“[…] la distinzione tra passato, presente e futuro è soltanto un’illusione, anche se ostinata”. Einstein
Osservazioni
del telescopio
spaziale James
Webb hanno rivelato
un’abbondanza
inattesa di buchi neri
giganti nel cosmo
primordiale
di Charlie Wood
L'immagine dell'orizzonte degli eventi del buco nero supermassiccio al centro della galassia Messier 87, grazie a due anni di rilevamenti dei radiotelescopi dell'Event Horizon Telescope. Nell'immagine si può osservare l'«ombra» del buco nero: la materia attratta al suo interno, riscaldandosi, emette luce osservabile parzialmente grazie ai radiotelescopi, rendendo osservabile la zona "in ombra" all'interno del buco nero.
Anni prima di avere la certezza che
il James Webb Space Telescope
(JWST) sarebbe stato lanciato
con successo, Christina Eilers
ha iniziato a pianificare una
conferenza per astronomi
specializzati dell’universo primordiale. Sapeva
che se – possibilmente, quando – JWST avesse
iniziato le attività di osservazione, lei e i suoi
colleghi avrebbero avuto molto di cui parlare.
Come una macchina del tempo, il telescopio
avrebbe potuto guardare più lontano e più
indietro nel passato rispetto a qualsiasi altro
strumento precedente. Fortunatamente per
Eilers (e per il resto della comunità astronomica),
la sua pianificazione non è stata inutile: JWST
è stato lanciato e dispiegato senza problemi e
ha iniziato a scrutare l’universo primordiale
dalla sua postazione nello spazio a 1,5 milioni di
chilometri di distanza dalla Terra.
A metà giugno, circa 150 astronomi si sono
riuniti al Massachusetts Institute of Technology
per la conferenza First Light di Eilers sul JWST.
Non era passato un anno da quando JWST aveva
iniziato a inviare immagini sulla Terra. E, come
Eilers aveva previsto, il telescopio già ridefiniva
la comprensione degli astronomi riguardo ai
primi miliardi di anni del cosmo. Nella miriade
di presentazioni spiccava una serie di oggetti
enigmatici. Alcuni astronomi li hanno chiamati
«piccoli mostri nascosti». Per altri erano «piccoli
punti rossi».
Ma a prescindere dal nome i dati erano chiari: quando JWST
osserva le giovani galassie – che appaiono come semplici puntini rossi nell’oscurità – ne vede un numero sorprendente con cicloni che si agitano al loro centro. «Sembra esserci un’abbondante popolazione di sorgenti che non conoscevamo – ha detto Eilers,
astronoma del Massachusetts Institute of Technology (MIT) – e
che non avevamo previsto di trovare».
Negli ultimi mesi, un fiume di osservazioni di macchie cosmiche ha deliziato e confuso gli astronomi. «Tutti parlano di questi
piccoli punti rossi», ha dichiarato Xiaohui Fan, scienziato dell’Università dell’Arizona che ha dedicato la sua carriera alla ricerca di
oggetti lontani nell’universo primordiale.
La spiegazione più semplice per le galassie con un tornado nel
cuore è che grandi buchi neri, del peso di milioni di Soli, stiano facendo impazzire le nubi di gas. È una scoperta attesa e allo stesso tempo sconcertante. È attesa perché JWST è stato costruito,
in parte, per trovare tali soggetti. Sono gli antenati dei buchi neri giganti da un miliardo di Soli che sembrano apparire inspiegabilmente presto nella documentazione del cosmo. Studiando questi buchi neri precursori, come i tre giovani e da primato
scoperti quest’anno, gli scienziati sperano di capire da dove provengono i primi buchi neri giganteschi e forse di identificare quale delle due teorie in competizione tra loro ne descrive meglio la
formazione: sono cresciuti molto rapidamente o sono semplicemente nati grandi?
Le osservazioni, però, lasciano perplessi anche perché pochi astronomi si aspettavano che JWST trovasse
così tanti buchi neri giovani e affamati, e le ricognizioni
ne stanno trovando a dozzine. Nel tentativo di risolvere il primo mistero, gli astronomi hanno scoperto una folla di buchi neri che potrebbero riscrivere le teorie consolidate su
stelle, galassie e altro.
