Le galassie dell'universo primordiale

“[…] la distinzione tra passato, presente e futuro è soltanto un’illusione, anche se ostinata”. Einstein

Da quando ha schiuso sul cosmo il suo gigantesco occhio a infrarossi, dopo il lancio avvenuto nel dicembre 2021, il telescopio spaziale James Webb (JWST) ha scoperto una sovrabbondanza di galassie luminose che risalgono ai primordi dell’universo. La loro luminosità – un indicatore del numero di stelle, e quindi della massa – è difficile da spiegare, perché le galassie non dovrebbero aver avuto tempo a sufficienza per diventare così gigantesche in epoche cosmiche tanto antiche

Immaginate di visitare un paese straniero e di scoprire che molti dei bambini che ci vivono pesano quanto gli adolescenti. Vi porreste qualche domanda: i bambini sono così grandi a causa di qualcosa che c’è nell’acqua o potrebbe essere che le nostre idee sulla crescita umana siano fondamentalmente sbagliate? I teorici che hanno studiato le galassie primordiali grandi e luminose osservate dal JWST hanno pensato più o meno lo stesso: c’era qualcosa di fondamentale che non andava nei nostri modelli cosmologici? In altre parole, quel che sappiamo sull’espansione dell’universo dopo il big bang poteva essere semplicemente sbagliato?
A quanto pare, la risposta potrebbe non essere così drammatica. Diversi studi che hanno indagato su alcune di queste galassie primordiali fanno pensare che le loro dimensioni inaspettate potrebbero avere una spiegazione astrofisica – per esempio buchi neri che si erano formati in precedenza, o raffiche di rapida formazione stellare – anziché implicare qualche risultato che sconvolgerebbe la fisica. «Oggi come oggi, la maggioranza scommetterebbe su una spiegazione astrofisica – afferma Mike Boylan- Kolchin, cosmologo dell’Università del Texas ad Austin – e anch’io rientro in questa categoria».
Prima che entrasse in funzione il JWST, il suo predecessore, l’Hubble Space Telescope, deteneva il primato per la più antica galassia mai scoperta. Possiamo vedere l’aspetto che aveva questo oggetto, chiamato GN-z11, circa 13,4 miliardi di anni fa, 400 milioni di anni dopo il big bang. Da quando il JWST ha volto il suo sguardo sull’universo, però, ha ripetutamente infranto il primato di Hubble. Ora è possibile studiare galassie che risalgono almeno a 320 milioni di anni dopo il big bang; ed entro la fine di quest’anno i nuovi dati rilasciati dalle osservazioni galattiche del JWST in corso dovrebbero spingere ancora più indietro questo record [a giugno si è già arrivati a 290 milioni di anni dal big bang, con GN-z14. N.d.R.]. Le galassie più antiche scoperte dal JWST sono risultate più luminose e più attive del previsto, con tassi di formazione stellare paragonabili a quello dell’odierna Via Lattea, cioè di una stella all’anno; ma erano compresse in regioni molto più compatte, pari a circa un millesimo del volume della nostra galassia. Inoltre, mentre il JWST scrutava in profondità l’universo primordiale, esaminava anche una fase più recente della storia cosmica, fino a circa 750 milioni di anni dopo il big bang. Le galassie più vecchie che ha scoperto in questa fase erano ancora piuttosto giovani e insolite: erano circa un trentesimo delle dimensioni della Via Lattea (molto più grandi del previsto) e avevano tassi di formazione stellare che, secondo le stime, dovevano essere 1000 volte superiori a quelli della nostra galassia. Gli scienziati hanno chiamato questi sistemi relativamente antichi «galassie ultramassicce» e hanno avuto ulteriori motivi di perplessità: non è possibile spiegare appieno nessuno dei due gruppi di galassie con i modelli attuali.
Nella rivista «Physical Review Letters», Nashwan Sabti, della Johns Hopkins University, e i suoi colleghi hanno proposto di recente una spiegazione per le galassie ultramassicce osservate dal JWST. Hanno usato i dati esistenti di Hubble per esaminare alla luce ultravioletta centinaia di galassie nella stessa epoca delle galassie ultramassicce, da circa 450 a 750 milioni di anni dopo il big bang. A differenza del JWST, che osserva principalmente nell’infrarosso, Hubble è sensibile alla regione ultravioletta dello spettro elettromagnetico, in cui le giovani stelle dotate di grande massa sono più luminose. Le osservazioni nell’ultravioletto di Hubble hanno permesso di valutare meglio i tassi di formazione stellare nelle misteriose galassie ultramassicce. «Così abbiamo il tasso di formazione stellare – la variazione della massa stellare nel tempo – rispetto alla massa stellare stessa, rilevata dal JWST», spiega Sabti.
Confrontando queste due informazioni, Sabti e i suoi colleghi hanno scoperto che era possibile spiegare queste galassie nell’ambito del nostro modello cosmologico dell’universo, il modello Lambda Cold Dark Matter (Lambda-CDM), che replica al meglio la struttura e le proprietà osservate delle galassie e di altre grandi strutture cosmiche. Non occorreva quindi alcuna teoria fisica esoterica e, anzi, qualsiasi modifica di questo tipo metterebbe le osservazioni di Hubble in contrasto con quelle del JWST; le galassie stavano crescendo esattamente in accordo con le previsioni del modello Lambda-CDM. «Abbiamo mostrato che Hubble in realtà non offre molto spazio di manovra per giocare con la cosmologia », afferma Sabti. «Ne consegue che l’origine [delle galassie ultramassicce] è molto probabilmente astrofisica».

