Il rientro dell'Italia nel nucleare

Il ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola ha più volte ribadito l’obiettivo del governo  di “posare, entro la legislatura, la prima pietra di un gruppo di centrali nucleari per riequilibrare il mix elettrico e ridurre la dipendenza da petrolio e gas, oggi all’85%, e che dovrà scendere al 50%”. L’energia nucleare dovrebbe, secondo le intenzioni del governo, garantire il 25% del fabbisogno energetico italiano. Il Ministero sta già lavorando ai decreti delegati previsti dal Ddl Sviluppo sulla scelta dei siti, sui benefici economici per le popolazioni e sull’istituzione dell’Agenzia per la Sicurezza Nucleare.
Si comincia a parlare di rinascita del nucleare a livello globale e molti sono i fatti a sostegno di questa prospettiva. Negli Usa diverse utility hanno avviato le procedure per avere le autorizzazioni alla costruzione e all’esercizio di nuovi impianti nucleari. In Europa sono in corso svariati progetti per il completamento di centrali nucleari o la costruzione di nuove, come, in Finlandia, Francia, e Slovacchia. Cina, Corea e Giappone continuano nella loro politica di sviluppo di programmi nucleari molto ambiziosi.
Al di là delle discussioni sui costi di impianto, sul costo del kWh prodotto, sul costo del combustibile nucleare e del decommission, in relazione ai costi di altre fonti, la scelta della tecnologia nucleare deve essere basata, fondamentalmente, su considerazioni strategiche per il paese.
D’altra parte, gli studi e le ricerche degli ultimi vent’anni hanno consentito di mettere a punto impianti contraddistinti da elevata sicurezza e affidabilità. L’energia da fonte nucleare presenta il grande vantaggio di non generare gas a effetto serra, tanto che anche molti ambientalisti sono pronti a considerare strategie energetiche basate su un mix di fonti rinnovabili e nucleare.
Sfortunatamente, per rimettere in piedi un sistema industriale italiano capace di realizzare e gestire un nuovo parco di centrali sono necessari anni e molte risorse visto che l’eccellenza italiana nel settore dell’energia nucleare è stata svilita dalla scellerata interpretazione del referendum dell’8 novembre 1987, interpretazione fortemente voluta dalle lobby dei petrolieri. Giova ricordare che la chiusura delle centrali nucleari sono costati allo Stato dai 5 ai 6 mila milioni di euro, il mancato risparmio della produzione nucleare rispetto a gas o petrolio è attorno ai  400 milioni di euro all'anno, una vera e propria catastrofe economica e anche tecnologica, se si pensa alla dispersione delle competenze di migliaia di professionisti che operavano nel settore nucleare.
Ciò non significa, però, che nel nostro paese non esistano competenze, conoscenze ed esperienze del mercato nucleare internazionale, che hanno consentito a molte imprese di competere per la realizzazione di componentistica per centrali nucleari in tutto il mondo.
In Italia le facoltà di ingegneria hanno difeso la specializzazione in  Ingegneria Nucleare e riescono a sfornare un centinaio di ingegneri nucleari all’anno, pochi, ma sufficienti per mantenere viva la competenza ed hanno mantenuto il contatto con il mondo accademico europeo tramite il consorzio Cirten – Consorzio Interuniversitario nazionale per la Ricerca Tecnologica Nucleare. La carenza di ingegneri nucleari penalizza un po’ tutta l’Europa se è vero che quasi tutti i nostri ingegneri nucleari vanno a lavorare all’estero.
Per la rinascita del nucleare, come già detto, ci si dovrà basare anche sulla presenza delle imprese italiane in paesi come Slovacchia e Spagna (Enel), o Romania (Ansaldo). Inoltre, fino a circa metà degli anni ’90, considerando le competenze e i laboratori prove materiali esistenti,  l’Italia ha saputo collocarsi in posizione non marginale nello sviluppo dei reattori di terza generazione; alcuni dei componenti più innovativi  dei reattori a sicurezza passiva sono stati sviluppati in Italia, sia dal punto di vista della progettazione, che della realizzazione prototipica  e della verifica sperimentale (è questo il caso dell’Isolation Condenser e del Passive Containment Cooler dell’ESBWR ovvero del Passive Residual Heat Exchanger dell’AP1000. La verifica integrata del comportamento dell’AP1000 a fronte di transitori incidentali è stata eseguita in Italia presso la SIET di Piacenza, che gode di una trentennale esperienza nel controllo di componenti di reattore, così come alla Casaccia sono state eseguite le prove di verifica dell’innovativo sistema di pressurizzazione pilotata che caratterizza questo impianto.
