I passi della crisi 2008 - 2010 - Parte VII


Molta gente è felice perché vuole esserlo.
Lincoln

L’articolo è  il seguito di
Come si è arrivati alla grande crisi del 2008 Parte I,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte II,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte III,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte IV,
I passi della grande crisi 2008 - 2009 Parte V,
I passi della crisi 2008 -2010 – Parte VI


Con riferimento ai succitati articoli, questo prosegue, per il secondo trimestre del 2010,  l’analisi delle performance economiche delle più importanti imprese del pianeta. Con particolare attenzione è analizzata la situazione italiana. Sono, inoltre, prese in considerazione tutte le più importanti iniziative degli stati e delle organizzazioni internazionali e nazionali.
L’articolo viene aggiornato quotidianamente.

Peggiora la situazione in Grecia (8 aprile 2010)
Il rendimento dei titoli di stato greci a dieci anni ha toccato il nuovo massimo storico, segnalando il permanere di forti tensioni. Il tasso ha toccato il livello di 7,322%, mai visto dopo l'adozione dell'euro da parte di Atene nel 2001, in un mercato preoccupato per la capacità della Grecia di onorare il suo debito. Il differenziale con il rendimento del titolo di Stato tedesco con scadenza comparabile, il cosiddetto spread, che rappresenta un riferimento per il mercato obbligazionario europeo, è a 424 punti base, anche questo un massimo dall'adozione dell'euro. Concretamente questo significa che la Grecia deve offrire agli investitori un tasso d'interesse del 4,24% più alto rispetto alla Germania per poter prendere a prestito sul mercato obbligazionario e rifinanziare il suo debito. Il costo per assicurare il debito governativo Greco è balzato a un nuovo record toccando i 466 punti base su un credit default swap a cinque anni. In pratica occorrono 466.000 dollari per assicurarsi contro il default di un bond a cinque anni del valore di 10 milioni di dollari. Nell'eurozona solo l'Ucraina ha un costo superiore (631 punti base) ma sono in crescita anche Portogallo e Irlanda.  Immediato l'impatto della notizia sui mercati. La Borsa di Atene lascia sul terreno il 5%. Ieri Atene aveva archiviato le negoziazioni con un calo del 3%. La notizia si fa sentire anche sui listini europei che ampliano le perdite della prima parte della mattinata. Movimenti anche sul cambio euro/dollaro La moneta unica passa di mano a 1,3293 dollari, dopo aver toccato un minimo di 1,3286 dollari, non lontano dal minimo del 2010 di 1.3265 dollari. C'è attesa per quello che la Bce dirà sulla crisi greca, mentre si dà per scontato che i tassi verranno mantenuti all'1%. La Bundesbank è fortemente critica sul piano di aiuto alla Grecia varato dai paesi dell'Unione Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Lo rivela un documento interno dell'istituto centrale tedesco di cui il quotidiano tedesco Frankfurter Rundschau pubblica oggi degli estratti. "Questo accordo fra i capi di stato europei - si legge nel rapporto - é stato raggiunto senza consultare, secondo quanto ci risulta, le banche centrali e contiene dei rischi per la stabilità che non possono essere sottovalutati". Secondo lo studio, l'attuazione del piano porterebbe di fatto a "un trasferimento di x miliardi di euro direttamente al ministero delle finanze greco". E la Germania, prima potenza economica europea, sarebbe anche il principale contributore di questo piano di salvataggio. Il documento contiene anche un riferimento ironico al Fondo Monetario Internazionale che viene ribattezzato Fondo di Massimizzazione dell'Inflazione. Questo perché secondo gli autori dello studio, il Fondo persegue degli obiettivi di inflazione molto più permissivi rispetto a quelli della Bce e della stessa Bundesbank. In realtà è stato proprio il governo di Berlino a insistere perché il piano di salvataggio della Grecia prevedesse anche un ruolo per l'istituzione di Washington, questo soprattutto per diluire le responsabilità del blocco europeo e la sua esposizione finanziaria. Ma è evidente che a questo coinvolgimento era fortemente contraria la stessa Bundesbank oltre che la Bce. La fronda interna contro il coinvolgimento nel salvataggio greco è dunque un problema sempre più evidente per Angela Merkel che rischia anche di doversi difendere da un'offensiva di fronte alla massima magistratura del Paese. In un articolo sul Financial Times Deutschland, il Professore di Diritto dell'Università di Tubingen, Joachim Starbatty, ha annunciato proprio oggi la sua intenzione di rivolgersi alla corte costituzionale di Karlsruhe se la Germania sarà costretta a sostenere finanziariamente la Grecia. L'impennata dei tassi sui titoli di stato della Grecia, la paura di un crollo dell'intero sistema bancario ellenico e la caduta costante dell'euro (sotto 1,34 dollari) sui mercati valutari sono il risultato inevitabile di una gestione europea della crisi assai poco convincente. A due settimane dall'annuncio dell'accordo Europa-Fmi per salvare la Grecia non si è ancora visto un piano concreto di aiuti, nessuno ha spiegato come si dovrebbe concretizzare l'intervento, quali paesi dovrebbero intervenire a fianco del Fondo monetario e in quale misura. In questa situazione, neppure l'ipotesi che la Grecia emetta un bond in dollari è bastata per placare la tensione: la percezione diffusa nella comunità finanziaria internazionale è che l'opacità del piano di salvataggio e le divergenze politiche dell'eurozona possano ostacolare una rapida erogazione degli aiuti ad Atene, a danno della Grecia e della credibilità dell'Unione monetaria. Che cosa vuole, dunque, il mercato? La risposta più semplice è che cali il sipario sulla commedia del piano di salvataggio: se davvero c'è un accordo sugli aiuti, che la Grecia lo chiami subito, dissipando così l'impressione di un grande «bluff» ai danni del mercato. Contare sulla benevolenza degli investitori è ormai un'illusione: il balzo dei tassi sui titoli decennali greci (un livello che non si vedeva dal 1998) dice chiaramente che i costi di indebitamento di Atene sono e resteranno proibitivi, aumentando le possibilità di un default. Il Governatore della Bce Trichet ha escluso una tale eventualità, contribuendo così a limitare il crollo della Borse e la caduta di Atene, ma per gli investitori - e soprattutto per i grandi speculatori internazionali - domani è sempre un altro giorno: o la Grecia chiede subito gli aiuti - e le condizioni proibitive dei mercati le danno la possibilità di farlo - o la tempesta finanziaria diventerà sempre più forte e contagiosa. I segnali che la Grecia sia a fine corsa, del resto, hanno passato ormai il livello di guardia e il mercato del debito sovrano è chiaramente in mano alla grande speculazione internazionale: ciò che dovrebbe preoccupare di più, infatti, non è la corsa dei tassi a lungo termine, ma quella dei rendimenti dei titoli di stato a breve (sei mesi e due anni) e soprattutto la volatilità dei prezzi. I bond greci a due anni sono saliti di oltre due punti percentuali in appena due giorni fino al 7,68%, cioè il 6,78% in più rispetto al debito tedesco. Non solo. Il 7 aprile 2010, ititoli di Stato con scadenza equivalente a circa sei mesi sono saliti fino a 6,4%, secondo le stime della Rbs Research, arrivando a un rendimento pari al doppio della mattina precedente e a 6 punti percentuali in più sull'equivalente tedesco. l'8 aprile, il titolo di Stato greco con scadenza ottobre 2010 è addirittura passato al 6,4% dal 5,6% del giorno prima, un andamento che conferma l'estrema volatilità nella «short-end» del mercato del debito pubblico greco. È ovvio che si tratta di rendimenti insostenibili per il debito pubblico a breve, specialmente nell'eurozona. Ma soprattutto, si tratta di tassi che indicano due sbocchi contrapposti della crisi: da un lato, implicano un imminente default della Grecia; dall'altro, un'occasione di acquisto da non perdere per gli speculatori internazionali. È noto infatti che quando la curva dei rendimenti si appiattisce, con i tassi a breve che si allineano a quelli dei t-bond a lungo termine, la prospettiva di default è altissima. Ebbene, anche se Trichet ha escluso che l'Europa permetta alla Grecia di fallire, i rendimenti dei tassi a lunga continuano a riflettere questa possibilità, che per quanto teorica resta oggetto di dibattito. Ma se la speculazione prende il controllo del mercato, l'effetto più immediato è proprio l'impennata dei tassi a breve: da titoli relativamente sicuri, i titoli a breve scadenza diventano così estremamente rischiosi, i loro tassi volano e i prezzi, che si muovono in direzione opposta dei rendimenti, crollano. Poichè è chiaro a tutti che un default della Grecia avrebbe effetti devastanti sull'intera eurozona, più che di scommesse su un default di Atene quelle degli speculatori sono vere e proprie scommesse sul fatto che Atene sarà costretta a chiedere il più presto possibile l'aiuto della Ue e del Fondo Monetario. E proprio qui scatterebbe il guadagno miliardario di chi sta accentuando la crisi greca sui mercati finanziari: non appena la Grecia riceve i prestiti internazionali, i prezzi dei titoli di Stato a breve tornano a salire e i rendimenti a scendere, generando fortissimi guadagni per chi ha speculato nella crisi acquistando i t-bond a prezzi di realizzo. Insomma, mentre tutti i fari sono stati puntati - spesso ingiustamente - sugli effetti distorsivi dei Credit default swap (le polizze assicurative sul rischio di insolvenza dei bond), la grande speculazione internazionale sembra aver manovrato del tutto indisturbata direttamente sul mercato dei titoli di Stato a breve termine. Per la politica c'è abbastanza materia per riflettere. Aver invocato per mesi misure straordinarie per colpire gli speculatori che manipolavano il mercato dei Cds sul debito sovrano senza aver poi varato alcuna riforma o misura correttiva, non ha fatto altro che esacerbare gli animi e indirizzare la speculazione laddove nessuno si era spinto finora in Europa.

In calo i redditi delle famiglie italiane (8 aprile 2010).
Nell'ultimo trimestre del 2009 il reddito disponibile delle famiglie in valori correnti è diminuito del 2,8% rispetto allo stesso periodo del 2008, mentre la spesa si è ridotta dell'1,9 per cento. Lo rileva l'Istat, sottolineando come si tratti della riduzione più significativa dall'inizio delle serie storiche negli anni novanta. Il potere di acquisto delle famiglie (cioè il reddito disponibile delle famiglie in termini reali) è diminuito dello 0,2% rispetto al trimestre precedente e del 2,6% rispetto a quello dell'anno precedente. Nel quarto trimestre del 2009, rileva sempre l'Istat, la propensione al risparmio delle famiglie (definita dal rapporto tra il risparmio lordo e il reddito disponibile) è stata pari al 14% come nel trimestre precedente, mentre la riduzione rispetto al corrispondente periodo del 2008 è stata pari a 0,7 punti percentuali. Nel quarto trimestre 2009, continua l'istituto di statistica, il reddito disponibile delle famiglie è diminuito dello 0,2% in valori correnti rispetto al trimestre precedente, mentre la spesa per consumi finali si è ridotta dello 0,1 per cento. Prosegue, inoltre, la flessione del tasso di investimento delle famiglie (definito dal rapporto tra gli investimenti fissi lordi, che comprendono gli acquisti di abitazioni e gli investimenti strumentali delle piccole imprese classificate nel settore, e il loro reddito disponibile lordo) che nel quarto trimestre 2009 si è attestato all'8,8%, 0,2 punti percentuali in meno rispetto al trimestre precedente, risentendo di una riduzione degli investimenti (-2,2%) molto superiore a quella del reddito disponibile (-0,2%). Nel quarto trimestre 2009 il tasso di investimento delle famiglie si è ridotto di 0,7 punti percentuali rispetto allo stesso periodo del 2008.

