La doppia elica del DNA

La biologia molecolare è nata il 28 febbraio 1953, nella Cambridge inglese. Quel giorno il biologo James Watson e il fisico Francis Crick andarono a pranzo al The Eagle, uno storico pub popolare fra gli universitari, e il secondo annunciò ai colleghi: «Oggi abbiamo scoperto il segreto della vita». O almeno così racconta il primo nel libro La doppia elica (1968), diventato famoso per il resoconto diretto della corsa alla determinazione della struttura del DNA, e degli stimoli «umani, troppo umani» che la guidarono.

La doppia elica del DNA

Watson mostrò da vicino la scienza nuda e cruda, spogliata di tutte le romantiche visioni del «seguir virtute e canoscenza» di cui essa amava e ama agghindarsi. E il suo racconto, sebbene assai parziale come punto di vista, fu e rimane una splendida eccezione nel campo della divulgazione e della sociologia scientifiche.

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Animazione tridimensionale della doppia elica del DNA

Non si trattava infatti, come purtroppo spesso sono i best seller, dell’opera di un professionista delle parole, più che delle idee. Era invece il resoconto della più importante scoperta scientifica di metà Novecento, fatto in prima persona da colui che è tuttora il più famoso scienziato vivente, ormai quasi centenario.
Come già annunciava il titolo, la scoperta era appunto la doppia elica del DNA, che costituisce una delle icone scientifiche del XX secolo. E che quella struttura racchiudesse «il segreto della vita » non era una boutade, ma la pura e semplice verità: dopo millenni di inconcludenti discorsi religiosi e filosofici al proposito, si era infatti finalmente intuito come si trasmettono i caratteri ereditari dai genitori ai figli, aprendo la strada alla genetica moderna.

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Nel 1968, quando Watson pubblicò il suo libro, erano passati solo 15 anni da quello storico momento del 28 febbraio 1953, ma erano già successe molte cose. Sul lato personale, lui e Crick avevano vinto nel 1962 il premio Nobel per la medicina, e Watson era diventato uno dei più giovani vincitori del premio: al momento della scoperta egli era infatti soltanto un ragazzo di 24 anni, che andava ancora letteralmente in giro con i calzoni corti, e al momento della premiazione ne aveva soltanto 34.
Sul lato scientifico, invece, alla fine del loro primo e storico articolo Watson e Crick (con i nomi in quest’ordine, visto che l’idea cruciale dell’accoppiamento delle basi l’aveva avuta il primo) lasciarono cadere questo tipico understatement inglese, che divenne una delle più memorabili citazioni scientifiche della storia:

«Non è sfuggito alla nostra attenzione che lo specifico accoppiamento che abbiamo postulato suggerisce immediatamente un possibile meccanismo di copiatura del materiale genetico».

Le promesse implicite in quella profezia erano puntualmente state mantenute, e nel 1968 si conosceva ormai completamente il codice genetico usato da tutta la vita, «dal batterio all’elefante».
Gli stessi Watson e Crick avevano in parte contribuito alla sua determinazione, ma fu soprattutto Marshall Nirenberg a stabilire nel dettaglio la corrispondenza tra le 64 triplette di basi azotate, che costituiscono le parole del linguaggio genetico, e i 20 amminoacidi che costituiscono i mattoni delle proteine: per questo anche lui vinse il premio Nobel per la medicina, proprio nel 1968.
Ma tutto era iniziato appunto dalla scoperta della doppia elica del DNA, che nel libro di Watson è raccontata come in un romanzo. Talmente bene dal punto di vista tecnico, e in maniera così avvincente dal punto di vista umano, che ebbe un successo strepitoso, diventando il libro scientifico più letto del Novecento.
Addirittura, Watson fece un pensierino a un secondo Nobel, questa volta per la letteratura. Non lo vinse, naturalmente, ma il suo libro rimane comunque la migliore introduzione all’argomento, e dovrebbe essere letto da chiunque ancora non lo conosce, e riletto da chi già lo conosce.
La doppia elica esibiva il proprio stile fin dall’incipit: «In vita mia non ho mai visto Francis Crick in vena di modestia». Poiché il resto proseguiva sullo stesso tono, Crick non la prese bene. Ma, non potendo cambiare la testa di Watson, lo costrinse almeno a cambiare editore: convinse infatti la Harvard University Press a non pubblicare il libro, e le fece perdere un affare da milioni di copie. Crick pensò a suo tempo di replicare con un proprio libro, intitolato L’elica svitata, che a sua volta sarebbe dovuto incominciare così:

«Jim è sempre stato maldestro con le mani, bastava guardarlo mentre sbucciava un’arancia». Ma poi lasciò perdere.

