Il brodo primitivo della materia


“[…] la distinzione tra passato, presente e futuro è soltanto un’illusione, anche se ostinata”. Einstein

Il brodo primitivo della materia

Immaginiamo di avere un microscopio che ci permetta di vedere da vicino un singolo atomo. Prendiamo per esempio un atomo di idrogeno. Zoomando superiamo l’unico elettrone in orbita ai margini e troviamo il nucleo, che in questo caso è costituito da un protone solitario. In base alla fisica studiata alle scuole superiori, prevediamo di trovare all’interno di questo protone una semplice triade di particelle fondamentali chiamate quark: due quark up e un quark down.

Ma la realtà di quello che c’è dentro un protone è tanto più complessa che i fisici stanno ancora cercando di comprenderne la struttura e il modo in cui i costituenti si combinano per produrre la massa, lo spin e altre proprietà del protone.
I tre quark della rappresentazione semplificata dell’interno di un protone sono semplicemente i «quark di valenza», boe che galleggiano sopra un mare ribollente di quark e antiquark (gli omologhi di antimateria), con i gluoni, le particelle «appiccicose» a tenerli insieme. Il numero totale di quark e gluoni all’interno di un protone cambia in continuazione. Le coppie quark-antiquark compaiono e scompaiono via via, e i gluoni tendono a dividersi e moltiplicarsi, specialmente quando un protone acquista velocità. In sostanza, è puro caos. L’interazione (o forza) forte, la più intensa delle quattro forze fondamentali della natura, mantiene questo caos confinato all’interno di protoni e neutroni. Tranne quando non lo fa.
Nelle prime, minuscole frazioni di secondo dopo il big bang, l’universo era troppo caldo e denso affinché la forza forte tenesse legati insieme quark e gluoni. Hanno così formato un oceano, un fluido perfetto di particelle che scorreva quasi senza viscosità, chiamato plasma di quark e gluoni. Questa fase della storia dell’universo finì rapidamente. Nel giro di 10esp–6 secondi quark e gluoni si ritrovarono ingabbiati all’interno di protoni e neutroni. Ma poi, 13,7 miliardi di anni dopo, i fisici hanno imparato a ricreare, all’interno degli acceleratori di particelle, il plasma di quark e gluoni. Quando due nuclei atomici grandi (come quelli dell’oro) si scontrano a velocità prossima a quella della luce, la collisione produce le temperature e le pressioni necessarie affinché si formino goccioline di plasma di quark e gluoni, per un breve lasso di tempo, prima di disintegrarsi.
Le macchine che catturano queste collisioni sono strutture enormi, cataste di rivelatori e strumenti disposti in anelli concentrici, tutti connessi da migliaia di cavi. Quando ne ho visitati due l’anno scorso al campus di Long Island del Brookhaven National Laboratory, mi sono meravigliata nel vedere l’operato scrupoloso di grandi squadre di tecnici che si arrampicano su più livelli di impalcature per accedere ai dispositivi. Trovarsi alla base di un colosso del genere è come osservare il culmine di quello che gli esseri umani sono in grado di fare: sono tra le macchine più grandi e più complesse mai costruite, e il tutto per studiare una goccia di melma primordiale più piccola di un atomo. Indagare le goccioline di plasma di quark e gluoni offre agli scienziati la possibilità di apprendere come ha avuto inizio la materia. «È di questo che era pieno l’intero universo circa 10 microsecondi dopo il big bang», spiega Bjoern Schenke, fisico teorico di Brookhaven. «Studiarlo ci permette di tornare indietro nel tempo il più possibile».
La ricerca è anche una finestra sull’interazione forte, la meno compresa di tutte le forze della natura. Questa forza è descritta da una teoria chiamata cromodinamica quantistica (o QCD, da quantum chromodynamics), che è così complicata che non è quasi mai possibile usarla per calcolare qualcosa direttamente. Il meglio che si riesce a fare è usare supercomputer che svolgono simulazioni per ottenere risposte approssimative. «Come esseri umani, vogliamo capire la natura, e parte della comprensione della natura consiste nel capire la cromodinamica quantistica e la forza forte», afferma la fisica Haiyan Gao, direttrice associata del laboratorio di fisica nucleare e delle particelle a Brookhaven. «Dobbiamo fare esperimenti sul plasma di quark e gluoni per capire come funziona questa teoria».
Nell’aprile 2023 gli scienziati di Brookhaven inizieranno un nuovo esperimento progettato per studiare il plasma di quark e gluoni. Il dispositivo, chiamato sPHENIX, è uno dei due rivelatori del Relativistic Heavy Ion Collider (RHIC) del laboratorio, uno dei più grandi acceleratori di particelle al mondo. Anche l’altro rivelatore, il Solenoidal Tracker at RHIC (STAR), riprende l’attività dopo importanti aggiornamenti. Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, presso il laboratorio europeo di fisica del CERN vicino a Ginevra, il più grande acceleratore del globo, il Large Hadron Collider (LHC), ha recentemente iniziato un nuovo ciclo di attività con rivelatori aggiornati e la capacità di far collidere molti più atomi contemporaneamente. Insieme, questi strumenti dovrebbero svelare l’immagine più dettagliata mai vista di questo fluido primordiale, portandoci sempre più vicini a comprendere i segreti dei più piccoli costituenti della materia.