Chiude la storica fabbrica della Moka (8 aprile 2010).
Bialetti Industrie chiude lo stabilimento produttivo di Omegna, nei luoghi dove Alfonso Bialetti fondò il gruppo omonimo, per spostarsi nell'Est Europa. Il nuovo modello di business integrato, Italia-estero, scelto dal gruppo, spiega un comunicato, consente però «di mantenere nel territorio del Verbano-Cusio-Ossola alcune parti ad alto valore aggiunto del processo produttivo attraverso fornitori strategici che già da tempo collaborano con la società». La fase di Ricerca e Sviluppo, lo studio del design e la definizione degli standard di qualità resteranno in capo a Bialetti e saranno centralizzati presso lo stabilimento di Coccaglio a Brescia. Bialetti ha avviato una procedura di mobilità per chiusura del sito, che coinvolgerà i circa 120 lavoratori tra impiegati ed operai. L'azienda si è detta disponibile ad aprire un tavolo con i sindacati per identificare il miglior percorso e le migliori soluzioni in termini di ammortizzatori sociali e piani di formazione, riqualificazione e ricollocamento. «Il perdurare della crisi congiunturale del mercato di riferimento e la crescita dei produttori dei Paesi low-cost, che hanno comportato un sensibile calo dei volumi del business delle caffettiere (-26% nell'ultimo biennio), hanno reso il modello produttivo utilizzato da Bialetti in passato per le caffettiere non più competitivo, né sostenibile, a causa dell'alta incidenza dei costi fissi e indiretti» spiega l'azienda in una nota. A fronte dei nuovi imprevisti e negativi sviluppi le organizzazione sindacali - respingendo i piani aziendali - hanno chiesto l'intervento della Provincia, della Regione e dei parlamentari del Vco. Anche la Provincia del Verbano-Cusio-Ossola ha annunciato che chiederà l'intervento del neo presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. Per il presidente della Provincia, Massimo Nobili, «la posizione ferma e condivisa a tutti i livello provinciali è che non ci può essere negoziazione sulla chiusura della fabbrica».

L'Eurogruppo decide di salvare la Grecia (12 aprile 2010).
L'Eurogruppo stanzia 30 miliardi alla Grecia sull'orlo della bancarotta. I ministri delle Finanze dei 16 paesi di Eurolandia hanno deciso di mettere a disposizione questa cifra «per il primo anno» cioè una specie somma di pronto intervento. La decisione è stata presa nel corso della teleconferenza che si è svolta oggi a Bruxelles. A questa quota si aggiungerà poi il contributo del Fondo monetario, una cifra che oscilla tra i 12 e i 15 miliardi e sarà counque definita nelle prossime ore. In tutto i prestiti in favore della Grecia ammonteranno a circa 45 miliardi. Il commissario europeo per gli affari Economici, Olli Rehn, ha detto che il tasso di interesse da applicare al prestito sarà «circa del 5%». Un tasso che «non costituisce una sovvenzione» ha precisato il commissario aggiungendo che è un po' più elevato di quello applicato dal Fondo monetario internazionale. Il ministro delle Finanze greco George Papacostantinou ha accolto con soddisfazione l'accordo raggiunto dall'Eurogruppo sugli aiuti ad Atene, ma ha ribadito che il suo governo non ha al momento intenzione di approfittarne. «Continueremo a ricorrere ai prestiti del mercato» ha dichiarato in conferenza stampa Papacostantinou, mentre il suo primo ministro George Papandreu ha sottolineato di voler considerare il piano europeo come «una rete di sicurezza». A dare la notizia del presito è stato il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker, precisando che «il meccanismo è ora pronto a essere pienamente operativo» e che comunque la decisione di attivarlo non è ancora stata presa perché Atene non lo ha chiesto. «Gli Stati membri dell'Eurogruppo vogliono mettere a disposizione della Grecia dei fondi sotto forma di prestiti bilaterali» ha spiegato Juncker, il quale ha precisato che «tutti i Paesi membri» parteciperanno. L'Italia potrebbe così partecipare per un ammontare massimo di 3,7 miliardi di euro al meccanismo di prestiti bilaterali a sostegno della Grecia perché la somma che versa ogni paese è calcolata in base alla quota di capitale nella Banca centrale europea: quella dell'Italia è del 12,49 per cento.
"Finalmente c'è un accordo", esclama sul Financial Times Wolfgang Munchau. Ma il salvataggio della Grecia non offre "nessuna vera soluzione" e lascia aperti molti interrogativi. Per esempio, i mercati finanziari saranno tentati di "mettere alla prova la solidarietà Ue per il Portogallo ed eventualmente anche per la Spagna e l'Italia?" , si domanda l'opinionista. "Arriverà un momento in cui l'Ue non sarà più in grado di aiutare, anche se volesse". L'accordo a favore della Grecia, scrive Munchau, è arrivato tardi, il tasso d'interesse del 5% è "relativamente alto", ma darà alla Grecia e ai suoi creditori una boccata d'ossigeno. L'intesa risolverà il problema dell'insolvenza a breve termine, "la Grecia non farà default quest'anno". Ma Munchau prevede che prima o poi la Grecia farà default. "I numeri sono semplicemente troppo negativi". La Grecia non può svalutare, ha un debole consenso nella società a favore di riforme profonde, ha una debole infrastruttura fiscale e un sistema finanziario fragile. "Tutto punta verso un'eventuale ma non imminente default". "L'Ue e le sue istituzioni non escono da questa vicenda con molta gloria", nota Munchau. Ci è voluto un attacco speculativo al mercato greco dei bond per portare a un'azione concreta. Una delle domande irrisolte – scrive Munchau - è se il mercato dei bond interpreterà l'accordo come segno che l'Ue non lascia fallire nessuno purché abbia agito in buona fede. Il costo del salvataggio greco non è alto, rispetto all'ipotetica alternativa di un default incontrollato nell'eurozona. Il Portogallo è più piccolo della Grecia. Ma il discorso cambia quando si arriva alla Spagna, la quarta economia dell'eurozona. E' evidente – conclude – che l'accordo varrà solo per la Grecia. "L'Ue non ha ancora fornito un regime generalizzato di soluzione delle crisi". E l'investitore smaliziato lo sa. Il quotidiano finanziario francese Les Echos sottolinea in un titolo "Nicholas Sarkozy e Silvio Berlusconi manifestano solidarietà verso Atene". I due leader, al vertice bilaterale all'Eliseo, hanno insistito sul "dovere" di sostenere l'euro e rafforzare la solidarietà in seno all'Unione europea. Sempre su Les Echos, un'analisi di Kenneth Rogoff ex capo economista dell'Fmi e professore ad Harvard, esamina il ruolo chiave del Fondo monetario internazionale, tornato con il salvataggio della Grecia al suo ruolo di partenza: aiutare l'Europa a ricostruirsi dopo le devastazioni della Seconda guerra mondiale. Il commento di Rogoff, intitolato "L''Fmi deve pensare alla sua strategia d'uscita dall'Europa", nota che da anni l'Europa è diventata l'epicentro della più grande espansione dei prestiti e dell'influenza dell'Fmi. Molti paesi come l'Ungheria, la Romania e l'Ucraina hanno concluso programmi sostanziali con il Fondo. "I paesi della zona euro hanno ora accettato di lasciarlo entrare in Grecia, e senza dubbio anche in Portogallo, in Spagna, in Italia e in Irlanda se necessario". Il risorgere dell'Fmi è, a suo parere, "stupefacente". L'arrivo dell'Fmi in Europa significa la fine dell'indebitamento eccessivo sul continente? "Non è sicuro ", poiché il Fondo non fa regali e ci sono numerosi esempi di paesi che hanno accettato i programmi del Fondo ma sono falliti lo stesso. Inoltre, l'Fmi non può aiutare un paese indefinitamente perché altrimenti potrebbe non avere le risorse per la successiva crisi che potrebbe venire da paesi inattesi come la Cina o il Giappone. E se il Fondo perde la sua credibilità, i suoi salvataggi non faranno che esacerbare la crisi del debito sovrano globale, che si prepara non solo in Europa, ma anche negli Stati Uniti e in Giappone. La questione per l'Fmi in Europa – conclude Rogoff - non è di sapere se ha un piano valido per entrarci, poiché ci è già dentro. "La questione è di sapere se ha una strategia d'uscita plausibile".

Fmi: più controlli per le grandi banche (14 aprile 2010).
Il Fondo monetario riapre la discussione sulle banche «troppo grandi per fallire», uno dei temi destinati a tenere banco la prossima settimana a Washington, dove si incontreranno ministri e governatori per gli incontri di primavera. In uno studio diffuso ieri, l'Fmi esamina, pur senza appoggiarla esplicitamente, la possibilità di applicare requisiti di capitale più alti alle banche più grandi, per scoraggiare la formazione di colossi bancari che poi costringano gli Stati, come è avvenuto nella recente crisi, al salvataggio con soldi pubblici in caso di difficoltà. La proposta è controversa e destinata a incontrare l'opposizione dei banchieri del settore privato, che presenteranno il loro punto di vista questa settimana attraverso la loro associazione, l'Institute of International Finance. Le banche, secondo lo studio dell'Fmi, potrebbero ricevere un rating di rischio sistemico a seconda del rischio che un loro eventuale fallimento potrebbe creare per il sistema e sulla base di questo rating sarebbero chiamate a maggiori accantonamenti. Nel frattempo, il Fondo si prepara a rivedere al ribasso le stime sulle perdite per le banche a causa della crisi, che per il periodo 2007-2010 dovrebbero ammontare a 2.300 miliardi di dollari, contro 2.800 attesi fino a pochi mesi fa: due terzi dell'importo sono già stati messi a bilancio. La situazione dei mercati rispetto ai mesi scorsi è molto migliorata, ha detto l'economista del Fondo, Laura Kodres, nel presentare gli studi, ma il grosso del lavoro in materia di riforme delle regole della finanza resta da fare. L'istituzione di Washington teme, come ha detto più volte il suo direttore, Dominique Strauss-Kahn, che l'impulso alle riforme si attenui, man mano che la situazione si normalizza. Nei lavori pubblicati ieri (13 aprile), l'Fmi sottolinea la necessità di soluzioni transfrontaliere, per evitare che la tendenza di ogni paese ad andare avanti nel fissare regole proprie finisca per creare discrepanze che possono essere sfruttate dagli speculatori creando così nuovi rischi. L'Fmi dedica anche un articolo del Global Financial Stability Report ai derivati over-the-counter, trattati fuori dai mercati regolamentati. L'Fmi vede come priorità l'utilizzo di stanze di compensazione centralizzate, per evitare che l'interconnessione dei partecipanti al mercato possa generare effetti di contagio. Dato l'aggravio pesante di costi, viene suggerito invece uno spostamento degli scambi sui mercati regolamentati solo in modo graduale. L'analisi della stabilità finanziaria condotta dall'Fmi vede poi i paesi emergenti a rischio di inflazione e di bolle speculative sui mercati finanziari o immobiliari a causa dell'enorme immissione di liquidità da parte dei grandi paesi avanzati, prima e durante la crisi. L'aumento della liquidità globale era già in corso dal 2003 per effetto di politiche monetarie accomodanti, ma si è impennato nettamente durante la crisi. Molti di questi fondi hanno cercato un approdo nelle economie a tassi di crescita più robusti e rendimenti più alti, soprattutto economie emergenti. Per contrastare queste conseguenze controproducenti, l'Fmi suggerisce l'adozione di cambi flessibili, in modo che, nei paesi che hanno una moneta sottovalutata, questa si possa apprezzare. Non c'è un riferimento esplicito alla Cina, anche se proprio sulla necessità di Pechino di liberalizzare il cambio e lasciarlo rivalutare si è concentrato molto del dibattito in sede internazionale e anche nei rapporti bilaterali Usa-Cina. La questione sarà di nuovo in discussione alle riunioni della prossima settimana, che comprendono un incontro del G-20. Il Fondo continua invece a considerare i controlli sui capitali come una misura che può avere efficacia solo temporanea. Diversi paesi li hanno adottati di recente, fra cui il Brasile, che ha imposto una tassa del 2% sugli ingressi di capitale straniero. I controlli, secondo l'Fmi, perdono efficacia perché i mercati imparano rapidamente ad aggirarli. Su un campione di 37 paesi, l'effetto dei controlli è stato di allungare le scadenze degli investimenti, più che di frenare gli afflussi. Inoltre, i controlli hanno un effetto distorsivo anche a livello internazionale: rischiano di deviare i flussi su altri paesi, che potrebbero essere tentati a loro volta di chiudere le frontiere. Ma il Fondo teme soprattutto che finiscano per impedire il ribilanciamento degli squilibri globali e frenare la ripresa mondiale.

