere.»
Il romanzo si conclude così con la morte del protagonista: l'esecuzione del colpevole è stata eseguita.
Il processo ha esercitato una profonda influenza sulla storia della letteratura e sulla cultura in genere. L'uso dell'aggettivo kafkiano è entrato nell'uso comune per riferirsi a situazioni assurde, paradossali e angoscianti:
- Per esempio, la descrizione del tribunale e di un sistema giudiziario distopico, in cui la burocrazia è tanto impietosa quanto cieca e imprevedibile, sono stati ripresi in molte opere successive come, nel film Brazil di Terry Gilliam;
- Sono presenti i temi dell'incomunicabilità, della solitudine, dell'angoscia dell'uomo di fronte al mistero della vita e della sua impotenza a trovare la risposta al problema del male;
- Al libro è stato ispirato il film Detenuto in attesa di giudizio con Alberto Sordi.
AUDIO
Il castello
l castello scritto intorno al 1922 e pubblicato postumo nel 1926, è l'ultimo dei tre romanzi dello scrittore. Rimasto incompiuto, Il castello, spesso oscuro e a volte surreale, è centrato sui temi della burocrazia, della legge come ordine globale, e quindi dell'alienazione e della frustrazione continua dell'uomo che tenta di integrarsi in un sistema che mentre lo invita, contemporaneamente lo allontana emarginandolo.
La trama
Durante una gelida notte il protagonista, semplicemente indicato nel romanzo con l'iniziale K., giunge in un villaggio sovrastato dalla figura misteriosa di un Castello. Cercando ospitalità nell'osteria, egli sostiene d'essere un agrimensore e di essere stato là invitato dal Conte in persona, il Conte Westwest, per svolgervi attività lavorative.
Dopo alcune incomprensioni iniziali fra K. e gli occupanti dell'osteria che gli si erano mostrati ostili, tramite una lettera consegnatagli da un messaggero di nome Barnabas, K. viene ufficialmente informato di essere stato assunto dal Conte e che il suo diretto superiore sarà il Sindaco. La lettera è firmata dal capo della X Sezione, un funzionario di nome Klamm.
All'Albergo dei Signori K. conosce Frieda, cameriera e amante del funzionario Klamm. È Frieda stessa che permetterà a K. di spiare il funzionario da un apposito buco mentre sta riposando in una stanza riservata. Subito dopo K. consumerà di nascosto un amplesso con Frieda sul pavimento sotto il banco di mescita. Frieda lascerà l'onorevole posto di amante di Klamm per seguire K.
Giunto al cospetto del suo superiore, il Sindaco, costui lo informa che la sua chiamata in qualità di agrimensore è stata solamente uno spiacevolissimo errore, un disguido burocratico dovuto alla complessità dell'amministrazione. Più che un errore però, si affretta a precisare il Sindaco in seguito alle insistenze di K., si tratta di un equivoco, giacché:
««Uno dei principi che regolano il lavoro dell'amministrazione è che non si deve mai contemplare la possibilità di uno sbaglio. [...] Errori non se ne commettono e, anche se ciò per eccezione accade, come nel suo caso, chi può dire alla fin fine che sia davvero un errore?»»
(Mondadori 1979, traduzione di Anita Rho, p. 98 e p. 99)
Dal maestro della locale scuola gli viene quindi offerto un lavoro provvisorio in qualità di bidello. Costretto dalle circostanze ma anche dalle insistenze di Frieda che comprende la difficoltà della situazione, K. accetta.
Lo scopo di K. resta però quello di veder riconosciuta la propria posizione come agrimensore ed egli cercherà così di avere con tutti i mezzi un incontro con Klamm. Lo attenderà a lungo all'uscita dell'Albergo dei Signori; istruirà il messaggero Barnaba di fargli recapitare la sua richiesta; approfitterà della fiducia del piccolo Hans Brunswick per servirsi della famiglia di costui, eccetera. Ma tutto è vano, e gli abitanti del villaggio sembrano fare fronte comune attorno al funzionario, quasi come questi dovesse essere protetto, ma da cosa nemmeno a loro è chiaro. Da Barnaba K. riceve una seconda missiva di Klamm nella quale egli legge che il funzionario si complimenta con lui per lo zelo mostrato in qualità di agrimensore. K. ne resta stupito.
