San Francesco, uno dei capofila della letteratura italiana.

«La sua carità si estendeva, con cuore di fratello, non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello. Per lo stesso motivo, il suo amore e la sua simpatia si volgevano in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l'immagine di Dio» (Tommaso da Celano, Vita prima 77, in FF 455)


GRANDI PERSONAGGI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi letterati una nuova stella che nasce nell'universo.

ITALIANI (Giova ricordare che, partendo dagli scrittori latini, fino a oggi la letteratura italiana è la più ricca del pianeta).

Alfieri - Angiolieri - Ariosto - Boccaccio - Boiardo - Carducci - Cavalcanti - D'Annunzio - Da Lentini - Dante - Fibonacci - Foscolo - Guinizzelli - Leopardi - Machiavelli - Manzoni - Mirandola - Monti - Pascoli - Petrarca - Pirandello - Poliziano - S. Francesco - Tasso - Verga -

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San Francesco d'Assisi, opera di Luca Giordano, XVII secolo.

Francesco d'Assisi, nato Giovanni di Pietro di Bernardone (Assisi, 1181/1182 – Assisi, 3 ottobre 1226), è stato un religioso, poeta, e fondatore dell'ordine che da lui poi prese il nome (Ordine Francescano), è stato proclamato santo da papa Gregorio IX nel 1228; dichiarato, assieme a santa Caterina da Siena, patrono principale d'Italia il 18 giugno 1939 da papa Pio XII, il 4 ottobre ne viene celebrata la memoria liturgica in tutta la Chiesa cattolica (festa in Italia; solennità per la Famiglia francescana).
Profondamente ascetico, era conosciuto anche come "il poverello d'Assisi" per via della sua scelta di spogliarsi di ogni bene materiale e condurre una vita minimale, in totale armonia di spirito. Oltre all'opera spirituale, Francesco, grazie al Cantico delle creature, è riconosciuto come uno degli iniziatori della tradizione letteraria italiana; giova notare che dopo i grandi letterati romani il primo che scrisse nella lingua che i poveri capivano fu Francesco.
Francesco, che aveva un fratello di nome Angelo, nacque nel 1181 o nel 1182 da Pietro di Bernardone e, secondo testimonianze molto tardive, dalla nobile provenzale Madonna Pica, in una famiglia della borghesia emergente della città di Assisi che, grazie all'attività di commercio di stoffe, aveva raggiunto ricchezza e benessere. Sua madre lo fece battezzare con il nome di Giovanni (dal nome di Giovanni Battista) nella chiesa costruita in onore del patrono della città, il vescovo e martire Rufino, cattedrale dal 1036. Il padre, tuttavia, decise di cambiargli il nome in Francesco, insolito per quel tempo, probabilmente in onore della Francia che aveva fatto la sua fortuna.

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Cimabue, presunto ritratto di San Francesco, Assisi, Basilica inferiore.

La sua casa, situata al centro della città, era provvista di un fondaco, utilizzato come negozio e magazzino per lo stoccaggio e l'esposizione delle stoffe che il mercante si procurava con i suoi frequenti viaggi in Provenza. Il padre Pietro vendeva la sua pregiata merce in tutto il territorio del Ducato di Spoleto di cui, all'epoca, faceva parte anche la città di Assisi. Le varie agiografie di Francesco non parlano molto della sua infanzia e della sua giovinezza: è comunque ragionevole ritenere che egli fosse stato indirizzato dal padre a prendere il suo posto negli affari della famiglia. Dopo aver frequentato la scuola presso i canonici della cattedrale, nella chiesa di San Giorgio (dove, a partire dal 1257, venne costruita l'attuale basilica di Santa Chiara), a quattordici anni Francesco si dedicò a pieno titolo all'attività del commercio. Egli trascorreva la sua giovinezza tra le liete brigate degli aristocratici assisani e la cura degli affari paterni, riguardanti l'attività di commercio dei tessuti.
La guerra
Pare si abbia memoria di una guerra che nel 1202 contrappose Assisi a Perugia: tra le due città esisteva una rivalità irriducibile che si protrasse per secoli. L'odio aumentò a causa dell'alleanza di Perugia con i guelfi, mentre Assisi parteggiò per la fazione dei ghibellini. Non fu una scelta felice quella degli assisani in quanto nel 1202 subirono una sconfitta e una cospicua perdita di uomini a Collestrada, vicino a Perugia. Tra i giovani che parteciparono al conflitto, venne catturato e rinchiuso in carcere pure Francesco. Caduto gravemente malato dopo la sua liberazione, tenta nuovamente la carriera delle armi, ma sulla via di raggiungere in Puglia le truppe di Gualtieri di Brienne, si ferma a Spoleto e torna indietro. Da lì ebbe inizio un cammino di conversione, che col tempo lo portò «a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore».
Francesco, gravemente malato, dopo un anno di prigionia ottenne la libertà dietro il pagamento di un riscatto, a cui provvide il padre. Tornato a casa, recuperò gradatamente la salute trascorrendo molto tempo nei possedimenti del padre. Secondo Tommaso da Celano furono questi luoghi appartati che contribuirono a risvegliare in lui un assoluto e totale amore per la natura, che vedeva come opera mirabile di Dio.

Da un punto di vista storico le circostanze della conversione di Francesco non sono state chiarite e si hanno notizie in merito solo attraverso le agiografie e il testamento del Santo. Sembra che la sua volontà frustrata di farsi cavaliere e di partire per la crociata abbia avuto un ruolo importante, ma anche e soprattutto un crescente senso di compassione che gli ispiravano i deboli, gli ammalati e gli emarginati: questa compassione si sarebbe trasformata poi in una vera e propria "febbre d'amore" verso Dio e il prossimo.

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Giotto. Sogno delle armi. Assisi, Basilica superiore

Attorno al 1203-1204, Francesco pianificò di partecipare alla quarta crociata e quindi provò a raggiungere a Lecce la corte di Gualtieri III di Brienne, per poi muovere con gli altri cavalieri alla volta di Gerusalemme. Partecipare come cavaliere a una crociata era a quel tempo considerato uno dei massimi onori per i cristiani d'Occidente. Tuttavia, giunto a Spoleto, si ammalò nuovamente; passò la notte nella chiesa di San Sabino e qui ebbe un profondo ravvedimento. Avrebbe raccontato in seguito di essere stato persuaso da due rivelazioni notturne: nella prima egli scorse un castello pieno d'armi e udì una voce promettergli che tutto quello sarebbe stato suo. Nella seconda sentì nuovamente la stessa voce chiedergli se gli fosse stato «più utile seguire il servo o il padrone?» alla risposta: «Il padrone», la voce rispose:

«Allora perché hai abbandonato il padrone, per seguire il servo?»

Francesco rinunciò al proprio progetto e tornò ad Assisi; da allora egli non fu più lo stesso uomo. Si ritirava molto spesso in luoghi solitari a pregare. Un giorno a Roma, dove venne mandato dal padre a vendere una partita di merce, non solo distribuì il denaro ricavato ai poveri, ma scambiò le sue vesti con un mendicante e si mise a chiedere l'elemosina davanti alla porta di San Pietro.

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Giotto. San Francesco dona il mantello a un povero. Assisi, Basilica superiore


Pure il suo atteggiamento nei confronti delle altre persone mutò radicalmente: un giorno incontrò un lebbroso e, oltre a dargli l'elemosina, lo abbracciò e lo baciò. Come racconterà lo stesso Francesco, prima di quel giorno non poteva sopportare nemmeno la vista di un lebbroso: dopo questo episodio, scrisse che «ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza d'anima e di corpo» (dal Testamento di san Francesco, 1226)

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Giotto. Miracolo del Crocifisso a San Damiano. Assisi, Basilica superiore

Ma è nel 1205 che avvenne l'episodio più significativo della sua conversione: mentre pregava nella chiesa di San Damiano, raccontò di aver sentito parlare il Crocifisso, che per tre volte gli disse:

«Francesco, va' e ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina».

Dopo quell'episodio seguirono una serie di azioni: fece incetta di stoffe nel negozio del padre e le vendette a Foligno assieme al suo cavallo; tornò a casa a piedi e offrì il denaro ricavato al sacerdote di San Damiano affinché riparasse quella piccola chiesa in rovina; costui, conoscendo il padre e temendo la sua ira, rifiutò la generosa offerta. Pietro di Bernardone, forte della solidarietà della comunità d'Assisi, riteneva tradite non solo le sue aspettative di padre, ma giudicava il figlio, per la sua eccessiva generosità, in preda a uno squilibrio mentale.