Bce: ancora squilibri per l'economia mondiale (15 aprile 2010).
La Bce segnala il rischio di squilibri a livello globale, che all'indomani della crisi tornano a rappresentare un «fattore di rischio fondamentale» per la stabilità economica e finanziaria. In un articolo speciale del suo bollettino mensile, la Banca centrale europea scrive che «al momento attuale, gli squilibri mondiali continuano a rappresentare un fattore di rischio fondamentale per la stabilità macroeconomica e finanziaria su scala internazionale». Sottolineando anche che il ritorno degli Stati Uniti alla crescita economica rischia di assomigliare a precedenti episodi di ripresa sganciata da un aumento dell'occupazione. Soffermandosi sugli squilibri globali la Bce accenna al forte disavanzo commerciale degli Usa, finanziato in particolare dagli acquisti di titoli di Stato americani dalla Cina, il cui surplus nel commercio estero sta comportando tassi di crescita stellari. Secondo l'Eurotower la riduzione degli squilibri globali durante la crisi «è stata solo parziale e probabilmente di natura per lo più temporanea». La conclusione degli esperti della Bce è che «esiste un forte interesse a evitare per il futuro una correzione disordinata, che risulterebbe costosa per tutte le economie»: serve «una risposta mondiale e significativa sul piano delle politiche economiche». Il livello dei tassi d'interesse nell'area euro, con il tasso principale all'1%, ''continua ad essere adeguato'', scrive ancora la Bce. ''Ci si aspetta che l'inflazione resti moderata nell'orizzonte temporale rilevante per la politica monetaria'' nonostante a marzo, nell'Ue-16, sia accelerata all'1,5% superando le attese di mercato. ''Nel mercato del lavoro, una sufficiente flessibilità dei salari e il potenziamento degli incentivi all'occupazione sono necessari per prevenire una disoccupazione strutturale più elevata nei prossimi anni''. Il consiglio direttivo della Banca centrale europea ''accoglie con favore la dichiarazione sulla Grecia diffusa il 25 marzo dai capi di Stato e di governo dei Paesi dell'area euro''. Il consiglio ''sostiene appieno l'intento di rafforzare la sorveglianza sui rischi economici e di bilancio nonchè i relativi strumenti di prevenzione, fra cui la procedura per i disavanzi eccessivi''.

ISTAT: bilancia commerciale sempre in rosso (15 aprile 2010).
La bilancia commerciale complessiva ha segnato a febbraio 2010 un deficit di 2,332 miliardi (in peggioramento rispetto al deficit di 895 milioni di febbraio 2009). Lo comunica l'Istat precisando che il saldo con i Paesi Ue ha segnato un deficit di 710 milioni (in peggioramento da -163 nello stesso mese del 2009) e la bilancia extra Ue ha registrato un saldo negativo di 1,622 miliardi (superiore ai -733 milioni di febbraio 2009). In crescita, sui livelli più alti dal settembre 2008, sia le esportazioni verso il mondo, aumentate del 7,3%, che le importazioni salite del 12,9 per cento. Nei primi due mesi del 2010, precisano i tecnici dell'Istat, i tassi di variazione dei flussi rispetto al 2009 potrebbero essere affetti da una limitata sovrastima indotta dall'introduzione delle nuove normative nazionali e comunitarie e dai cambiamenti nelle modalità di acquisizione dei dati da parte dell'Agenzia delle Dogane. A febbraio, comunica l'Istat, le esportazioni hanno registrato una crescita dell'11% verso i Paesi Ue e del 2,3% verso quelli extra Ue mentre le importazioni registrano una crescita del 14,9% dei flussi dai Paesi Ue e da un aumento del 10,4% di quelli dei paesi non comunitari. I dati destagionalizzati elaborati dall'Istat segnano, rispetto a gennaio, un incremento congiunturale delle esportazioni complessive del 2,5% (+2,5% per i paesi Ue e +2,6% per i paesi extra Ue) e delle importazioni del 3,6% (+2,7% per i paesi Ue e +4,7% per quelli extra Ue). Nel mese di febbraio, sul fronte delle esportazioni, i settori che hanno registrato gli andamenti tendenziali positivi più significativi sono coke e prodotti petroliferi raffinatì (+33,5%) e sostanze e prodotti chimici (+26,3%). Le maggiori flessioni si registrano per articoli di abbigliamento (anche in pelle e pelliccia) (-9,6%), mobili (-1,7%). Dal lato delle importazioni, il maggior incremento riguarda il petrolio greggio (+56,5%) mentre la flessione maggiore per il gas naturale (-14,3%). A febbraio, la dinamica delle esportazioni é positiva verso entrambe le aree di sbocco; quanto alle importazioni andamenti particolarmente positivi si rilevano per Spagna, Austria, Germania e Francia mentre tra i paesi extra Ue incrementi rilevanti si evidenziano per Russia, Turchia e Paesi Opec.

Bankitalia: luci e ombre (15 aprile 2010).
In Italia la ripresa economica è ancora debole. Nonostante il rialzo dell'attività industriale nei primi due mesi del 2010, sulle prospettive di crescita pesano il ristagno dei consumi, con una domanda interna che non mostra un'inversione di tendenza rispetto al 2009, e la lenta ripresa dell'export. È quanto osserva la Banca d'Italia nell'ultimo Bollettino economico sottolineando che, «sulla base di un insieme informativo ancora incompleto», il reddito disponibile «è calato di oltre due punti percentuali in termini reali nella media dello scorso anno» registrando la seconda flessione annua consecutiva. Nel corso della fase acuta della crisi internazionale (dal secondo trimestre del 2008 a metà 2009) il volume dell'export italiano è diminuito del 24,8% a fronte di un calo della domanda mondiale del 17,7%. La flessione delle esportazioni dell'Italia, osserva Bankitalia nel Bollettino economico, è stata simile a quella registrata in Germania e più intensa che in Francia (rispettivamente, -25,6 e -18,8 per cento). A pesare sull'export italiano sono soprattutto i «ritardi strutturali accumulati nel corso di questo decennio, a cominciare dalla perdita di competitività di prezzo registrata verso Francia e Germania, pari, rispettivamente, a circa 6 e 14 punti percentuali». Decisiva anche la scarsa presenza nei mercati che meglio hanno resistito al crollo della domanda mondiale: «Rispetto al totale delle nostre esportazioni, la quota verso la Cina e le altre economie dell'Est asiatico era pari infatti ad appena il 4% nel 2008, contro il 6% circa per quelle tedesche e francesi», conclude Via Nazionale. «Il rialzo dell`attività industriale nel primo bimestre del 2010, unitamente ai segnali congiunturali positivi provenienti dai sondaggi qualitativi, prefigura - segnala Palazzo Koch - una ripresa della crescita nei primi tre mesi dell`anno». Ma «sull'intensità e i tempi pesa tuttavia la perdurante debolezza dei consumi delle famiglie», preoccupate anche per le prospettive del mercato del lavoro, e «l'incertezza sulla capacità dell`economia italiana di agganciarsi al recupero degli scambi internazionali». Sul fronte dei consumi, finiti gli effetti temporanei degli incentivi fiscali alla rottamazione degli autoveicoli, la spesa delle famiglie appare frenata anche se, da aprile, «uno stimolo temporaneo ai consumi dovrebbe venire dalle misure di sostegno introdotte dal governo». Le attese del Consensus Economics per l'inflazione nel 2010 «si situavano in marzo intorno all'1,5 per cento. Il divario rispetto alla media dell'area - scrive Bankitalia - positivo per circa mezzo punto percentuale nella media del 2009, rimane sostanzialmente invariato, secondo queste previsioni, nell'anno in corso». Per centrare la previsione di un indebitamento al 5% del Pil nel 2010, contenuta nell'aggiornamento del Programma di stabilità presentato dal Governo, per Palazzo Koch serve «un sensibile aumento delle entrate e una netta decelerazione della spesa primaria». Bankitalia osserva poi che «il deterioramento dei conti pubblici lo scorso anno è risultato più contenuto in Italia che negli altri principali paesi avanzati. Il rapporto tra debito pubblico e Pil - ricorda via Nazionale - è tuttavia salito di 9,7 punti percentuali, al 115,8%, riflettendo, oltre all'elevato fabbisogno, la caduta del Pil nominale».