Molti altri scienziati si seccarono, perché in un solo libro Watson aveva raccontato due storie: la ricerca scientifica della doppia elica e la competizione umana, senza esclusione di colpi, fra coloro che gareggiavano per trovarla. Watson e Crick lavoravano a Cambridge, e avevano tre avversari principali. Uno era Linus Pauling, al Caltech di Pasadena: il massimo chimico vivente, che avrebbe poi vinto due premi Nobel, quello per la chimica nel 1954 e quello per la pace nel 1962. E gli altri due erano Rosalind Franklin e il suo direttore di ricerca Maurice Wilkins, a Londra: due ottimi cristallografi.
Pauling, che era il naturale favorito nella corsa, si mise fuori gioco da sé proponendo un modello a tripla elica, senza tener conto dei dati sperimentali che erano già disponibili Watson e Crick si accorsero subito del suo errore, e capirono che dovevano sbrigarsi a trovare la risposta corretta, perché presto anche Pauling si sarebbe accorto del proprio sbaglio. Wilkins e la Franklin non entrarono direttamente nel gioco, ma fornirono alcuni dei tasselli fondamentali che permisero a Watson e Crick di comporre il loro puzzle: in particolare, una famosa foto del DNA scattata dalla Franklin, e mostrata da Wilkins a Watson (si veda per esempio l’articolo What Watson and Crick really took from Franklin, pubblicato su «Nature» ad aprile 2023). Purtroppo la Franklin morì prematuramente nel 1958, mentre Wilkins condivise nel 1963 il premio Nobel per la medicina con Watson e Crick.

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James Watson e Francis Crick

In che modo questi ultimi due arrivarono primi al traguardo lo racconta appunto La doppia elica che, nella versione ampliata pubblicata in seguito, riporta non solo le risposte degli altri protagonisti allora vivi (Crick, Wilkins, Pauling e altri ancora), ma anche la difesa ufficiale della Franklin fatta dal suo allievo e collaboratore Aaron Klug, anche lui in seguito premio Nobel per la cristallografia.
Quella di Pauling, in particolare, spiega col senno di poi perché lui avrebbe dovuto fare ciò che purtroppo non fece. La bellezza della sua struttura, il Nobel ai suoi scopritori e il libro sulla sua scoperta contribuirono a far diventare la doppia elica del DNA un’icona scientifica del Novecento, paragonabile soltanto alla formula di Einstein. Persino il pittore Salvador Dalí ne rimase affascinato, e nel 1963 dipinse il quadro Galacidalacidesoxiribunucleicacid - Omaggio a Crick e Watson, nel cui surrealistico titolo risuonavano i nomi di sua moglie Gala, del Cid Campeador e del DNA per esteso. Qualche tempo, dopo il «New York Times » riferì che Dalí era in visita a New York, ed era sceso all’Hotel Pierre. Watson, al quale non sarebbe dispiaciuto avere il quadro, si presentò in portineria e provò ad ammaliare l’artista, facendogli consegnare un biglietto che diceva:

«La seconda persona più intelligente del mondo desidera incontrare la prima».

Dopo pochi minuti il pittore era nella hall, e i due geni si incontrarono. Lo scienziato non ottenne il grande quadro, ma da allora poté esibire con orgoglio nel suo ufficio un piccolo schizzo estemporaneo del pittore, con una sua grande firma. Nel cinquantenario della scoperta della doppia elica del DNA, Watson riassunse in DNA. Il segreto della vita (2003) le molteplici applicazioni di quel segreto ormai svelato: dagli organismi geneticamente modificati in agricoltura ai test del DNA in criminologia, fino alle terapie geniche in medicina. Un libro da leggere insieme a La doppia elica, come naturale complemento di quel capolavoro giovanile.

Piergiorgio Odifreddi ha studiato matematica in Italia e negli Stati Uniti, ha insegnato logica matematica all’Università di Torino e alla Cornell University di New York. È autore di numerosi libri di divulgazione. Dal 2003 al 2023 ha tenuto su «Le Scienze» una rubrica su matematica e DINTORNI.

Eugenio Caruso - 27 gennaio 2025

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