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Il complesso degli acceleratori del CERN


Una scoperta sorprendente
Gli scienziati avevano previsto il plasma di quark e gluoni molto prima di scoprirlo, ma si aspettavano che avesse una forma molto diversa. Le previsioni si sono avverate negli anni settanta e ottanta, in seguito alla scoperta dei quark alla fine degli anni sessanta e dei gluoni, nel 1979. I fisici si aspettavano che quark e gluoni, una volta liberati dai nuclei, assumessero la forma di una sostanza gassosa in espansione uniforme. «Di solito i fluidi si trasformano in gas via via che diventano più caldi», afferma Berndt Mueller, fisico della Duke University che ha iniziato a lavorare sui modelli teorici per il plasma di quark e gluoni negli anni ottanta. Era una congettura ragionevole: i quark e i gluoni non si liberano dai nuclei finché non raggiungono temperature di migliaia di miliardi di gradi. Mueller era interessato a questo settore perché c’erano ampie possibilità teoriche e i dati sperimentali sarebbero presto cominciati ad arrivare. «All’epoca avevo una trentina d’anni, e a quella età uno si guarda intorno alla ricerca di nuovi argomenti su cui lavorare, in cui ci sia molto di interessante da scoprire». In quella fase i fisici stavano sviluppando tecnologie per far collidere ioni pesanti – nuclei con decine di protoni e neutroni al loro interno – e si aspettavano che queste collisioni generassero temperature e densità che avrebbero liberato le particelle subatomiche. Le prime collisioni di ioni pesanti, che ebbero luogo negli anni settanta al Lawrence Berkeley National Laboratory, non erano abbastanza potenti da generare un plasma di quark e gluoni, ma nel 1986 l’acceleratore Super Proton Synchrotron (SPS) del CERN cominciò a sua volta a far collidere ioni pesanti, che produssero le prime prove del nuovo stato della materia. Ci è voluto un po’. Alla fine il gruppo di ricerca del CERN ha annunciato le sue scoperte nel 2000, ma anche allora i ricercatori non concordavano tutti sul fatto che i dati fossero abbastanza significativi da rivendicare una scoperta. Nello stesso anno è entrato in attività l’RHIC di Brookhaven e ha iniziato a far collidere ioni pesanti a energie più elevate rispetto all’SPS. Nel giro di cinque anni questo acceleratore aveva accumulato dati a sufficienza affinché i fisici potessero dichiarare ufficialmente di aver trovato il plasma di quark e gluoni.
Non era quello che avevano immaginato. Invece di un gas in espansione, il plasma di quark e gluoni sembrava un liquido, quasi perfetto, quasi privo di viscosità. In un gas le particelle agiscono individualmente, mentre in un liquido si muovono in modo coeso. Più sono intense le interazioni tra le particelle – cioè più ognuna trascina le vicine – più il liquido si comporta da liquido. Le osservazioni dell’RHIC hanno mostrato che il plasma di quark e gluoni esibiva una minore resistenza al flusso rispetto a qualsiasi altra sostanza conosciuta. Questo, dice Mueller, «era molto inaspettato».
