Novalis, capofila del romanticismo tedesco«La poesia sana le ferite inferte dall'intelletto. Essa è appunto formata da elementi contrastanti - da una verità sublime e da un piacevole inganno». Novalis GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i grandi poeti e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità. I TEDESCHI Goethe - Hesse - Heyse - Hoffmann - Lutero - Mann - Nietzsche - Novalis - Schiller Novalis, pseudonimo di Georg Friedrich Philipp Freiherr von Hardenberg (Schloss Oberwiederstedt, 2 maggio 1772 – Weißenfels, 25 marzo 1801), è stato un poeta, teologo, filosofo e scrittore. Fu uno dei più importanti rappresentanti del romanticismo tedesco prima della fine del Settecento e creatore del fiore azzurro, ovvero il nontiscordardimé, uno dei simboli più durevoli del movimento romantico. Nato e cresciuto in una famiglia estremamente cristiana e solitaria, divenne ben presto appassionato di religione e prolifico autore di poesie dal contenuto mistico e filosofico, dotate d'uno stile sentimentale e amoroso originalissimo per la sua epoca. Viene considerato uno dei precursori della letteratura moderna. Giova ricordare che il Romanticismo è stato un movimento artistico, musicale, culturale e letterario sviluppatosi al termine del XVIII secolo in Germania (Romantik). Preannunciato in alcuni dei suoi temi dal movimento preromantico dello Sturm und Drang, si diffuse poi in tutta Europa nel XIX secolo. Come reazione all'Illuminismo e al Neoclassicismo, cioè alla razionalità e al culto della bellezza classica," il Romanticismo contrappone la spiritualità, l'emotività, la fantasia, l'immaginazione, e soprattutto l'affermazione dei caratteri propri di ogni artista". La casa di Novalis a Weißenfels, dove morì nel 1801
Opere
Traduzioni italiane
INNI NELLA NOTTE I Quale vivente, dotato di sensi, non ama tra tutte le meravigliose parvenze dello spazio che ampiamente lo circonda, la più gioiosa, la luce - coi suoi colori, coi raggi e con le onde; la sua soave onnipresenza di giorno che risveglia? Come la più profonda anima della vita la respira il mondo gigantesco delle insonni costellazioni, e nel suo flutto azzurro nuota danzando - la respira la pietra scintillante, che posa in eterno, la pianta sensitiva che risucchia, l'animale multiforme, selvaggio e ardente - ma più di tutti il maestoso viandante con gli occhi pieni di profondi sensi, col passo leggero, e con le labbra ricche di suoni dolcemente socchiuse. Quale regina della natura terrestre chiama ogni forza a mutamenti innumerevoli, annoda e scioglie vincoli infiniti, avvolge ogni essere terrestre con la sua immagine celeste. - La sua sola presenza manifesta il meraviglioso splendore dei reami del mondo. Da lei mi distolgo e mi volgo verso la sacra, ineffabile misteriosa notte. Lontano giace il mondo - perso in un abisso profondo - la sua dimora è squallida e deserta. Malinconia profonda fa vibrare le corde del mio petto. Voglio precipitare in gocce di rugiada e mescolarmi con la cenere. - Lontananze della memoria, desideri di gioventù, sogni dell'infanzia, brevi gioie e vane speranze di tutta la lunga vita vengono in vesti grigie, come nebbie della sera quando il sole è tramontato. In altri spazi piantò la luce le festose tende. Mai più ritornerà ai suoi figli che l'attendono con fede d'innocenti? Che cosa a un tratto zampilla grondante di presagi sotto il cuore e inghiottisce la molle brezza della malinconia? Da noi derivi a tua volta piacere, o buia notte? Quale cosa tu porti sotto il manto che con forza invisibile mi penetra nell'anima? Delizioso balsamo stilla