Goldman Sachs accusata di frode (17 aprile 2010).
La Sec ha accusato ieri mattina Goldman Sachs in procedura civile di aver truffato i suoi clienti con operazioni speculative sul mercato subprime nel 2007, quando stava per esplodere la crisi finanziaria. La storia di quelle operazioni era conosciuta e dibattuta da tempo: si diceva che la banca dopo aver venduto pacchetti di mutui ai suoi clienti andava sul mercato per giocare al ribasso su quegli stessi titoli. Goldman ha sempre respinto con indignazione le accuse emerse sul mercato e sulla stampa, persino un paio di settimane fa in una incomprensibile lettera agli azionisti. Il problema per la banca è che ieri la Sec non ha soltanto formalizzato i capi d'accusa, ha anche rivelato particolari sconosciuti, e cioè che la banca aveva organizzato le operazioni per conto di una parte interessata, il grande gestore di fondi hedge John Paulson senza informare il mercato di questo dettaglio, come richiede la legge. Il fondo di Paulson, Paulson and Co, aveva anche pagato 15 milioni di dollari alla banca per creare lo strumento, chiamato in gergo Cdo (collateralized debt obligation). La Sec inoltre ha menzionato anche il nome di una persona fisica responsabile delle operazioni, Fabrice Tourre, un "vice president" della banca che aveva concepito e realizzato le operazioni. Ma John Paulson o il suo fondo non sono stati per ora chiamati in causa. È stato un uragano. Il titolo Goldman ha perso il 12,64% in poche ore, scendendo a quota 160,4 dollari per azione. E visto che la Sec sta conducendo inchieste parallele su veicoli di investimento collocati da altre banche, simili a quelli messi a punto da Goldman, Wall Street teme che altre istituzioni possano cadere nella stessa rete. O che, comunque, il settore uscirà destabilizzato da questa vicenda. Come si è detto, per ora la causa ha natura civile, ma i danni possibili che Goldman potrebbe essere chiamata a rimborsare sono stimati in oltre un miliardo di dollari, senza contare le multe possibili. «Il prodotto realizzato da Goldman era nuovo e complesso, ma il metodo di occultamento e i conflitti sono antichi e semplici», ha dichiarato Robert Khuzami, il responsabile della divisione coercitiva della Sec. La risposta di Goldman all'azione della Sec è stata di nuovo ferma e aggressiva: «le accuse sono prive di fondamento sia nei fatti che nelle componenti giuridiche» ha detto la banca in un comunicato. La vicenda riguarda genericamente un veicolo di investimento controverso, di cui abbiamo riferito più volte su queste pagine, il cosiddetto "collateralized debt obligations" sintetico, che raggruppava diversi portafogli mutui, molti dei quali rappresentativi del mercato subprime. La tesi era che uno strumento formato da più portafogli ad alto reddito aveva una forte diversificazioen del rischio e consentiva ritorni medi anche di molto superiori al mercato. Questi strumenti venivano poi collocati sul mercato con il marchio dell'istituzione che li vendeva. Il marchio Goldman, forse il più prestigioso a Wall Street era sinonimo di garanzia per chi cercava un investimento a basso rischio. Le accuse generiche di cui si è parlato finora a Wall Street affermavano che le banche cercavano in realtà di scaricare dai loro portafogli strumenti che apparivano sempre più fragili. E, nel caso di Goldman, l'accusa è quella di aver poi giocato contro quegli stessi strumenti vendendoli a breve sul mercato. Nel caso specifico la Sec menziona in particolare uno strumento, l'Abacus 2007-AC1, costruito a tavolino su specifica richiesta di un importante hedge fund, Paulson and Co. L'investitore aveva scommesso sul fatto che il mercato immobiliare sarebbe caduto. Aveva però bisogno di uno strumento attraverso il quale veicolare le sue operazioni ribassiste. Goldman accettò di costruire lo strumento e Paulson, che aveva identificato titoli immobiliari secondo lui molto fragili e destinati all'inevitabile collasso, indicò i titoli da impacchettare nello strumento. Goldman vendette poi lo strumento a banche e istituzioni oltre che a clienti privati riferendo che il portafoglio era stato creato da una terza parte indipendente. Non rivelò mai che il pacchetto era stato invece scelto da Paulson per la sua connotazione di fragilità. Ne che Paulson avrebbe subito venduto a breve i titoli rappresentativi di quel pacchetto. È questo dunque il punto debole di Goldman. E pare difficile che «fattualmente e giuridicamente» almeno in questo caso riesca a dimostrare il contrario.

Turbolenze nelle borse del pianeta (19 aprile 2010).
La nube tossica per le ceneri che fuoriescono dalla bocca del vulcano islandese. Poi, la bordata sparata venerdì scorso dalla Sec (la Consob americana) contro il colosso finanziario di Wall Street, Goldman Sachs. Infine, la tragedia greca che sembra aggravarsi sempre di più. È questo il coctail micidiale che ha ammorbato l'aria delle sale operative d'Europa e, seppur di meno, e dell'America. Un mix che ha penalizzato sì i listini, anche se non in maniera così pesante come si poteva temere. Le piazze del Vecchio continente hanno ceduto fino allo 0,6% (Madrid), mentre a Piazza Affari, dove i titoli del comparto bancario pesano molto, il Ftse Mib è stato sull'ottovolante: su è giù, per poi chiudere in calo dell0 0,96 per cento. Dall'altra parte dell'Atlantico, Wall Street non è così negativa: il Dow Jones danza attorno alla parità analogamente all'SandP500 (-0,03%). Un effetto positivo, evidentemente, deve averlo provocato la pubblicazione dei dati di Citigroup. Il gruppo bancario, nel primo trimestre 2010, ha realizzato un utile di 4,43 miliardi di dollari (eps di 15 cent); i ricavi, invece, sono calati a quota 25,42 miliardi. Citi, poi, ha anche indicato la sua totale estraneità all'indagine che la Sec ha avviato contro Goldman. Un'altra piccola dose di ottimismo è stata instillata dall'andamento del superindice economico Usa, che anticipa l'andamento economico: a marzo ha segnato un rialzo mensile dell'1,4 per cento. Il risultato è superiore alle previsioni. Tornando sul fronte delle trimestrali, negative invece quella di Elli Lilly (in calo del 5% i profitti) e di Halliburton (da 378 milioni di un anno fa agli attuali 206). La cenere schiaccia le compagnie aeree L'eruzione del vulcano islandese, oltre a creare sempre maggiori danni all'economia continentale (se la situazione non migliora il salasso è stimato in tre miliardi di euro), ha schiacciato le quotazioni delle compagnie aeree costrette a lasciare a terra i propri veivoli. La Lufthansa ha ceduto il 2,5%, Air France-Klm il 5%, British Airwaysl'1,23 per cento. La volontà è quella di far decollare al più presto gli aerei: e se si guarda l'andamento della capitalizzazione delle compagnie quotate si capisce il perchè. Secondo i calcoli di Marketwatch, dall'inizio della chiusura degli spazi aerei è stata bruciata una capitalizzazione per 1,5 miliardi di euro dalle seguenti società: Ryanair, Lufthansa, AirFrance-Klm, British Airways, Iberia e Easy Jet. Tuttavia proprio la notizia di un caccia della Nato che avrebbe avuto problemi a causa della nube induce gli enti nazionali responsabili per la sicurezza in volo alla massima prudenza. I timori per Goldman Il caso di Goldman rimane al centro dell'attenzione. Come fanno notare gli esperti di Mps capital services venerdì scorso, dopo la notizia, c'è stata un'ondata di acquisti sui titoli governativi, un po' su tutta la curva dei rendimenti che, di conseguenza, si è mossa in maniera uniforme. L'indizio inequivocabile di una ricerca di asset low-risk, in un momento dove la rimonta, non solo economica, sembra un po' lì, appesa ad un filo. L'intervento della Sec è uno spartiacque importante. È ben vero che il nome di Goldman, insieme a quello di altre banche, si faceva da tempo. Ma il fatto che l'organo di controllo di mercato abbia formalizzato l'accusa è un passaggio non da poco. Molti si domandano adesso: ci saranno altre accuse? Chi potrebbe essere il prossimo? Si teme, insomma, l'effetto contagio che potrebbe affossare ulteriormente le Borse. Le quali, però, a fronte di un calo notevole dei singoli titoli bancari (Goldman venerdì ha perso oltre il 15%) non hanno tracollato: evidentemente il peso percentuale di queste singole azioni negli USa non è così elevato come qualche anno fa. In questo scenario non stupiscecomunque che il settore finanziario a Piazza Affari sia calato: chiusure negative, per esempio, di Unicredit, IntesaSanPaolo, UbiBanca eBanco Popolare. Unica in controtendenza Mps, sull'upgrade di alcuni studi di banche d'affari. Il caso Grecia al centro dell'attenzione Rimane un driver dei mercati anche la Grecia. All'inizio della scorsa settimana l'entusiasmo, sulla scia dell'accordo con l'Ue e l'Fmi, aveva preso piede. Poi, abbandonando l'analisi di breve periodo, l'ottimismo, ricorda l'ufficio studi di UniCredit, era scemato a causa della scontata domanda: il pacchetto di aiuti sarà sufficiente? Così, da un lato, si è tornato a monitorare con attenzione l'andamento del debito sovrano di Atene: domani andrà in scadenza l'emissione Ggb 3,1% 2010; non ci dovrebbero essere problemi su questo bond anche se il fatto che continui a trattare sotto la pari è l'indizio di un certo nervosismo. Dall'altro, i timori di insolvenza di Atene sono tornati elevati. I rendimenti dei titoli di stato decennali ellenici hanno raggiunto il record del 7,601% mentre lo spread sul bund è risalito al 4,5 per cento. Sotto pressione sono finti anche i Cds quinquennali (premio contro rischio di insolvenza) balzato, secondo Cma DataVision, al 4,58% dal 4,38%di venerdì. Anche se, va sempre ricordato, l'opacità dei Cds ne fanno uno strumento non così preciso nell'indicare il rischio di default di un debitore. Il calo delle piazze del Far East Al di làa della Grecia, la mattinata non era iniziata nel migliore dei modi. Seduta al ribasso per la Borsa di Tokyo: il Nikkei 225 ha ceduto l'1,7 per cento. Qui ha pesato l'effetto Goldman e il balzo dello yuan contro il dollaro che ha penalizzato i titoli delle principali società esportatrici. Unica nota positiva della giornata la fiducia dei consumatori: l'indice è salito a 40,9 punti, il valore piu' elevato dall'ottobre del 2007. In ribasso anche Hong Kong con la piazza asiatica in calo dell'1,6 per cento. Più marcata la discesa, invece, di Shangai: qui l'indice di riferimento ha ceduto oltre il 3 per cento. A pesare sono state le attese di una stretta sul fronte della politica monetaria e nell'immobiliare. Pesanti, infatti, numerosi titoli del comparto real estate.

Fiat: Montezemolo lascia la presidenza (20 aprile 2010).
Il presidente di Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, lascia il vertice del Lingotto. Al suo posto il vicepresidente John Elkann. Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha ricevuto questa mattina al Quirinale, Luca Cordero di Montezemolo. Nella visita di cortesia il presidente della Fiat ha comunicato al presidente il cambio al vertice dell'azienda di Torino. Il passaggio di consegne sancisce «la fine della fase di traghettamento. Ho concluso il mio lavoro in Fiat iniziato nel 2004» ha detto Montezemolo ai suoi più stretti collaboratori spiegando la sua decisione. Montezemolo si è detto «sereno, contento e sollevato». Secondo l'agenzia Radiocor-Il Sole 24 Ore John Elkann è destinato a prendere a maggio le redini dell'accomandita di famiglia, la Giovanni Agnelli e C., di cui Elkann è attualmente vicepresidente vicario. Il nipote di Giovanni Agnelli prende il posto di Gianluigi Gabetti, che vedrà scadere il mandato triennale. John Elkan, a 34 anni, chiude il percorso che lo porta alla presidenza della Fiat; dopo una gavetta di 14 anni in Usa, Asia e Italia; ha vissuto gli ultimi sei anni alla Fiat assistendo alla fase del possibile tracollo e a quella della rinascita, avendo come mentori personaggi del calibro di Gabetti, Momtezemolo e Marchionne. Ad annunciare l'uscita dalla sapaz lo scorso 20 aprile è stato lo stesso Gabetti, al termine delle repliche della difesa sul processo equity swap. Oggi pomeriggio, alle 16, è prevista una conferenza stampa dell'azienda torinese, che domani presenta il piano industriale. Il titolo svetta in Borsa (+9,28%) in linea col comparto in Europa (+4%) sulla scia dei conti di Daimler e delle stime per la controllata Mercedes, ma fondamentalmente sulla base del cambio del vertice. Evidentemente le tensioni tra Montezemolo e Marchionne non piacevano agli azionisti che, indirettamente, premiano Marchionne. Montezemolo resterà comunque nel Consiglio di amministrazione della Fiat e manterrà la carica di numero uno della Ferrari. «Faccio gli auguri a John Elkann di poter gestire la presidenza di Fiat prestigiosamente come ha fatto Montezemolo». Così il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, ha commentato il cambio ai vertici del Lingotto. «Credo che la decisione riguardi lo scorporo dell'auto dal gruppo. Bisognerà vedere se lo scorporo sarà solo del comparto auto o di tutto il resto. Ma è chiaro che in prospettiva la Fiat ha un problema, avendo ora due società, una con la Chrysler e una con Auto Fiat». E' il commento di Gianni Rinaldini, segretario della Fiom-Cgil, sull'addio di Montezemolo alla presidenza Fiat. «Montezemolo è il manager dei 'momenti difficilì e mi auguro che un uomo della sua esperienza e capacità abbia ancora il tempo e la voglia di contribuire alla crescita del nostro paese»: così il presidente di Federmanager, Giorgio Ambrogioni, commenta il cambio della guardia alla presidenza della Fiat, con l'uscita di Luca Cordero di Montezemolo. Con l'arrivo di John Elkann alla presidenza della Fiat dopo l'addio di Luca Cordero di Montezemolo «si rafforza la presenza della famiglia all'interno del gruppo». Lo dice il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, secondo il quale «l'autorevolezza di Elkann può mettere fine al dualismo» tra Montezemolo e l'amministratore delegato Sergio Marchionne. Luca Cordero di Montezemolo resterà nel consiglio di amministrazione del Lingotto, oltre che alla presidenza della Ferrari.