Nel 2010 i ricercatori dell’RHIC hanno annunciato la prima misurazione della temperatura del plasma di quark e gluoni: era niente meno che 4000 miliardi di gradi, molto più di qualsiasi altra sostanza mai prodotta dagli esseri umani, e circa 250.000 volte più calda del centro del Sole. «Di solito, più qualcosa diventa caldo meno è perfetto come fluido», dice Mueller. «Ma in questo caso è il contrario: quando si raggiunge la temperatura critica, si trasforma in un liquido». Gli scienziati sospettano che dietro questo strano comportamento ci sia la forza forte. Quando le particelle diventano abbastanza calde da sfuggire a protoni e neutroni, la forza forte agisce sull’intero plasma, provocando un’intensa interazione reciproca all’interno della massa collettiva delle particelle.
Il mistero dell’interazione forte
Uno dei più grandi problemi aperti sul plasma di quark e gluoni è quando, esattamente, quark e gluoni escono dal loro confinamento. «Dov’è il confine tra materia generica e plasma di quark e gluoni?», chiede Gao. «Dov’è il cosiddetto punto critico in cui la materia nucleare e il plasma di quark e gluoni coesistono?». Capire dove avviene questa transizione e quante particelle occorrano per avviare il comportamento collettivo sarà uno degli obiettivi principali dei nuovi esperimenti aggiornati.
Un’altra domanda è se il plasma di quark e gluoni sia un frattale, cioè se la sua struttura abbia uno schema complesso e ripetitivo che ricompare a ogni scala, sia che lo si consideri più da lontano o più in dettaglio. Secondo alcuni ricercatori il plasma di quark e gluoni ha queste proprietà e la teoria frattale potrebbe dirci qualcosa su come si comporta. «Abbiamo prove che ci sia una struttura frattale nel plasma di quark e gluoni», afferma Airton Deppman, fisico dell’Istituto di fisica dell’Università di São Paulo. «Stiamo anche studiando se la struttura frattale sopravviva alla transizione di fase» dal plasma al protone.
Rispondere a queste domande potrebbe essere d’aiuto per raggiungere un obiettivo più ampio: capire l’interazione forte, la più enigmatica delle forze fondamentali della natura. La cromodinamica quantistica descrive le interazioni tra quark e gluoni attribuendo loro una proprietà chiamata carica di colore. Questa carica di colore è simile alla carica elettrica nella teoria dell’elettromagnetismo, ma spiega perché la cromodinamica quantistica sia così enigmatica. Mentre nell’elettromagnetismo ci sono solo due cariche, positiva o negativa, la QCD ne ha tre: rossa, verde o blu. E le particelle di antimateria possono avere cariche antirossa, antiverde o antiblu.
Nell’elettromagnetismo la particella che trasporta la forza elettromagnetica, il fotone, è essa stessa elettricamente neutra, il che mantiene le cose piuttosto semplici. Nella QCD, invece, anche il portatore di forza, il gluone, ha una carica di colore e può interagire attraverso la forza forte con sé stesso e al contempo con i quark. Queste autointerazioni e cariche aggiuntive hanno reso la QCD complicata in modo proibitivo. «La teoria si può scrivere praticamente in due righe, ma a risolverla in concreto non è veramente riuscito ancora nessuno», dice Schenke. «Il processo di confinamento, per esempio come i gluoni e i quark vengono intrappolati nel protone, non è stato risolto».
