Callimaco, influenzò notevolmente la poesia ellenistica e latina


EPIGRAMMA (tr. Ugo Foscolo)

Quattro sono le Grazie; or s'è creata
Oltra le prime tre Grazia novella
Rugiadosa d’unguenti. Oh fortunata
E a tutte invidia Berenice bella,
Chè le Grazie non son Grazie senz’ella!


GRANDI PERSONAGGI STORICI Ritengo che ripercorrere le vite dei maggiori personaggi della storia del pianeta, analizzando le loro virtù e i loro difetti, le loro vittorie e le loro sconfitte, i loro obiettivi, il rapporto con i più stretti collaboratori, la loro autorevolezza o empatia, possa essere un buon viatico per un imprenditore come per una qualsiasi persona. In questa sottosezione figurano i più grandi poeti, pensatori e letterati che ci hanno donato momenti di grande felicità ed emozioni. Io associo a questi grandi personaggi una nuova stella che nasce nell'universo.

GRECI E LATINI

Alceo - Anacreonte - Anassagora - Anassimandro - Anassimene - Archiloco - Aristofane - Aristotele - Callimaco - Catullo - Cicerone - Democrito - Diogene - Empledoche - Epicuro - Eraclito - Eschilo - Esiodo - Euclide - Euripide - Lucrezio - Ovidio - Pindaro - Pitagora - Platone - Plutarco - Saffo - Seneca - Socrate - Solone - Talete - Virgilio - Zenone -

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Ritratto settecentesco di Callimaco

Callimaco di Cirene (Cirene, 310 a.C. circa – Alessandria d'Egitto, 235 a.C. circa) è stato un poeta e filologo greco antico d'età ellenistica. Figlio di Batto e Mesatma, Callimaco apparteneva alla dinastia dei Battiadi, il cui capostipite era Batto I, fondatore della città, del quale il padre portava il nome. Trascorsi i primi anni nella terra nativa, Cirene, si recò in Egitto, ad Alessandria, dove fu prima allievo di Ermocrate di Iaso, per poi assumere l'incarico di maestro di scuola. Successivamente, ad Atene fu discepolo del peripatetico Prassifane di Mitilene. Cirene fu fondata intorno al 630 a.C. dai dori che provenivano da Thera, l'odierna Santorini, e pretendevano di discendere da Euristeo: la colonizzazione si rese necessaria a causa del responso dell'oracolo di Delfi che impose ai terei di fondare una colonia in Libia. Il primo a governare la città fu Aristotele Batto il fondatore, i cui discendenti mantennero il potere per ben otto generazioni, fino al 440 a.C.

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Le rovine di Cirene

Incominciò a frequentare la corte di Tolomeo II Filadelfo, dove gli fu conferito il delicato compito di catalogare i testi della Biblioteca di Alessandria, fondata dallo stesso re. Da questa esperienza nacquero i Pinakes (o Tavole) della storia letteraria dei Greci: si tratta di una bibliografia a carattere enciclopedico di tutti gli scrittori in lingua greca, suddivisa a seconda del genere; questo genere verrà ripreso anche da Varrone Reatino nelle sue Imagines. Gli autori erano qui catalogati in ordine alfabetico; ogni nome era accompagnato da una sintetica biografia, seguita dai titoli delle opere, corredati dall'incipit di ciascun testo. L'opera comprendeva 120 volumi ed era certamente un testo imponente.

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Cirene, il tempio di Apollo

Entrò poi nelle grazie di Tolomeo III Evergete, poiché la moglie Berenice II era concittadina di Callimaco. Da poeta di corte esaltò con carmi encomiastici entrambi e, in particolare, compose La chioma di Berenice, elegia in cui si narra dell'assunzione in cielo, sotto forma di costellazione, del ricciolo sacrificato dalla regina in voto per il ritorno del marito da una campagna militare in Siria.
Opere

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Uno dei papiri di Ossirinco, contenente parte degli Aitia