«Come teorica, devo costruire un universo», ha dichiarato
Marta Volonteri, astrofisica specializzata in buchi neri all’Istituto
di astrofisica di Parigi. Volonteri e i suoi colleghi sono ora alle prese con il fiume di buchi neri giganti nel cosmo primordiale. «Se
sono [reali], cambiano completamente il quadro».
Una macchina del tempo cosmica
Le osservazioni di JWST stanno sconvolgendo l’astronomia,
anche perché il telescopio è in grado di rilevare la luce che raggiunge la Terra da regioni più profonde dello spazio rispetto a
qualsiasi altra macchina precedente.
«Abbiamo costruito questo telescopio potente
nell’arco di vent’anni», ha dichiarato Grant Tremblay, astrofisico
all’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. «Lo scopo originario era guardare in profondità nel tempo cosmico».
Uno degli obiettivi della missione è cogliere le galassie nell’atto della loro formazione durante il primo miliardo di anni di vita
dell’universo. Le osservazioni iniziali del telescopio, effettuate l’estate scorsa, lasciavano intravedere un universo giovane pieno di galassie straordinariamente mature, ma le informazioni che gli astronomi potevano
ricavare da queste immagini erano limitate. Per capire davvero
l’universo primordiale, gli astronomi avevano bisogno di qualcosa di più delle immagini: volevano gli spettri di quelle galassie, cioè i dati che si ottengono quando il telescopio ne scompone la luce in arrivo in tonalità specifiche. Gli spettri galattici, che
JWST ha iniziato a inviare alla fine dello scorso anno, sono utili per due motivi.
Innanzitutto, gli spettri permettono agli astronomi di stabilire l’età della galassia. La luce nell’infrarosso raccolta da JWST
è spostata verso il rosso (redshifted): significa che, attraversando il cosmo, le sue lunghezze d’onda vengono stirate (allungate)
dall’espansione dello spazio. L’entità del redshift consente agli
astronomi di determinare la distanza di una galassia e di conseguenza quando ha emesso la sua luce in origine. Le galassie vicine
hanno un redshift quasi nullo. JWST è in grado di individuare facilmente gli oggetti oltre un redshift di 5, che corrisponde a circa
un miliardo di anni dopo il big bang. Gli oggetti a redshift più elevato sono significativamente più vecchi e più lontani.
In secondo luogo, gli spettri danno agli astronomi un’idea di
quello che accade in una galassia. Ogni tonalità segna un’interazione tra i fotoni e specifici atomi (o molecole). Un colore deriva
da un atomo di idrogeno che emette lampi di luce mentre si assesta dopo un urto; un altro indica atomi di ossigeno e un altro ancora di azoto. Lo spettro è uno schema di colori che rivela la composizione chimica di una galassia e che cosa fanno quegli elementi (o
molecole), e JWST sta delineando questo contesto cruciale per le
galassie a distanze mai viste prima.
«Abbiamo fatto un salto enorme», ha dichiarato Aayush Saxena, astronomo dell’Università di Oxford. Il fatto che «stiamo parlando della composizione chimica di galassie con redshift 9 è
notevole». Per inciso, redshift 9 è una distanza incredibile, che
corrisponde a un tempo in cui l’universo aveva appena 0,55 miliardi di anni.
Gli spettri galattici sono anche strumenti perfetti per trovare un importante perturbatore di atomi: buchi neri giganti che
si nascondono nel cuore delle galassie. I buchi neri di per sé sono oscuri, ma quando si nutrono di gas e polvere lacerano gli atomi, i quali di conseguenza irradiano colori rivelatori. Molto prima del lancio di JWST, gli astrofisici speravano che il telescopio
li avrebbe aiutati a scovare questi schemi e a trovare un numero
sufficiente dei buchi neri più grandi e attivi dell’universo primordiale per risolvere il mistero della loro formazione.