La prima giornata del suo nuovo lavoro come bidello è un disastro. Di notte il freddo costringe K. a forzare la legnaia e la nottata passa così, fra molti inconvenienti, con i due aiutanti sempre intorno e sempre più maldestri, tanto che uno dei due giunge a infilarsi nel letto di K. approfittando dell'assenza momentanea di Frieda. All'indomani il maestro licenzia K. che però si rifiuta di lasciare la scuola. La maestra, Gisa, con la zampa del proprio gatto obeso graffia a sangue la mano di K. K. licenzia i due aiutanti e li chiude fuori, ma questi continuano imperterriti a picchiare contro i vetri. Frieda suggerisce a K. di lasciare il villaggio, ma qualcosa di oscuro sembra già legare K. a quel posto:
««Non posso andar via», disse K., «sono venuto qui per restarci, e ci resterò». E con una contraddizione che non si diede la pena di spiegare, soggiunse quasi parlando a se stesso: «Che cosa avrebbe potuto attirarmi in questo paese così tetro se non il desiderio di rimanervi?»»
(Mondadori 1979, traduzione di Anita Rho, p. 162)
Si inserisce, quasi a metà del romanzo, l'ampio racconto che Olga, sorella del messaggero Barnaba, fa a K. della storia della propria famiglia, famiglia bene in vista e rispettata fino al rifiuto di Amalia, l'altra sorella di Barnaba. A una festa pubblica un funzionario di nome Sortini nota Amalia, ben vestita e attraente. La ragazza che probabilmente si aspettava attenzioni degne del proprio rango si vede invece recapitare, da parte del funzionario, una lettera volgare e quasi minacciosa. Con sdegno Amalia strappa la lettera.
Da quel momento, sebbene nessuno accusasse Amalia o la sua famiglia, questa cominciò inesorabilmente a cadere in disgrazia. Il padre viene congedato dal suo incarico di pompiere, le difficoltà economiche e l'indifferenza dei concittadini e anche degli amici li spingono sempre più ai margini. Il posto che adesso Barnaba è riuscito a ottenere dopo anni di tentativi di farsi riaccettare dal Castello è un primo segno di riabilitazione. K. ascolta con attenzione il racconto di Olga, riuscendo così a farsi un'idea più precisa sebbene ancor incompleta di come il Castello regoli le questioni del villaggio.
Quello che appare certo è come tutti gli abitanti del villaggio tengano in altissima considerazione i funzionari del Castello. La macchina burocratica è vasta e complessa: i segretari e i funzionari vanno e vengono in continuazione dal Castello, di ogni cosa vengono redatti verbali e di notte si dà udienza ai cittadini. I verbali sono per i funzionari di rango superiore, come Klamm per esempio, che però nella gran parte dei casi non li leggono. Accedere al Castello è infine impresa ardua, perché, come Olga spiega a K.:
«Il Castello ha molti ingressi. Ora è in voga l'uno, e tutti passano di lì, ora l'altro, e il primo è disertato. Secondo quali regole avvengano questi cambiamenti non s'è ancora potuto scoprire.»
(Mondadori 1979, traduzione di Anita Rho, p. 227)
Al ritorno dall'incontro con Olga, K. apprende di essere stato querelato dai suoi aiutanti per maltrattamenti, e non solo: Frieda lo ha abbandonato proprio per uno dei due, Geremia, ed è tornata al suo impiego presso il bar dell'Albergo dei Signori. Successivamente K. viene convocato da Erlanger, uno dei segretari di Klamm. All'Albergo dei Signori, sono le quattro di notte, K., dopo aver rivisto Frieda, cercando la stanza di Erlanger si introduce per sbaglio nella stanza di Bürgel, altro segretario. Costui si desta e lo trattiene nella sua stanza che funge anche da ufficio, entrambi seduti sul letto. Bürgel sembra continuare le spiegazioni di Olga sull'andamento delle cose nel villaggio, ma K., vinto dal sonno e dalla stanchezza si addormenta stringendo un piede di Bürgel.