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Giotto. San Francesco rinuncia ai beni terreni. Assisi, Basilica superiore

Inizialmente, Pietro di Bernardone cercò di allontanare Francesco per nasconderlo ai pettegolezzi della gente, ma poi, di fronte all'irriducibile "testardaggine" del figlio nel non mutare il suo comportamento, decise di denunciarlo ai consoli per farlo arrestare, non tanto per il danno patrimoniale subito quanto piuttosto per la segreta speranza che, sotto la pressione della punizione e della condanna dalla città, il ragazzo cambiasse atteggiamento.
Il giovane, però, si appellò a un'altra autorità: fece ricorso al vescovo. Il processo si svolse così nel mese di gennaio (o febbraio) del 1206, nel Palazzo Vescovile; «tutta Assisi» fu presente al giudizio.
Francesco, non appena il padre ebbe finito di parlare,

«non sopportò indugi o esitazioni, non aspettò né fece parole; ma immediatamente, depose tutti i vestiti e li restituì al padre [...] e si denudò totalmente davanti a tutti dicendo al padre: "Finora ho chiamato te, mio padre sulla terra; d'ora in poi posso dire con tutta sicurezza: Padre nostro che sei nei cieli, perché in lui ho riposto ogni mio tesoro e ho collocato tutta la mia fiducia e la mia speranza".»

Francesco dava così inizio a un nuovo percorso di vita e il vescovo Guido, che lo coprì pudicamente agli sguardi della folla, manifestava simbolicamente la protezione e l'accoglienza di Francesco nella Chiesa.

Da uomo nuovo Francesco cominciò il suo viaggio: nell'inverno 1206 partì per Gubbio, dove il giovane aveva da sempre diversi amici, tra cui Federico Spadalonga, il quale aveva condiviso con Francesco anche la prigionia nelle carceri di Perugia. Federico lo accolse benevolmente nella sua casa (laddove oggi sorge una chiesa dedicata a San Francesco), lo sfamò e, a quanto pare, fu qui che Francesco si vestì del saio, rifiutando vestiti ben più lussuosi offerti dall'amico.
Ospite degli Spadalonga, Francesco, «amante di ogni forma di umiltà, si trasferì dopo pochi mesi presso i lebbrosi restando con loro e servendo a loro tutti con somma cura.». Si trattava del lebbrosario di Gubbio, che era intitolato a san Lazzaro di Betania. Nel suo Testamento Francesco disse chiaramente che la vera svolta verso la piena conversione ebbe inizio per lui a Gubbio, quando si era accostato a queste persone bisognose. Francesco non vi ebbe mai una fissa dimora, ma era solito predicare nelle campagne tra il comune umbro e Assisi.
Proprio nel contado eugubino, laddove sorgeva la chiesetta di Santa Maria della Vittoria, detta della Vittorina, e l'omonimo parco, Francesco ammansì il famoso lupo di Gubbio. Sette anni dopo la conversione di Francesco (nel 1213), il beato Villano, Vescovo di Gubbio, già abate benedettino dell'abbazia di San Pietro, concesse ai frati di stabilire una loro sede nel comune.

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Porziuncola

Arrivata l'estate e placatosi lo scandalo sollevato dalla rinuncia ai beni paterni, Francesco ritornò ad Assisi. Per un certo periodo se ne stette solo, impegnato a riparare alcune chiese in rovina, come quella di San Pietro (al tempo fuori dalle mura), la Porziuncola a Santa Maria degli Angeli e San Damiano.
I primi anni della conversione furono caratterizzati dalla preghiera, dal servizio ai lebbrosi, dal lavoro manuale e dall'elemosina. Francesco scelse di vivere nella povertà volontaria e, ispirandosi all'esempio di Cristo, lanciò un messaggio di segno opposto a quello della società duecentesca, dalle facili ricchezze. Francesco rinunciò alle attrattive mondane, vivendo gioiosamente come un "ignorante", un "pazzo", dimostrando come la sua obiezione ai valori egemoni della società secolare di allora potesse generare una perfetta letizia. In questo senso il suo esempio aveva un che di sovversivo rispetto alla mentalità del tempo.
Il 24 febbraio 1208, giorno di san Mattia, dopo aver ascoltato un passo del Vangelo secondo Matteo nella Porziuncola, nella campagna di Assisi, Francesco sentì fermamente di dover portare la Parola di Dio per le strade del mondo. Incominciò così la sua predicazione, dapprima nei dintorni di Assisi. Ben presto altre persone si aggregarono a lui e, con le prime adesioni, si formò il primo nucleo della comunità di frati. Il primo di essi fu Bernardo di Quintavalle, suo amico d'infanzia. Tra gli altri si ricordano Senso III di Giotto Sensi, Pietro Cattani, Filippo Longo di Atri, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo, frate Elia da Cortona e frate Ginepro. Insieme con i suoi compagni, Francesco cominciò a portare le sue predicazioni fuori dall'Umbria.

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Giotto. Innocenzo III conferma la Regola francescana. Assisi, Basilica superiore

Nel 1209, o secondo altri storici l'anno successivo, quando Francesco ebbe raccolto intorno a sé dodici compagni, si recò a Roma per ottenere l'autorizzazione della regola di vita, per sé e per i suoi frati, da parte di papa Innocenzo III. Dopo alcune esitazioni iniziali, il Pontefice concesse a Francesco la propria approvazione orale per il suo «Ordo fratrum minorum»: a differenza degli altri ordini pauperistici, Francesco non contestava l'autorità della Chiesa, ma la considerava come "madre" e le offriva sincera obbedienza. Francesco era la personalità necessaria, che poteva finalmente incanalare le inquietudini e il bisogno di partecipazione dei ceti più umili all'interno della Chiesa, senza porsi come antagonista a essa, quindi senza scivolare nella deriva dell'eresia.
Del testo presentato al Papa non è rimasta traccia. Gli studiosi pensano, tuttavia, che esso consistesse principalmente in brani tratti dal Vangelo che, col passare degli anni, insieme con alcune aggiunte, confluirono nella «Regola non bollata», che Francesco scrisse alla Porziuncola nel 1221.

Di ritorno da Roma, i frati si installarono in un "tugurio" presso Rivotorto, sulla strada verso Foligno, luogo scelto perché vicino a un ospedale di lebbrosi. Tale posto, tuttavia, era umido e malsano, e i frati dovettero abbandonarlo l'anno successivo, stabilendosi presso la piccola badia di Santa Maria degli Angeli, sulla pianura del Tescio, in località Porziuncola. Abbandonata in mezzo a un bosco di cerri, la badia venne concessa a Francesco e ai suoi frati dall'Abate della chiesa di San Benedetto del Subasio.
Vocazione di Chiara e fondazione dell'Ordine femminile
Questa nuova «forma di vita» attirò anche le donne: la prima fu Chiara Scifi, figlia del nobile assisiate Favarone di Offreduccio degli Scifi. Fuggita dalla casa paterna la notte della Domenica delle Palme del 28 marzo 1211 (o del 18 marzo 1212), giunse il 29 marzo 1211 (o il 19 marzo 1212) a Santa Maria degli Angeli, dove chiese a Francesco di poter entrare a far parte del suo ordine, e dove all'alba ricevette l'abito religioso dal santo. Francesco la sistemò per un po' di tempo prima presso il monastero benedettino di Bastia Umbra, poi in quello di Assisi. In seguito, quando altre ragazze (fra cui anche la sorella di Chiara, Agnese) seguirono il suo esempio, presero dimora nella chiesa di San Damiano e diedero inizio a quello che in futuro sarebbero state le clarisse, tra le quali si distinsero sante come Caterina da Bologna, Camilla Battista da Varano, Eustochia Calafato.
Negli stessi anni diede vita al convento di Montecasale, dove insediò una piccola comunità di seguaci e dove ripetutamente avrebbe fatto poi sosta nei suoi viaggi.