Fiat: la relazione di Marchionne (21 aprile 2010).
«Gli investitori ci chiedono da anni di scorporare l'auto. Non c'è più ragione di tenere insieme settori che hanno logiche industriali diverse». Così l'amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, ha annuciato lo scorporo dal gruppo di Iveco, Cnh, Fpt entro l'anno. «La crescita dell'autonomia e dell'efficienza - ha spiegato sono la ratio di questo spin-off. Per noi è importante». Con lo scorporo di Iveco, Cnh e Fpt nasce e verrà quotata Fiat Industries. «Fiat Industries - ha spiegato l'amministratore del gruppo, Sergio Marchionne - sarà quotata. Ad ogni azione Fiat corrisponderà un'azione Fiat Industries post de-merger». In Fiat resteranno Fiat Auto, la parte di produzione motori e ricerca e sviluppo di Fpt, i componenti e gli altri asset. Il processo di scorporo comincerà a maggio per concludersi a luglio, dopo di che passeranno tre mesi per l'approvazione da parte dei consigli di amministrazione e il tutto si concludera' negli ultimi 2 mesi di quest'anno con l'ingresso alla Borsa di Milano delle azioni Fiat Industrial. L'annuncio che Iveco sarà scorporata insieme a Cnh e parte della divisione Powertrain ha spinto il titolo Fiat in Piazza Affari. Il Lingotto ha guadagnato l'1,73% a 10,6 euro tra scambi record per oltre 120 milioni di euro, pari all'11% del capitale. Sul fronte degli sviluppi nazionali con il progetto Fabbrica Italia, inoltre, il gruppo del Lingotto prevede di raddoppiare la produzione di auto in Italia, portandola dalle 650.000 unità del 2009 a 1,4 milioni di auto nel 2014, ha detto Marchionne presentando il piano agli analisti finanziari. Il gruppo investirà in Italia 26 miliardi di euro entro il 2014, più altri quattro in ricerca e sviluppo, per un totale quindi di 30 miliardi di euro. Nel 2014 Fiat assieme a Chrysler punta a un utile netto di 5 miliardi di euro e a ricavi di 93 miliardi. «Il livello degli investimenti che si vuole destinare all'Italia - ha aggiunto Marchionne - è enorme, pari a due terzi di quelli di tutti i business del gruppo Fiat a livello mondiale». Nel complesso il gruppo sarà capace di produrre 6 milioni di vetture entro il 2014 grazie a 34 nuovi modelli (tra questi due grandi ritorni, quelli della nuova Uno e della Giulia) e il restyling di altri 17. Il core business resterà l'auto. Ci sarà una profonda integrazione di Lancia (che diventerà una linea di allestimento) con Chrysler e il debutto nel segmento delle compatte; infine, il rilancio di Alfa Romeo (con la nuova Giulia), che Marchionne ha definito «la grande sfida che ci attende», dopo i traguardi mancati del piano 2006. Discorso analogo per i mercati emergenti, dove gli obiettivi fissati quattro anni fa restano ancora lontani: ecco allora che per la Cina il target per il 2014 restano 300mila auto e una quota pari al 2% del mercato), grazie a due lanci tra il 2012 e il 2013; per la Russia l'obiettivo è fissato a 280mila unità (con un market share del 7%), per l'India a 130mila (5%). La giornata era cominciata con un lungo applauso per il nuovo presidente del gruppo Fiat, John Elkann. Apertura quasi scontata per l'Investor day Fiat, destinato a svelare i piani del gruppo di qui al 2014 – dai target industriali e di mercato allo spin off dell'auto – agli analisti di tutto il mondo, per la prima volta a Torino per ascoltare i progetti non solo di Fiat ma anche di Chrysler. In avvio Sergio Marchionne, gran cerimoniere di giornata, dopo un saluto a Luca Cordero di Montezemolo («Luca e io abbiamo lavorato insieme per creare le fondamenta di oggi»), ha regalato una standing ovation al nuovo numero uno del Lingotto, in prima fila davanti ai fratelli Lapo e Ginevra: «Abbiamo navigato insieme in acque infestate da squali – ha detto Marchionne - John e io siamo cresciuti sia come uomini sia come leader, e nonostante la sua giovane età ora ha raggiunto il giusto livello di esperienza e maturità per assumere il ruolo di presidente. La sua nomina è un'ulteriore conferma dell'impegno dell'azionista di riferimento, Exor, nei confronti di Fiat». Poi, Marchionne si è concentrato sui numeri. Anzitutto quelli relativi al primo trimestre, che vedono il Lingotto chiudere i conti vicino alla linea di galleggiamento, con una perdita netta limitata a 21 milioni (contro i 411 del 2009); i ricavi, pari a 12,9 miliardi di euro, registrano una crescita del 14,7% rispetto al primo trimestre 2009, con Fiat Group Automobiles che compensa gli altri settori e mette a segno un incremento del 22,1%. L'indebitamento netto industriale cresce di 300 milioni, ma il dato più interessante si conferma quello della liquidità ancora forte a 11,2 miliardi di euro (12,4 miliardi di euro a fine 2009), nonostante il rimborso di un prestito obbligazionario per un miliardo di euro. Una performance in buona parte sostenuta dagli (ultimi) benefici derivanti dagli incentivi auto, ormai scaduti: per questo, relativamente all'Italia, Marchionne prevede che il mercato domestico possa calare del 30%. Dati che tuttavia non impediscono al Lingotto di confermare gli obiettivi per fine anno: 50 miliardi di ricavi, utile di gestione compreso tra 1,1 e 1,2 miliardi, risultato netto vicino al break even. Sul fronte dei conti le notizie migliori sono arrivate, per la prima volta, da oltreoceano. Con Chrysler che ha chiuso il primo trimestre con un utile operativo di 143 milioni e una quota di mercato che negli Stati Uniti è cresciuta dall'8,1 al 9,1 per cento. «Chrysler, che per noi è un partner perfetto, è tornata a fare utili vendendo automobili», ha rimarcato Marchionne, che ha ricordato come in cassa ci sia una liquidità di 9,8 miliardi. La partnership con Chrysler «è un passo fondamentale per il futuro della Fiat, perché ci permette di raggiungere un'adeguata massa critica per ottenere grandi economie di scala, di aumentare i volumi associati alle singole piattaforme, di sfruttare ogni possibile sinergia e di estendere la nostra presenza geografica», ha proseguito. Marchionne ha illustrato anche i risultati di Chrysler che ha chiuso il primo trimestre del 2010 con un utile operativo di 143 milioni di dollari, contro una perdita di 297 milioni nel quarto trimestre 2009. I ricavi sono passati da 9,434 a 9,687 miliardi di dollari, le perdite sono scese da 2,691 miliardi a 197 milioni.

Confindustria: si consolida la ripresa (22 aprile 2010).
In Italia si consolida la ripresa: per il 1° trimestre 2010 viene stimata una crescita della produzione industriale dell'1,7%. A dirlo è il Centro studi di Confindustria. Il quale, però, sottolinea subito che nel «confronto internazionale restiamo indietro. In gennaio, il recupero di produzione dai minimi era del 6,8%, poco inferiore a quello della economie avanzate (+7,2%). Che però sono meno lontane dal massimo pre-crisi (-12,9%, -22,1 l'Italia)». Tra i settori, Confindustria, sottolinea che l'intensità del recupero è «proporzionale alla profondità della caduta. È più forte per le autovetture (+28,5% a febbraio dal minimo, anche grazie agli incentivi), metallurgia (+27,5%) e tessile (+22,9%)». Sul fronte della ripartizione geografica, a inizio 2010 «il Sud non pare agganciare la ripresa. Peggiora in modo marcato l'idice di clima economico Isae, che invece è in recupero al Centro-Nord. Il deterioramento nel Mezzogiorno è causato dal calo di fiducia tra imprese di servizi e tra consumatori. Più omogenea sul territorio la fiducia nel manifatturiero, migliorata grazie a ordini e attese di produzione». La stretta creditizia alle imprese, invece, colpisce di più il Centro-Nord: i prestiti al Nord calano del 3,5% annuo a gennaio, del 3,2% al centro (-2,7% la media nazionale), mentre restano in crescita nel mezzogiorno. Inoltre, la risalita dei prestiti alle famiglie è più forte al Sud (+9,2%), sebbene significativa anche al cenro Nord (+7%). Sul fronte dell'occupazione, tra dicembre 2008 e febbraio 2009, il numero di occupati in Italia è calato di 406mila unità (-1,7%, dati destagionalizzati). Avendo la crisi colpito soprattutto i settori dell'industra, le perdite occupazionali sono state più accentuate tra gli uomini (-2,2%) che tra le donne ( -1,1%). Il tasso di disoccupazione a febbraio si è mantenuto sul livello di gennaio (8,5%). Ma è cresciuto di 0,8 punti percentuali per la fascia di età (15-24 ), raggiungendo il 28,2%. Si conferma quindi - fenomeno non circostritto all'Italia -un deterioramento delle opportunità di lavoro particolarmente marcato per i giovani. A livello globale, il Centro studi Confindustria sottolinea che «la ripresa globale accelera. Grazie alla sua diffusione, attraverso il commercio internazionale, dai paesi più dinamici (emergenti e Usa) a quelli ritardatari».