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Un'immagine composita di JADES-GS-z14-0 ottenuta dalla fotocamera NIRCam del JWST.

Boylan-Kolchin ritiene che l’articolo faccia un «ottimo lavoro» nel confrontare i dati di Hubble e del JWST su quell’epoca dell’universo, ma non è ancora del tutto convinto. «Non penso che possiamo essere certi che la spiegazione sia di natura astrofisica», dice. «La questione è che con il JWST e con Hubble non stiamo osservando necessariamente le stesse galassie. Certe galassie possono essere luminose [nell’infrarosso] per il JWST ma invisibili per Hubble. Se quelle di massa maggiore si trovano in questo regime [dell’infrarosso], allora forse Hubble non le vede».
L’articolo di Sabti non è però l’unico lavoro recente che argomenta a favore di una spiegazione astrofisica per le curiose galassie del JWST. All’inizio di quest’anno, su «Astrophysical Journal Letters», Joseph Silk, della Johns Hopkins University e dell’Università della Sorbona di Parigi, ha esaminato con i suoi colleghi le più antiche galassie osservate dal JWST, precedenti a GN-z11. Gli autori scrivono che potrebbe esserci un modo in cui le galassie possono crescere più in fretta, se i buchi neri si fossero formati prima delle galassie, e cioè entro i primi 50 milioni di anni dopo il big bang. Ciò potrebbe spiegare perché i tassi di formazione stellare nell’universo primordiale erano così alti: i buchi neri avrebbero potuto contribuire alla formazione delle galassie prima del previsto, compattando con più rapidità nubi di polvere e gas a formare stelle. Il meccanismo coinvolge processi astrofisici ragionevolmente ben compresi chiamati feedback e deflusso.
Nelle osservazioni del JWST «ci sono molti più buchi neri di quanto ci aspettassimo», riferisce Silk, «e le galassie in cui si trovano sono molto compatte», del diametro di appena 300 anni luce, rispetto ai 100.000 anni luce della Via Lattea. «Ciò significa che il feedback è molto più significativo», dice Silk. «La nostra ipotesi di base è che i buchi neri si siano davvero formati prima della maggior parte delle stelle, e che i loro vigorosi deflussi abbiano poi dato origine a una grande quantità di stelle. Con il passare del tempo, questo processo è venuto meno e si è giunti alla formazione stellare più convenzionale che abbiamo [oggi]. Pensiamo che sia un fenomeno molto speciale, che si verificò ai primordi e che può spiegare le osservazioni misteriose a cui stiamo assistendo con il JWST».
Fabio Pacucci, del Center for Astrophysics | Harvard & Smithsonian e colleghi hanno studiato il ruolo che i buchi neri possono aver svolto in un secondo momento nell’evoluzione delle galassie. In una galassia come la nostra nell’universo moderno, la massa delle stelle supera quella del buco nero supermassiccio centrale della galassia (ce n’è uno praticamente in ogni grande galassia) con un rapporto di 1000 a 1.
