Come creare valore per l'impresaCiņ che l'uomo non sa o che non ha pensato vaga nella notte per il labirinto della mente. Goethe 1. PremessaObiettivo principale di un’impresa, sancito anche dal codice civile, è l’impegno nella creazione di valore, questo principio è fondamentale se l’impresa vuole attirare e conservare collaboratori di alto livello, creare opportunità di crescita professionale e personale, gratificare gli investitori e competere in modo efficace. La cultura della creazione e della distribuzione di valore è puro ossigeno per l'organismo dell'impresa. Essa crea un ambiente aziendale vitale ed entusiasta, nel quale gli individui possono trovare opportunità genuine; chi lavora in una situazione di questo tipo ha maggiori occasioni di crescita professionale, lavora più intensamente e meglio. In molte imprese, gli imprenditori o i manager sono portati ad accrescere vendite e profitti, guardando ad un orizzonte temporale breve. Essi perseguono ogni mercato e cliente con il risultato di sconfinare dai mercati obiettivo stabiliti a livello di strategie, di appannare l'immagine aziendale e disperdere le risorse, Dimenticano che i clienti tendono a scegliere fornitori sulla base del valore a lungo termine piuttosto che su una storia di breve durata. 2. La generazione del valoreL'approccio "tradizionale" prevede l'ottimizzazione della catena del valore "impresa per impresa", in modo autogestito e indipendente. Ogni impresa si preoccupa di organizzare al meglio il proprio segmento di valore, partendo da un output, cosa si vuole vendere, e da un input, cosa si deve acquistare, ben definiti. L'ottimizzazione dell'insieme delle catene del valore delle imprese che concorrono alla realizzazione di un business, deriva dall'ottimizzazione autonoma di ogni anello della catena. Questa politica può essere condotta con:
Con questo approccio si creano e si sviluppano logiche di partnership e di comakership (1) con un numero selezionato di fornitori e di clienti, e la creazione di "catene forti", a rapporto privilegiato e semplificato, il cui obiettivo comune è la creazione di valore. 3 Crisi dell'impresa basata sul valoreI primi scricchiolii della crisi del sistema economico statunitense erano stati avvertiti prima dell'11 settembre 2001, quando, già da tempo, gli investimenti nelle nuove tecnologie erano rallentati, vistosamente, ridimensionando molti dei protagonisti della net economy e determinando un crollo del Nasdaq. Dopo l'attentato alle Torri Gemelle l'economia americana subisce una contrazione e il Dow Jones inizia una repentina discesa; l'andamento dei corsi azionari mette però in luce una situazione patologica che stava inquinando il sistema economico americano. Infatti, nell'eccitazione di una borsa prodiga di soddisfazioni, top manager corrotti truccano i bilanci delle imprese da loro dirette, gonfiando gli utili con la complicità di revisori dei conti disposti a tutto per i lauti compensi assicurati. Nel giro di pochi mesi, la scoperta della contabilità "disinvolta" di questi manager distrugge decine di migliaia di posti di lavoro e annulla il risparmio di milioni di investitori. La prima grande impresa ad essere scoperta è la Enron, gigante dell'energia, il cui top management aveva occultato perdite per 586 milioni di dollari, trascinando nella propria rovina anche l'auditor, Arthur Andersen, che aveva certificato i bilanci truccati. Il boom degli anni novanta aveva diffuso un delirio di onnipotenza tra i dirigenti delle imprese americane e molti non avevano saputo trattenersi dall'arraffare i soldi investiti nelle società; questi episodi hanno gettato un'ombra di discredito su manager e imprenditori e hanno confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che il capitalismo può sopravvivere alle nostalgie dello statalismo solo se vengono rispettati i principi etici di base dell'economia. (1) Strategia d'acquisto che prevede un forte coinvolgimento dei fornitori, al fine di ottenere vantaggi competitivi in termini di qualità, servizio, innovazione e costo. Essa si basa su un rapporto di autentica collaborazione e sulla condivisione del vantaggio competitivo, derivante dalla collaborazione. Per quale ragione un imprenditore dovrebbe privilegiare il bilancio contabile, che riflette il passato e non interessarsi di un bilancio che contenga una valutazione, positiva o negativa, degli indicatori immisurabili? È più importante avere una conferma dei buoni risultati dell'impresa oggi, o essere certi di averne nei prossimi anni? 4. Valore sociale dell'impresaAfferma il noto economista statunitense Michael Novak «La tradizione umanistica, in generale, si contrappone al pensiero economico moderno, in parte per un rifiuto aprioristico di un'analisi approfondita, in parte per l'ereditata ostilità degli umanisti verso l'ordine moderno, specie nella sua concezione capitalistica. Esteticamente, almeno, gli umanisti hanno a lungo rifiutato la "volgarità" di un'economia volta a innalzare i livelli di vita della gente comune. Essi guardano con disprezzo i bicchieri e i tovaglioli di carta di McDonald's, dalla distanza che nasce dalla più ricca esperienza del lino, dell'argento e del cristallo». 