Troppo grandi, troppo presto
Il mistero è iniziato più di vent’anni fa, quando un gruppo di
scienziati diretto da Fan ha individuato una delle galassie più distanti tra quelle osservate: un brillante quasar, ovvero una galassia ancorata a un buco nero supermassiccio attivo che forse pesa miliardi di Soli. Ha un redshift pari a 5, corrispondente a circa
1,1 miliardi di anni dopo il big bang. Con ulteriori perlustrazioni
del cielo, Fan e i suoi colleghi hanno ripetutamente superato i loro stessi record, spingendo la frontiera del redshift dei quasar a 6
nel 2001 e infine a 7,6 nel 2021, vale a dire a solo 0,7 miliardi di anni dopo il big bang.
Il problema era che la formazione di buchi neri così giganteschi sembrava impossibile così presto nella storia del cosmo.
Come ogni oggetto, i buchi neri richiedono tempo per crescere
e formarsi. E come un bambino alto 1,8 metri, i buchi neri supergiganti di Fan erano troppo grandi per la loro età: l’universo non
era abbastanza vecchio affinché potessero accumulare miliardi di
Soli di peso. Per spiegare questi bambini troppo cresciuti, i fisici
sono stati costretti a considerare due opzioni sgradevoli.
- La prima era che le galassie di Fan fossero iniziate con buchi
neri standard, cioè di massa approssimativamente stellare, del tipo che le supernove lasciano spesso dietro di sé. In seguito questi
buchi neri sarebbero cresciuti sia per fusione tra loro sia per ingestione di gas e polveri circostanti. Normalmente, se un buco nero
si nutre in modo abbastanza energico, i suoi bocconi sono spinti
via da un’emissione di radiazioni. Questo fenomeno ferma la frenesia alimentare e stabilisce un limite di velocità per la crescita
dei buchi neri che gli scienziati chiamano limite di Eddington. Ma
si tratta di un limite non del tutto invalicabile: un torrente costante di polvere potrebbe plausibilmente sopraffare il flusso di radiazioni emesse. Tuttavia, è difficile immaginare di sostenere una simile crescita «super-Eddington» per un periodo sufficientemente
lungo da spiegare le bestie di Fan: avrebbero dovuto ingrossarsi
in modo impensabile.
- O forse i buchi neri possono nascere inverosimilmente grandi. Le nubi di gas nell’universo primordiale potrebbero essere collassate direttamente in buchi neri del peso di
molte migliaia di Soli, producendo oggetti chiamati «semi pesanti»
(heavy seed). Anche questo scenario è difficile da digerire, perché
le nubi di gas così grandi e granulose dovrebbero frammentarsi in
stelle prima di formare un buco nero.
Una delle priorità di JWST è valutare questi due scenari scrutando nel passato e scovando gli antenati più deboli delle galassie di Fan. Questi precursori non sarebbero quasar, ma galassie
con buchi neri un po’ più piccoli in procinto di diventare quasar.
Con JWST, gli scienziati hanno le migliori possibilità di scovare
buchi neri che hanno appena iniziato a crescere: oggetti abbastanza giovani e piccoli da permettere ai ricercatori di stabilirne
il peso alla nascita. Questo è uno dei motivi per cui un gruppo di
astronomi della Cosmic Evolution Early Release Science Survey,
o CEERS, guidato da Dale Kocevski del Colby College, ha iniziato a fare gli straordinari quando ha notato per la prima volta i segni della comparsa di questi giovani buchi neri. «Il numero di questi buchi neri è impressionante»,
ha scritto Jeyhan Kartaltepe, astronoma del Rochester Institute of
Technology, in una discussione su Slack. «Un sacco di piccoli mostri nascosti», ha risposto Kocevski.
