La banca per l'export

L'Export banca, quell'innovativo "sistema integrato" che mette assieme la potenza di fuoco della Cassa depositi e prestiti (Cdp) in qualità di finanziatore tramite il risparmio postale e della Sace in veste di garante, è pronta a partire. Avrà la doppia finalità di sostenere l'internazionalizzazione delle imprese italiane, migliorando le condizioni del credito all'esportazione e calmierando i tassi, senza però disintermediare il sistema bancario. Il ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha firmato nei giorni scorsi il decreto ministeriale che in tre articoli autorizza e disciplina il funzionamento di questo inedito tandem Sace-Cdp: una novità per l'Italia ma non per Francia e Germania.
Il provvedimento, dopo la registrazione della Corte dei Conti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, spianerà la strada per la stipula di una convenzione tra i principali attori e le banche, forse tramite l’Associazione bancaria italiana. Non è esclusa la creazione di un plafond ad hoc: questo strumento ha un enorme potenziale, stimato dagli addetti ai lavori attorno ai 10 miliardi di euro.
Il sistema della Export banca (banca di nome ma non di fatto) si articola in tre diverse modalità di finanziamento per l'esportazione, tutte con un unico comune denominatore: il credito così concesso, garantito dalla Sace senza eccezioni, viene erogato «a condizioni di mercato», e cioè a tassi vantaggiosi, sì, ma non al punto da sconfinare nel campo minato dell'aiuto di stato. Questa formula è in vigore da anni in Francia e Germania.
Il meccanismo principale, disciplinato dal decreto all'articolo n. 1 stabilisce che la Cdp – attingendo al risparmio postale – può fornire la provvista alle banche (sotto e sopra la soglia dei 25 milioni) per il credito all'esportazione e l'internazionalizzazione delle imprese: purché l'operazione sia assicurata o garantita dalla Sace. La copertura del colosso dell'export credit, dovrebbe risultare alla fine al 100 per cento. L'articolo n. 2 del decreto fissa un paletto fondamentale, al fine di calmierare il tasso d'interesse del credito all'esportazione: nel contratto tra Cdp e banca andrà indicato il livello massimo del margine (incluse le commissioni) che la banca intende sommare al costo di raccolta per definire le condizioni finali per il cliente. In sostanza, il meccanismo dell'Export banca blinda il vantaggio finanziario dell'intera operazione, che deve riversarsi sul cliente finale ovvero sull'esportatore. Il margine in questione, che corrisponde allo spread applicato dalla banca in funzione principalmente al rischio di credito (la capacità del debitore di rimborsare il debito), dovrebbe essere relativamente basso in quanto la garanzia della Sace corrisponde al rischio-stato: ma è oggetto di trattativa, per tener conto degli oneri bancari su piazze estere.
Le banche hanno la facoltà di utilizzare questo canale, accettando l'intero pacchetto: la provvista è a buon mercato, perché proviene dal risparmio postale raccolto dalla Cdp con l'emissione dei buoni e libretti postali, ma al tempo stesso il margine sul rischio di credito è molto contenuto. Nel caso in cui, su singole richieste di export credit, le banche dovessero rinunciare all'Export banca, l'articolo n. 3 del decreto prevede una terza via, «sempre a condizioni di mercato»: la Cdp può effettuare le operazioni di finanziamento «in via diretta» se assicurate o garantite da Sace, oppure indirettamente «tramite Sace», cioè erogando il finanziamento alla Sace che poi a sua volta lo trasferisce all'impresa. Questa terza soluzione, che scatta solo se «non compatibile con l'intervento del sistema bancario» e «per settori di interesse strategico» è riservata alle operazioni di taglio medio-grande, comunque superiori ai 25 milioni di euro. La via diretta sarà la meno battuta, assicurano fonti bene informate.

4 febbraio 2010

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