dalla tua mano, dal mazzo di papaveri. Le gravi ali dell'anima tu innalzi. Noi ci sentiamo oscuramente e ineffabilmente turbati - con gioioso spavento vedo un volto severo che su di me si china dolce e devoto, e svela tra i riccioli senza fine intrecciati la cara giovinezza della madre. Come infantile e povera mi sembra ora la luce - come grato e benedetto l'addio del giorno - Solo perché la notte distoglie e allontana da te i tuoi fedeli, tu seminasti per gli spazi immensi le sfere luminose, ad annunziare l'onnipotenza tua - il tuo ritorno - nel tempo della tua lontananza. Più divini delle stelle scintillanti ci sembrano gli occhi infiniti che in noi la notte dischiude. Vedono oltre le più pallide gemme di quelle schiere innumerevoli - non bisognosi di luce frugano nel profondo di un'anima amante - voluttà ineffabile colma uno spazio più alto. Lode alla regina del mondo, alta annunziatrice di mondi santi, custode del beato amore, che a me ti manda - tenera amata - amabile sole notturno, - ed ora veglio - sono Tuo e Mio - la notte mi annunziasti come vita - mi hai fatto uomo - consuma con l'ardore dell'anima il mio corpo, perché lieve nell'aria con te più strettamente io mi congiunga e duri eterna la notte nuziale. II Deve il mattino sempre ritornare? La potenza terrestre avrà mai fine? Consuma un vano affaccendarsi il volo celeste della notte. E mai l'offerta segreta dell'amore arderà in eterno? Fu misurato alla luce il suo tempo; ma il regno della notte è senza tempo e senza spazio. - Eterno dura il sonno. Sonno santo - non fare troppo raramente lieti i consacrati alla notte in questa terrestre quotidiana fatica. Soltanto i folli non ti riconoscono e di te nulla sanno se non l'ombra che tu spandi su noi pietosamente nel crepuscolo della notte vera. Non ti sentono nel flutto d'oro del grappolo - nell'olio miracoloso del mandorlo, e nel latice bruno del papavero. Non sanno che tu adombri il tenero seno della vergine e il suo grembo fai cielo - non indovinano che uscita da antiche leggende tu avanzi e schiudi i cieli, portando la chiave dei soggiorni beati, silenzioso araldo di misteri infiniti. III Un giorno che versavo amare lacrime, che in dolore disciolta svaniva la mia speranza, e io stavo solitario presso l'arido tumulo che in un breve oscuro spazio chiudeva la forma della mia vita - solitario come nessuno era mai stato, sospinto da indicibile angoscia - privo di forze, in me soltanto un senso di miseria, come mi guardavo intorno cercando aiuto, non potevo avanzare né indietreggiare, e mi aggrappavo alla fuggente vita, spenta, con infinita nostalgia: - allora venne dalle azzurre lontananze - dalle altezze della mia antica beatitudine un brivido crepuscolare - si spezzò d'un tratto il vincolo della nascita - la catena della luce. Svanì la magnificenza terrestre e il mio lutto con lei - confluì in un mondo nuovo e impenetrabile la malinconia - e tu, estasi della notte, sopore del cielo scendesti su di me - la contrada lentamente si sollevò; e sulla contrada aleggiò il mio spirito nuovo, liberato. Il tumulo divenne una nube di polvere - attraverso la nube io vidi le fattezze trasfigurate dell'amata. Nei suoi occhi posava l'eternità - afferrai le sue mani, e le lacrime divennero un vincolo scintillante, inscindibile. Millenni dileguarono in lontananza, come uragani. Al suo collo piansi lacrime d'estasi per la nuova vita. - Fu questo il primo, unico sogno - e da allora sento un'eterna, immutabile fede nel cielo della notte e nella sua luce, l'amata. IV Ora so quando sarà l'ultimo mattino - quando la luce non mette più in fuga la notte e