Buco nero che assorbe ripetutamente una stella
Una folla di mostri in crescita
Negli spettri del CEERS, alcune galassie sono saltate subito
all’occhio come potenzialmente in grado di nascondere buchi neri bambini: i piccoli mostri. A differenza delle loro sorelle più ordinarie, queste galassie emettevano luce che per l’idrogeno non
arrivava con un’unica tonalità netta. Al contrario, la linea dell’idrogeno era spalmata, o allargata, su una gamma di tonalità, indicando che alcune onde luminose erano state schiacciate quando
le nubi di gas orbitanti hanno accelerato verso JWST (proprio come un’ambulanza in avvicinamento emette un suono crescente
quando le onde sonore della sua sirena sono compresse), mentre
altre onde erano state allungate quando le nubi sono volate via.
Kocevski e i suoi colleghi sapevano che i buchi neri erano praticamente l’unico oggetto celeste in grado di sballottare l’idrogeno
in quel modo. «L’unica via per vedere l’ampia componente del gas che orbita
attorno al buco nero è osservare in profondità nella galassia proprio fino al buco nero», ha detto Kocevski.
A fine gennaio, il gruppo CEERS era riuscito a pubblicare un
preprint che descriveva due dei «piccoli mostri nascosti», come
li hanno chiamati. Poi il gruppo si è messo a studiare sistematicamente una fascia più ampia delle centinaia di galassie considerate dal CEERS per vedere quanti buchi neri ci fossero là fuori.
Ma poche settimane dopo sono stati superati da un altro gruppo, guidato da Yuichi Harikane, dell’Università di Tokyo. Il gruppo di Harikane ha analizzato 185 galassie CEERS tra le più distanti
e ne ha trovate dieci con ampie linee di idrogeno, probabile opera di buchi neri centrali con massa milioni di volte quella del Sole,
a redshift compresi tra 4 e 7. In seguito, a giugno, un’analisi di altre due survey dirette da Jorryt Matthee del Politecnico federale
di Zurigo ha individuato altri 20 «puntini rossi» con ampie righe
di idrogeno: buchi neri che con un redshift di circa 5. Un’analisi
pubblicata a inizio agosto ne ha annunciati un’altra dozzina, alcuni dei quali potrebbero addirittura essere in procinto di crescere per fusione.
«Ho aspettato queste cose per tanto tempo», ha detto Volonteri. «È stato incredibile.» Ma pochi astronomi avevano previsto l’enorme numero di galassie con un grande buco nero attivo. I baby
quasar nel primo anno di osservazioni di JWST sono più numerosi di quanto gli scienziati avessero previsto sulla base del censimento dei quasar adulti: da 10 a 100 volte più abbondanti.
«Per un astronomo è sorprendente essersi sbagliati di un ordine di grandezza o anche di più», ha detto Eilers, che ha contribuito al lavoro sui piccoli punti rossi. «Abbiamo sempre pensato che
a un redshift elevato questi quasar fossero solo la punta dell’iceberg», ha detto Stéphanie Juneau, astronoma del NOIRLab della
National Science Foundation e coautrice dell’articolo sui piccoli
mostri. «Potremmo scoprire che, sotto, questa popolazione [più
fioca] è ancora più grande del normale iceberg».
Questi due arrivano quasi a 11 anni
Ma per scorgere le bestie nella loro infanzia gli astronomi sanno che dovranno spingersi ben oltre redshift 5 e guardare più in
profondità nel primo miliardo di anni dell’universo. Recentemente, diversi gruppo hanno individuato buchi neri che si alimentano a distanze davvero inedite.
A marzo, un’analisi CEERS guidata da Rebecca Larson, astrofisica dell’Università del Texas
ad Austin, ha scoperto una linea larga di idrogeno in una galassia con un redshift di 8,7 (0,57
miliardi di anni dopo il big bang), stabilendo
un nuovo record per il buco nero attivo più distante mai scoperto.
Ma il record di Larson è caduto pochi mesi dopo, quando gli
astronomi della collaborazione JADES (JWST Advanced Deep Extragalactic Survey) hanno messo le mani sullo spettro di GN-z11.