Callimaco, secondo le fonti, scrisse moltissimo, sia in versi sia in prosa, tanto che, secondo la tradizione, avrebbe pubblicato 800 libri.
Tra le opere erudite in prosa spiccavano i Pinakes e una serie di opere di erudizione sui più disparati argomenti, dalla storia alla geografia, dall'etnografia alla paradossografia (in greco "testi sulle cose meravigliose"). I Costumi dei barbari, ad esempio, erano una collezione antiquaria di costumi non greci, mentre i Paradoxa, di cui restano 44 estratti in Antigono di Caristo, lo mostrano come un autore attento alla paradossografia. Tali opere sono andate del tutto perdute.
Per quanto riguarda i poemi, vanno invece ricordati quattro libri di elegie intitolati Aitia (ossia "origini" o "cause"), tredici Giambi, sessantatré Epigrammi, sei Inni e un epillio, l'Ecale. Epigrammi e Inni ci sono giunti per intero, mentre delle altre opere abbiamo frammenti.
Amante della ricerca erudita e del labor limae, ovvero la curata elaborazione formale, Callimaco influenzò la poesia ellenistica e latina, in special modo le opere di Catullo, Virgilio, Orazio, Tibullo e Properzio.
Callimaco si eleva, in effetti, tra i contemporanei per l'efficace brevità e concisione dei suoi carmi, nonché per la levigatezza formale. Pratica con sistematicità la polyèideia e la poikilìa, tanto che nel giambo XIII afferma, per esempio, che non esiste nulla che obblighi il poeta a seguire un solo genere letterario. D'altra parte, spesso sente la necessità di giustificarsi per le sue scelte e per la sua metaletteratura perché consapevole di essere incredibilmente sperimentale e innovatore.

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Cirene, il tempio di Zeus

Contrario alla concezione platonica dell'arte, propone una poesia non didascalica, ma piuttosto orientata al diletto; è arguta, ironica, elegante, con uno stile vivace, conciso ed espressivo. Non manca una certa prolissità, propria dell'epica antica, né infrequente è il ricorso a giochi di parole, neologismi ed etimologie.
Partecipò attivamente alle polemiche letterarie del suo tempo, denominando i suoi rivali, autori di poemi epici e depositari di ideali letterari da lui considerati superati, "Telchini" (nell'introduzione degli Aitia).

 

Bibliografia

Edizioni

  • Callimachus, ed. R. Pfeiffer, Oxford, Clarendon Press, 1949-1953.
  • Callimaco di Cirene, Inni e Epigrammi, trad. Laura Oliveri, Collana Biblioteca di Letteratura, Carlo Signorelli Editore, Milano, 1929, pp. 64.
  • Id., Gli Epigrammi di Callimaco scelti e commentati, trad. Sergio Chiappori, Milano, 1953, (edizione limitata).
  • Id., Inni - Chioma di Berenice, con testo a fronte, trad. Valeria Gigante Lanzara, Collana i grandi libri n. 308, Garzanti, Milano, 1984, pp. LXXIX-134.
  • Id., Opere. Inni - Epigrammi - Ecale. Testo a fronte, 2 voll., trad., introduzione e note di G. B. D'Alessio, Collana Classici Greci e Latini, BUR, Milano, 1996-2007.
  • Id., Epigrammi, Traduzione di Alceste Angelini, Collezione di Poesia n. 214, Einaudi, Torino, 1990.
  • Callimaco - Catullo, La chioma di Berenice. A cura di Pietro Tripodo, Collana Minima n. 47, Salerno Editrice, 1995, pp. 144.
  • Callimaco, Epigrammi, testo a fronte, trad. Giuseppe Zanetto, introd. e commento di Paola Ferrari, Collana Oscar Classici greci e latini, Mondadori, Milano, 1992.
  • Id., Aitia. Libro Primo e Secondo, Collana Biblioteca di studi antichi, Fabrizio Serra Editore, 1996.
  • Id., Iambi. XIV-XVII, a cura di Emanuele Lelli, Edizioni dell'Ateneo, 2005.
  • Id., Aitia. Libro Terzo e Quarto, a cura di G. Massimilla, Collana Biblioteca di studi antichi, Fabrizio Serra Editore.
  • Id., Inno ad Apollo e altre poesie. Prefazione, traduzione e note di Maria Paola Funaioli, Collana Diamante, Giuliano Ladolfi Editore.
  • Id., Inni di Callimaco tradotti da Dionigi Strocchi, Collana Hellenica, Edizioni dell'Orso, 2014.
  • Id., Aitia, Ecale, Giambi, Inni, Collana Oscar Classici greci e latini, Mondadori, Milano, 2015.
  • Meeten Nasr, (Sergio Chiappori) Callimaco Gli Epigrammi, La vita felice, Milano, 2015.