Ben viva era all'epoca la vicenda dei catari, dichiarati eretici dalla Chiesa cattolica, i quali predicavano un dualismo Bene/Male portato alle estreme conseguenze. Essi avevano avuto numerosi focolai nella vicina Toscana e si erano ridotti alla clandestinità dopo la sanguinosa crociata albigese del 1209. Francesco avrebbe potuto essere scambiato per un cataro per la sua povertà e la predicazione ai ceti subalterni. Ma Francesco e i suoi seguaci si distinguevano in molteplici aspetti: innanzitutto essi non mettevano in dubbio la gerarchia della Chiesa. Francesco stesso infatti insisteva sulla necessità che si amassero e si rispettassero i sacerdoti. Portato una volta davanti a un prete che viveva notoriamente in peccato, forse affinché cadesse in contraddizione (se egli non lo avesse denunziato si sarebbe potuto dire che era suo complice, se egli lo avesse fatto si sarebbe detto che Francesco non rispettava la gerarchia), Francesco si limitò a baciare le mani di quel sacerdote, "che toccano il corpo di Gesù Cristo". Infine la differenza tra l'avversione al "mondo della Materia" (il Creato) dei catari e l'amore per tutte le manifestazioni di vita di Francesco non poteva essere più stridente. Lo stesso Cantico delle creature può essere letto come un perfetto trattato di teologia anti-catara, nonostante sia difficile da dimostrare quanto Francesco, sospettoso della sapienza dei libri, possa aver conosciuto la dottrina catara.
Uno dei valori da attribuire alla preposizione "per" sarebbe quello di "complemento d'agente" (Laudato sii mi' Signore per (da) tutte le creature).
Il suo amore per la natura e gli animali (come la leggendaria predica agli uccelli in località Piandarca sulla strada che da Cannara si dirige a Bevagna) erano superati solo dall'amore verso gli esseri umani: la pace interiore per Francesco non era una semplice serenità, che implicava capacità di amore e di perdono, ma una naturale gioia di vivere:

«La sua carità si estendeva, con cuore di fratello, non solo agli uomini provati dal bisogno, ma anche agli animali senza favella, ai rettili, agli uccelli, a tutte le creature sensibili e insensibili. Aveva però una tenerezza particolare per gli agnelli, perché nella Scrittura Gesù Cristo è paragonato, spesso e a ragione, per la sua umiltà al mansueto agnello. Per lo stesso motivo, il suo amore e la sua simpatia si volgevano in modo particolare a tutte quelle cose che potevano meglio raffigurare o riflettere l'immagine di Dio» (Tommaso da Celano, Vita prima 77, in FF 455)

Crescita dell'ordine e viaggio in Egitto

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Benozzo Gozzoli. Francesco d'Assisi e il sultano Al-Kamil. Montefalco, complesso museale di San Francesco, scena 10 del ciclo di affreschi sulla vita del Santo

Col tempo la fama di Francesco crebbe enormemente e crebbe notevolmente anche la schiera dei frati francescani. Nel 1217 Francesco presiedette il primo dei capitoli generali dell'Ordine, che si tenne alla Porziuncola: questi sorsero con l'esigenza di impostare la vita comunitaria, di organizzare l'attività di preghiera, di rinsaldare l'unità interna ed esterna, di decidere nuove missioni, e si tenevano ogni due anni. Con il primo fu organizzata la grande espansione dell'ordine in Italia e furono inviate missioni in Germania, Francia e Spagna.
Nel 1219 si recò verosimilmente ad Ancona per imbarcarsi per l'Egitto e la Palestina, dove da due anni era in corso la quinta crociata. Durante questo viaggio, in occasione dell'assedio crociato alla città egiziana di Damietta, insieme con frate Illuminato ottenne dal legato pontificio (il benedettino portoghese Pelagio Galvani, cardinale vescovo di Albano), il permesso di passare nel campo saraceno e incontrare, disarmati, a loro rischio e responsabilità, lo stesso sultano ayyubide al-Malik al-Kamil, nipote di Saladino. Varie ipotesi sono state proposte per motivare lo scopo dell'incontro, secondo molti Francesco intendeva predicare al sultano il Vangelo, al fine di convertirlo e quindi mettere fine alle ostilità, per altri la sua volontà era solo quella di testimoniare senza finalità concrete.
Ricevuto con grande cortesia dal Sultano, ebbe con lui un lungo colloquio, al termine del quale Francesco dovette tornare nel campo crociato. Intorno a questo evento storico sono fiorite diverse leggende riguardanti il santo e la sua straordinaria capacità di convincere e convertire, anche se al-Malik al-Kamil rimase musulmano, pur apprezzando Francesco ed elargendogli dei doni in segno di stima.
L'interpretazione del rapporto tra Francesco, l'Islam e le crociate non è facile ed è ancora oggetto di discussione, in quanto c'è contrapposizione tra chi vede la sua azione come un sostegno alle crociate o, al contrario, come una loro sconfessione. La narrazione dell'incontro ci è pervenuta, oltre che tramite le opere di biografi francescani, anche attraverso altre testimonianze non tardive, sia cristiane sia arabe. La versione fornitaci da San Bonaventura cita maltrattamenti subiti ad opera dei soldati saraceni e la difesa, da parte di Francesco, dell'operato dei crociati e la giustificazione della guerra agli islamici infedeli. Nel racconto di Tommaso da Celano, Francesco suscitò profonda ammirazione nel sultano, che lo trattò con rispetto e gli offrì numerose ricchezze. Secondo la narrazione agiografica, Francesco subì anche la prova del fuoco, raffigurata in numerosi cicli dipinti.
La pacifica rivoluzione che il nuovo Ordine stava compiendo cominciò a essere palese a tutti. Incominciarono però anche i primi problemi: Francesco temeva che, ingrandendosi senza controllo, la fraternità dei Minori deviasse dai propositi iniziali. Sia per le cattive condizioni di salute, sia per dare l'esempio e per potersi dedicare completamente alla sua missione, nel 1220 Francesco rinunciò al governo dell'Ordine in favore dell'amico e seguace Pietro Cattani, che però morì l'anno seguente. Al successivo Capitolo Generale (detto «delle Stuoie», giugno 1221) venne scelto come vicario frate Elia.
Nel 1223, con la bolla Solet annuere, papa Onorio III approvò definitivamente la «Regola seconda» (che rispetto alla prima è più corta e contiene meno citazioni evangeliche), che fu redatta con l'aiuto del cardinale Ugolino d'Ostia (il futuro papa Gregorio IX). La doppia stesura della regola a distanza ravvicinata testimonia un ripensamento a fronte di difficoltà nel progetto; Francesco, pur non condannando in sé né la ricchezza, né la sapienza, né il potere, si rendeva conto che i frati che liberamente avevano deciso di seguirlo e di seguire la sua regola di vita stavano diventando colti e accettavano doni e ricchezze (anche se formalmente questi erano incamerati dalla Santa Sede). Non è difficile immaginare che qualcuno, magari usando la scusa di poter meglio servire il prossimo, avesse richiesto più volte una limatura della regola del 1221 e alla fine Francesco cedette, pretendendo però questa volta una fedeltà assoluta, accettandola "senza commento", cioè senza interpretazioni.

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Giotto. Presepe di Greccio. Assisi, Basilica superiore

Durante la notte di Natale del 1223, a Greccio (sulla strada che da Stroncone prosegue verso il reatino), Francesco rievocò la nascita di Gesù, facendo una rappresentazione vivente di quell'evento. Secondo le agiografie, durante la Messa, il putto raffigurante il Bambinello avrebbe preso vita più volte tra le braccia di Francesco. Da questo episodio ebbe origine la tradizione del presepe.
Oltre alla vita attiva, Francesco, forse ammalato, sentiva continuamente l'esigenza di ritirarsi in posti solitari per ritemprarsi e pregare (come, ad esempio, l'Eremo delle Carceri di Assisi, sulle pendici del monte Subasio; l'Isola Maggiore sul lago Trasimeno; l'Eremo delle Celle a Cortona). Tali posti offrivano al frate il silenzio e la pace che gli consentivano una più intima preghiera.
Tra il 1224 e il 1226, ormai malato gravemente agli occhi (si suppone un tracoma), compose il Cantico delle creature.


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Giotto. San Francesco riceve le Stigmate. Assisi, Basilica superiore


«Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno da Cristo prese l'ultimo sigillo che le sue membra due anni portarno.» (Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, canto XI, vv. 106-108)

Secondo le agiografie, il 14 settembre 1224,, mentre si trovava a pregare sul monte della Verna (luogo su cui in futuro sorgerà l'omonimo santuario) e dopo 40 giorni di digiuno, Francesco avrebbe visto un Serafino crocifisso. Al termine della visione gli sarebbero comparse le stigmate: «sulle mani e sui piedi presenta delle ferite e delle escrescenze carnose, che ricordano dei chiodi e dai quali sanguina spesso». Tali agiografie raccontano inoltre che sul fianco destro aveva una ferita, come quella di un colpo di lancia. Fino alla sua morte, comunque, Francesco cercò sempre di tenere nascoste queste sue ferite.
Nell'iconografia tradizionale successiva alla sua morte, Francesco è stato sempre raffigurato con i segni delle stigmate: per questa caratteristica è stato definito anche «alter Christus». La condivisione fisica delle pene di Cristo offriva un nuovo volto al cristianesimo, partecipe non più solo del Suo trionfo, simboleggiato dal
Cristo in gloria.