L'Odissea grca (23 aprile 2010).
Il premier greco George Papandreou in un discorso televisivo ha chiesto l'attivazione del piano di aiuti Ue-Fmi. «Il paese è in una nuova Odissea», ha detto il premier facendo capire di non avere ormai altra scelta che quella di chiedere l'aiuto dei partner europei e del Fmi per un totale di 45 miliardi di euro. Probabilmente il piano sarà anticipato da un prestito ponte, una tresury facility, una anticipazione di cassa della Bce o dell'Fmi che avranno come garanzia i prestiti bilaterali dei 15 paesi euroepei dell'eurozona che ora devono essere approvati dai rispettivi parlamenti. La somma serve a fronteggiare la scedenza immdiata del 19 maggio e dovrebbe amontare a 11,3 miliardi di euro come anticipazione d'emergenza. Succesivamente non è comunque ancora esclusa una ristrutturazione del debito ordinata e volontaria e gestita dalle banche. Immediata la reazione sul mercato del debito pubblico di Atene. Rispetto alla mattina, il rendimento dei titoli di stato decennali ellenici è sceso dall'8,85% all'8,40%. Ancor più decisa la correzione sui rendimenti dei titoli di stato biennali in calo dall'11% al 9,38%. Per ora la curva dei rendimenti pur migliorando resta comunque invertita, tassi a breve termine maggiori dei tassi a lungo termine, un segno che i timori di un "default" di Atene non sono ancora rientrati. Ma certo, al momento, la tensione sui tassi è minore di ieri. L'attivazione dei prestiti consentirà alla Grecia di finanziarsi a tassi più bassi di quelli di mercato. Per i prestiti bilaterali dai paesi dell'Eurozona è di circa il 5%. Ancor più contenuto dovrebbe essere il tasso richiesto dal Fondo. Ieri sulla Grecia si sono nuovamente esacerbate le tensioni di mercato, dopo che Eurostat ha rivisto in peggio i dati sul deficit di bilancio del 2009 mentre l'agenzia Moody's ha abbassato di un gradino il rating che assegna ai suoi titoli di Stato. Balzo in avanti dell'euro a 1,3335 dollari dopo essere sceso fin sotto 1,3250, ai minimi da circa un anno. A sostenere l'euro anche i dati positivi sulla fiducia delle imprese in Germania.

G 20: la ricetta di Draghi (26 aprile 2010).
Il G-20 (23 aprile 2010) appoggia tutte le ricette indicate dal Financial stability board diretto da Mario Draghi, che per prevenire le crisi finanziarie future privilegia la riforma delle regole di Basilea 2 e il rafforzamento del patrimonio delle banche e lascia per ora in secondo piano, di fatto congelandola, la decisione sulle tasse da applicare al sistema creditizio internazionale. Nella discussione del G20 è emerso chiaramente che non c'è una visione univoca sul tema dei contributi da chiedere alle banche da parte dei paesi maggiormente industrializzati. Nel comunicato finale del G-20 si sottolinea che la ripresa internazionale sta procedendo meglio del previsto ma che questa crescita è a più velocità all'interno e tra le varie zone del mondo e che la disoccupazione resta elevata in molte economie. Per circostanze diverse occorrono soluzioni diverse, dicono i paesi industriali e quelli emergenti: nelle economie nelle quali l'intervento di spesa pubblica è ancora necessario e non confligge con l'esigenza di tenere i conti in ordine esso deve essere mantenuto; in altri paesi si sta già mettendo in atto una exit strategy. Per tutti, la priorità è «mettere in atto strategie d'uscita dalla crisi credibili, calibrate sulle esigenze dei singoli paesi e sugli spill over che ne derivano agli altri». Tornando ai costi delle riforme, se Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania privilegiano lo strumento delle imposte perché sono i paesi che hanno versato più fondi pubblici nei momenti caldi della crisi finanziaria, i paesi che non hanno dovuto sborsare soldi per i salvataggi bancari, non ritengono che le tasse siano lo strumento ottimale. Al centro della discussione è stata la lettera che Draghi ha indirizzato ai ministri del G-20 nella quale si ricorda che in cima all'agenda c'è «la necessità di completare la revisione dei requisiti patrimoniali minimi e degli standard di liquidità di Basilea, compresa l'introduzione di un rapporto di leva finanziaria e quella di misure come gli accantonamenti prospettici e le riserva anticicliche in grado di affrontare il problema della prociclicità che si è presentato durante la crisi». Una lettera che si apre con toni più ottimistici rispetto al passato: «Si dovrà certamente far fronte ancora a degli aggiustamenti in futuro, ma, nell'insieme, il sistema finanziario è in via di guarigione». In generale, Draghi sottolinea che «si stanno facendo buoni progressi nel campo della riforma regolamentare» e «l'azione politica internazionale sta procedendo nell'ambito delle scadenze stabilite». E tuttavia «il 2010 e il 2011 saranno anni critici per i punti più importanti della riforma globale e serviranno in gran parte a verificare il raggiungimento degli obiettivi di riforma e il rispetto delle scadenze concordati dai leaders del G-20». Sette i campi di intervento individuati: il primo è la revisione dei requisiti di capitale e di liquidità, il secondo è il set di misure per ridurre l'azzardo morale associato agli istituti finanziari a rilevanza sistemica (i "troppo grandi per fallire") per i quali è al vaglio un ampio spettro di strumenti possibili perché non esiste una soluzione unica al problema, il terzo punto riguarda l'interazione tra interventi sul capitale e la tassazione sul sistema finanziario, il quarto la regolamentazione del mercato Otc e l' infrastruttura del mercato; il quinto "precetto" è la necessità di far ripartire il mercato delle cartolarizzazioni, il sesto chiede progressi sulla riforma del sistema di remunerazione, il settimo riguarda il rafforzamento degli standard contabili. A proposito dell'impatto delle varie riforme, Draghi osserva che «sarà importante considerare quanto gli eventuali supplementi di capitale o liquidità da un lato, e i prelievi fiscali e le tasse sul sistema finanziario dall'altro, possano interagire tra loro, senza dimenticare che queste misure non dovrebbero essere considerate alternative». I ministri finanziari e i governatori delle banche centrali del G-20 si sono dati appuntamento in Corea del Sud il 4 e 5 giugno a Busan per preparare il summit dei leader in Canada di giugno.

Il Financial Times e la crisi greca (27 aprile 2010).
Questa è la settimana più importante negli undici anni di storia dell'unione monetaria europea. Quando sarà finita, sapremo se la crisi di bilancio della Grecia potrà essere contenuta o se diventerà una metastasi. Per la fine della settimana, il Fondo monetario internazionale e il governo greco dovrebbero essere giunti a un accordo. Tre sono gli aspetti fondamentali: il primo, e il più importante, è che la Grecia dovrà presentare un programma di transizione che spieghi come farà per trasformare un forte disavanzo primario in un'eccedenza altrettanto marcata senza provocare una recessione dell'economia. Quello che si è sentito finora dagli economisti greci è profondamente sconfortante: gran parte delle idee sono trucchi contabili vecchio stampo, come cercare di aggiungere al dato ufficiale del prodotto interno lordo le stime sul peso dell'economia sommersa. Quello che servirebbe è un programma triennale che dichiari in modo dettagliato tagli alla spesa e riforme strutturali. Il secondo è che il pacchetto di aiuti complessivo dovrebbe essere molto più consistente dei 45 miliardi di euro stanziati finora (di cui 30 miliardi dall'Unione Europea e il resto dall'Fmi). Il contributo della Ue vale solo per un anno e mi sembra molto improbabile che Bruxelles possa rimpolparlo, ora o l'anno prossimo. Axel Weber, il presidente della Bundesbank, ha stimato che la Grecia necessiterà di circa 80 miliardi di euro per tutto il periodo dell'aggiustamento. È una stima più o meno corretta. Quello che serve sentire è un impegno credibile e inattaccabile che vada oltre i 45 miliardi di euro. La Grecia avrà bisogno di copertura per almeno due anni, durante i quali dovranno essere prese, e in massima parte applicate, tutte le decisioni sui provvedimenti necessari per realizzare l'aggiustamento. Il terzo aspetto da tenere sott'occhio è la situazione in Germania. Il governo di Berlino in un primo momento ha cercato di aggiungere il prestito alla Grecia a una legge esistente, ma c'è stata una levata di scudi e adesso il provvedimento dovrà passare per il tradizionale iter legislativo. Alcuni parlamentari della coalizione di Angela Merkel, tra cui il capogruppo della Csu, la formazione bavarese strettamente legata ai democristiani della cancelliera, hanno già ventilato l'ipotesi di un voto contrario: secondo questi esponenti politici, la soluzione migliore sarebbe che la Grecia lasciasse l'euro per rientrare in un secondo momento. La stessa tesi è sostenuta da fette importanti dell'establishment politico ed economico nazionale. Siamo di fronte a un concentrato di ipocrisia giuridica. Fingono di preoccuparsi del rigoroso rispetto della clausola antisalvataggi del trattato di Maastricht, ma non crea loro nessun disturbo proporre, chiedendo l'uscita della Grecia dall'euro, una violazione del diritto europeo. Secondo le leggi esistenti, la Grecia non può essere cacciata da Eurolandia. Anzi, non può nemmeno andarsene di sua volontà, senza lasciare contemporaneamente anche la Ue. E in ogni caso per la Grecia è più saggio andare in default stando dentro l'eurozona che stando fuori. E allora che cosa succederebbe se il Bundestag dovesse bloccare gli aiuti? Semplicemente, la Grecia andrebbe in default, mettendo a rischio molte banche tedesche e francesi che detengono quote importanti del debito pubblico e privato del paese ellenico. Dei tre punti da tenere d'occhio, alla fine di questa settimana sapremo qualcosa di certo sul primo e sul secondo. Quando al terzo, la discussione si trascinerà. La cancelliera tedesca è decisa a posticipare il voto a dopo il 9 maggio, data in cui va al voto, in Germania, il Land del Nord Reno-Westfalia. Fino a questo momento il processo decisionale europeo è stato una delle cause principali della crisi. Se continueremo a sentire proposte e dichiarazioni al di sotto delle nostre aspettative più basse, la Grecia andrà dritta verso il default e la crisi si estenderà al Portogallo e anche oltre. Così come le famiglie infelici sono infelici ognuna a modo suo, il Portogallo è diverso dalla Grecia, ma i suoi problemi sono altrettanto gravi. Il problema, nel caso del Portogallo, non è il settore pubblico. Il debito pubblico lordo del Portogallo, secondo le previsioni Ue, alla fine di quest'anno dovrebbe attestarsi sull'85% circa del prodotto interno lordo: è tanto, ma non tantissimo. Secondo i nostri calcoli, fatti sulla base di dati della Banca mondiale, il debito estero del paese lusitano, contando sia il settore privato che quello pubblico, è a livelli sbalorditivi, il 233% del Pil (74% per il settore pubblico e 159% per il settore privato). La situazione degli investimenti esteri è intorno al meno 100% del Pil. Il disavanzo delle partite correnti secondo le previsioni rimarrà appena al di sotto del 10% del Pil. Siamo di fronte a una crisi acuta del settore privato. E come la Grecia e la Spagna, il Portogallo, durante il primo decennio di moneta unica, ha perso competitività rispetto alla media della zona euro nell'ordine di circa il 15-25 per cento. Quello a cui stiamo assistendo è l'equivalente europeo della crisi americana dei mutui subprime. Se da Atene entro venerdì non arriveranno improbabili buone notizie, presto esploderà. Giova sottolineare che la maggior parte del debito greco è stato sottoscritto da banche tedesche e francesi (in parte olandesi) pertanto i due paesi si trovano in un circolo perverso: se lasciano andare in default la Grecia perdono almeno la metà dei crediti, se la salvano aumentano i loro crediti verso un paese che, probabilmente, non sarà mai in grado di rimborsarli totalmente.