Si spera che lo studio del plasma di quark e gluoni, l’unica situazione in cui siano mai stati rilevati quark liberi, possa rivelare qualcosa su come funziona il confinamento. «Un modo consisterebbe nel liberarli e vedere come si ricombinano nuovamente in protoni, neutroni e altre particelle che possiamo osservare con il rivelatore», aggiunge Schenke. Quindi i dati sperimentali delle collisioni tra ioni pesanti si possono usare per capire meglio i meccanismi che, all’interno della QCD, portano al confinamento.
Nuovo e migliorato
Con il nuovo esperimento dell’RHIC, sPHENIX, e il rivelatore STAR aggiornato, gli scienziati dovrebbero essere in grado di fare misurazioni del plasma più precise che mai. Per esempio, sPHENIX ha un magnete superconduttore che è circa tre volte più intenso di quello di STAR. «Questo è importante per molte delle cose che vogliamo misurare», afferma David Morrison, fisico di Brookhaven che lavora alla nuova macchina. «In una collisione le particelle escono in ogni direzione e i campi magnetici ne deviano il percorso. È possibile esaminare tutto ciò per cominciare a capire che tipo di particella era e quanta energia e quantità di moto aveva?» Il gruppo spera, per esempio, di individuare le particelle composite chiamate ypsilon. Le ypsilon, che contengono un quark bottom e un anti-quark bottom, possono formarsi in caso di collisione e poi sfrecciare attraverso il plasma di quark e gluoni, fungendo da sonde che rivelano come il plasma le modifica. «Possiamo davvero scoprire la fisica che sta alla base di molte delle strane proprietà del plasma di quark e gluoni», aggiunge.
L’esperimento trarrà beneficio anche della possibilità di registrare molti più dati – il che significa molte più collisioni e particelle che ne derivano – di quanto fosse possibile prima. STAR acquisisce circa 10 petabyte di dati all’anno; sPHENIX ne otterrà circa 150. Questo incremento renderà accessibili le risposte a quesiti che prima non si potevano affrontare.
STAR ha anche nuove capacità, come nuovi calorimetri per misurare le energie delle particelle e rilevatori di tracciamento per identificare particelle con differenti cariche elettriche. Tra le aggiunte più significative, spiega Lijuan Ruan, di Brookhaven, una dei portavoce di STAR, ci sono i rivelatori «anteriori» che possono registrare le particelle che escono dalle collisioni ad angoli più ampi rispetto a prima, comprese le particelle che si muovono nella stessa direzione dei fasci che provocano la collisione.
«Adesso c’è più o meno tutto, non aggiungeremo altro», afferma Ruan, che lavora su STAR da molti anni e ha contribuito a costruire alcuni dei suoi primi componenti circa vent’anni fa da dottoranda. «È una sensazione diversa limitarsi a usare un rivelatore, rispetto ad averlo costruito e messo a disposizione dell’intera collaborazione», dice. «Mi sento orgogliosa». STAR, che è stato tra gli esperimenti originali dell’RHIC che hanno contribuito a scoprire il plasma di quark e gluoni, funzionerà per altri tre anni prima di essere disattivato.

