La scienza economica ha tradizionalmente rinunciato a basare le sue analisi su dati relativi al benessere personale, ritenendo che l’utilità individuale abbia una natura troppo “privata” ed eterogenea per essere misurabile direttamente in modo cardinale e quindi confrontabile.
A misure di utilità sperimentata sono stati quindi in genere preferiti indicatori di utilità o esperienza rilevata, basati cioè sull’analisi delle effettive scelte di consumo, investimento, risparmio, etc. La possibilità che le scelte individuali siano sempre in grado di portare a un aumento del benessere è stata però recentemente sempre più spesso messa in discussione in letteratura: se la razionalità delle scelte è dunque in qualche modo limitata, aumenta la rilevanza di misure che si basino direttamente sulle percezioni individuali di benessere, purché rilevate in modo sufficientemente rigoroso e attendibile.
Da questo punto di vista, le valutazioni effettuate negli ultimi anni sembrano mostrare, sulla base di esperimenti psicologici e neuroscientifici, che le misure soggettive di benessere sono effettivamente sufficientemente accurate, mostrando una correlazione elevata con specifiche misure di funzionalità cerebrale e stati di salute.
Sulla base di tali considerazioni, l’ISAE, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Economiche dell’Università di Cassino, ha deciso di inserire in via sperimentale all’interno della propria indagine sui consumatori una domanda volta a misurare il grado di benessere soggettivamente percepito dagli intervistati; in particolare, sull’esempio di analoghe indagini condotte a livello internazionale (cfr. ad esempio l’indagine Eurobarometro o la World Value Survey), nell’inchiesta ISAE è stato chiesto ai consumatori di indicare il grado di soddisfazione verso la propria vita, espresso su una scala verbale a cinque modalità, comprese tra l’”estremamente soddisfatto” e l’”estremamente insoddisfatto”.
La quota di italiani soddisfatti risulta pari al 54%, con significative variazioni interpersonali in funzione di fattori demografici e socio-economici. Circa il primo punto, gli uomini sono in genere leggermente più “felici” delle donne (56 contro 52%); guardando poi alla struttura della famiglia, solo il 30% dei single si considera soddisfatto, contro il 58% di quanti appartengono a nuclei composti da 4 o più persone. Coerentemente, la soddisfazione cresce all’aumentare del numero di figli, soprattutto per le famiglie con figli compresi nella fascia d’età 14-18 anni. Risultati meno netti emergono invece guardando al grado di soddisfazione per età: i più soddisfatti (oltre il 63% degli intervistati) sono i quarantenni, seguiti da quelli nelle classi di età 18-29 e 30-39 anni; la soddisfazione mostra poi un andamento altalenante, raggiungendo un minimo per i più anziani.
Il grado di soddisfazione è inoltre nettamente crescente quanto più è elevato il titolo di studio conseguito, con il 73% dei laureati “soddisfatti” contro solo il 20% di quanti non hanno neanche la licenza elementare; d’altro lato, i lavoratori indipendenti sono nettamente più “felici” dei dipendenti. Tra questi ultimi, inoltre, gli occupati con un contratto a tempo determinato (45%) sono senza dubbio meno soddisfatti di quelli a tempo indeterminato (60%). I meno soddisfatti sono infine, come lecito attendersi, gli individui inattivi, ossia principalmente disoccupati e pensionati.
Un ruolo significativo è svolto infine da fattori riconducibili al diverso contesto economico e sociale: il grado di soddisfazione cresce infatti all’aumentare del reddito ed è più alto nel Nord del paese rispetto al Centro, alle Isole e, soprattutto, alle regioni del Mezzogiorno.
Ufficio Stampa ISAE
1 settembre 2008