INNO A VENERE (tr. Angelo Maria Ricci).

O santa Dea che l’etere
     E il mare informi e il mondo,
     Che tutto avvivi e agiti
     Di un dolce ardor fecondo;
Te gli amorosi passeri
     All’ospitai Citera
     Guidar su conca argentea
     Dalla natia tua spera.
A te le donne Ciprie,
     Per trionfale omaggio,
     Il terso speglio offrirono,
     Caldo del tuo bel raggio.
Madri e donzelle Gnidie,
     Succinte in bianca veste,
     Su i casti altar chiamarono
     Te Venere celeste.
Te dai boschetti taciti
     La bruna pastorella,
     E te la plebe indocile
     Dea popolare appella.
Te la trilustre vergine,
     Con voce incerta e fioca,
     Tra i mal repressi palpiti,
     Diva nuziale invoca.
Tu con soave imperio
     Aggioghi uomini e Dei;
     Tu disarmasti il massimo
     Giove negl’antri Idei,
Quando su i lenti talami
     Dormìa tranquillo il Nume,
     E ne lambìa la folgore
     Le invïolate piume.
Tu, santa Dea, tu l’animo
     D’un mite ardor m’infiamma;
     Sarebbe un cor che palpita
     Poc’esca a maggior fiamma.
Altro non chieggo, o Venere
     Rendimi a te devoto;
     Saria per maggior titolo
     Forse imprudente il voto.

INNO A BACCO (tr. Angelo Maria Ricci.)

Evoè Bacco signor delle genti,
     Della gioja custode ed autor;
     Te non fece tra i nembi frequenti
     Cieco Nume de’ vinti il timor.
Tu recando la gioja tranquilla,
     Che de’ Numi fa dolce il poter,
     Tu raccendi la pura favilla
     Che la vita condì col piacer.
Tu non versi da’ monti nembosi
     Le tempeste in cui Giove regnò,
     Ma distilli da’ colli ubertosi
     Viva ambrosia che il sol colorò.
Tu non copri di luridi ossami
     Le campagne per barbaro allor,
     Ma a regnar sull’aratro vi chiami
     Coronato di spighe il cultor.
Te non fuggon le madri, le spose
     Allo squillo di tromba feral,
     Ma i tuoi sistri accompagnan festose
     Dalla rocca alla selva ospital.
Te di pampini, o Nume clemente,
     Cinge Amore per man della Fè,
     E col tirso la Gioja innocente
     Della terra lo scettro ti diè.

CEFALO E PROCRI (tr. Angelo Maria Ricci).

Aura dolcissima,
     Che mi ristori,
     Diceva Cefalo,
     Tra l’erbe e i fiori
     Deh! vieni a me.
E Procri udivane
     La voce e l’eco,
     Fra mille palpiti,
     Presso allo speco,
     Ritta in due piè.
Quando tra i frutici
     Un rumor lento
     Intese ahi, Cefalo...
     L’intese... e al vento
     Trasse lo stral...
E tu ingratissima
     Aura leggiera,
     Rechi all’incognita
     Leggiadra fera
     Colpo mortal...
O voi bell’anime
     Che m’intendete,
     E la vaghissima
     Fera piangete,
     E il cacciator,
Piangendo ditemi
     Per cortesia,
     È più tra gli uomini
     La gelosia
     Cieca, o l’amor?...