5. La fortuna imprenditorialeSembrerebbe fuori luogo o poco professionale parlare di fortuna laddove si stanno analizzando gli elementi base per affrontare l'argomento della creazione di valore; eppure, molto spesso, parlando con gli imprenditori, viene fuori questa parolina magica.Fortuna, è il nome della dea dell'Olimpo romano governante il destino degli uomini, spesso raffigurata bendata a indicare imparzialità. Quindi, sinonimo anche di sorte, generalmente benigna, sinonimo di caso favorevole, che si avvera senza seguire alcuna legge e per questo imprevedibile. Di contro, l'impresa è l'istituzione che, attraverso svariate tecniche di gestione, cerca di programmare e pianificare il suo futuro. E, tuttavia, proprio l'impresa, nella sua attività quotidiana, è costantemente soggetta agli influssi della fortuna, generando essa stessa scenari imprevedibili, frutto del grande gioco del caso. Una sintomatica testimonianza di questo discorso è stata resa da Piero Ottone nel suo libro Preghiera o bordello. È interessante, infatti, il racconto di Ottone su come Repubblica divenne un'impresa economica di grande successo, partendo da una sfida di un gruppo di giornalisti coraggiosi. Scrive l'autore «Dopo una prima fiammata di curiosità, l'esordio fu faticoso. Gli errori di partenza si scontavano; e poi, deve sempre passare un po' di tempo prima che il pubblico si abitui a una nuova testata. … Ma i fattori negativi, a uno a uno, furono corretti, come se una mano invisibile, dopo avere cospirato contro la nuova iniziativa, fosse intervenuta per aiutarla, e il miracolo, a poco a poco, cominciò a delinearsi; il miracolo del successo, cioè quella magica coincidenza di circostanze favorevoli, dopo tanti auspici negativi». Dunque, in questo caso sarebbe stata una mano invisibile a muovere i fili della fortuna, determinando il successo, come evento definito miracoloso, in quanto incerto e, perciò, certamente, non programmabile». Un celebre economista statunitense, Frank H. Knight in un suo libro dal titolo Risk Incertainty and Profit, aveva individuato nell'incertezza una delle peculiarità nel cui ambito si muove l'impresa. «Quello in cui viviamo è un mondo di mutamenti ed un mondo di incertezze», e ancora, «L'impresa rappresenta la più alta forma di incertezza, che non è suscettibile né di misurazione né di eliminazione». In questo quadro Knight richiama anche, esplicitamente, il fattore fortuna come elemento dominante. «Se si considera il mondo quale esso è, un mondo dove tutti i disegni e tutti gli atti umani sono caratterizzati dall'incertezza, dobbiamo prevedere un altro elemento, la fortuna». L'imprenditore, con la sua attività costantemente rivolta a generare innovazione concorre ad accrescere l'incertezza nello scenario economico, come aveva teorizzato Schumpeter. Secondo l'economista austriaco, infatti, «Chiamiamo impresa l'introduzione di nuove combinazioni nello scenario economico, e chiamiamo imprenditori quei soggetti economici la cui funzione consiste nell'introdurle, al fine di creare valore». Lo nstudioso austriaco precisa poi il ruolo che l'innovazione assume nel sistema economico in relazione alle esigenze determinate, o no, dai bisogni dei consumatori. « … le innovazioni nel sistema economico non avvengono di regola in maniera tale che prima sorgono spontaneamente nei consumatori nuovi bisogni e poi, sotto la loro pressione l'apparato produttivo riceve un nuovo orientamento. Noi non neghiamo il verificarsi di questo nesso. Però è il produttore che, di regola, inizia il cambiamento economico e i consumatori, se necessario, sono da lui educati; essi sono, come pure erano, considerati come persone che vogliono cose nuove, o cose che differiscono per qualche aspetto da quelle che sono abituati ad usare». L'incertezza, dunque, domina a monte lo scenario che caratterizzerà l'azione imprenditoriale, e se la fortuna sarà propizia