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La tomba di Francesco ad Assisi

Negli anni seguenti Francesco fu sempre più oggetto di varie malattie (soffriva infatti di disturbi al fegato oltre che alla vista). Varie volte gli furono tentati degli interventi medici per lenirgli le sofferenze, ma inutilmente. Nel giugno 1226, mentre si trovava alle Celle di Cortona, dopo una notte molto tormentata dettò il "Testamento", che volle fosse sempre legato alla "Regola", in cui esortava l'ordine a non allontanarsi dallo spirito originario.
Nel 1226 si trovava alle sorgenti del Topino, presso Nocera Umbra; egli però chiese e ottenne di poter tornare a morire nel suo "luogo santo" preferito: la Porziuncola. Qui la morte lo colse la sera del 3 ottobre.
Il suo corpo, dopo aver attraversato Assisi ed essere stato portato perfino in San Damiano, per essere mostrato un'ultima volta a Chiara e alle sue consorelle, venne sepolto nella chiesa di San Giorgio. Da qui la sua salma venne trasferita nell'attuale basilica nel 1230 (quattro anni dopo la sua morte, due anni dopo la canonizzazione).


«Laudate et benedicite mi Signore, et rengratiatelo et serviatelo cum grande humilitate.» (Cantico delle creature)


Il francescanesimo si inserisce in quel vasto movimento pauperistico del XIII secolo, in uno spirito di riforma volto contro la corruzione dei costumi degli ecclesiastici del tempo, troppo coinvolti negli interessi materiali e politici, nella sanguinosa Lotta per le investiture. A questo si deve aggiungere la fioritura del comune medioevale: la nascita delle ricche città-stato, se da un lato arricchì una parte del popolo, determinò la formazione di quei ricchi ceti mercantili, il cosiddetto popolo grasso, che acquistava potere a scapito della vecchia nobiltà feudale, facendo della vita metropolitana il centro della civiltà, pur lasciandovi dentro larghissime fette del ceto contadino più indigente, dall'altro causò una forte disuguaglianza sociale e anche crisi dell'assetto sociale medievale che dovette coinvolgere Francesco in prima persona mentre esercitava la professione di mercante.
"Povertà", "obbedienza" e "castità" sono aspetti fondamentali della vita di Francesco e dei suoi discepoli. Dopo un primo periodo passato in solitudine, Francesco iniziò a vivere la propria vocazione insieme a compagni che volevano imitare il suo esempio. L'umiltà e l'ascetismo al quale si accompagnò l'opera del santo gli valse il nome di Imitator Christi ("Imitatore di Cristo"): da qui inizia l'esperienza della "fraternità", nella quale ciascun membro è dunque un imitator Francisci ("Imitatore di Francesco"), e dunque un imitator Christi. Secondo la regola dettata da Francesco, la vita comunitaria deve cercare di conformarsi a questi principi:
- Fraternità: i frati non devono vivere soli, ma devono prendersi cura dei propri fratelli (e in generale di tutti) con amore e dedizione. La stessa cura si estende incondizionatamente non solo alle creature umane, ma a tutto il creato in quanto opera di Dio e dunque sacro, vivendo in questo modo la fraternità universale.
- Umiltà: porsi al di sotto di tutto e di tutti, al servizio dell'ultimo per essere davvero al servizio di Dio, liberarsi dai desideri terreni che allontanano l'uomo dal bene e dalla giustizia.
- Povertà: rinuncia a possedere qualsiasi bene condividendo tutto ciò che ci è dato con tutti i fratelli, partendo dai più bisognosi.
Alla preghiera e alla meditazione, la Regola francescana aggiunge lo "spirito missionario", in conformità ai precetti evangelici, assumendo una condotta completamente diversa rispetto alla norma seguita fino ad allora. È chiaro come a San Francesco interessassero soprattutto i ceti sociali più deboli, tendesse con amore fraterno verso quel "prossimo" spesso respinto e disprezzato dalla società, cioè verso il povero, il malato, il perdente, l'ultimo.
Francesco vuole essere il «minore tra i minori» (umile tra gli umili). Si sostiene che egli applicò ai compagni l'appellativo minores, dato in spregio ai popolani dai ricchi, perché lui stesso voleva incarnare la figura di "uomo del popolo". Assisi e Santa Maria degli Angeli furono e sono tuttora il cuore pulsante da cui parte e a cui ritorna l'attività missionaria di questo nuovo Ordine dei minori, come da allora in poi furono chiamati tutti coloro che seguirono (e che seguono) il santo fondatore assisano. In questo modo, lo spirito di condivisione è esempio concreto della comunione dell'anima con Dio, Gesù il Cristo, testimonianza di fede e di amore cristiano.
A imitazione dei poveri e dei mendicanti, è l'aspetto itinerante dei francescani, secondo il principio di portare il proprio sostegno materiale e spirituale al prossimo andandogli incontro là dove egli si trova: applicando questa regola in prima persona, Francesco visse e scontò un incessante vagare, portandosi fino ai confini dell'Europa, sostentandosi del frutto del lavoro che gli veniva offerto per strada e dove questo non fosse possibile, attraverso l'elemosina.
Francescanesimo
All'interno dell'ordine francescano, tra il XIII e il XIV secolo si sviluppò la scuola filosofica e teologica fondata dal francescano Alessandro di Hales quando nel 1232 ricoprì la cattedra di teologia presso l'università di Parigi. La filosofia francescana, opponendosi all'aristotelismo e al tomismo, s'ispirava al pensiero di Sant'Agostino da cui riprendeva la dottrina dell'illuminazione e la teoria dell'ilemorfismo universale.
In opposizione al tomismo, la scuola francescana dichiarava il primato della volontà sull'intelletto non solo per quanto riguardava il comportamento umano, ma anche per l'azione divina che esigeva il dovere dell'obbedienza, e il primato della fede sia nel campo della morale sia in quello della conoscenza.
I più importanti filosofi del francescanesimo furono Giovanni de la Rochelle, San Bonaventura, Duns Scoto, Giovanni Peckham. I maestri francescani dell'università di Oxford, Roberto Grossatesta, Ruggero Bacone e Guglielmo di Occam confermarono l'indipendenza della fede dalla ragione e svilupparono quindi il francescanesimo soprattutto nell'ambito scientifico.


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Guido Reni. San Francesco in estasi

Francesco d'Assisi e la sua vita sono stati continuamente oggetto di interesse, ispirazione, imitazione, studio, confronto. Questo ha fatto sì che la narrazione biografica della sua vita sia stata connotata — fin dalle prime espressioni all'indomani della sua morte — da una grande varietà di significati e intenzioni, che inevitabilmente hanno indirizzato e influenzato la redazione della sua Vita.
Le notizie sulla vita di Francesco derivano infatti in gran parte dalle prime biografie del santo, dove la narrazione storica e quella teologica sono strettamente legate.
Nel XVII secolo con Frate Luca Wadding si mossero i primi tentativi di raccogliere documentazione storica su Francesco d'Assisi, cercando di distinguere tra storia e veneranda tradizione. Un momento di svolta in questo processo arrivò nel corso del XIX secolo, quando lo storico francese Paul Sabatier avanzò la teoria che tutte le biografie francescane "ufficiali" (quelle di Tommaso da Celano e, in modo particolare, quella di Bonaventura da Bagnoregio) sarebbero irrimediabilmente compromesse dall'intenzione "politica" degli autori, mentre più fedeli al "vero Francesco" sarebbero le biografie "ufficiose". In particolare nello Speculum perfectionis, da lui riscoperto, si potrebbe rintracciare la narrazione più affidabile sul santo di Assisi. Tale posizione ha scatenato nel tempo accesi dibattiti, stimolando nel contempo un approfondimento straordinario della ricerca storica su san Francesco.
Secondo lo storico Franco Cardini è infatti in alcuni casi difficile distinguere tra verità storica e amplificazioni simboliche: è il caso, ad esempio, degli episodi della predica agli uccelli e dell'incontro con il lupo di Gubbio. Questi ultimi potrebbero, secondo lo studioso, essere anche intesi come rielaborazioni dell'incontro, storicamente meglio documentato, con il sultano al-Malik al-Kamil, e riproporre il tema dell'incontro con l'"Altro".
Il linguaggio di Francesco è una sola cosa con i contenuti per quanto concerne la sua predicazione. La gente comune

«per la prima volta sente parlare di Dio in una lingua che tutti possono capire. Non il latino, la lingua dotta della Chiesa, ma il primo italiano, lo stesso di Dante, Ariosto e Boccaccio, che diventerà nel giro di pochi anni l'idioma dell'intera penisola».

