Ivan Alekseevic Bunin raffinatissimo scrittore russo

Mi rivolgo a tutti i parenti e agli intimi, a tutti gli uomini di buona volontà, mi rivolgo a tutti quelli che hanno un cuore aperto alla poesia e alla compassione.

Erofeev


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

I RUSSI

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Ivan Alekseevic Bunin (Voronež, 22 ottobre 1870 – Parigi, 8 novembre 1953) è stato uno scrittore e poeta russo; fu il primo russo ad esser insignito del Premio Nobel per la letteratura, nel 1933. Ivàn Bùnin in Russia è considerato un intellettuale e uno scrittore dallo stile raffinatissimo, tuttavia non solo non aveva studiato all’università, ma neanche al liceo, e aveva solo frequentato qualche classe del ginnasio. Il futuro scrittore nacque nel 1870 a Voronezh, 525 chilometri a sud di Mosca, e suo padre lo mandò in un ginnasio maschile nella città di Elets. Cinque anni dopo, il ragazzo andò nella tenuta di famiglia per le vacanze di Natale e non tornò mai più a scuola.
Tuttavia, sarebbe ingiusto affermare che Bunin era poco istruito. Fin dalla tenera età, crebbe in una famiglia in cui Pushkin era citato a memoria. E, come ogni bambino nobile che si rispettasse, aveva un istitutore, che svolse il suo lavoro alla perfezione: non solo il ragazzo ebbe buone letture, ma imparò diverse lingue, incluse il latino e l’inglese. Questo in seguito sarebbe stato di grande aiuto per lo scrittore alle prime armi, che, per la traduzione di “The Song of Hiawatha” dello statunitense Henry Longfellow, ricevette i primi plausi della critica e il primo significativo premio letterario.

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Bunin, ritratto


Ivan Bunin aveva due fratelli e una sorella (in totale sua madre ebbe nove figli, ma cinque morirono da piccoli). Dopo l’inglorioso abbandono del ginnasio da parte di Ivan, fu il maggiore dei fratelli, Julij, a occuparsi dell’istruzione del ragazzo, di cui era più grande di 13 anni. Si rese subito conto che Ivan non capiva la matematica e ne aveva persino paura, così scommise sulle discipline umanistiche. E ebbe ragione.
Per i bambini nobili, comporre poesie era abbastanza comune: la capacità di mettere qualche verso in rima faceva parte dell’etichetta. Bunin iniziò a scrivere poesie abbastanza presto, e quando aveva 15 anni, una delle sue composizioni venne pubblicata su una rivista letteraria.
Per qualche tempo, Bunin provò a lavorare come redattore, ma non era uno che riusciva a star fermo a una scrivania: era assetato di vita, si spostava di città in città, viaggiava. Alla fine, in cerca di fama e guadagni letterari, partì alla conquista di San Pietroburgo e Mosca. Andò rapidamente d’accordo con l’élite poetica e letteraria di entrambe le città, parlò con poeti simbolisti alla moda, incontrò Anton Chekhov e andò a visitare il già leggendario Lev Tolstoj (in provincia aveva frequentato molti seguaci del tolstoismo).
A Mosca, Bunin divenne membro del circolo letterario “Sredà” insieme a scrittori famosi del suo tempo come Maksim Gorkij e Leonid Andreev. Eppure lui non aveva ancora alcuna gloria letteraria. Iniziarono a parlare di lui solo dopo la pubblicazione della raccolta di poesie in stile simbolista “Listopad” (ossia “La caduta delle foglie”) nel 1901. Alcuni critici . La giuria del Premio letterario Pushkin riconobbe nelle poesie di Bunin “un bellissimo linguaggio figurativo, non preso in prestito da nessuno”, e gli conferì il prestigioso riconoscimento.
Veniva da una famiglia nobile impoverita, inoltre, era il figlio maschio più giovane, quindi non ereditò niente. Fin dalla tenera età cercò di guadagnarsi da vivere, ma senza grosso successo. Viveva in povertà, chiedeva soldi al fratello maggiore, e si vergognava molto della sua posizione. Tuttavia, la passione per i viaggi era così grande che Bunin si licenziava continuamente dai posti di lavoro e partiva per nuove mete, prendendo denaro in prestito. E questo comportamento proseguì per un periodo piuttosto lungo della sua vita.
La prima “moglie non sposata” di Bunin è considerata l’emancipata e intelligente Varvara Pashchenko, che lavorava con lo scrittore nella stessa rivista di provincia. I genitori di lei non acconsentirono al matrimonio, quindi la coppia visse in povertà. Bunin, però, si lasciò trasportare dalla vita sociale e continuò i suoi vagabondaggi. Varvara non resistette, e lo lasciò nel 1894.
Alcuni anni dopo, a Odessa, Bunin incontrò la figlia di un ricco greco, direttore di una rivista locale, Anna Tsakni, e si sposò ufficialmente. Bunin visse con la sua giovane moglie solo per un paio d’anni, continuando a chiedere soldi a suo fratello, perché era imbarazzato a chiederli al suocero. Durante un’altra avventura del suo continuo girovagare, a Mosca Bunin incontrò Vera Muromtseva, a casa di lei durante una serata di poesia. Ancora una volta, prendendo in prestito denaro da un amico, lo scrittore la portò in viaggio. Visitarono la Palestina, l’Egitto e Ceylon. Durante questo tour, lui scrisse celebri racconti come “Il signore di San Francisco” , “Un respiro leggero” , e molti altri. Vennero accolti dalla critica con entusiasmo, e iniziarono a essere ampiamente discussi.

