Il problema energetico negli anni '80. Gli errori dell'impresa di stato.

Agli inizi degli anni ottanta, la contrazione del consumo energetico rispetto al pil, porta ad una riduzione dei consumi e il contro-shock petrolifero, del 1985, alla brusca caduta del prezzo del petrolio. Questa situazione determina uno stato di euforia, il periodo espansivo dell'economia mondiale sembra inarrestabile e tutti si dimenticano del problema energetico, anche se, dal 1985, i consumi tornano ad aumentare a ritmo sostenuto.

L'Enel, imbozzolata dalle sue sballate previsioni, dalle sue lentezze e dai soliti problemi finanziari, e sempre tallonata da enti locali e ambientalisti, si trova impreparata all'impennata dei consumi ed è costretta ad importare energia elettrica dall'estero, in particolare dalla Francia che si ritrova un eccesso di capacità produttiva grazie alla politica nucleare portata avanti nel corso degli anni. Nel 1989 tali importazioni raggiungono il 15% del consumo totale; è inutile sottolineare quanto questa situazione costi al Paese in termini di mancati investimenti e mancati posti di lavoro, che potrebbero essere coperti se quel 15% di produzione fosse endogena.

Nel 1988 il consiglio di amministrazione dell'Enel vara un piano di emergenza da 3.000 megawatt, che poggia sulla costruzione di impianti policombustibili, sul ripotenziamento degli impianti esistenti con turbime a gas e sulla costruzione di sistemi a ciclo combinato; il progetto viene approvato dal piano energetico del 1988.
 
Sintetizzando la storia dell'Enel, dalla nazionalizzazione fino all'era di Testa e Tatò, si possono fare alcune considerazioni: sulle scelte del tipo di impianto da realizzare, l'ente si è trovato quasi sempre spiazzato rispetto alle condizioni al contorno. Alla vigilia della crisi petrolifera del 1973, l'Enel aveva deciso di acquistare centrali a olio combustibile. Dopo la crisi petrolifera c'è stata la scelta nucleare, ma, ritardi e tergiversazione sul tipo di reattore non hanno consentito di attuare una minima riserva di impianti, come stava avvenendo in tutti i paesi industrializzati.
Il fallimento del nucleare ha indirizzato la programmazione verso il carbone con successi veramente modesti. Dopo il contro shock petrolifero, l'Enel ha puntato sugli impianti policombustibili, molto costosi, con il prezzo del gas in rapida ascesa e l'ostracismo dei comuni all'uso del carbone. 
Infine c'è stata la scelta degli impianti a ciclo combinato a gas (1), ma anche in questo caso l'Enel è rimasta al palo indecisa tra repowering (2) e costruzione di nuovi impianti.

Al termine della storia, l'Enel è rimasta con le sue centrali ad olio combustibile e con la necessità di acquistare il costosissimo combustibile a basso tenore di zolfo per rispettare le normative ambientali. L'ente non ha mai adottato una strategia proattiva ma è sempre stato, solo reattivo alle vicissitudine dell'ambiente esterno.
La nazionalizzazione aveva creato l'ennesimo carrozzone caratterizzato da inefficienza e deresponsabilizzazione.

Mentre l'Enel si dibatte tra i suoi dubbi amletici, in tutto il mondo, tra il 1970 e il 1980 la produzione di energia elettrica da fonte nucleare passa da 150 miliardi a 620 miliardi di kWh.

Eugenio Caruso

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(1) Impianti che usano turbine a gas, a monte, e turbine a vapore, a valle.

(2) Interventi su impianti già esistenti.


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