Usando il JWST per esaminare galassie in epoche tra 750 milioni e 1,5 miliardi di anni dopo il big bang, Pacucci ha scoperto che alcune di esse possono avere un buco nero la cui massa corrisponde a quella delle stelle, o forse addirittura la supera. Ciò indica un modello di crescita attivo nell’universo primordiale in cui, nei primi 100 milioni di anni del cosmo, i buchi neri si formarono a partire dal collasso diretto di nubi di polvere e gas piuttosto che dalle stelle. Questa ipotesi è coerente con quella di Silk e colleghi, e può quindi rafforzare la spiegazione astrofisica della rapida crescita iniziale delle galassie.
Se questa idea è corretta, gli osservatori di onde gravitazionali che sono in via di realizzazione – come l’osservatorio spaziale Laser Interferometer Space Antenna (LISA), approvato di recente dall’Agenzia spaziale europea e il cui lancio è previsto per il 2035 – potrebbero trovare questi buchi neri a «seme pesante». «Se questi “semi pesanti” esistevano davvero, osserveremo molte fusioni » con LISA, dice Pacucci. «È possibile che così si chiarisca il problema della massa in eccesso».
Ci sono anche modi per spiegare le galassie del JWST senza buchi neri. Guochao Sun, della Northwestern University, e colleghi hanno ipotizzato che alcune galassie possano aver attraversato periodi di formazione stellare «a raffica». Un’abbondanza di supernove potrebbe aver portato temporaneamente a un processo di feedback che, nell’arco di 10 milioni di anni o giù di lì, avrebbe aumentato la velocità della formazione stellare «da 10 a 100 volte» rispetto a quella delle galassie più tranquille, dice Sun.
Ciò potrebbe aver fatto sì che la luminosità di alcune galassie dell’universo primordiale «balzasse su e giù in modo drastico», distorcendo il campione di galassie luminose più visibili. «Non è necessario che si siano formate stelle con un’efficienza particolarmente elevata», aggiunge Sun. Può darsi che le galassie primordiali misteriosamente luminose del JWST rappresentino soltanto l’estremo superiore delle intense fluttuazioni nella formazione stellare, mentre le galassie più fioche e più normali possono essere state più numerose ma rimaste, finora, invisibili.
L’astrofisica, per il momento, regna sovrana, ma la posta in gioco è molto alta. «Il fatto che la spiegazione potrebbe venire invece dalla cosmologia significa che vale davvero la pena di approfondire questa idea fino a quando non sarà possibile escluderla», dice Boylan-Kolchin. I buchi neri e la formazione stellare sono spiegazioni promettenti, ma gli scienziati attendono i nuovi risultati del JWST per vedere se e quale dei nuovi modelli resisterà. n Il JWST rileva la galassia più antica e lontana dell’universo conosciuto, ed è stranissima. Williams R., in www.lescienze.it, 14 giugno 2024.

Jonathan O’Callaghan è un pluripremiato giornalista freelance
che si occupa di astronomia, astrofisica, voli spaziali commerciali ed esplorazione
spaziale. Seguitelo su X @Astro_Jonny

Eugenio Caruso - 13 ottobre 2024



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