Con un redshift pari a 10,6, GN-z11 si trovava ai margini più deboli della visione del telescopio spaziale Hubble e gli scienziati non
vedevano l’ora di studiarla con occhi più nitidi. A febbraio, JWST
ha osservato GN-z11 per oltre dieci ore e i ricercatori hanno capito subito che la galassia era strana. La sua abbondanza di azoto era
«del tutto fuori dalla norma», ha detto Jan Scholtz, membro di JADES all’Università di Cambridge. Osservare così tanto azoto in una
galassia giovane è stato come incontrare un bambino di sei anni
con la barba, soprattutto quando l’azoto è stato confrontato con
le scarse riserve di ossigeno della galassia, un atomo più semplice
che le stelle dovrebbero assemblare per primo.
A inizio maggio la collaborazione JADES ha proseguito con
altre 16 ore circa di osservazione tramite JWST. I dati aggiuntivi
hanno reso più nitido lo spettro, rivelando che due tonalità visibili di azoto erano estremamente disomogenee: una luminosa e una
fioca. Secondo gli scienziati del gruppo, questo schema indica che
GN-z11 era piena di dense nubi di gas concentrate da una spaventosa forza gravitazionale.
«A quel punto abbiamo capito che stavamo fissando proprio il
disco di accrescimento del buco nero», ha detto Scholtz. Questo
allineamento fortuito spiega perché la galassia lontana era abbastanza luminosa da essere vista da Hubble.
I buchi neri estremamente giovani e affamati come GN-z11 sono proprio gli oggetti che nelle speranze degli astrofisici avrebbero risolto il dilemma su come sono nati i quasar di Fan. Ma, colpo
di scena, si scopre che nemmeno il superlativo GN-z11 è abbastanza giovane o piccolo da permettere ai ricercatori di determinare
in modo definitivo la sua massa di nascita.
«Dobbiamo iniziare a rilevare le masse dei buchi neri a redshift
molto più grandi di 11», ha detto Scholtz. «Non immaginavo che lo
avrei detto, un anno fa, ma eccoci qui».
Un accenno di pesantezza
Nel frattempo, gli astronomi ricorrono a trucchi più sottili per
trovare e studiare i buchi neri appena nati, trucchi come telefonare a un amico – o a un altro telescopio spaziale di punta – per chiedere aiuto.
A inizio 2022, Ákos Bogdán, astronomo all’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, e colleghi hanno iniziato a puntare
periodicamente il Chandra X-ray Observatory della NASA verso
un ammasso di galassie che sapevano sarebbe entrato nella lista
ristretta di JWST. L’ammasso agisce come una lente. Curva il tessuto dello spazio-tempo e ingrandisce le galassie più lontane dietro di sé. Il gruppo di scienziati voleva verificare se qualcuna di
quelle galassie sullo sfondo emetteva raggi X: un tradizionale biglietto da visita di un buco nero vorace.
Nel corso di un anno, Chandra ha fissato la lente cosmica per
due settimane – è stata una delle sue campagne di osservazione
più lunghe – e ha catturato 19 fotoni a raggi X provenienti da una
galassia chiamata UHZ1, a un redshift di 10,1. Molto probabilmente questi 19 fotoni ad alta energia provenivano da un buco nero in
crescita che esisteva già meno di mezzo miliardo di anni dopo il
big bang, rendendolo di gran lunga la sorgente di raggi X più distante rilevata.
Combinando i dati di JWST e Chandra, il gruppo ha scoperto
qualcosa di strano e istruttivo. Nella maggior parte delle galassie
moderne quasi tutta la massa è nelle stelle, con meno di un punto percentuale circa nel buco nero centrale. In UHZ1, invece, la
massa sembra equamente divisa tra stelle e buco nero, ma non è
lo schema che gli astronomi si sarebbero aspettati in base all’accrescimento super-Eddington.
Una spiegazione più plausibile, suggerisce il gruppo di ricerca,
è che il buco nero centrale di UHZ1 sia nato quando una nube gigante è collassata in un buco nero gigantesco, lasciando poco gas
per la formazione delle stelle. Queste osservazioni «potrebbero
essere coerenti con un seme pesante», ha detto Tremblay, che fa
parte del gruppo. È «pazzesco pensare a queste gigantesche palle di gas che collassano».