Venuti a mancare i finanziamenti pubblici i ricercatori, grazie ai fondi europei, hanno proseguito l’attività di Ricerca e Sviluppo sul fronte dei reattori di quarta generazione, che, oggi, li vede impegnati tanto nello sviluppo di reattori veloci, che di bruciatori di scorie sottocritici (il cosiddetto Accelerator Driven System). D’altra parte, se realmente il paese vuole recuperare il tempo perduto e il governo è intenzionato ad aprire una nuova stagione nel campo dell’energia da fonte nucleare, sono fondamentali finanziamenti pubblici in grado di risollevare il livello delle facoltà di ingegneria nucleare e dei laboratori di ricerca. Se la situazione generale non è del tutto compromessa, in questo momento nel quale sono ripartite in tutto il mondo le attività di ricerca in campo reattoristico è opportuno che il paese sia in grado di non essere distaccato per non dover dipendere dall’estero per le nuove tecnologie nucleari che man mano andranno sviluppandosi in tutto il mondo.
Non va sottaciuta la difficoltà relativa alle competenze necessarie per l’esercizio di reattori nucleari, competenze disperse per la  mancanza di impianti in esercizio. Certamente l’Enel potrà contare sulle centrali recentemente acquisite in Slovacchia e in Spagna, riappropriandosi della cultura dell’esercizio e addestrando personale da impegnare, eventualmente, nelle future centrali italiane. Altri operatori attivi in Italia (Edison, tramite Edf, Tractebel ed Eon) non mancano di competenze in campo nucleare, anche per loro, però, si porrà il problema di addestrare personale italiano.
Va sicuramente recuperata la situazione dell’autorità per la sicurezza nucleare, ridotta a una modesta direzione di Ispra, dipendente dal ministero dell’ambiente, e da tempo inattiva per la mancanza di impianti in Italia.
Anche la situazione dell’impresa sistemistica e componentistica è inadeguata quantitativamente, anche se non qualitativamente. Se è vero che della massa d’urto delle industrie attive negli anni ’80 ne restano poche è anche dimostrato che queste hanno lavorato all’estero, con risultati di rilievo. Ansaldo Nucleare ha contribuito, in misura rilevante, alla realizzazione delle due prime unità del reattore di Cernavoda in Romania, collaborando con l’Atomic Energy of Canada e fornendo un buon numero di componenti approvvigionati sul mercato italiano. Sempre l’Ansaldo è impegnata con uno staff di 60 tecnici alla progettazione del primo impianto cinese del tipo AP1000. Mangiarotti Nuclear ha fornito, negli ultimi anni, sei generatori di vapore dalle dimensioni mai realizzate al mondo e progettate dall’Ansaldo. Risulta carente l’industria della componentistica in qualità nucleare (valvole e pompe a esempio), così come quella dei sistemi di controllo e protezione, ma l’esperienza di Cernavoda ha mostrato come le imprese che hanno un tempo lavorato nel settore nucleare siano in grado di recuperare, rapidamente, il know-how e produrre componenti in regime di qualità nucleare.
Ritengo importanti queste considerazioni, perché dal momento in cui l’Italia si apre all’energia nucleare è importante che sia in grado di sviluppare una propria capacità manifatturiera, sia per limitare la dipendenza dalle forniture estere, sia per qualificarsi come fornitori a livello mondiale e creare ricchezza e posti di lavoro nel paese.
 Esistono è vero tre ostacoli istituzionali e di sistema ad un ritorno al nucleare che vanno assolutamente risolti..

  1. La necessità di definire con chiarezza e rapidità il processo autorizzativo di regole. Tale processo è stato, a esempio, il problema centrale per il rilancio del nucleare negli Usa.
  2. Il costo degli impianti nucleari richiede una strategia più rivolta ad abbassare il costo del kWh (come in Finlandia), piuttosto che al ritorno dell’investimento.
  3. La necessità della chiusura completa del ciclo (decommission e problema delle scorie) per la certezza del costo complessivo e reale dell’impianto. E questo è un problema, prevalentemente, politico.

 
Eugenio Caruso
30 ottobre 2009

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