La predica agli uccelli è uno degli episodi più famosi de I fioretti di san Francesco. Secondo la tradizione, la predica agli uccelli ebbe luogo sull'antica strada che congiungeva il castello di Cannara a quello di Bevagna, nei pressi di Assisi. Oggi il punto dove San Francesco d'Assisi fece il miracolo è segnalato da una pietra sita in località Piandarca nel Comune di Cannara in un'area ancora oggi incontaminata, raggiungibile attraverso un sentiero che inizia appena fuori dal paese e si snoda attraverso i campi. Nei pressi della pietra e lungo l'attuale strada che porta a Bevagna (la SP403) è edificata anche una piccola edicola a ricordo del miracolo. Più che la cronaca di un avvenimento, le agiografie descrivono un passo di vera poesia:

«...et venne fra Cannaia et Bevagni. E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d'uccelli. E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch'erano in terra; e subitamente quelli ch'erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compié di predicare (...) Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della croce e diè loro licenza di partirsi; e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la croce c'aveva fatta loro santo Francesco si divisoro in quattro parti (...) e ciascuna schiera n'andava cantando maravigliosi canti» (da I fioretti cap. XVI di San Francesco d'Assisi secondo la versione in Umbro volgare del XIV secolo conservati negli Archivi del Sacro convento di Assisi)


Fra gli svariati racconti che accompagnano e descrivono da secoli la vita e le gesta del frate, spicca senza dubbio l'episodio del lupo di Gubbio, che sarebbe avvenuto nei pressi della chiesa di Santa Maria della Vittorina. La vicenda narra di un grosso lupo che da tempo terrorizzava gli abitanti delle campagne eugubine, nelle quali Francesco era solito andare a predicare; l'animale selvaggio, affamato e feroce, da anni occupava il territorio boschivo alle porte della città e, secondo alcuni racconti dell'epoca, non disdegnava avvicinarsi a ridosso delle mura per procurarsi il cibo. Gli abitanti allora, disperati e impauriti, si rivolsero a San Francesco. Il frate, venuto a conoscenza della situazione, si inoltrò nel bosco per incontrare il lupo. La sua mediazione fece sì che il lupo smettesse di terrorizzare gli abitanti di Gubbio, a patto che questi ultimi si impegnassero a sfamare l'animale quotidianamente.
La leggenda narra che anni dopo, quando il lupo morì di vecchiaia, gli abitanti del paese se ne dispiacquero fortemente.

«...nel contado d'Agobio apparì un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma eziandio gli uomini; intantoché tutti i cittadini istavano in gran paura, perocché spesse volte s'appressava alla cittade. E andavano armati quando uscivano della cittade, come se eglino andassono a combattere......". (.......) " E poi il detto lupo vivette due anni in Agobio; ed entrava dimesticamente per le case, a uscio a uscio, sanza fare male a persona e sanza esserne fatto a lui; e fu nutricato cortesemente dalla gente: e andandosi così per la terra e per le case, giammai nessuno cane gli abbaiava drieto. Finalmente, dopo due anni, frate lupo si morì di vecchiaia; di che li cittadini molto si dolevano, imperrocché, veggendolo andare così mansueto per la cittade, si raccordavano meglio della virtù e santitade di Santo Francesco".» (da i fioretti di san Francesco, cap. XXI.)

Tuttavia secondo alcuni, il lupo di Gubbio non era altro che un brigante, che proprio come un lupo era solito derubare gli abitanti del contado eugubino. Egli fu dunque "ammansito" da Francesco e reintegrato nella società eugubina grazie anche all'aiuto degli abitanti.


Francesco d'Assisi realizzò tre ordini riconosciuti dalla Chiesa cattolica esistenti tutt'oggi e aventi Costituzioni proprie.

- Il primo ordine è quello dei frati minori. La loro vita è ancora oggi ispirata dalla Regola bollata approvata dal papa Onorio III nel 1223.[65] In seguito a ottocento anni di una storia molto complessa, al giorno d'oggi l'originario Ordo Minorum si divide in tre rami principali: i Frati minori (originati dagli Osservanti e altre riforme, ma che comunque mantengono il sigillo dell'OFM), i Frati Minori Conventuali e i Frati Minori Cappuccini (detti un tempo Frati Minori della Vita Eremitica). Oltre a queste tre diramazioni storiche, vi sono oggi altre fondazioni minori che si ispirano a san Francesco e alla sua Regola. Ciascuno dei tre Ordini ha la sua propria organizzazione e struttura legale, ma tutti hanno in comune san Francesco come loro "padre" e fondatore.
- Il secondo ordine è quello delle Monache clarisse fondato da Chiara d'Assisi, la quale ha redatto una Regola propria. È costituito da suore di clausura e attualmente è presente in tutto il mondo. Analogamente al primo ordine, anche le seguaci di santa Chiara hanno subìto un percorso storico piuttosto articolato e oggi i monasteri clariani sono raccolti in diverse "obbedienze".
- Il terzo ordine nacque per i laici, o meglio per i secolari, cioè coloro che, pur non entrando in convento, vivono nelle loro famiglie la spiritualità francescana. Questo ordine è chiamato Ordine francescano secolare (OFS), o Terz’Ordine Francescano. Parte integrante di esso è la Gioventù Francescana (Gi.Fra.), un'associazione, riconosciuta dalla Chiesa (o, come si definiscono, «fraternità»), di giovani cattolici che condividono e vivono il Vangelo e il loro essere francescani nel mondo di oggi, sul posto di lavoro o nello studio. Oltre a questi, abbiamo anche il Terzo Ordine Regolare (T.O.R.), costituito - appunto - da "regolari", cioè religiosi che nel corso della storia sono divenuti tali a partire da fraternità di laici intenzionati a condurre una vita di consacrazione totale. Mentre nei primi secoli l'Ordine è fortemente caratterizzato da un'incidenza della fraternità, nei secoli successivi sarà più la testimonianza di singoli importanti personaggi a esprimere il valore del vivere la penitenza nel secolo. Questo non significa che l'incidenza della fraternità sia minore; ne è la prova il fatto che ogni regime oppressivo, fino a oggi, ha visto sempre con grande preoccupazione questa sorta di ordine "religioso" presente nel mondo. Basti pensare anche a tempi vicini a noi, alla soppressione delle Fraternità del Terz'Ordine Francescano operata da Napoleone, alla proibizione durante il regime nazista di riunirsi in Fraternità, simile a quella vigente fino a pochi anni fa in tutti i paesi dell'Est.
Per interpretare le intenzioni di san Francesco e adattare il suo ideale alle mutevoli realtà dei tempi, a partire dal Duecento la Chiesa ha continuamente emesso documenti relativi alla vita della fraternità francescana, da Onorio III fino a Paolo VI, che ha approvato l'ultima regola dell'OFS (1978) attualmente in vigore.

Opere

  • Regole ed esortazioni
  • Lettere
  • Lodi e preghiere

Quasi tutti questi scritti sono stati dettati dal santo (e perciò non autografi), però la loro attribuzione non è messa in dubbio dagli studiosi.