l'amore - quando eterno sarà il sonno e un solo sogno inesauribile. Celeste stanchezza sento in me. - Lungo e faticoso mi fu il pellegrinaggio alla tomba santa, grave la croce. Chi ha assaporato l'onda cristallina che, impercettibile ai sensi comuni, zampilla nel grembo oscuro del tumulo, ai cui piedi s'infrange il flutto terrestre, chi stette sopra le montagne all'estremo limite del mondo, e guardò di là, nella nuova terra, nella dimora della notte - costui davvero non torna al travaglio del mondo, alla terra dove la luce abita in eterna inquietudine. Lassù costruisce le sue capanne, capanne di pace, ardentemente desidera e ama, guarda al di là, finché la più gradita di tutte le ore non lo trascina giù, nella vena della fonte - dove galleggiano i residui terrestri, sospinti indietro dai turbini; ma ciò che sacro divenne al contatto d'amore, corre disciolto per tramiti oscuri alla sfera ultraterrena, dove si fonde, simile a vapore, con gli amori assopiti. Ancora tu risvegli, allegra luce, lo stanco al lavoro - mi infondi vita gioiosa - però non mi attiri lontano dal monumento muscoso del ricordo. Lieto voglio agitare le mani operose, guardarmi intorno, dovunque tu avrai bisogno di me - esaltare la piena magnificenza del tuo splendore - assiduamente perseguire la bella concordanza della tua opera ingegnosa - lieto voglio osservare il saggio cammino del tuo potente orologio che splende - scrutare l'equilibrio delle forze e le norme del giuoco prodigioso degli spazi innumerevoli e dei loro tempi. Ma fedele il mio cuore segreto rimane alla notte, e a suo figlio, l'amore che crea. Puoi tu mostrarmi un cuore fedele in eterno? Ha il tuo sole occhi amici che mi ravvisino? e le tue stelle afferrano la mia mano supplichevole? Mi rendono in cambio la tenera stretta e la parola affettuosa? Tu l'hai adornata di colori e lievi contorni - o fu lei che diede significato più alto e più caro alla tua grazia? Quale voluttà, quale godimento offre la tua vita, che in fascino equivalgano ai rapimenti della morte? Non porta i colori della notte tutto quanto ci esalta? Lei ti porta maternamente, e tu le devi tutta la tua gloria. Svaniresti in te stessa - nell'infinito spazio ti sperderesti, se lei non ti tenesse, né ti serrasse, così che calda, accesa, con la tua fiamma generassi il mondo. Veramente ero prima che tu fossi - la madre mi inviava ad abitare coi miei fratelli il tuo mondo, a consacrarlo con l'amore, perché fosse un monumento da contemplarsi in eterno - e a trapiantarvi fiori che non appassiranno. Non sono ancora maturati questi pensieri divini - E sono ancora scarse le tracce della nostra rivelazione - Un giorno il tuo quadrante segnerà la fine del tempo, quando una nostra eguale, o luce, tu sarai; piena di nostalgia, di fervore ti spegnerai e morirai. Sento in me la fine dell'opera tua laboriosa - libertà celeste, ritorno beato. In selvaggi dolori riconosco la tua lontananza dalla nostra patria, la tua riluttanza all'antico splendido cielo. La tua furia e il tuo sdegno sono vani. Indistruttibile sta la croce - vittoriosa insegna della nostra stirpe. Mi libro al di là ed ogni mia pena sarà uno stimolo di ebbrezza eterna. Tra poco libero sarò da catene, giacerò inebriato nel grembo d'amore. In me vita ondeggia potente, infinita: io guardo dall'alto laggiù, verso te. Si spegne il tuo vivo fulgore sul colle - ed un'ombra porta la fresca corona. Aspirami in te, o amato, con forza, perché mi addormenti e impari ad amare. Sento in me della morte l'onda che fa giovani, in balsamo ed etere si muta il mio sangue - Io vivo di giorno con fede e coraggio e