Pico della Mirandola, grande filosofo e letterato«[...] Già il Sommo Padre, Dio Creatore, aveva foggiato, [...] questa dimora del mondo quale ci appare, [...]. Ma, ultimata l'opera, l'Artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di un'opera così grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. [...] Ma degli archetipi non ne restava alcuno su cui foggiare la nuova creatura, né dei tesori [...] né dei posti di tutto il mondo [...]. Tutti erano ormai pieni, tutti erano stati distribuiti nei sommi, nei medi, negli infimi gradi. [...]» (Giovanni Pico della Mirandola, Oratio de hominis dignitate, 1486) GRANDI PERSONAGGI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo. ITALIANI (Giova ricordare che, partendo dagli scrittori latini, fino a oggi la letteratura italiana è la più ricca del pianeta). Alfieri - Angiolieri - Ariosto - Boccaccio - Boiardo - Carducci - Cavalcanti - D'Annunzio - Da Lentini - Dante - Fibonacci - Foscolo - Guinizzelli - Leopardi - Machiavelli - Manzoni - Mirandola - Monti - Pascoli - Petrarca - Pirandello - Poliziano - S. Benedetto - Tasso - Verga -
Dipinto di Cristofano dell'Altissimo raffigurante Giovanni Pico della Mirandola, Galleria degli Uffizi Giovanni Pico dei conti della Mirandola e della Concordia, noto come Pico della Mirandola (Mirandola, 24 febbraio 1463 – Firenze, 17 novembre 1494), è stato un umanista e filosofo. È l'esponente più conosciuto della dinastia dei Pico, signori di Mirandola.
L'infanzia di Pico della Mirandola, di Paul Delaroche, 1842, Museo delle belle arti di Nantes (Francia)
Epigrafe che ricorda Pico della Mirandola in via del Turco a Ferrara
Marsilio Ficino, Giovanni Pico della Mirandola e Agnolo Poliziano, ritratti da Cosimo Rosselli nella Cappella del Miracolo del Sacramento a Firenze
DottrinaIl pensiero di Pico della Mirandola si riallaccia al pensiero neoplatonico di Marsilio Ficino, senza però occuparsi della polemica anti-aristotelica. Al contrario, egli cerca di riconciliare aristotelismo e platonismo in una sintesi superiore, fondendovi anche altri elementi culturali e religiosi, come per esempio la tradizione misterica di Ermete Trismegisto e della cabala. L'ideale di una filosofia universale[Il proposito di Pico, esplicitamente dichiarato ad esempio nel De ente et uno, consiste infatti nel ricostruire i lineamenti di una filosofia universale, che nasca dalla concordia fra tutte le diverse correnti di pensiero sorte sin dall'antichità, accomunate dall'aspirazione al divino e alla sapienza, e culminanti nel messaggio della Rivelazione cristiana. In questo suo ecumenismo filosofico, oltre che religioso, vengono accolti non solo i teologi cristiani ed esoterici insieme a Platone, Aristotele, i neoplatonici e tutto il sapere gnostico ed ermetico proprio della filosofia greca, ma anche il pensiero islamico, quello ebraico e appunto cabalistico, nonché dei mistici di ogni tempo e luogo.[20] Il congresso da lui organizzato a Roma in vista di una tale "pace filosofica" avrebbe dovuto inserirsi proprio in questo progetto culturale basato su una concezione della verità come princìpio eterno ed universale, al quale ogni epoca della storia ha saputo attingere in misura in più o meno diversa. In seguito tuttavia ai vari contrasti che gli si presentarono, sorti a causa della difficoltà di una tale conciliazione, Pico si accorse che il suo ideale era difficilmente perseguibile; ad esso, a poco a poco, si sostituirà nella sua mente il proposito riformatore di Girolamo Savonarola, rivolto al rinnovamento morale, più che culturale, della città di Firenze. L'armonia universale da lui ricercata in ambito filosofico si trasformerà così nell'aspirazione religiosa ad una santità e una moralità meno generica e più attinente al suo particolare momento storico. A differenza di Ficino, nel Pico emergono dunque nei suoi ultimi anni un maggiore senso di irrequietezza e una visione più cupa ed esistenziale della vita.