Al risveglio K. incontra Pepi, una serva che aveva preso il posto di Frieda al banco di mescita ma che sarebbe tornata a servire come cameriera. Pepi insinua a K. il sospetto che tutta la sua storia con Frieda rientri in una perfida macchinazione della stessa, al fine di rimarcare l'importanza della propria posizione. Subito dopo K. incontra Gerstacker, un vetturino a lui già noto, che intende offrirgli un lavoro. È in questo punto che il romanzo si interrompe bruscamente.
In una nota di Max Brod alla prima edizione, il curatore spiega che a una sua espressa domanda, Kafka gli avrebbe confidato l'intenzione che K. morisse di esaurimento e che proprio in quel momento giungesse dal Castello l'ufficializzazione del suo diritto a restare nel villaggio e lavorarci. Una fine che suona di beffa, dunque.
Genesi e struttura
Kafka comincia a lavorare al romanzo presumibilmente intorno al 1921, ma lo completa in gran parte nell'anno successivo. Il 15 marzo di quest'anno ne legge all'amico Max Brod la parte iniziale. In una lettera giunta l'11 settembre, sempre a Max Brod, Kafka si lamenta di non essere in grado di tradurre in parole il «carattere demoniaco delle figure del romanzo» e conclude di aver interrotto «per sempre la storia del Castello». Sono questi gli anni in cui la tubercolosi si aggrava e i ricoveri si fanno più frequenti, ma anche gli anni nei quali la difficile relazione con Milena, probabile ispiratrice della figura di Frieda, può essere considerata conclusa. Kafka morirà due anni più tardi, ricoverato nel sanatorio di Kierling.
Il manoscritto, che secondo le istruzioni di Kafka stesso doveva essere bruciato alla sua morte, presenta soltanto una suddivisione ed è privo di titolo. Sarà sempre l'inseparabile Max Brod che ne curerà la prima edizione nel 1926 suddividendo l'opera in venti capitoli e intitolandolo Das Schloß (Il castello), essendosi Kafka così sempre riferito al romanzo.
I significati
Il romanzo di Kafka ha dato vita a numerose interpretazioni critiche nel corso del Novecento. Il romanzo fu pubblicato postumo nel 1926 a cura dell'amico Max Brod, il quale aggiunse una postfazione nella quale avanzava un'interpretazione teologica dell'opera. Secondo Brod il Castello rappresenterebbe la Grazia divina, mentre Il processo, il secondo romanzo di Kafka, sarebbe centrato sul tema della Giustizia di Dio. Il protagonista è dunque l'uomo che si barcamena fra le vicende del quotidiano cercando di comprendere il misterioso disegno del deus absconditus, quella legge che stabilisce il bene, il male e il destino stesso, alla quale legge è impossibile accedere ma alla quale l'uomo aspira fidando nella benevolenza di Dio, nella sua grazia. L'interpretazione di Brod condizionò pesantemente tutti i primi commentatori.
Negli anni quaranta, a opera di Erich Fromm, Angel Flores, Charles Neider e altri, si diffuse l'interpretazione psicoanalitica del romanzo. Facendo riferimento alla celeberrima Lettera al padre, si è così visto ne Il castello l'espressione della persecuzione, della colpa e della solitudine dell'uomo al cospetto dell'autorità. Il villaggio in cui K. giunge è un ambiente estraneo, misterioso e avverso, sul quale la figura del Castello si erge come minacciosa e ostile.
