L'economia delle regioni italiane nel 2007L'amico arriva ultimo alla festa, primo nella disgrazia. Chilone Nel 2007 l’economia italiana ha risentito dell’indebolimento ciclico mondiale e dell’accelerazione dei prezzi delle materie prime; il prodotto ha rallentato dall’1,8 all’1,5 per cento. Come nell’anno precedente, la crescita è stata più contenuta nel Mezzogiorno (0,9 per cento) rispetto al Nord Est (1,8 per cento), al Centro e al Nord Ovest (rispettivamente 1,7 e 1,5 per cento). Nel Nord Est e al Centro l’industria e i servizi hanno registrato ritmi di sviluppo più elevati che nel resto del Paese. Nel Nord Ovest a un’espansione dei servizi di poco superiore alla media nazionale si è associato un andamento più debole nell’industria. Nel Mezzogiorno, invece, l’industria ha registrato un andamento simile alla media nazionale, ma la crescita dei servizi è stata più contenuta, pari a circa la metà del Centro Nord. Una ripresa degli investimenti da parte delle imprese industriali, dopo la stagnazione degli ultimi anni, ha interessato unicamente le regioni del Centro Nord, a fronte di un calo nel Mezzogiorno. Le esportazioni di beni a prezzi correnti sono cresciute in modo sostenuto in tutte le aree, e in particolare nel Mezzogiorno. Al Nord e soprattutto al Centro è proseguita la tendenza all’aumento dell’occupazione in atto da oltre dieci anni; nel Mezzogiorno le unità di lavoro rimangono ancora prossime ai livelli del 2002. Si è ulteriormente accresciuto, soprattutto al Nord, il ricorso alle varie forme di occupazione temporanea e alle collaborazioni, che sono divenute la forma più diffusa di ingresso nel mercato del lavoro, anche per i giovani con elevato grado di istruzione. L’attività delle banche è stata condizionata dall’aumento dei tassi ufficiali e dalla turbolenza innescata dai mutui ad alto rischio statunitensi. Dalla seconda metà del 2007 le condizioni di offerta del credito sono divenute moderatamente più restrittive, soprattutto verso le imprese caratterizzate da maggiore rischiosità. La crescita dei finanziamenti alle imprese si è tuttavia mantenuta su ritmi sostenuti in tutte le aree geografiche. A differenza del triennio precedente, nel Mezzogiorno l’incremento dei prestiti è stato più contenuto che al Centro Nord. La qualità del credito alle imprese, invariata nella media nazionale, ha registrato un contenuto miglioramento nel Mezzogiorno. Il divario tra i tassi di interesse a breve termine Nel 2007 i prestiti bancari alle famiglie hanno rallentato. Al Centro e nel Mezzogiorno la tendenza è stata più accentuata, anche per effetto del calo delle compravendite sul mercato immobiliare. In nessuna area si sono registrati peggioramenti della qualità del credito erogato alle famiglie. Nei primi mesi del 2008 le banche hanno applicato condizioni moderatamente più restrittive nella concessione dei mutui alle famiglie. La raccolta bancaria ha lievemente rallentato, ma soltanto nelle regioni del Nord Ovest e del Centro, soprattutto per effetto della ridotta crescita dei depositi. La composizione del portafoglio delle famiglie continua a mostrare significative differenze territoriali. Nel Mezzogiorno la quota di strumenti finanziari a basso rischio è più elevata che al Centro Nord; essa risente, oltre che del minore livello di ricchezza pro capite, anche della maggiore fragilità dell’economia e del minore grado di competenze finanziarie, elementi che accrescono l’importanza della capacità delle banche di assistere i clienti, della trasparenza e della correttezza nei rapporti. La situazione dei conti pubblici ha registrato un miglioramento superiore alle attese. Secondo la contabilità nazionale, l’indebitamento netto è diminuito all’1,9 per cento del prodotto (dal 3,4 del 2006) rientrando, dopo un quadriennio, nei limiti del 3 per cento previsto dalle regole europee. Il debito pubblico ha ripreso a diminuire, portandosi al 104,0 per cento del prodotto (dal 106,5 del 2006). Le Amministrazioni locali hanno contribuito alla riduzione del disavanzo. La spesa di tali enti si è ridotta di 0,5 punti percentuali del PIL, riflettendo principalmente il calo degli esborsi correnti. Le entrate sono aumentate di 0,6 punti. Il debito delle Amministrazioni locali è rimasto sostanzialmente invariato al 7,1 per cento del PIL, interrompendo la tendenza all’aumento manifestata negli ultimi anni. Secondo stime