[20] La dignità dell'uomoAl centro del suo ideale di concordia universale risalta fortemente il tema della dignità e della libertà umana. L'uomo infatti, dice Pico, è l'unica creatura che non ha una natura predeterminata, poiché: La sapienza della CabalaIl secondo grande interesse di Pico è rivolto alla cabala, che viene da lui spiegata come una fonte di sapienza a cui attingere per decifrare il mistero del mondo, e nella quale Dio appare oscuro, in quanto apparentemente irraggiungibile dalla ragione; ma l'uomo può ricavare la massima luce da tale oscurità. Critica dell'astrologia Se la magia è giudicata positivamente da Pico della Mirandola, per quanto riguarda invece l'astrologia egli ebbe un atteggiamento diverso, che lo portò a distinguere nettamente tra «astrologia matematica o speculativa», cioè l'astronomia, e l'«astrologia giudiziale o divinatrice»; mentre la prima ci consente di conoscere la realtà armonica dell'universo, e dunque è giusta, la seconda crede di poter sottomettere l'avvenire degli uomini alle congiunture astrali.[27] Partendo dall'affermazione della piena dignità e libertà dell'uomo, che può scegliere cosa essere, Pico muove una forte critica a questo secondo tipo di credenze e di pratiche astrologiche, che costituirebbero una negazione proprio della dignità e della libertà umane. OpereOpera quae exstant omnia di Pico della Mirandola stampata nel 1601
Secondo alcuni studi, a Pico della Mirandola sarebbe da attribuire anche la paternità dell'Hypnerotomachia Poliphili L'UOMO INTERPRETE DEL SUO DESTINO Già il Sommo Padre, Dio creatore, aveva foggiato secondo le leggi di un’arcana
sapienza questa dimora del mondo quale ci appare, tempio augustissimo della
divinità. Aveva abbellito con le intelligenze la zona iperurania, aveva avvivato di
anime eterne gli eterei globi, aveva popolato di una turba di animali d’ogni specie
le parti vili e turpi del mondo inferiore. Senonché, recato il lavoro a compimento, l’artefice desiderava che ci fosse qualcuno capace di afferrare la ragione di
un’opera sì grande, di amarne la bellezza, di ammirarne la vastità. NDR Giova ricordare che la frase Homo faber fortunae suae è attribuita all'autore romano Appio Claudio Cieco (350–271 a.C.), che la usò nelle sue Sententiae riferendosi alla capacità dell'essere umano di guidare il proprio destino e gli eventi che lo circondano.
EPISTOLE A ERCOLE D'ESTE llustrissime Princeps ac excellentissime Domine, Domine mi obsevandissime. Essendomi venuto a notitia come il Conte Antonio Maria mio fratello s’è querelato a la Celsitudine Vostra circa il facto de la provisione etc., dubitando io esser stimato circa ciò de simile animo et intentione, m’è parso per questa mia far noto a la Excellentia Vostra che, essendomi stato continuamente il Magnifico Messer Galeoto non fratello ma patre, mia intentione è non descompiacergli mai in veruna cosa; anzi le demonstration grandissime d’amore che de continuo me ha facto con li boni effecti me persuadeno a voler essere sempre obedientissimo, prima però a la Excellentia Vostra come bono et fidelissimo servitore, poi a Sua Signoria come bon figliolo. A la prelibata Celsitudine Vostra et a la Illustrissima sua consorte humiliter me raccomando. A FEDERICO GONZAGA Illustris et excelse Domine, Domini mi honorandissime etc. Hauendo deliberato di andare fra quindeci o venti dì a Ferrara al studio, dove forsi per tal causa dimorarò circha quatro o cinque anni, et volendo mandare a quella citate quelle robe le quale mi serano necessarie per il mio stare ivi et de la famiglia mia, lo inventario de le quale serà monstrato a Vostra Excellentia per lo presente exhibitore, èmmi necessario per maggior commoditate, movendole dal nostro castello de la Concordia et arivando al fiume di Po, passare per il tenire di Vostra Ilustrissima Signoria. Per la qual