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Le particelle circolano lungo l’anello di quasi quattro chilometri dell’RHIC a una velocità prossima a quella della luce, prima di scontrarsi all’interno di rivelatori come sPHENIX.


In Europa LHC ha recentemente iniziato il suo terzo ciclo di attività, che è partito nel luglio 2022 e continuerà fino al 2025. Dopo gli ultimi aggiornamenti, i ricercatori dell’LHC possono analizzare un numero di collisioni piombo-piombo circa 100 volte superiore a quello osservato durante i primi due cicli. Le collisioni aggiuntive aumenteranno anche la precisione delle misurazioni. «Uno degli obiettivi importanti per il terzo ciclo è studiare la comparsa del plasma di quark e gluoni e il modo in cui emerge gradualmente», afferma Luciano Musa, membro dell’esperimento ALICE all’LHC.

Rispetto agli esperimenti dell’RHIC, le collisioni nell’LHC si verificano a energie più elevate e producono un plasma di quark e gluoni più caldo, più denso e più longevo. Questi schianti ricchi di energia producono anche una varietà di particelle più ampia che gli scienziati possono usare per sondare le proprietà del plasma. «Gli studi svolti presso l’RHIC e l’LHC vanno davvero di pari passo», dice Musa. «Ogni volta che c’è una scoperta all’LHC, all’RHIC cercano di capire se gli stessi fenomeni si osservano anche a bassa energia».
Le diverse gamme di energia rivelano diversi aspetti del plasma. Raghav Kunnawalkam Elayavalli, fisico della Vanderbilt University, ha svolto la ricerca per il dottorato all’LHC, ma di recente è diventato membro delle collaborazioni STAR e sPHENIX per concentrarsi sulle particelle che escono da collisioni a bassa energia. «Sono più vicine alla scala del plasma; gli parlano molto di più», dice Kunnawalkam Elayavalli. «Pensiamo a una festa: ci sono molte persone e stai andando dritto verso l’uscita. Ma se procedi lentamente e non vuoi andartene subito hai la possibilità di parlare con altra gente mentre vai via». Poiché le particelle che passano attraverso il plasma di quark e gluoni all’RHIC impiegano più tempo ad attraversarlo, possono estrarne più informazioni. «Le grandezze che stiamo cercando di misurare sono le proprietà di trasporto, cioè la distanza media che è possibile percorrere senza interagire con un’altra particella», aggiunge. «Ci dice qualcosa sulla scala fondamentale del plasma».
Torniamo all’inizio
""La nuova era degli esperimenti sul plasma di quark e gluoni dovrebbe farci procedere al di là degli aspetti più basilari e verso risposte concrete a domande di vecchia data. ""

C’è stato un periodo di ricerca all’RHIC in cui si diceva, in sostanza, “Wow, sta succedendo sul serio, ecco la nuova fisica”», dice Kunnawalkam Elayavalli. «E adesso siamo nell’era della precisione. Possiamo chiederci: “Perché sta succedendo proprio questo?”».
L’RHIC e l’LHC sono all’avanguardia del lavoro per capire questo speciale stato della materia, ma anche i prossimi esperimenti in altri laboratori aggiungeranno materiale. Al CERN, accanto all’LHC, è ancora in funzione l’acceleratore SPS, dove un esperimento in programma, NA61/SHINE, farà collidere ioni in movimento contro un bersaglio fisso per misurare il punto critico in cui protoni e neutroni si trasformano in plasma di quark e gluoni. Un secondo esperimento a bersaglio fisso, il Facility for Antiproton and Ion Research (FAIR) al GSI di Darmstadt, in Germania, dovrebbe essere avviato nel 2028. Il punto critico verrà sondato anche nel Joint Institute for Nuclear Research di Dubna, vicino a Mosca, con un collisore chiamato Nuclotron-based Ion Collider fAcility (NICA).
«È un periodo entusiasmante», commenta Mueller. «Sappiamo che il plasma di quark e gluoni esisteva nell’universo primordiale, ma non abbiamo modo di verificarlo. Questo è il nostro modo di sondare una situazione fisica che altrimenti non avremmo alcuna speranza di raggiungere».

Clara Moskowitz è senior editor di «Scientific American», dove si occupa di spazio e fisica. Ha una laurea in astronomia e fisica alla Wesleyan University e una laurea di secondo livello in giornalismo scientifico all’Università della California a Santa Cruz.



IMPRESA OGGI -28 maggio 2023



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