Successivamente la critica sociologica cercò di liberarsi da interpretazioni religiose e psicoanalitiche per mettere in luce la concretezza dei nessi che Kafka evidenzia nel rapporto fra l'uomo e la società. Walter Benjamin, Theodor W. Adorno, György Lukács sono i nomi più noti di un'analisi condotta in tal senso.
Le vicende dell'agrimensore K. rappresentano la proiezione dell'impotenza e delle frustrazioni dell'uomo moderno, il quale si trova schiacciato da una realtà che sfugge ai suoi criteri di valutazione. Il protagonista si sente ovunque solo e alienato, il suo rapporto con il mondo esterno è ormai completamente compromesso, e la presenza cupa e minacciosa del Castello rappresenta un'entità superiore negativa che finisce per determinare e opprimere l'esistenza dell'uomo. In questa prospettiva, si è perduto il senso di ogni cosa. Per Kafka la ragione diventa così inutile: l'essere viene destrutturato fino a perdere la propria identità, come dimostra il nome stesso dell'agrimensore ridotto alla sola lettera K. (l'uso di questa iniziale richiama inevitabilmente il nome dell'autore).
Secondo la critica di stampo marxista, Il castello raffigura la posizione dell'uomo contemporaneo oppresso dal capitalismo e dalle sue contraddizioni. Di tutt'altro avviso i critici che si ispirano all'esistenzialismo, i quali intravedono nelle peripezie di K. la condizione eterna del vivere dell'uomo.
Potenzialmente, il genio di Kafka risiede nel comprendere che non si cessa di essere parte integrante della macchina nemmeno al di fuori del contesto lavorativo. L'alienazione dell'uomo non è mai "sospesa", anzi, persiste anche nelle relazioni sociali e familiari.
«Il meccanismo fa parte della Macchina in quanto pezzo meccanico, ma anche quando smette di esserlo», scrivono Deleuze e Guattari in Kafka.
Per lo scrittore e critico Pietro Citati in questo romanzo Kafka descrive un mondo nel quale dominano forze diverse e differenti che possono essere inquadrate come l'espressione di un divino multiforme, un universo politeista dunque, a cominciare dall'ineffabile Conte Westwest, dio al di là del tramonto; a seguire col messaggero Barnaba-Ermete; col funzionario Klamm-Eros; con figure femminili quali Gardena-Demetra, o Frieda, che ora sembra una Circe ora una dea dell'amore. A differenza però degli dèi greci, queste figure viste da vicino si rivelano molto umane, difettose e anche volgari, sebbene sfuggenti e incomprensibili. Sotto la tunica bianca e attillata Barnaba nasconde una camicia logora e un torace tozzo; un funzionario come Sortini scrive una lettera scurrile ad Amalia; Klamm sebbene temuto e rispettato è in realtà timido e riservato. In questo mondo K. si muove come un moderno Ulisse, tenace, disposto anche a mentire pur di giungere a Klamm, al Castello.
È l'autore stesso, Kafka, a insinuare dubbi: K. afferma di essere agrimensore, uno che vuol misurare, razionalizzare, ma il narratore mai lo conferma, anzi descrive K. come esperto di medicina. A differenza però di Ulisse, la ricerca di K. è segnata da continui fallimenti, l'angoscia lo sopraffa così sempre più, in ciò rassomigliando più al Dottor Faust che all'eroe omerico. Il Castello è inavvicinabile e gli dèi non solo non aiutano K. ma nemmeno lo contrastano, non lo avversano come avviene con Ulisse: K. si ritrova solo a lottare con forze che non accettano la lotta, eludono i suoi tentativi, lo lasciano sfinirsi. K. è in fondo un uomo che vive in un ambiente che non sente suo, che gli è avverso perché pur desiderandolo egli non riesce a comprenderlo. La sua indipendenza è anche la sua vulnerabilità.
AUDIO CAPITOLO I
AUDIO CAPITOLO II
25 gennaio 2023 - Eugenio Caruso