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Francobollo stampato in Russia in occasione del premio Nobel


Bunin era a Mosca quando scoppiò la Rivoluzione. Fu colpito dalle rivolte, dagli spari e iniziò a tenere un diario dettagliato, che in seguito pubblicò con il titolo “Giornate maledette”. Molti dei suoi colleghi scrittori accolsero la Rivoluzione con entusiasmo, ma non lui. Non accettando i bolscevichi, Bunin e Vera lasciarono Mosca, e su treno stracarico di profughi, raggiunsero Odessa.
Scoppiò la Guerra Civile e Bunin lavorò nel dipartimento di propaganda del generale bianco Anton Denikin, che era al comando dell’esercito volontario anti-bolscevico che operava nel Sud della Russia. Dopo un anno e mezzo di conflitto, era ormai chiaro che i bolscevichi stavano vincendo. E nel gennaio 1920, Bunin e la Muromtseva salirono a bordo di un piroscafo pieno di persone in fuga e lasciarono la Russia per sempre. La coppia raggiunse Parigi, dove Bunin iniziò a scrivere molto attivamente. Le sue opere cominciarono a essere pubblicate da riviste e case editrici di emigrati russi in tutta Europa, e la penuria di denaro fu solo un vecchio ricordo.
In 33 anni della sua vita in Francia, Bunin non imparò il francese: la comunità degli emigrati russi era vasta. Dagli anni Venti, gli “scrittori russi in esilio” che vivevano a Parigi, tra cui Ivan Shmelev, Dmitrij Merezhkovskij, Konstantin Balmont, iniziarono a nominare i loro candidati al Premio Nobel per la letteratura. Di conseguenza, fu Bunin a diventare il primo scrittore russo a ricevere l’ambito riconoscimento. Era il 1933 e nelle motivazioni si legge “per la precisione artistica con la quale ha trasposto le tradizioni classiche russe in prosa”. Se si desidera leggere qualcosa di tema amoroso della letteratura russa, un libro di Bunin è quello che vi ci vuole. Le sue storie eleganti e liriche sono piene di simbolismo. Le donne nelle sue opere sono persone effimere e misteriose, di gran lunga al di sopra degli uomini. Non sono più le giovani donne caste della letteratura del XIX secolo, ma bellissime creature nate per un amore fugace e luminoso.
Le sue opere principali sono i romanzi brevi “La vita di Arsenjev” (Nell’opera (il cui titolo originale in russo è "La vita di Arseniev", tradotto in italiano come "La giovinezza di Arseniev" dalla casa editrice "Bietti" nel 1930, l’autore ricostruisce la sua giovinezza, lasciando in eredità al mondo un capolavoro della letteratura, dove le riflessioni di carattere personale si mescolano a rappresentazioni idilliache della natura locale, sullo sfondo di alcuni fatti storici che anticipano uno dei periodi più turbolenti della storia russa) e “L’amore di Mitja” e i racconti “Le mele di Antonov”, “Un respiro leggero”. Uno dei vertici della sua creatività è poi la raccolta di racconti “Viali oscuri”. In tutte queste opere, Bunin è un innovatore: sembra che metta in prosa poesie liriche, approfondendo le sfumature dei sentimenti e delle esperienze dei protagonisti.
Morì nel 1953 nel suo appartamento parigino per un infarto dopo che una polmonite lo aveva debilitato già a partire da alcuni anni. È sepolto nel Cimitero Russo di Sainte-Geneviève-des-Bois. Negli anni cinquanta – dopo la sua morte e dopo il XX Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica – le sue opere cominciarono ad essere pubblicate anche nell'URSS. Da allora anche in patria è molto letto e considerevolmente apprezzato. Molto è stato tradotto in italiano del corpus delle opere di Ivan Bunin, ma molto è anche fuori catalogo, esaurito, e di difficile reperibilità in commercio. Tra le edizioni più recenti, che sicuramente potrete trovare in libreria segnaliamo: “Il signore di San Francisco e altri racconti”, Adelphi, 2020, nella traduzione di Claudia Zonghetti, e “Il villaggio”, Corbaccio, 2019. Si trovano poi: “A proposito di Cechov”, Adelphi (2015, Claudia Zonghetti) in cui racconta la sua frequentazione con il grande scrittore (qui la riduzione teatrale su Rai Radio3). E infine “L’ombra di Huma: poema di un viaggiatore: Turchia, Grecia, Egitto, Palestina, Libano”; il resoconto di uno dei celebri viaggi di Bunin; Lemma Press, 2017, nella traduzione di Ugo Persi.