Immagine ingrandita di Glass-z-13. La galassia più lontana che l'uomo abbia mai osservato.
È un universo di buchi neri
Alcuni specifici risultati della folle corsa agli spettri di questi
ultimi mesi sono destinati a cambiare via via che gli studi passano
al vaglio degli esperti. Ma la conclusione generale, ovvero che l’universo giovane ha generato un gran quantità di buchi neri giganti e attivi con estrema rapidità, è destinata a sopravvivere. Dopo
tutto, i quasar di Fan dovevano pur provenire da qualche parte.
«Il numero esatto e i dettagli di ogni oggetto rimangono incerti, ma convince molto il fatto che stiamo trovando una grande popolazione di buchi neri in accrescimento», ha detto Eilers. «JWST
li ha rilevati per la prima volta e questo è eccitante».
Per gli specialisti di buchi neri è una rivelazione che si stava
preparando da anni. Recenti studi sulle galassie adolescenti e disordinate dell’universo moderno hanno suggerito che i buchi neri attivi nelle galassie giovani erano sottovalutati. E i teorici hanno
tribolato perché i loro modelli digitali producevano continuamente universi con molti più buchi neri di quelli che gli astronomi osservavano nell’universo reale.
«Ho sempre detto che la mia teoria è sbagliata e l’osservazione
è giusta, quindi devo correggere la mia teoria», ha detto Volonteri. Ma forse la discrepanza non indicava un problema con la teoria. «Forse questi piccoli punti rossi non sono stati considerati», ha
detto Volonteri.
Ora che i buchi neri fiammeggianti si stanno rivelando più che
semplici cammei cosmici in un universo che sta crescendo di età, gli
astrofisici si chiedono se riconsiderare quegli oggetti in ruoli teorici più sostanziali potrebbe alleviare altri grattacapi.
Dopo aver studiato le prime immagini di JWST, alcuni astronomi
hanno subito fatto notare che alcune galassie sembravano inverosimilmente pesanti, considerata la loro giovane età. Ma, almeno in alcuni casi, un buco nero dalla luminosità accecante potrebbe indurre i ricercatori a stimare per eccesso il peso delle stelle
circostanti.
Un’altra teoria che potrebbe richiedere una modifica riguarda la velocità con cui le galassie generano stelle, che tende a essere troppo elevata nelle simulazioni di galassie. Kocevski ipotizza
che molte galassie attraversino una fase che determina un rallentamento della formazione stellare: all’inizio sono avvolte da polvere stellare, successivamente il loro buco nero diventa abbastanza potente da disperdere le stelle nel cosmo, rallentando la
formazione stellare. «Potremmo trovarci di fronte a questo scenario in azione», ha detto.
Mentre gli astronomi sollevano il velo dell’universo primordiale, le intuizioni accademiche sono più numerose delle risposte concrete. Per quanto JWST stia già cambiando il modo in cui
gli astronomi pensano ai buchi neri attivi, i ricercatori sanno che
quello che è stato rivelato dal telescopio quest’anno è soltanto un
accenno rispetto a ciò che verrà. Campagne di osservazione come JADES e CEERS hanno trovato decine di probabili buchi neri
che li fissano da porzioni di cielo grandi circa un decimo della Luna piena. Molti altri piccoli buchi neri sono in attesa dell’attenzione del telescopio e degli astronomi.
«Tutti questi progressi sono stati ottenuti nei primi 9 o forse 12
mesi», ha detto Saxena. «Ora abbiamo [JWST] per i prossimi nove
o dieci anni».
L’originale di questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto
2023 da QuantaMagazine.org, una pubblicazione editoriale
indipendente on line promossa dalla Fondazione Simons per
migliorare la comprensione pubblica della scienza.
Traduzione ed editing a cura di «Le Scienze». Riproduzione
autorizzata, tutti i diritti riservati.
Tabella dei buchi neri
Eugenio Caruso - 15 settembre 2023