Regole ed esortazioni

  • Regola non bollata (1221), che riprende in gran parte l'originale regola (andata perduta) che Francesco mostrò a papa Innocenzo III nel 1210. Questa regola è molto ricca di citazioni evangeliche, ed è la prima regola scritta del santo che ci è pervenuta.
  • Regola bollata (1223): riduzione in forma più concisa della precedente regola (comprende solo 12 capitoli e sono stati tagliati molti passi evangelici), venne presentata al papa Onorio III, che l'approvò il 29 settembre 1223 con la bolla Solet annuere.
  • Testamento (1226): scritto probabilmente alle Celle di Cortona, preceduto dal Piccolo Testamento redatto a Siena nell'aprile 1226. In questo breve opuscolo Francesco rievoca tutta la sua vita, le cui tappe sono state vissute dal santo come un dono del Signore (è frequente infatti l'espressione: «Il Signore mi diede...»). In esso Francesco esorta i propri frati a vivere secondo la Regola, che adesso egli lascia loro in eredità.
  • Regola di vita negli eremi (scritto tra il 1217 e il 1221).
  • Scritti alle "povere signore": i testi di queste due lettere (Forma di vita e Ultima volontà) sono ricavate dalla regola di Santa Chiara.
  • Ammonizioni: raccolgono 28 pensieri di Francesco, che secondo gli storici potrebbero essere delle conclusioni di alcune conversazioni dei capitoli celebrati dai frati. Esse trattano vari argomenti, fra cui spiccano i commenti alle Beatitudini.

Lettere

  • Lettera ai fedeli: ne esistono due redazioni. La più antica, che è anche la più breve, consta di due capitoli: Di coloro che fanno penitenza (che si avvicina molto alla forma di vita originale del santo) e Di coloro che non fanno penitenza. Nella seconda lettera, più lunga, vengono approfondite alcune tematiche della vita penitenziale.
  • Lettera a tutti i chierici (1220): in questa lettera Francesco invita tutti i consacrati a rinnovare la propria devozione verso l'Eucaristia e verso le Sacre Scritture, spinto probabilmente dall'eco del recente Concilio Lateranense IV.
  • Identiche tematiche si trovano nella Lettera ai reggitori dei popoli, nelle due Lettere ai custodi e nella Lettera a tutto l'Ordine.
  • Lettera a frate Leone, autografa di Francesco, oggi conservata in un reliquiario nel duomo di Spoleto.
  • Lettera ad un ministro (scritta tra il 1218 e il 1221).
  • Lettera a frate Antonio.
  • Lettera a donna Jacopa: il testo è però di dubbia identificazione. Dalle agiografie si legge che Francesco, pochi giorni prima di morire, avesse fatto scrivere questa lettera per domandare a donna Jacoba de septem Soliis ("dei sette Sogli") di portargli una tunica, la cera per la sepoltura e anche dei dolcetti. Prima che la lettera venisse inviata, però, lei stessa si presentò nella casa dove si trovava Francesco con tutto quanto egli aveva richiesto.

Lodi e preghiere

  • Saluto alle virtù.
  • Saluto alla Beata Vergine Maria.
  • Chartula fratri Leonis, autografo di Francesco conservato nella Basilica Inferiore di San Francesco ad Assisi, contenente:
    • Benedictio fratris Leonis, preghiera personale per Frate Leone;
    • Laudes Dei altissimi, lodi a Dio durante il soggiorno a La Verna.
  • Cantico delle creature, detto anche Cantico di Frate Sole, considerata l'inizio della tradizione letteraria italiana.
  • Audite, poverelle (Parole con melodia), indirizzata alle suore di San Damiano, scritta in lingua volgare. Questa opera, la cui esistenza è testimoniata dalle agiografie, è stata ritrovata da padre Giovanni Boccali e suor Chiara Augusta Lainati pubblicata nel 1977.
  • Lodi per ogni ora.
  • Esortazione alla lode di Dio.
  • Parafrasi del Padre Nostro.
  • Preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano.
  • Absorbeat.
  • Della vera e perfetta letizia.
  • Ufficio della Passione del Signore.

IL CANTICO DELLE CREATURE

«Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione.

Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi' Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te, Altissimo, porta significatione.

Laudato si', mi' Signore, per sora luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si', mi' Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si', mi' Signore, per sor'aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.

Laudato si', mi' Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si', mi' Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli che 'l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si', mi' Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali.

Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate et benedicete mi' Signore et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.»

IL TESTAMENTO

l più noto testo di Francesco dal sapore di "testamento spirituale" è quello redatto nelle settimane immediatamente precedenti la sua morte, probabilmente nel settembre del 1226. In realtà, però, sono stati tramandati due diversi opuscula (scritti) chiamati entrambi "testamento". Accanto al più lungo e celebre testo, è stato conservato anche una breve testo, noto come il Testamento di Siena, dettato dal Santo nella primavera dello stesso anno. Il Santo si trovava nella città toscana di Siena quando, a seguito di un prolungato sbocco di sangue, i compagni temettero il peggio e gli chiesero di lasciare loro le sue "ultime volontà". Ecco di seguito il testo:

«Scrivi che benedico tutti i miei frati, che sono ora in questa Religione e quelli che vi entreranno fino alla fine del mondo. E siccome, a motivo della debolezza e per la sofferenza della malattia, non posso parlare, brevemente manifesto ai miei frati la mia volontà in queste tre parole.
Cioè: in segno e memoria della mia benedizione e del mio testamento, sempre si amino gli uni gli altri, sempre amino ed osservino nostra signora la santa povertà, e sempre siano fedeli e sottomessi ai prelati e a tutti i chierici della santa madre Chiesa.»

 