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Statua di Bunin a Mosca

Opere

Romanzo

  • La vita di Arseniev (2 voll. 1927–1933, 1939)

Romanzi brevi

  • Il villaggio (1910), traduzione di N. Artinoff, Milano, Corbaccio, 2019.
  • Valsecca (1912)
  • L'amore di Mitja (1924)

Raccolte di racconti

  • Ai confini del mondo e altre storie (1897)
  • Fiori di campo (1901)
  • La grammatica dell’amore, 1915, trad. Tommaso Landolfi, 1948
  • Il signore di San Francisco e altri racconti (traduzione di Claudia Zonghetti, Milano, Adelphi, 2015.

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  • Insolazione (Paris, 1927)
  • Albero sacro (Paris, 1931)
  • Viali oscuri (New York, 1943; Paris, 1946), Roma, Salerno, 1986.
  • Giudea in primavera (New York, 1953)
  • Orecchie a sventola e altre storie (1954, New York, postumo)

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Saggi e memorie

  • Giorni maledetti, 1935, trad. Marta Zucchetti, Roma, Voland, 2021.

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  • Memorie, 1950
  • A proposito di Čechov, (1955), trad. Claudia Zonghetti, a cura e con una prefazione di Claire Hauchard, Collana Piccola Biblioteca, Milano, Adelphi, 2015.


Il villaggio

Il bisnonno dei Krassov, soprannominato, fra la servitù, lo Zingaro, era stato sbranato dai mastini del suo signore, il capitano di cavalleria Durnovo. Lo Zingaro gli aveva tolto l'amante. Durnovo ordinò di condurre lo Zingaro in un campo fuori dal villaggio e di farlo sedere su un cumulo di terra, poi egli stesso uscì fuori con la sua muta e gridò: «Taiuh!». Lo Zingaro dopo un momento di sbalordimento si diede alla fuga. Ora, sappiamo che non bisogna mai correre davanti ai cani.
Non si sa per quale ragione il nonno dei Karsovv, liberato dalla schiavitù, andò ad abitare in città con la famiglia e divenne in breve celebre come ladro. Prese in affitto nel Sobborgo Nero una casupola, e vi mise la moglie a far merletti che poi vendeva, mentre egli in compagnia di un certo Bielocopitov scorazzava per la provincia, depredando le chiese. Due anni dopo fu catturato. Ma davanti al tribunale si difese in maniera tale che per parecchio tempo le risposte da lui date ai giudici divennero popolari.

 

Giorni maledetti

Questo anno maledetto è finito. E ora? Forse qualcosa di ancora più terribile ci attende. Credo sia proprio così.

Citazioni

  • Ci si salva solo grazie alla debolezza delle proprie doti, alla debolezza dell'immaginazione, della capacità di prestare attenzione, del pensiero - altrimenti sarebbe impossibile vivere. (p. 58)
  • "Le rivoluzioni non si fanno in guanti bianchi..." E sia, ma allora perché scandalizzarsi se le controrivoluzioni si fanno con il tirapugni? (p. 74)
  • Non c'è anima che possa fare a meno di mentire, che possa evitare di aggiungere le proprie menzogne, la propria personale aberrazione a una diceria notoriamente falsa. E tutto per l'insostenibile brama di vedere la realtà coincidere con i propri desideri. (p. 82)
  • E proprio nei circoli e nei teatri (per ammirare i propri giullari di corte) - molto spesso in compagnia di ragazze tutte in ghingheri - si precipita, sfrecciando lungo vie stranamente deserte e ancora chiare a bordo di automobili spericolate, l'aristocrazia rossa al gran completo: marinai con enormi Browning alla cintura, scippatori, efferati criminali e alcuni elegantoni ben rasati in giacca e pantaloni galife dall'aria molto libertina, con stivali dai gambali attillati provvisti degli immancabili speroni, tutti con i denti d'oro e gli occhi torbidi e dilatati dalla cocaina... (p.95)
  • In generale, la cosa più terrificante, la più terribile e vergognosa non sono nemmeno gli orrori e le oscenità, ma il fatto che sia necessario chiarirli, discutere se siano buoni o cattivi. (p. 111)

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10 dicembre 2023 - Eugenio Caruso

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