preliminari sui conti pubblici territoriali, nel 2007 la spesa in conto capitale della PA (spese d’investimento e trasferimenti di capitale) è stata pari a 56,2 miliardi di euro, di cui 19,8 nel Mezzogiorno (35,3 per cento). Il 56,2 per cento della spesa delle regioni meridionali era destinata agli investimenti pubblici, a fronte del 64,8 per cento al Centro Nord. Nelle regioni meridionali nell’ultimo decennio il PIL in termini reali è aumentato pressoché allo stesso ritmo del Centro Nord. In termini di prodotto pro capite, a parità di potere d’acquisto, tutte le aree geografiche italiane hanno perduto terreno rispetto alle regioni europee di comparabile livello di sviluppo. Nel Mezzogiorno la politica regionale varata nella seconda metà degli anni novanta nel quadro delle Politiche europee di coesione ha ottenuto risultati complessivamente inferiori alle attese, sia in termini di sviluppo economico e sociale, sia di performance delle imprese beneficiarie degli incentivi. Nel 2007 il PIL pro capite del Mezzogiorno è ancora pari al 57,5 per cento di quello del Centro Nord. Perdurano rilevanti flussi migratori dal Mezzogiorno verso il Centro Nord. Tra il 1988 e il 2006, oltre un milione di persone, in prevalenza giovani con un grado di istruzione medio–alto, ha trasferito la residenza dal Mezzogiorno al Centro Nord. Elevati sono anche i flussi migratori dall’estero. L’incidenza della popolazione straniera è raddoppiata negli ultimi sei anni, raggiungendo il 7 per cento al Centro Nord e mantenendosi inferiore al 2 per cento nel Mezzogiorno. Gli immigrati sono in media più giovani degli italiani; tendono a svolgere mansioni meno qualificate e retribuite, a parità di livello di istruzione. La produttività del lavoro, diminuita nella prima parte del decennio, ha ripreso a crescere lievemente dal 2004. Le nostre analisi mostrano che è in atto un processo di ristrutturazione del sistema produttivo, caratterizzato da una marcata eterogeneità di performance anche tra le imprese appartenenti allo stesso settore. Le imprese che hanno conseguito risultati migliori hanno maggiormente investito nelle attività a monte e a valle del processo produttivo, nella ricerca e sviluppo, nel marchio e nell’internazionalizzazione. Segnali di cambiamento si riscontrano nei rapporti tra università e imprese e nel ricorso a forme di finanziamento innovativo per le imprese. I dati di bilancio di 63 università statali mostrano un aumento delle entrate di fonte privata destinate alla ricerca tra il 2001 e il 2005. Sono stati inoltre aperti nuovi centri dedicati al trasferimento tecnologico verso le imprese. L’attività innovativa privata è rimasta ridotta. Nell’interazione con le imprese, i sistemi universitari del Nord risultano più attivi e dinamici rispetto a quelli del Centro Sud. Negli ultimi anni è aumentata in Italia la diffusione di investimenti nel capitale di rischio delle imprese, quali il private equity e il venture capital, il cui mercato rimane tuttavia contenuto nel confronto internazionale. Gran parte delle risorse investite ha riguardato imprese localizzate nelle regioni settentrionali, con operazioni volte al riassetto della proprietà delle imprese. Gli investimenti finalizzati allo sviluppo dell’attività imprenditoriale hanno svolto un ruolo secondario; quelli rivolti alle fasi di avviamento delle imprese sono stati marginali in tutte le aree geografiche. Gli approfondimenti riferiti al sistema bancario si basano su una rilevazione effettuata nel 2007 dai Nuclei per la Ricerca economica su un campione di oltre 300 intermediari; prendono in esame i cambiamenti organizzativi delle banche e l’evoluzione del mercato dei mutui alle famiglie, che dall’inizio del decennio ha registrato un’espansione sostenuta. Gli indicatori sulla dotazione di infrastrutture segnalano un ritardo dell’Italia, e in particolare del Mezzogiorno, rispetto al resto d’Europa. Gli investimenti pubblici in infrastrutture, che tra il 1996 e il 2001 si erano mantenuti superiori nel Mezzogiorno, nel successivo quinquennio si sono progressivamente ridotti in quell’area, a fronte di un’espansione nel Nord. Nelle regioni meridionali il calo più consistente ha riguardato gli investimenti per infrastrutture economiche, come trasporti e servizi a rete, ma si sono ridotte anche le spese per le infrastrutture sociali, legate a istruzione e sanità. Come mostra