Standard and Poor's : bond greci a livello di spazzatura (28 aprile 2010).
Giornata di passione per la Grecia sui mercati finanziari. Prima il ministro delle Finanze greco George Papaconstantinou ha annunciato che il paese non riesce più a collocare i titoli del debito pubblico e, dunque, non potrà fare a meno degli aiuti di Fmi e Ue. La borsa di Atene ha reagito con uno scivolone e ha perso fino al 7%. Ne ha risentito anche la moneta unica: l'euro è sceso al limite della soglia degli 1,32 dollari. Ma non è finita. Pochi minuti dopo la chiusura dei listini azionari europei, un'altra doccia fredda: l'agenzia di rating Standard and Poor's ha tagliato a livello junk il merito di credito di Atene, titoli spazzatura, che rischiano di diventare inutili anche come 'merce di scambio' con la Bce per ottenere liquidità. Perché ciò avvenga, comunque, anche le altre agenzie di rating dovrebbero ridurre il voto sul debito sovrano di Atene. Il differenziale di rendimento rispetto al Bund decennale tedesco si è ampliato, raggiungendo i 682 punti base. E i tassi sui titoli a 10 anni di Atene hanno continuato a salire ancora, insieme al differenziale nei confronti dei titoli tedeschi. Alla chiusura del mercato obbligazionario alle 18 e 30, i tassi lunghi greci hanno toccato il 9,73%. SandP's ritiene che, in caso di ristrutturazione del debito, la percentuale di recupero per chi detiene i bond greci sia compresa tra il 30 e il 50 per cento. Nel tentativo di dare un segnale positivo ai mercati, da Bruxelles è giunta la notizia che la presidenza spagnola della Ue sta contattando le capitali per convocare un vertice straordinario dei paesi dell'eurozona il 10 maggio, il giorno dopo le elezioni regionali in Nord Reno -Vestfalia, una delle principali ragioni per cui la Germania sta mostrando una assai pericolosa intransigenza nella concessione degli aiuti alla Grecia. D'altra parte la popolazione tedesca è contraria alla concessione di crediti alla Grecia, perchè ritiene che in quel paese non vogliano sobbarcarsi sacrifici; per le elezioni in Nord Reno - Vestfalia si prevede che la Merkel possa perdere e, in tal caso, sarebbe difficile per la Germania aprire i cordoni della borsa. Sul piano di soccorso per la Grecia l'Unione Europea parla con voci diverse, non c'è chiarezza e questa situazione «non ci sta aiutando» ha detto il ministro delle finanze di Atene, George Papaconstantinou, parlando ai deputati socialisti in vista della scadenza "cruciale" del 19 maggio quando dovranno essere ripagati 9 miliardi di euro di debito pubblico. «Vista l'impossibilità per noi di accedere ai mercati finanziari - queste le parole del ministro greco - entro il 19 maggio la procedura dovrà essere completata, approvata, firmata e dovranno essere erogati i fondi dal FMI e dall'Ue». Papaconstantinou ha sottolineato che la Grecia è «sotto pressione» da parte dei mercati finanziari che «stanno scommettendo contro di noi» visto che i costi per l'approvvigionamento di fondi per il governo sono andati alle stelle negli ultimi giorni. In serata ha aggiunto con un comunicato del ministero delle Finanze che il taglio del rating «non corrisponde ai dati reali dell'economia greca». «La situazione politica in Europa non ci sta aiutando - ha detto ancora il ministro - visto che ci sono spesso voci contrastanti e c'è poca chiarezza». Mentre ad Atene Papaconstantinou di fatto si arrendeva ai mercati finanziari, l'agenzia di rating SandP's ha annunciato il taglio del rating portoghese, con outlook negativo. Rendimenti al rialzo, con conseguente calo di prezzo, anche per i bond lusitani, al 5,501% a fronte del precedente 5,197%. Secondo il Financial Times il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) starebbe valutando la possibilità di aumentare di 10 miliardi di euro il proprio aiuto finanziario alla Grecia sulla scia dei timori che i previsti 45 miliardi di euro di risorse non saranno sufficienti a prevenire che la crisi del debito di Atene esca fuori controllo. Gli sperperi della Grecia. Fra le tante cause che hanno contribuito al dissesto finanziario della Grecia ci sono moltissimi e paradossali sperperi che dovrebbero essere eliminati con le riforme annunciate dal premier George Papandreou nel quadro del piano per il risanamento dell'economia nazionale. Tra gli sprechi, come ha accertato una recente indagine condotta degli enti previdenziali, il più eclatante è che circa 60.000 pensionati ormai deceduti percepiscono ancora la pensione. A parte i casi di frode, in cui i familiari del morto non avvertono di proposito l'ente previdenziale del decesso del congiunto, ci sono casi in cui continuare a prendere la pensione del caro estinto è legale come avviene alle figlie nubili o divorziate di un ex-dipendente statale. Anche in Grecia è diffuso il fenomeno delle pensioni fasulle, soprattutto per quanto riguarda quelle di invalidità che quelle del settore dell'agricoltura: il ministero del Lavoro ha calcolato che a tutt'oggi vengono corrisposte 320.000 pensioni di questo genere (pari al 14% di tutte le pensioni pagate nel paese) che dovranno essere ridotte almeno a 160.000. Con una evidente ricaduta anche sull'evasione fiscale, è stato inoltre accertato che il 43% dei pensionati greci svolge un'attività lavorativa sul cui compenso non paga le tasse. Tra i tanti sperperi, inoltre, il più assurdo è forse l'indennità che alcuni ministeri e dipartimenti statali pagano ai dipendenti per premiarli del fatto di arrivare in orario in ufficio. Esistono almeno altre 20 indennità analoghe, come quella che prevede un «bonus» - anch'esso inserito nello stipendio mensile - ai dipendenti della Guardia Forestale per incoraggiarli a lavorare fuori dall'ufficio, come è logico che facciano le guardie forestali. Ci sono poi anche molti dipendenti pubblici - i cosiddetti «impiegati fantasma» - che non si presentano mai in ufficio, fanno un secondo lavoro per lo più in nero e, naturalmente, alla fine del mese prendono lo stipendio dello Stato. Tra i vari privilegi dello statale, inoltre, c'è quello di non poter essere licenziato e di potersene andare volontariamente in pensione dopo soli 25 anni di servizio, in genere prima di raggiungere i 50 anni di età. Un'altra attività redditizia e poco impegnativa, ma che pesa non poco sulle casse dell'erario, è quella di far parte di una commissione statale. Il governo greco non ha nemmeno idea di quante esse siano ma si calcola che diano lavoro a circa 10.000 persone con un costo di quasi 230 milioni di euro all'anno. Fra queste commissioni ce n'è una incaricata della gestione delle acque di un lago che fu prosciugato 80 anni fa. Non c'è da meravigliarsi se negli altri paesi dell'eurozona, in particolare in Germania, la gente veda negativamente qualsiasi aiuto dato alla Grecia.

Il debito dei paesi PIIGS (28 aprile 2010).
La Germania e la Francia non hanno alcuna convenienza a restare alla finestra mentre la crisi finanziaria rischia di mandare in default la Grecia. Il sistema bancario tedesco infatti è esposto direttamente al debito dei PIIGS (l'acronimo che indica Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna, i paesi a maggior rischio dell'eurozona) per una percentuale stimata tra il 20 e il 23% del Pil tedesco (che è stato pari a 2.496 miliardi di euro nel 2008), dunque tra i 500 e i 575 miliardi di euro circa, mentre quello francese è esposto addirittura per il 27 - 30% del Pil (1.950 miliardi di euro), quindi per 530-590 miliardi di euro. Le stime emergono da un report del desk newyorkese di analisi dei mercati obbligazionari di Deutsche Bank. Il rapporto, intitolato "Il rischio di credito sovrano in Europa: una nuova fase della crisi finanziaria globale 2007-2010" è stato pubblicato a febbraio e alcune delle sue osservazioni (ad esempio quelle sul servizio del debito pubblico della Grecia) sono ormai datate, a causa dell'andamento dei mercati che hanno allargato a dismisura gli spread sugli interessi pagati dal debito pubblico greco. Altre, però, restano molto attuali. E allarmanti. I timori sono accentuati dal rischio di contagio in caso di default di un paese membro dell'eurozona, rischio che secondo gli autori del rapporto è molto elevato anche a causa dell'esposizione incrociata tra gli stessi PIIGS. I legami finanziari tra i cinque paesi più esposti sono eccezionalmente alti: in Portogallo "valgono" il 24% del Pil (40 miliardi di euro circa), in Irlanda il 34% (oltre 60 miliardi di euro). Solo l'Italia fa eccezione con "appena" il 3% del Pil, che nel 2008 era stato di 1.572 miliardi di euro, dunque 47 miliardi di euro, collegato agli altri quattro PIIGS. La Grecia il malato d'Europa, se è pur vero che si tratta di un paese minuscolo, che incide per il 2,7% sul Pil dell'eurozona, è anche vero che il suo debito pubblico "pesa" per il 4% del totale dell'area euro. Atene, ricordano gli autori dello studio di Deutsche Bank, Tom Joyce e Stefan Auer, ha un serio problema di credibilità sui dati pubblici. Il deficit fiscale del governo di George Papandreou è il dilemma: è il più alto in Europa (rivisto al 13,6% nei giorni scorsi da Eurostat, contro il 12,7% stimato in precedenza) e si associa a un elevato deficit delle partite correnti (11,9%). Da febbre alta anche il rapporto debito/Pil che la Ue stima al 115,1%, tra i più alti dell'eurozona. Al contrario, le banche greche non sembrano soffrire di problemi di patrimonializzazione, grazie a una solida base di depositi e a una dipendenza ridotta dal mercato della liquidità della Banca centrale europea. Il fatto è che i 240 miliardi di euro di debito pubblico sono molto esposti nel breve termine (nel solo 2010 ne scadranno una cinquantina, di cui 8,5 il 19 maggio). Il costo del debito, con gli spread ai massimi storici, è ormai insostenibile. Ma sbaglierebbe chi nell'eurozona restasse alla finestra. Le banche europee, secondo gli analisti di DB, rappresentano infatti un canale di contagio "significativo" attraverso il quale un eventuale default di Atene potrebbe scatenare un effetto domino devastante prima all'interno dei PIIGS e poi nel resto dell'eurozona. La ridotta capacità del sistema immunitario delle banche europee è dovuta agli effetti debilitanti già subiti con la crisi finanziaria, che ne ha appesantito gli stati patrimoniali per l'aumento dei crediti a rischio e ne ha ridotto gli utili di conto economico aumentando i costi di funding e del capitale in generale. A nessuno quindi converrebbe un peccato di omissione nei confronti di Atene. La Banca centrale europea lo sa, lo sanno anche gli analisti finanziari e lo sanno pure gli speculatori che stanno scommettendo sul piano di salvataggio. Qualcuno, come il ministro delle Finanze Giulio Tremonti lo ha ricordato ai colleghi di Berlino e di Parigi. Il problema è spiegarlo ai contribuenti. Ma la comunicazione dovrà essere fatta e in fretta. E questo è il dilemma di Angela Merkel: la scadenza del 19 maggio per la prossima asta di titoli di stato greci è sempre più vicina, ma prima ci sono le elezioni in Nord Reno - Vestfalia e il cancelliere non vuole perderle.