muoio le notti in ardore sacro. V Sopra le stirpi degli uomini largamente diffuse nel passato regnava un destino ferreo con muta violenza. E un'oscura, grave benda avvolgeva la loro anima angosciata - Immensa era la terra - dimora degli dei, e loro patria. Da sempre esisteva la sua arcana struttura. Sui rossi monti del mattino, nel grembo sacro del mare dimorava il sole, la viva luce che ogni cosa accende. Un antico gigante portava il mondo beato. Incatenati sotto le montagne giacevano i figli primigeni della terra madre. Impotenti nella loro furia sterminatrice contro la nuova splendida stirpe di dei e i loro simili, gli uomini felici. Il fondo oscuro, verdeggiante del mare era il grembo di una dea. Nelle grotte cristalline un popolo esuberante viveva nell'abbondanza. Fiumi, alberi, fiori e animali avevano sensi umani. Più dolce era il sapore del vino donato da una visibile pienezza giovanile - un dio nei grappoli - un'amorosa, materna dea cresceva nei gonfi, aurei covoni - era la sacra ebbrezza d'amore un dolce rito della divinità più bella - un'eterna, variopinta festa dei figli del cielo e degli abitatori della terra passava stormendo la vita, come una primavera, attraverso i secoli - Tutte le stirpi infantilmente adoravano la multiforme, tenera fiamma come la cosa del mondo suprema. Solo un pensiero, un'immagine spaventosa di sogno era quella che si accostò tremenda ai gai conviti e in selvaggio terrore avvolse gli animi. Non seppero gli dei dare un consiglio che fosse di conforto ai cuori oppressi. La via di questo demone era arcana, non lo placava supplica né offerta; fu la morte a interrompere quest'orgia con l'angoscia, le lacrime e il dolore. Per sempre ora da tutto ciò diviso che a dolce voluttà qui muove il cuore, lontano dagli amati, in cui si accende vana sete quaggiù, lungo rimpianto, parve assegnato al morto solo un sogno fioco, a lui solo un'impotente guerra. S'infranse l'onda del piacere contro la roccia di un cordoglio interminato. Con fuoco d'intelletto, animo audace, l'uomo abbellì per sé l'orrenda larva, un dolce efebo spegne il lume e dorme - dolce è la morte come un soffio d'arpa. Si scioglie la memoria in flutto d'ombre, così fu il canto balsamo agli afflitti. Ma un enigma restò la notte eterna, di un lontano potere il grave segno. Declinava verso la sua fine il vecchio mondo. Sfioriva il giardino di delizie della giovane stirpe - lassù, nel libero spazio deserto anelavano a salire gli uomini divenuti consapevoli, adulti. Scomparvero gli dei col loro seguito - Solitaria e inanimata stava la natura. La legavano con ferrea catena l'arido numero e il metro severo. Come in polvere ed aria si frantumò in parole oscure l'immensurabile fioritura della vita. Fuggita era la fede evocatrice e la celeste compagna che tutto trasfigura, tutto congiunge fraternamente, la fantasia. Soffiava un ostile freddo vento del nord sulla campagna spogliata, e nell'etere si dissolse l'irrigidita patria del miracolo. Le lontananze del cielo si colmarono di mondi luminosi. In più profondo santuario, in più alto spazio dello spirito volò coi suoi poteri l'anima del mondo - per dominare là fino al sorgere dell'albeggiante magnificenza del mondo. La luce non fu più dimora degli dei e segno celeste - essi si avvolsero nel velo della notte. E la notte fu il grembo potente delle rivelazioni - là tornarono gli dei - caddero nel sonno, per ridestarsi in nuove più splendide forme sopra il mondo mutato. Tra il popolo da tutti disprezzato, precocemente maturo e sdegnosamente divenuto estraneo alla beata innocenza della giovinezza, apparve con volto