Testo della Regola bollata

  1. Nel nome del Signore incomincia la regola e la vita dei frati minori - La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità. Frate Francesco promette obbedienza e ossequio al signor Papa Onorio e ai suoi successori canonicamente eletti e alla Chiesa romana. E gli altri frati siano tenuti a obbedire a frate Francesco e ai suoi successori.
  2. Di coloro che vogliono abbracciare questa vita e in quale modo debbano essere accolti - Se alcuni vorranno intraprendere questa vita e verranno dai nostri frati, questi li mandino dai loro ministri provinciali, ai quali soltanto e non ad altri sia concesso di ricevere i frati. I ministri poi diligentemente li esaminino intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa. E se credono tutte queste cose e le vogliono fedelmente professare e osservare fino alla fine e non hanno moglie o, qualora l'abbiano, essa sia già entrata in monastero o abbia dato loro il permesso con l'autorità del vescovo diocesano, dopo aver fatto voto di castità e le mogli siano di tale età che non possa nascere su di loro alcun sospetto; dicano ad essi la parola del Santo Vangelo, che vadano e vendano tutto quello che hanno e procurino di darlo ai poveri. Se non potranno farlo, basta ad essi la buona volontà. E si guardino i frati e i loro ministri di essere solleciti delle loro cose temporali, affinché dispongano delle medesime liberamente secondo l'ispirazione del Signore. Se tuttavia si chiedesse loro un consiglio, i ministri li potranno mandare da persone timorate di Dio perché con il loro aiuto diano i loro beni ai poveri. Poi concedano loro i panni della prova, cioè due tonache senza cappuccio e il cingolo e i pantaloni e il capperone fino al cingolo, se ai ministri non sembrerà diversamente secondo Dio. Terminato l'anno della prova siano ricevuti all'obbedienza promettendo di osservare sempre questa vita e la Regola. E in nessun modo sarà lecito di uscire da questa Religione secondo il decreto del signor Papa; poiché, come dice il Vangelo, nessuno che pone la mano all'aratro e poi si volge indietro è atto al regno di Dio (Lc 9,62). E quelli che hanno già promesso obbedienza, abbiano una tonaca con il cappuccio e un'altra senza, coloro che la vorranno avere. E coloro che sono costretti da necessità possano portare calzature. E tutti i frati si vestano di abiti vili che possono rattoppare con sacco e altre pezze con la benedizione di Dio. I quali ammonisco ed esorto di non disprezzare e di non giudicare gli uomini che vedono vestiti di abiti molli e colorati ed usano cibi e bevande delicate, ma piuttosto ciascuno giudichi e disprezzi sé stesso.
  3. Dell'Ufficio divino e del digiuno, e come i frati debbano andare per il mondo - I chierici recitino il divino ufficio secondo il rito della santa Chiesa romana eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari. I laici dicano ventiquattro Pater Noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste, sette; per il Vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti. E digiunino dalla festa di tutti i santi fino alla Natività del Signore. La santa Quaresima invece, che incomincia dall'Epifania e dura ininterrottamente per quaranta giorni e che il Signore santificò con il suo digiuno, coloro che volontariamente la passano nel digiuno siano benedetti dal Signore, e coloro che non vogliono non vi siano obbligati (Mt 4,2). Ma l'altra, fino alla Resurrezione del Signore, la passino digiunando. Negli altri tempi non siano tenuti a digiunare, se non il venerdì. Nei casi di manifesta necessità i frati non siano tenuti al digiuno corporale. Consiglio poi, ammonisco ed esorto i miei frati nel Signore Gesù Cristo che, quando vanno per il mondo, non litighino, ed evitino le dispute di parole, ne giudichino gli altri; ma siano miti, pacifici e modesti, mansueti e umili, parlando onestamente con tutti, così come conviene (Tim 2,14). E non debbano cavalcare se non siano costretti da evidente necessità o infermità. In qualunque casa entreranno prima dicano: Pace a questa casa (Lc 10,5). E secondo il santo Vangelo potranno mangiare di tutti i cibi che saranno loro presentati (Lc 10,8).
  4. Che i frati non ricevano denaro - Ordino fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia direttamente o per interposta persona. Tuttavia per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, i ministri soltanto e i custodi per mezzo di amici spirituali, abbiano sollecita cura secondo i luoghi, la circostanza, il clima delle regioni, così come sembrerà convenire alla necessità, salvo sempre, come è stato detto, che non ricevano in nessuna maniera denaro o pecunia.
  5. Del modo di lavorare - Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione, così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione al quale devono servire tutte le altre cose temporali. Come ricompensa del lavoro per sé e per i loro frati ricevano le cose necessarie al corpo, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà.
  6. Che i frati nulla si approprino; del chiedere elemosine e dei frati ammalati - I frati non si approprino di nulla, ne casa, ne luogo, o alcuna altra cosa. E come pellegrini e forestieri in questo mondo (Petr 2,11), servendo al Signore in povertà ed umiltà, vadano per l'elemosina con fiducia (Cor 8,9). Ne devono vergognarsi, perché il Signore si e fatto povero per noi in questo mondo. Questa e, fratelli miei carissimi, l'eccellenza dell'altissima povertà, che vi costituisce eredi e re del regno dei cieli, facendovi poveri di cose e ricchi di virtù (Jac 2,5). Questa sia la vostra porzione che vi conduce alla terra dei viventi (Ps 141,6). E a questa povertà, fratelli carissimi, totalmente uniti, non vogliate aver altro sotto il cielo, per sempre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo. E ovunque sono e si troveranno i frati, si mostrino familiari tra loro. E ciascuno manifesti con fiducia all'altro le sue necessità, poiché se la madre nutre e ama il suo figlio carnale (Thess 2,7), con quanto più affetto uno deve amare e nutrire il suo fratello spirituale? E se uno di essi cadrà malato, gli altri frati lo devono servire come vorrebbero essere serviti (Mt 7,12).
  7. Della penitenza che si deve imporre ai frati che peccano - Se alcuni frati, per istigazione del nemico, avranno mortalmente peccato, per quei peccati per i quali sarà stato ordinato tra i frati di ricorrere ai soli ministri provinciali, i predetti frati siano tenuti a ricorrere ad essi quanto prima potranno senza indugio. I ministri poi, se sono sacerdoti, impongano con misericordia ad essi la penitenza; se invece non sono sacerdoti, la facciano imporre da altri sacerdoti dell'Ordine, così come sembrerà più opportuno, secondo Dio. E devono guardarsi di non adirarsi ne risentirsi per il peccato commesso da un frate, poiché l'ira e il risentimento impediscono in sé e negli altri la carità.
  8. Dell'elezione del ministro generale di questa fraternità, e del capitolo della Pentecoste - Tutti i frati siano tenuti sempre ad avere uno dei frati di quest'Ordine come ministro generale e servo di tutta la fraternità e a lui devono fermamente obbedire. Alla sua morte l'elezione del successore sia fatta dai ministri provinciali e dai custodi nel Capitolo di Pentecoste, al quale i ministri provinciali siano tenuti sempre ad intervenire dovunque sarà stabilito dal ministro generale; e questo una volta ogni tre anni o entro un termine maggiore o minore, così come dal predetto ministro sarà ordinato. E se talora ai ministri provinciali e ai custodi all'unanimità sembrasse che detto ministro non fosse idoneo al servizio e al comune bene dei frati, i predetti ministri e custodi, ai quali e commessa l'elezione, siano tenuti nel nome del Signore ad eleggersi un altro custode. Dopo il Capitolo di Pentecoste i singoli ministri e custodi possono, se vogliono e lo credono opportuno, radunare nello stesso anno, una volta i loro frati a capitolo.
  9. Dei predicatori - I frati non predichino nella diocesi di alcun vescovo qualora dallo stesso vescovo fosse loro proibito. E nessun frate osi predicare al popolo se prima non sia stato esaminato e approvato dal ministro generale di questa fraternità e non abbia ricevuto dal medesimo l'ufficio della predicazione. Ammonisco anche ed esorto gli stessi frati che nella loro predicazione le loro parole siano ponderate e caste a utilità (Ps 11,7; 17,31) e a edificazione del popolo, annunciando ai fedeli i vizi e le virtù, la pena e la gloria con brevità di discorso poiché il Signore disse sulla terra parole brevi (Rom 9,28).
  10. Dell'ammonizione e della correzione dei frati - I frati, che sono ministri e servi degli altri frati, visitino e ammoniscano i loro frati e li correggano con umiltà e carità, non ordinando ad essi niente che sia contro alla loro anima e alla nostra Regola. I frati poi, che sono sudditi, si ricordino che per Dio hanno rinnegato la propria volontà. Per cui fermamente ordino loro di obbedire ai ministri in tutte quelle cose che promisero al Signore di osservare e non sono contrarie all'anima e alla nostra Regola. E ovunque ci siano dei frati che sapessero e conoscessero di non potere spiritualmente osservare la Regola, debbano e possano ricorrere ai loro ministri. E i ministri li accolgano con carità e benevolenza e mostrino ad essi tanta familiarità che quelli possano parlare e fare con essi così come parlano e fanno i padroni con i loro servi; infatti così deve essere, che i ministri siano i servi di tutti i frati. Ammonisco poi ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino i frati da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia (Lc 12,15), dalle cure e dalle preoccupazioni di questo mondo (Mt 13,22), dalla detrazione e dalla mormorazione. E se non sanno di lettere, non si preoccupino di apprenderle, ma attendano a ciò che devono desiderare sopra ogni cosa: avere lo Spirito del Signore e le sue opere, per pregare sempre con cuore puro e avere umiltà, pazienza nelle persecuzioni e nelle infermità e amare quelli che ci perseguitano e ci riprendono e ci calunniano, poiché dice il Signore: Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano (Mt 5,44). Beati quelli che sono perseguitati per la giustizia, poiché di essi e il regno dei cieli (Mt 5,10). E chi persevererà fino alla fine, questi sarà salvo (Mt 10,22).
  11. Che i frati non debbono entrare nei monasteri delle monache - Ordino fermamente a tutti i frati di non avere vicinanza o colloqui con donne tali da ingenerare sospetto, e di non entrare in monasteri di monache, eccetto quelli ai quali è stata data dalla Sede apostolica una speciale licenza. Ne si facciano padrini di uomini e di donne, affinché per questa occasione non sorga scandalo tra i frati e dai frati.
  12. Di coloro che si recano tra i saraceni e gli altri infedeli - Quei frati che, per divina ispirazione, vorranno andare tra i Saraceni e tra gli altri infedeli, ne chiedano il permesso ai loro ministri provinciali. I ministri poi non diano a nessuno il permesso se non a quelli che riterranno idonei ad essere mandati. Per obbedienza, inoltre, ordino ai ministri che chiedano al signor Papa uno dei cardinali della Santa Chiesa romana il quale sia governatore, protettore e correttore di questa fraternità affinché sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima Santa Chiesa, stabili nella fede (Col 1,23) cattolica, osserviamo la povertà, l'umiltà e il Santo Vangelo del Signor nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso.