quell'azione si connoterà con il successo. Ma quella stessa azione imprenditoriale genererà situazioni le cui manifestazioni concorreranno a determinare uno scenario fortunato qualora la mano invisibile del caso avrà voluto operare con benigna propensione. Quella mano invisibile che Adam Smith aveva evocato per spiegare la formazione del benessere nazionale come evento generato, casualmente, dall'azione inconscia dei singoli produttori. In sostanza, l'imprenditore decide di intraprendere la produzione sotto la spinta di un ragionamento egoistico, cogliendo le opportunità che la fortuna gli sottopone. Così, lui stesso diventa dispensatore di fortuna e di valore, concorrendo a promuovere il bene pubblico mediante il perseguimento del suo tornaconto personale sollecitato da eventi, il più delle volte, imprevedibili, casuali, fortunati. È interessante, anche dal punto di vista storico, rileggersi le frasi con le quali Smith introduce il concetto della "mano invisibile". «Ogni individuo si sforza, nella misura del possibile, di impiegare il suo capitale a sostegno dell'attività produttiva nazionale, e di dirigere quindi tale attività in modo che il suo prodotto possa avere il massimo valore, ogni individuo opera necessariamente per rendere il reddito della società il massimo possibile. In effetti egli non intende, in genere, perseguire l'interesse pubblico, né è consapevole della misura in cui lo sta perseguendo. Quando preferisce il sostegno dell'attività produttiva del suo paese, invece di quella straniera, egli mira solo alla propria sicurezza e, quando dirige tale attività in modo che il suo prodotto sia il migliore, egli mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni. Né il fatto che tale fine non rientri sempre nelle sue intenzioni è sempre un danno per la società. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l'interesse della società in modo molto più efficace di quanto intende effettivamente perseguirlo». Nell'imprevedibilità degli scenari, fortuna, caso o sorte sovente decidono le azioni imprenditoriali con una connotazione diversa rispetto a quanto accade per volontà del destino, cioè, per fatalità. Norberto Bobbio, in una significativa pagina del suo De Senectute sostiene «Non so se la mia fine sarà dovuta al caso, imprevedibile e imponderabile, oppure al destino, e quindi a un evento previsto e ponderato, sin dall'inizio dei miei giorni, da un potere a me sconosciuto. Non so né voglio sapere. Il caso spiega troppo poco, la necessità spiega troppo». E ancora, «L'unica cosa che credo di avere capito, ma non ci voleva molto, è che la storia, per tante ragioni che gli storici conoscono benissimo, ma di cui non sempre tengono conto, è imprevedibile». Gli avvenimenti che dànno origine alla storia, dunque, si manifestano negando il concetto di legge che, nella sua essenza, è un elemento di predicibilità, e soltanto ex post, quando si saranno consolidati proprio nella storia, potranno essere spiegati attraverso i principi della causalità (2) . Il destino è «potere supremo, occulto, che indipendentemente dalla volontà umana regola il succedersi di ogni evento». Nel concetto di destino è insito un senso di ineluttabilità alla quale gli individui non possono sottrarsi; la fortuna o il caso, invece, sono in grado di generare eventi accidentali e imprevedibili ai quali l'individuo può o non può assoggettarsi, rendendo così più o meno realizzabili le opportunità connesse a quegli stessi eventi. Fortuna, caso o sorte, che si manifestano senza una legge, possono essere indotti dall'inevitabilità del destino, ma, gli effetti della loro azione rientrano nella realtà, non come eventualità di accadimenti probabili, ma come certezza di ciò che di fatto è già stato determinato. L'impresa, dunque, soggetta a fortuna sempre imprevedibile e i cui effetti diventano legge quando si trasformano in gestione, in attività produttive e in valore, genera a sua volta eventi che nelle loro manifestazioni potranno determinare altro valore e altra fortuna, nello scenario in cui si collocano, diventando necessariamente fatti coordinati ex post dal principio della causalità. Per approfondire le caratteristiche che dovrebbero distinguere l'impresa moderna si rimanda al seguente successo editoriale: L'impresa in un mercato che cambia. (2) Il principio di causalità, nella sua forma più generale, afferma l'esistenza di una connessione tra due "cose", in virtù della quale la seconda è univocamente prevedibile a partire dalla prima. |
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