un’indagine condotta presso le principali compagnie navali internazionali, le carenze di infrastrutture, e in particolare l’inadeguatezza dei collegamenti stradali e ferroviari interni e col resto d’Europa, ostacolano le potenzialità del sistema portuale derivanti dalla favorevole Nonostante i progressi degli ultimi anni, la percentuale di giovani che abbandonano precocemente gli studi, senza conseguire un titolo di scuola superiore, è ancora molto elevata; nel Mezzogiorno è tra le più elevate d’Europa. La dispersione scolastica si concentra tra il termine della scuola media inferiore e l’inizio delle superiori. Già a quindici anni il 16 per cento circa dei giovani ha abbandonato la scuola, o ha accumulato un ritardo. La più elevata quota nel Mezzogiorno risente del minore grado di istruzione nelle famiglie di provenienza. La scelta del tipo di scuola secondaria superiore accresce la segmentazione tra i giovani in base ai risultati scolastici precedentemente acquisiti. Emergono inoltre marcate differenze territoriali in termini di competenze degli studenti. La quota dei quindicenni con bassi livelli di apprendimento è nel Mezzogiorno di oltre due volte superiore a quella del Nord. Particolarmente penalizzante risulta il divario di competenze fornite dalle scuole professionali, soprattutto nel Mezzogiorno, rispetto alla media dei paesi dell’OCSE. In molti comparti dei servizi sono presenti barriere all’entrata e vincoli regolamentari che frenano la produttività e la crescita dimensionale delle imprese e si riflettono sui prezzi. Nel commercio all’ingrosso di prodotti ortofrutticoli, tra il 2000 e il 2005 la produttività si è ridotta in Italia del 4 per cento circa, a fronte di una crescita negli altri paesi europei. La struttura produttiva del settore è più frammentata in Italia che in Germania, Francia e Spagna. Come rileva l’Antitrust, la presenza di una pluralità di piccoli operatori e la moltiplicazione dei passaggi si traducono in una riduzione dei margini del produttore e in un incremento del prezzo finale e dei margini di intermediazione. Nel comparto dei servizi pubblici locali i processi di liberalizzazione avviati negli anni novanta si proponevano di favorire l’aggregazione degli operatori, assicurare la separazione tra gestore del servizio e regolatore, portare alla copertura dei costi mediante le tariffe. Una lenta applicazione delle riforme ne ha sinora limitato significativamente l’efficacia, soprattutto nel Mezzogiorno. Nel settore dei servizi idrici la qualità delle infrastrutture resta bassa e notevolmente differenziata a livello territoriale. Per l’affidamento della gestione del servizio, nella larga maggioranza dei casi non sono state adottate procedure di gara che avrebbero favorito una maggiore concorrenza; molto spesso i precedenti gestori sono stati scelti come affidatari del servizio. Nel settore dei rifiuti urbani, nella maggior parte delle regioni, in particolare al Centro e nel Mezzogiorno, si è ancora lontani dal raggiungimento degli obiettivi ambientali e di efficienza prefissati: la percentuale di raccolta differenziata di rifiuti urbani è ancora molto contenuta, la quota di quelli smaltiti in discarica è elevata, il grado di copertura dei costi tramite tasse o tariffe locali è ridotto, specialmente nel Mezzogiorno. Nella sanità diversi indicatori segnalano una minore efficienza della spesa e una ridotta capacità di rispondere alla domanda di servizi sanitari nelle regioni meridionali, dove le prestazioni ospedaliere sono meno soddisfacenti ed è elevata la mobilità dei pazienti verso altre regioni. Nel comparto farmaceutico, gli interventi normativi e gestionali adottati a livello centrale e regionale, per razionalizzare e contenere la spesa, hanno avuto effetti positivi, seppur molto differenziati sul territorio. Dall’inizio del decennio la spesa farmaceutica “in convenzione” ha fortemente rallentato. Nell’ultimo quinquennio la spesa pubblica pro capite “in convenzione” nelle regioni del Centro Nord, escludendo il Lazio e la Liguria, è stata sensibilmente inferiore rispetto alla media nazionale. Parte della differenza è riconducibile alla maggior diffusione della distribuzione diretta dei farmaci. Un'attenta lettura della situazione economica del 2007 mostrava i prodromi della grave crisi del 2008. Rapporto di Bankitalia |
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