I FIORETTI

Indice

Al nome del nostro Signore Gesù Cristo crocifisso e della sua Madre Vergine Maria. In questo libro si contengono certi fioretti miracoli ed esempi divoti del glorioso poverello di Cristo messer santo Francesco e d'alquanti suoi santi compagni. A laude di Gesù Cristo. Amen.
Di frate Bernardo da Quintavalle primo compagno di santo Francesco.
Come per mala cogitazione che santo Francesco ebbe contro a frate Bernardo, comandò al detto frate Bernardo che tre volte gli andasse co' piedi in sulla gola e in sulla bocca.
Come l'agnolo di Dio propuose una quistione a frat'Elia guardiano d'uno luogo di Val di Spoleto; e perché frat'Elia li rispuose superbiosamente si partì e andonne in cammino di santo Jacopo, dove trovò frate Bernardo e dissegli questa storia.
Come il santo frate Bernardo d'Ascesi fu da santo Francesco mandato a Bologna, e là pres'egli luogo.
Come santo Francesco benedisse il santo frate Bernardo e lasciollo suo Vicario, quando egli venne a passare di questa vita.
Come santo Francesco fece una Quaresima in una isola del lago di Perugia, dove digiunò quaranta dì e quaranta notti e non mangiò più che un mezzo pane.
Come andando per cammino santo Francesco e frate Leone, gli spuose quelle cose che sono perfetta letizia.
Come santo Francesco insegnava rispondere a frate Lione, e non poté mai dire se non contrario di quello Francesco volea.
Come frate Masseo quasi proverbiando, disse a santo Francesco che a lui tutto il mondo andava dirieto; ed egli rispuose che ciò era a confusione del mondo e grazia di Dio; perch'io sono il più vile del mondo.
Come santo Francesco fece aggirare intorno intorno più volte frate Masseo, e poi n'andò a Siena.
Come santo Francesco puose frate Masseo allo ufficio della porta, della limosina e della cucina; poi a priego degli altri frati ne lo levò.
Come santo Francesco e frate Masseo il pane che aveano accattato puosono in su una pietra allato a una fonte, e santo Francesco lodò molto la povertà. Poi pregò Iddio e santo Pietro e santo Paulo che gli mettesse in amore la santa povertà, e come gli apparve santo Pietro e santo Paulo.
Come istando santo Francesco con suoi frati a parlare di Dio, Iddio apparve in mezzo di loro.
Come santa Chiara mangiò con santo Francesco e co' suoi compagni frati in Santa Maria degli Agnoli.
Come santo Francesco ricevuto il consiglio di santa Chiara e del santo frate Silvestro, che dovesse predicando convertire molta gente, e' fece il terzo Ordine e predicò agli uccelli e fece stare quete le rondini.
Come uno fanciullo fraticino, orando santo Francesco di notte, vide Cristo e la Vergine Maria e molti altri santi parlare con lui.
Del maraviglioso Capitolo che tenne santo Francesco a Santa Maria degli Agnoli dove furono oltre a cinquemila frati.
Come dalla vigna del prete da Rieti in casa di cui orò santo Francesco, per la molta gente che venia a lui furono tratte e colte l'uve, e poi miracolosamente fece più vino che mai sì come santo Francesco gli avea promesso. E come Iddio rivelò a santo Francesco ch'egli arebbe paradiso alla sua partita.
D'una molto bella visione che vide uno frate giovane, a quale avea in tanta abbominazione la cappa, ch'era disposto di lasciare l'abito e uscire dell'Ordine.
Del santissimo miracolo che fece santo Francesco, quando convertì il ferocissirno lupo d'Agobbio.
Come santo Francesco dimesticò le tortole salvatiche.
Come santo Francesco liberò un frate ch'era in peccato col demonio.
Come santo Francesco convertì alla fede il Soldano di Babilonia e la meretrice che lo richiese di peccato.
Come santo Francesco miracolosamente sanò il lebbroso dell'anima e del corpo, e quel che l'anima gli disse andando in cielo.
Come santo Francesco convertì tre ladroni micidiali e fecionsi frati; e della nobilissima visione che vide l'uno di loro, il quale fu santissimo frate.
Come santo Francesco convertì a Bologna due scolari, e fecionsi frati; e poi all'uno di loro levò una grande tentazione da dosso.
D'uno rapimento che venne a frate Bernardo, ond'egli stette dalla mattina insino a nona ch'egli non si sentì
Come il demonio in forma di Crocifisso apparve più volte a frate Ruffino, dicendogli che perdea il bene che facea, però ch'egli non era degli eletti di vita eterna. Di che santo Francesco per rivelazione di Dio il seppe, e fece riconoscere a frate Ruffino il suo errore e ch'egli avea creduto.
Della bella predica che feceno in Ascesi santo Francesco e frate Ruffino, quando eglino predicarono ignudi.
Come santo Francesco conosceva li segreti delle coscienze di tutti i suoi frati ordinatamente.
Come frate Masseo impetrò da Cristo la virtù della santa umiltà.
Come santa Chiara, per comandamento del Papa, benedisse il pane il quale era in tavola; di che in ogni pane apparve il segno della santa croce.
Come santo Lodovico re di Francia personalmente, in forma di pellegrino, andò a Perugia a visitare il santo frate Egidio.
Come essendo inferma santa Chiara, fu miracolosamente portata la notte della pasqua di Natale alla chiesa di santo Francesco, ed ivi udì l'ufficio.
Come santo Francesco dispuose a frate Lione una bella visione ch'avea veduta.
Come Gesù Cristo benedetto, a priego di santo Francesco, fece convertire uno ricco e gentile cavaliere e farsi frate, il quale avea fatto grande onore e profferta a santo Francesco.
Come santo Francesco conobbe in ispirito che frate Elia era dannato e dovea morire fuori dell'Ordine; il perché a' prieghi di frate Elia fece orazione a Cristo per lui e fu esaudito.
Della maravigliosa predica la quale fece santo Antonio da Padova frate minore in consistorio.
Del miracolo che Iddio fece quando santo Antonio, essendo a Rimino, predicò a' pesci del mare.
Come il venerabile frate Simone liberò di una grande tentazione un frate, il quale per questa cagione voleva uscire fuori dell'Ordine.
Di belli miracoli che fece Iddio per li santi frati frate Bentivoglia, frate Pietro da Monticello, frate Currado da Offida e come frate Bentivoglia portò un lebbroso quindici miglia in pochissimo tempo, e all'altro parlò santo Michele, e all'altro venne la Vergine Maria e puosegli il figliuolo in braccio.
Come frate Currado da Offida convertì un frate giovane, molestando egli gli altri frati. E come il detto frate giovane morendo, egli apparve al detto frate Currado, pregandolo che orasse per lui. E come lo liberò per la sua orazione delle pene grandissime del purgatorio.
Come a frate Currado apparve la madre di Cristo e santo Giovanni Vangelista e santo Francesco; e dissegli quale di loro portò più dolore della passione di Cristo.
Della conversione e vita e miracoli e morte del santo frate Giovanni della Penna.
Come frate Pacifico, istando in orazione, vide l'ariima di frate Umile suo fratello andare in cielo.
Di quello santo frate a cui la Madre di Cristo apparve, quando era infermo, ed arrecogli tre bossoli di lattovaro.
Come frate Iacopo dalla Massa vide in visione tutti i frati Minori del mondo, in visione di uno arbore, e conobbe la virtù e li meriti e li vizi di ciascuno.
Come Cristo apparve a frate Giovanni della Vernia.
Come dicendo messa il dì de' morti, frate Giovanni della Vernia vide molte anime liberate del purgatorio.
Del santo frate Iacopo da Fallerone; e come, poi che morì apparve a frate Giovanni della Vernia.
Della visione di frate Giovanni della Vernia, dove egli conobbe tutto l'ordine della santa Trinità.
Come, dicendo messa, frate Giovanni della Vernia cadde come fosse morto.

LETTERA A FRATE LEONE DI ASSISI

Nel 1224, due anni prima della morte di Francesco, Frate Leone fu colpito da una crisi spirituale e chiese al santo una preghiera di aiuto. Francesco dettò queste preghiera:

«Tu sei santo, o Signore, solo Dio, che compi cose meravigliose.
Tu sei forte, tu sei grande, tu sei altissimo, tu sei onnipotente, tu Padre Santo, re del cielo e della terra.
Tu sei trino e uno, Signore, Dio degli dei. Tu sei il bene, ogni bene, il sommo bene, il Signore Dio vivo e vero.
Tu sei amore, carità; tu sei sapienza, tu sei umiltà, tu sei pazienza, tu sei bellezza, tu sei mansuetudine, tu sei sicurezza, tu sei quiete, tu sei gioia, tu sei nostra speranza e letizia, tu sei giustizia, tu sei temperanza, tu sei ogni nostra ricchezza in sovrabbondanza.
Tu sei bellezza, tu sei mansuetudine; tu sei protettore, tu sei nostro custode e difensore, tu sei fortezza, tu sei refrigerio.
Tu sei la nostra speranza, tu sei la nostra fede, tu sei la nostra carità, tu sei tutta la nostra dolcezza, tu sei la nostra vita eterna, o Signore grande e mirabile, Dio onnipotente, misericordioso salvatore.»

3 maggio 2024 - Eugenio Caruso

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