cosa io prego quella si voglia dignare di concedermi uno mandato per vigore del quale possi liberamente senza alcun pagamento de dacii, de portione di gabelle né di altra inquietudine che si potesse fare, condure le dicte robe et altre che successivamente di tempo in tempo mi siano necessarie ut supra. Farammi di ciò grandissima comoditate, et singularissimo appiacere ne riceverò da Vostra Excellentia di usarmi tal liberalitade, a cui continuamente mi raccomando etc. AD ALFANO DEGLI ALFANI Alphano mio. Hebbi da M. Angelo el vostro libro, et molto caro ve ne ringratio: li caratteri sono indiani. Vi prego diciate al Maxeo ch’io ho ad Roma, con altri mei libri, certi soi quinterni. Como li ho qui, glieli manderò, alli piaceri vostri. A LORENZO DEI MEDICI Magnifico Lorenzo. Se nostro S.r vole commettere qui, o ad quello Vescovo che scrive lo oratore, o ad altri che intenda s’io sento delle conclusione mie quello che sua S.tà ne ha determinato, o altramente, lo po’ fare et io sarò paratissimo et ad lui et ad ogni altro far sempre intendere ch’io ho le predecte conclusioni per tale, quale nostro S. ha indicato che lo siano: nè mai o in scripti o in parole tentarò cosa alcuna in oppositum. Quando volessino ch’io confessassi havere mai per alcun tempo transgresso lo edicto di N.S. et non observato quello che S.S.tà nella bolla sua comanda, prima a loro non è onore che de’ loro comandamenti sia stato tenuto poco conto, alla fede non è utile, ma piuttosto scandalo, a me è gravissimo preiuditio, perchè quantunche io sia poi absoluto dalla pena che ne consequirebbe, non posso mai essere absoluto dall’infamia et onta del peccato, del quale bisogna nella absolutoria si faccia expressa mentione, et quod peius est saria cosa iniustissima, perchè io confessarei havere facta cosa ch’io non fea mai. Il che a loro po’ esser manifestissimo: però che la bolla di N.S. fu publicata in Roma a dì XV di Dicembre, et non prima, di che tutta a città po far testimone, et ad mia notitia pervenne alli sei del mese sequente, essendo io nel cammino di Franza. E benchè la data della bolla sia del mese di Agosto, nondimeno sanno ch’io non sono, nè veruno altro è obligato ad obedirgli insino che la non è publicata. Da quello tempo in qua, non solo io non ho transgresso in parte alcuna lo edicto di N.S., ma non ho mai curato altro, se non da ogni canto et per ogni via a me possibile far constare alla S.tà sua la mia obedientia et levargli ogni suspitione che potesse essere in contrario. Di questo ne ponno far fede gli Oratori soi che erano in Franza, se non voglono tacere el vero, alli quali offersi non una, ma molte volte et privatim et publice etiam nel mezo della Università di Parigi confessare el iuditio mio delle conclusioni esser tale, quale N.S. havea iudicato. La M.tia Vostra si po ricordare quante volte gli ho fatto intendere ch’io non desidero altro che far cognoscere al nostro S.re la obedientia mia. Quando loro allegassino che prima ch’io partissi da Roma io giurai non diffendere le conclusioni dannate da quelli padri ad li quali nostro S.re havea data questa cura, io non giurai mai questo, ma bene giurai de avere le conclusioni mie per tale quale Nostro Signore et loro le iudicassino. Et benchè del parere delli Padri fussi già certo, non era certo di quello di N.S., dal quale principalmente dependeva, nè mai seppi el loro iuditio esser confirmato da sua Santità, se non quando lessi la bolla, ne la quale Sua S.tà dice: quorum iuditium apostolica auctoritate firmamus. Hor voglo intrar in iustificatione della causa mia, nè per altro merito cercho la declaratione di N.S. che per intercessione della M.tia V. la quale non mi valerebbe a niente se la causa mia fusse chiara talmente che etiam li inimici miei in modo alcuno la potessino calumniare. Vaglami la auctoritate vostra ad questo, che senza altra discussione di questa cosa, la quale avendosi