non mai veduto il mondo nuovo - Nella povertà di una poetica capanna - Un figlio della prima vergine e madre - di misterioso abbraccio frutto infinito. La rigogliosa, presaga sapienza d'Oriente fu la prima a conoscere l'inizio del tempo nuovo - E all'umile culla del re, una stella le mostrava il cammino. Nel nome del futuro lontano gli resero omaggio con profumo e splendore, le più alte meraviglie della terra. Solitario il cuore divino si schiuse ad un calice di onnipotente amore - volgendosi al viso sublime del Padre e riposando sul seno beato di presagi della madre amabilmente grave. Con divinizzante fervore guardava il profetico occhio del fiorente fanciullo ai giorni del futuro, e agli amati, germogli della sua stirpe divina, non curando il terrestre destino dei suoi giorni. Presto intorno a lui si adunarono gli spiriti candidi come fanciulli, miracolosamente rapiti da profondo amore. E una nuova, strana vita germogliava come i fiori nella sua vicinanza. Parole inesauribili e lietissimi annunzi caddero come scintille di uno spirito divino dalle sue labbra amiche. Da rive lontane, nato sotto il chiaro cielo dell'Ellade, venne un cantore alla terra di Palestina e donava tutto il suo cuore al fanciullo miracoloso: Tu sei il fanciullo che da lungo tempo medita assorto sulle nostre tombe; nella tenebra un segno che consola - di umanità più alta inizio lieto. Quanto in grave tristezza ci sommerse ora al di là ci trae con dolce ardore. Nella morte si aprì la vita eterna, tu sei la morte, e noi sola risani. Il cantore andò pieno di gioia nell'Indostan, - col cuore ebbro di dolce amore; e lo versava in canti accesi sotto quel mite cielo, così che mille cuori s'inchinarono a lui, e il lieto annunzio cresceva in migliaia di rami. Subito, dopo l'addio del cantore, la preziosa vita fu offerta in sacrificio alla profonda decadenza umana - Morì giovane d'anni, strappato via dal diletto mondo, dalla madre in lacrime dagli amici suoi sgomenti. La bocca soave vuotò l'oscuro calice di dolori ineffabili - In spaventosa angoscia si avvicinava l'ora della nascita del mondo nuovo. Duramente lottò contro i terrori dell'antica morte - Gravava su di lui pesantemente il vecchio mondo. Ancora una volta guardò la madre con occhi amorosi - venne allora la mano liberatrice dell'eterno amore - e dolcemente egli spirò. Solo per pochi giorni si stese sul mugghiante mare e sopra la terra tremante un cupo velo - lacrime innumerevoli piansero gli amati - Fu svelato il mistero - spiriti celesti sollevarono la pietra vetusta dalla tomba oscura. Angeli sedevano presso il dormiente - dai suoi sogni teneramente creati - Risorto in nuova magnificenza divina egli ascese la cima del mondo appena nato - seppellì con la propria mano l'antico cadavere nell'antro abbandonato, e vi posò con mano onnipotente la pietra che nessuna forza più solleva. Piangono ancora i tuoi diletti lacrime di gioia, lacrime di commozione e di infinita gratitudine sul tuo sepolcro - sempre ancora ti vedono, con gioioso spavento, risuscitare - e se stessi con te; ti vedono piangere con dolce fervore sopra il beato seno della madre, con gli amici gravemente incedere, dire parole come strappate al tronco della vita; ti vedono impaziente di tornare tra le braccia del Padre, portando l'umanità giovane, e il calice inesauribile del futuro dorato. Presto la madre ti raggiunse - in trionfo celeste - Per prima ti fu accanto nella nuova patria. Lunghi tempi trascorsero da allora, e in sempre più alto splendore si muoveva la nuova tua creazione - e da angosce e tormenti vennero a te mille cuori, pieni di