DICTYNA (tr. Giovanni Pascoli)

Sopra di quante ne sono, una ninfa Gottinide amasti,
la conduttrice di cervi Britomarti. Minos un tempo,
quella, percosso d’amore, inseguì per i monti di Creta.
Essa, la ninfa sfuggiva ora sotto le quercie fronzute,
ora ne’ verdi acquitrini. Egli errò nove lune per borri
e precipizi, nè mai d’inseguirla cessò, fin a quando
ella già già nelle grinfie di lui diede un lancio nel mare
giù da un altissimo picco, e balzando incappò nelle reti
di pescatori, e fu salva. Di che, da quel tempo, i Cydoni
chiaman Dictyna la ninfa, e il monte, onde scese la ninfa
con il suo lancio, Dicteo; e le alzarono altari e le fanno
lor sacrifizi, e nel giorno che vien la sua festa, è ghirlanda
pino e lentisco: in quel giorno le mani non toccano il mirto.
Questo perchè s’impigliò nella veste un germoglio di mirto
alla fanciulla, quel dì che fuggiva; e grand’astio ha col mirto.

EPIGRAMMA (tr. Ugo Foscolo)

Quattro sono le Grazie; or s'è creata
Oltra le prime tre Grazia novella
Rugiadosa d’unguenti. Oh fortunata
E a tutte invidia Berenice bella,
Chè le Grazie non son Grazie senz’ella!

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Come gli antichi vedevano la chioma di Berenice

LA FIABA AUDIO

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La galassia a spirale NGC 4921 dall’aspetto davvero particolare fa parte dell’Ammasso della Chioma, un raggruppamento di migliaia di galassie nella Costellazione della Chioma di Berenice. La ripresa del telescopio Hubble rivela minuti dettagli di NGC 4921, così come un ricco sfondo di galassie più distanti che risalgono al giovane Universo.

CHIOMA DI BERENICE

tr. Dionigi Strocchi)

Io che sono del ciel lucente raggio, 
     Di Berenice fui la chioma bella;
     Di me si accorse quel famoso Saggio,

Che discerne del mondo ogni fiammella,
     E sa l’ora che fugge, e che si affaccia
     Alle porte del ciel ciascuna stella,

Sa qual velame al Sol cuopre la faccia,
     E come Amor soavemente atterra
     Diana in Latmo dall’eterea traccia.

Già vincitor della notturna guerra
     E dei premj d’Amor, le schiere avverse
     Volgeva ai danni dell’Assira terra

Il giovinetto re, quando converse
     Al ciel le braccia, e in supplichevol modo
     Me la mia donna a ogni dio proferse.

Han le novizie in odio il giogal nodo,
     O sparsi lai per maritali soglie
     Fanno alla gioja de’ parenti frodo?

Non traggon, per li dei! veraci doglie:
     Sendo il marito alle battaglie addetto,
     Mi lesse il ver nel suo pianger la moglie.

La lontananza del fratel diletto 
     Più che la genial deserta sponda
     Porgea gravezza all’amoroso petto.

Tanto la foga del dolor t’inonda
     Tutte le vene, che smarrita in mezzo
     Alla tempesta la ragion si affonda.

Dove è quel cuore agli ardimenti avvezzo?
     Non ti rimembra il chiaro fatto e solo,
     Che delle regie nozze a te fu prezzo? 

Oh! pietose parole! oh! largo duolo!
     Di che le rosee dita, e gli occhi bagni
     L’ora, ch’egli apre alla partita il volo.

Un dio ti fura i sensi alteri e magni?
     O decreto è d’Amor che non permette,
     che un’amorosa coppia si scompagni?

Vittime a tutti i numi ella impromette, 
     Fa di me patto per sì dolce vita;
     Ei la vinta all’Egitto Asia sommette. 

Dunque il voto quì sciolgo al ciel sortita;
     Ma per te, donna, e pel tuo capo io giuro,
     Che non fui volentier da te partita.

Veggia vendetta di ciascun spergiuro,
     Che di te non paventa; e che mai puote
     Dalla forza del ferro esser sicuro?

Il ferro pur quella montagna scuote
     Altera tanto, che la più non scalda
     Ovunque il sommo sol volve sue rote.

Ato mirò per la divisa falda 
     Correr flutti e navigli: a tal virtude
     Io debil chioma mi potea star salda?