ad far e per lettera sarebbe di gran tempo et gran fastidio, che N.S. sia contento fare in mio benefitio quello più ch’el può senza preiudicare o alla fede o al honor suo. Quello che io desidero è un breve ne la forma ch’io scriverò di sotto. Faccia vedere la Sua Santità se per concederlo ne li po nascere o danno o vergogna o scandalo alcuno nella ecclesia di Dio, ch’io so gli sarà dicto di no, se ne saranno domandati uomini non passionati. El breve voria che fusse in questa forma: «Havendo tu già proposto per disputare alcune conclusioni etc., fu iudicato per noi che el libro di quelle non fusse letto, come in una nostra tale bolla si contiene etc.; di poi nacque qualche suspitione che tu non avessi obedito ad lo edicto nostro etc. Et havendo noi indagato questa cosa diligentemente tandem ad noi è constato della innocentia tua circa ciò et havemo apertamente conosciuto te non havere in cosa alcuna contrafacto ad la decta bolla nostra, poichè tu havesti notizia d’esta. Et per questo, ad ciò che la tua innocentia sia così nota ad ogni altro come la è ad noi, declariamo per questo breve te non essere incorso alcuna pertinacia eretica e consequentemente niuna censura o pena debita ad chi incorre in simile errore, ma t’havemo per bon figlolo di Santa Chiesia». In questa sententia vorei el breve adaptandolo con quelli termini che usa la corte et che sono necessarii per far la absolutione la più efficace, di che se haverà parere da chi se ne intende quando nostro S. sia disposto al farlo. Potrà anche la M.tia dell’Oratore mandare un poco di minuta del breve voranno far loro, se N.S. è disposto. E perchè el Conte Antonio mio fratello mi dice Monsignor di Napoli havergli decte due cose, l’una che da non so che Vescovo da Parigi gli è stato significato ch’io parlai là contro la bolla di N.S., l’altra ch’io scrivo di novo di questa materia, alla prima dico che sono contento che N.S. mai mi faccia grazia alcuna quando possa con vero intendere che a Parigi in veruno loco nè publico nè privato parlassi contro alla bolla sua. Anzi feci sempre lo opposito, come ho dicto e sanolo li oratori che erano là se lo voglano dire. Alla S.ria io non ho scripto altro di nuovo che quella expositione sopra el Genesi ch’io ho mandata alla M.tia. Vostra, e lei po far fede se è contra el Papa o no, che tanto è distante dalle materie di quelle conclusioni quanto è el cielo dalla terra. Et per certo questa mia opera sarebbe in tutto vana di cercare con tanta instantia ch’el se intendesse ch’io fussi stato obediente a N. S. quando io fussi in proposito di far pubblicamente l’opposito. A NICOLO' MICHELOZZI Prestantissimo viro domino Nicolao Michel. Magnifici Laurenti Med. Secretario Amico optimo honorando. Romae. Ser Niccolò mi carissimo et honorando. Vi ringratio sommamente della ambasciata mi mandasti per Roberto alla partita vostra. Heri el Magnifico Lorenzo mi mandò a dire per el cancelliere ch’io scrivessi ad Messer Cosmo di Pazzi che ’l vi faccia intendere tutti li bisogni che ’l vede li per expedientia delle cose mie che lui ve havea data amplissima commissione sopra epse. Io l’ho più caro che s’io gli fussi io in persona perché so farete con quello medesimo animo per me che faresti per vui et saprete molto meglio che non saprei io. Ho scripto a Messer Cosmo el volere del Magnifico Lorenzo. Nunc tibi et me et causam meam commendo. Se voi potete con destro modo cavare dal Maestro di Casa del Papa li libri di Mitridate, mi farete cosa gratissima et ve li rimandarò in uno mese; pagarò le vetture e gabelle et ogni spesa: ma non bisogna mostrare di volerli per me che non ve li darebono. Ad vui mi raccomando. SONETTI E quando mai con sì crudel ventura
Volto colà, dove più bella parte 30 aprile 2024 - Eugenio Caruso Il fiore di girasole, logo del sito, unisce natura, matematica e filosofia. |
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