fede, ardore e devozione - si librano con te con la vergine celeste nel regno dell'amore - servono nel tempio della celeste morte e sono tuoi in eterno. La pietra è sollevata - l'umanità è risorta - noi tutti siamo tuoi, non sentiamo più vincoli. Fugge ogni pena amara davanti all'aurea coppa, se nell'ultima Cena terra e vita dileguano. La morte invita a nozze, chiare ardono le lampade - sono pronte le vergini, d'olio non c'è mancanza - Già gli spazi lontani del tuo corteo risuonino, e noi le stelle chiamino con lingua e voce umana. Già verso te, Maria, mille cuori si levano. In questa vita d'ombre anelano a te sola. Sperano, con presaga gioia, che li risani - se tu li stringi, o santa, al tuo petto fedele. Tanti spiriti, ardendo consunti in pene amare, da questo mondo in fuga si sono a te rivolti; e in nostro aiuto accorrono nell'ora del bisogno - per restare in eterno con te, ci uniamo a loro. Non piange su nessuna tomba chi crede ed ama. Ora a nessuno il dolce bene d'amore è tolto - Lo esalta, per placare il suo ardore, la notte - figli fedeli in cielo vegliano sul suo cuore. Consolata va la vita verso la vita eterna; da ardore intimo esteso si schiara il nostro senno. Fluirà il mondo degli astri in succo aureo di vita, noi potremo gustarlo, saremo chiare stelle. L'amore è liberato, non più separazione. La vita ondeggia piena come un mare infinito. Solo una notte d'estasi - Solo un poema eterno - e il sole di noi tutti è il volto di Dio. VI • ANELITO ALLA MORTE Laggiù nel suo grembo, lontano dai regni della luce, ci accolga la terra! Furia di dolori e spinta selvaggia è segno di lieta partenza. Dentro l'angusta barca è veloce l'approdo alla riva del cielo. Sia lodata da noi l'eterna notte, sia lodato il sonno eterno. Ci ha riscaldati il torrido giorno, ci ha fatti avvizzire il lungo affanno. Non ci attraggono più terre straniere, vogliamo tornare alla casa del Padre. Qui nel mondo che fare se la nostra fedeltà più non conta, né l'amore? L'antico è già da tutti abbandonato e noi del nuovo siamo incuranti. Sta solitario, in preda allo sconforto, chi ardente e devoto ama il passato. Il tempo in cui gli spiriti ardevano luminosi in altissime fiamme, e gli uomini conoscevano ancora la mano e il volto del Padre. Qualche nobile spirito incorrotto alla sua prima immagine era eguale. Il tempo, in cui fiorivano ancora smaglianti i ceppi antichissimi, e per il regno del cielo i fanciulli si votavano al martirio, alla morte. E se anche parlavano vita e piacere, più di un cuore si spezzò per amore. Il tempo, in cui Dio stesso agli uomini si è rivelato in giovane ardore, e ha consacrato la sua dolce vita per forza d'amore a morte immatura. E angoscia e dolore non ha respinto da sé, soltanto per esserci caro. Con ansia struggente vediamo il passato avvolto in notte profonda, non sarà mai placata l'ardente sete nel nostro tempo caduco. E noi dovremo tornare in patria per vedere questo sacro tempo. Che cosa indugia il nostro ritorno? Già riposano in pace i più cari. Conclude il corso della nostra vita la loro tomba: siamo ansiosi e tristi. Più nulla abbiamo qui da cercare - il cuore è sazio - il mondo è vuoto. Per ogni vena ci trascorre un dolce brivido, misterioso e infinito - mi sembra di udire, da lontananze profonde, un'eco del nostro lutto. Per noi sospirano anche gli amati, ci mandano il soffio del loro anelito. Laggiù ci accolga la sposa soave, e Gesù prediletto - Consolato spunta il crepuscolo per gli amanti, i cuori afflitti. Un sogno spezza i nostri legami e ci immerge nel grembo del Padre.
Eugenio Caruso - 1 giugno 2024
|
www.impresaoggi.com |