Pera chi ciò, che la pia terra chiude
     Nelle vene secrete andò spiando,
     E fe suonar da pria maglio ed incude.

Piagnean di me le mie sorelle, quando
     Di Clori il cavalier le preste piume 
     Ver la città d’Arsinoe spiegando,

Al casto sen di Citerea mi assume;
     Colà suo messo Zefiriti manda
     Dei lidi di Canopo amico nume, 

Credo perchè l’Ariannéa ghirlanda
     Non risplenda quì sola, ed io non manco
     Debite a questo ciel fiammelle spanda.

Io giunta al tempio de’ celesti imbianco
     Di nova luce il mondo; io del gagliardo
     Leon vicina e del virgineo fianco

E di Callisto Licaonia guardo
     L’occaso, e sono di Boote duce,
     Che a tuffarsi nel mar sempre è il più tardo.

Me quando tace la diurna luce
     Premon vestigi d’immortal corona,
     E al mar la mattutina ora riduce.

O di Ramnunte vergine perdona,
     Se il vero io son di favellare amica
     Liberamente come in cuor mi suona,

Esser dovessi pur dalla nemica
     Lingua degli astri amaramente punta,
     Non starò per temenza, ch’i’ non dica:

Tanto non m’allegrò l’essere assunta
     Alla volta del ciel, quanto m’increbbe
     Dal capo di colei starmi disgiunta,

La qual nel tempo, che laggiù s’accrebbe
     Verginella con me, tanti mi diede
     Soavi odor quantunque altra non ebbe.

O voi, che al dì delle giogali tede
     Siete venute, innamorate spose,
     Con saldo petto alla giurata fede,

Il casto vel delle secrete cose
     Non rimovete pria, che porte m’abbia
     Vostra pudica man mirre odorose;

(Di colei, ch’ebbe le spergiure labbia
     Contaminate d’inconcesso amore,
     I mal proferti don beva la sabbia,

Rifiuto i don di temerato core)
     Se Concordia con voi sempre soggiorni,
     E con voi vegna eternamente Amore.

Tu donna, allor, che negli usati giorni
     Supplicherai a Venere marina,
     Fa con larghezze tue, che a te ritorni.

Piaccia agli dei, ch’io della mia regina
     Al bel capo gentil torni a far velo;
     Erigone ad Arturo arda vicina, 

Non fa per me di rimanere in cielo.

La storia è quella della chioma della regina Berenice, moglie di Tolomeo III Evergete. Quest'ultimo, appena assunto il potere, dovette abbandonare l'Egitto per prendere parte a una campagna militare in Siria: in quell'occasione Berenice fece voto solenne di consacrare ad Afrodite la sua bellissima chioma se il marito fosse tornato sano e salvo. Al ritorno di Tolomeo ella mantenne la promessa, ma la chioma dopo qualche tempo sparì. Conone di Samo, l'astronomo di corte, affermò allora di averla ritrovata in cielo sotto forma di una costellazione che tutt'oggi è chiamata "Chioma di Berenice". Il racconto è narrato, secondo un punto di vista straniante, in prima persona dalla chioma stessa, che, dopo aver ricordato l'accaduto e la sua "apoteosi", si dichiara fiera di aver ricevuto quest'onore dagli dei, ma è anche triste del fatto che non godrà più di tutte le regali cure che le riservava la sua padrona, per le quali rinuncerebbe al catasterismo. L'elegia, che chiudeva probabilmente il poema maggiore del poeta cireneo, non ci è giunta che in maniera lacunosa su due papiri di Ossirinco, per un totale di circa 40 versi. Il fatto che però fosse tra le più note di Callimaco fece sì che il poeta latino Catullo ne trasse una sua versione, il carme 66. La fortuna dell'opera è dimostrata dal fatto che essa rientrò, mediante la contaminatio latina di Catullo, nelle convenzioni letterarie del neoclassicismo: Alexander Pope ne trasse il motivo sviluppato nel suo Il ricciolo rapito, mentre Ugo Foscolo approntò una sua traduzione del carme catulliano.

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Rosalba Carriera ritrae Caterina Sagredo Barbarigo come Berenice

3 giugno 2024 - Eugenio Caruso

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