L'appello di Trichet alla Germania. Declassata la Spagna (29 aprile 2010).
Pressioni di Ue e Bce su Berlino per gli aiuti alla Grecia: il presidente della Commissione Ue, Jose Manuel Barroso, assicura che l'Unione europea e la Banca centrale europea sono «determinate a garantire la stabilità» dell'Eurozona e quindi gli aiuti alla Grecia arriveranno. Il governatore della Bce, Jean-Claude Trichet, invita la Germania a «decidere in fretta». Trichet è volato a Berlino insieme al direttore generale dell'Fmi Dominique Strauss-Kahn. «Sono pienamente fiducioso che avremo una buona conclusione e che tutte le decisioni saranno prese», ha aggiunto Trichet, secondo il quale «i negoziati ad Atene saranno conclusi in pochi giorni. E quel negoziato è la chiave di tutto». «Ogni giorno perso è un giorno in cui la situazione peggiora e peggiora» ha detto invece Strauss-Khan per il quale «è in gioco la fiducia nell'eurozona». Il Fondo monetario internazionale potrebbe erogare ad Atene contributi supplementari per 10 miliardi di euro, sotto forma di un prestito triennale, nel timore che il pacchetto da 45 miliardi già deliberato non riesca a riportare sotto controllo la situazione del debito pubblico di Atene . Lo scrive il 'Financial Times' riportando fonti ufficiali e bancarie di Washington e Atene. Il contributo supplementare andrebbe ad aggiungersi ai 15 miliardi di euro che il Fondo si è già impegnato ad erogare. Ad aggravare il clima di incertezza nei Paesi dell'euro, arriva però la notizia che Standard and Poor's ha tagliato il merito di credito della Spagna portandolo ad AA dal precedente AA+. Lo comunica in una nota l'agenzia di rating. Le prospettive sul rating spagnolo - aggiunge SanP's- sono «negative». Il 27 aprile era già stato declassato il Portogallo. Si rinforza insomma la paura di contagio. Le attenzioni, al momento, sono però concentrate soprattutto sulla crisi greca. Anche il presidente americano, Barack Obama, sta monitorando la situazione, dopo aver espresso «forte preoccupazione». Nel frattempo la Fed, la Banca Centrale americana, ha lasciato invariati i tassi tra 0 e 0,25% aggiungendo di voler mantenere i tassi a bassi livelli «per un periodo esteso». Per il presidente dell'Fmi, che ha parlato in una conferenza stampa a Berlino, dopo un vertice con il cancelliere tedesco Angela Merkel, la crisi greca «non sfocerà in una nuova recessione». La Merkel, dal suo canto, ha detto che «non si può consentire che con la Grecia si arrivi a una nuova crisi come quella innescata dal fallimento della banca americana Lehman Brothers» e che l'esperienza dimostra che occorrono «soluzioni di lungo termine e che ora si sta percorrendo la strada giusta». Sul fronte politico l'ostacolo più grosso a un rapido intervento di ristrutturazione del debito greco - attraverso prestiti a tassi più bassi di quelli di mercato da parte dei paesi della zona euro e dell'Fmi - rimane la posizione della Germania, contraria a finanziare Atene senza ulteriori, pesanti impegni sul fronte della spesa pubblica oltre al pacchetto di misure già votato dal Parlamento greco. Misure però che, secondo molti analisti, rischiano di deprimere ulteriormente la già fragile economia ellenica. La Germania si trova del resto ad affrontare le elezioni e ha un'opinione pubblica in larga parte contraria a finanziare il debito greco. Così una riunione dell'Eurozona è stata fissata solo per il 10 maggio, il giorno dopo le elezioni tedesche. Ma occorre far presto, visto che il 19 maggio vanno a scadenza titoli greci per 9 miliardi di euro. Berlino però, dopo il colloquio con Trichet e Strauss-Khan, sembra pronta a dare una mano. Se i negoziati con Atene avranno successo, il governo tedesco è pronto ad adottare un disegno di legge per autorizzare la partecipazione della Germania al piano di aiuti. Lo ha detto a Berlino il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble. Il governo tedesco chiederà al parlamento l'approvazione di aiuti alla Grecia fino a 8,4 miliardi nel 2010 e per un ulteriore ammontare non specificato nel 2011 e nel 2012. I dettagli del progetto di legge, compresi gli importi, saranno definiti il 2 maggio quando la Grecia dovrebbe terminare i negoziati col Fmi e la Commissione Europea sul piano triennale di riduzione dell'indebitamento. La crisi greca continua però ad aggravarsi. Per la prima volta da quando esiste l'euro il rendimento dei tassi dei titoli di Stato di un paese dell'Eurozona ha superato l'11%. Si tratta dei titoli di stato greci a 10 anni che, tra l'altro, hanno fatto registrare un differenziale rispetto ai titoli di stato tedeschi fino a 847 punti base, livello massimo dal 1996. Nel frattempo il rendimento del biennale ellenico è schizzato al 24,2% (15% nella vigilia), segnando un differenziale rispetto al titolo tedesco di 2.340 punti base (con un incremento di oltre 1.400 punti base rispetto alla chiusura). Il Cds (la sigla sta per credit default swap ed è un accordo tra un acquirente ed un venditore per mezzo del quale il compratore paga un premio periodico a fronte di un pagamento da parte del venditore in occasione di un evento relativo ad un credito, come ad esempio il fallimento del debitore, cui il contratto è riferito) sui cinque anni della Grecia si è allargato a 865,4 punti base sempre rispetto all'equivalente tedesco. Un valore che, spiegano gli esperti, riconosce ormai al 50,3% la probabilità di un fallimento della Grecia. Per contrastare possibili speculazioni la Consob greca ha vietato per due mesi le vendite allo scoperto alla Borsa di Atene. La decisione fa seguito al declassamento deciso martedì dall'agenzia di rating San'sP che ha tagliato il rating della Grecia a «junk» (spazzatura). La vendita allo scoperto è un'operazione finanziaria che consiste nella vendita, effettuata nei confronti di uno o più soggetti, di titoli non direttamente posseduti dal venditore. Il premier Giorgio Papandreou ha quindi invitato l'Europa ad assumersi «le sue responsabilità» per evitare che «l'incendio si propaghi». Parlando al consiglio dei ministri il premier ha assicurato che per quanto la riguarda, la Grecia «si è assunta la sua parte di responsabilità storica per sè e per l'Europa». Intanto da Tokyo parla il presidente della Commissione Ue Barroso secondo il quale gli Stati dell'Ue, la Commissione europea e la Bce sono «determinati a garantire la stabilità della zona euro». «Al momento non vediamo rischi di contagio»: ha detto invece il portavoce del commissario Ue agli Affari Economici e Monetari, Olli Rehn, a proposito delle preoccupazione che la crisi greca possa diffondersi all'interno di Eurolandia. «Non si può assolutamente paragonare - ha sottolineato il portavoce - la situazione della Grecia con quella di altri Paesi della zona Euro». In particolare, il portavoce ha evidenziato la differenza tra la situazione greca e quella del Portogallo, spiegando come Lisbona abbia presentato un programma di risanamento dei conti «concreto, ambizioso e realizzabile» dicendosi anche disposto a valutare il varo eventuale di nuove misure correttive. «Nessun ritardo o rinvio. Anzi, al contrario, stiamo accelerando»: aveva detto in precedenza Rehn, a proposito dei tempi per attivare il piano di aiuti in favore della Grecia. «Il lavoro va avanti - aveva spiegato il portavoce - e dall'ultimo venerdì la sequenza che ci porterà all'attivazione del meccanismo di aiuti ha subito un'accelerazione. Non c'è nessuno che sta aspettando niente, e il lavoro sarà finalizzato nei prossimi giorni». Oggi possiamo affermare che aveva ragione Otmar Issing, ex capo economista della Bundesbank e della Banca centrale europea, quando sul Sole 24 Ore dell’11 febbraio disse: “La verità è che aiutando la Grecia l'Europa entrerebbe in negoziato permanente e difficile con Atene sul futuro della sua politica economica, rendendo l'idea di Europa sempre più impopolare, specie in quegli stati membri che saranno costretti ad aumentare le tasse per pagare gli aiuti”. In sostanza: la Grecia andava fatta andare in default subito. Così la speculazione non avrebbe potuto scommettere sulla debolezza di una politica incapace di imporre riforme a Bruxelles come a Berlino come ad Atene. I mercati avrebbero subito tensioni per meno tempo e avrebbero apprezzato il rapido decisionismo di leadership consapevoli dei propri limiti legati alla ricerca del consenso.

L'Europa salva la Grecia (3 maggio 2010).

Sono stati approvati i fondi a sostegno dell’economia della Grecia. Lo hanno deciso il 2 maggio 2010 i 16 ministri dell’Eurozona in una riunione straordinaria presieduta dal presidente della Bce Jean-Claude Junker. Adesso tocca ai singoli paesi validare la proposta. L’Italia ha già, in modo informale, confermato il suo supporto alla Grecia per 5,5 miliardi di euro. Una misura senza precedenti al mondo che cerca di evitare la bancarotta così come è successo in Argentina qualche anno fa. Una misura “eccezionale” quanto unica che non sarà replicata in altri paesi europei in difficoltà. Durante la riunione dei Ministri dell’Economia sono stati confermati 110 miliardi di euro da erogare in tre anni, 45 dei quali arriveranno nel 2010 e 30 ottenuti con il sostegno del Fondo Monetario Internazionale. La prima tranche già nei prossimi giorni e ammonterà ad almeno 9 miliardi, somma necessaria per coprire il debito pubblico che scade il 19 maggio. Il prossimo 7 maggio ci sarà una nuova riunione dei ministri dell’Eurozona per fare il “punto della situazione”. Il piano varato dal governo greco è credibile e il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, a tal proposito ha confermato che il salvataggio della Grecia deve essere visto come “la nostra missione: quanto meglio adempiremo a questo compito, tanto meglio sarà per l’Europa e per i contribuenti tedeschi”. La nazione tedesca, sarà la maggiore contribuente del piano con 8,4 miliardi di euro, seguita dalla Francia con 6,3 miliardi e dall’Italia.Ai cittadini della Grecia, però, toccherà il compito più difficile, vale a dire quello di resistere alla possibile recessione, e “andare avanti” con una durissima politica economica che prevede un calo del Pil di almeno il 4%. Il paese non ha la minima intenzione di vivere di assistenzialismo o di accettare i fondi come un “regalo” dei vicini e il ministro delle Finanze greco, George Papacostantinou garantisce che sarà restituito fino all’ultimo euro. Per spiegare meglio la situazione il Presidente greco ha già inviato televisivamente un messaggio alla nazione in cui preannuncia la “dura austerità” che li attende; bisogna prendersi le proprie responsabilità e, tra le misure da adottare, è stato previsto il congelamento di stipendi e pensioni per i prossimi 3 anni, l’annullamento di indennità, tredicesime e quattoridicesime per i dipendenti pubblici, un’impennata dell’IVA che oscillerà dal 2 al 23%, aumento su carburanti, sigarette e alcolici, beni di lusso e lotterie. Una “stretta della cinghia” che, secondo i sindacati greci potrebbe arrivare a “soffocare” famiglie e consumi. Noi riteniamo che anche in questo caso si tratta di immettere danaro nelle banche. E' noto infatti che gran parte del debito greco è detenuto da grandi istituti tedeschi, francesi e olandesi (in minima parte italiani) e che un eventuale default della Grecia avrebbe danneggiato le suddette banche. I 5,5 miliardi di euro che l'Italia dovrà versare sono dell'entità di una manovra finanziaria; non sarebbe stato meglio investirli nella nostra economia?

Cosa cambia in Europa dopo il salvataggio della Grecia (3 maggio 2010).

L'accordo tra l'Ue, il Fondo monetario internazionale e la Grecia non è un punto d'arrivo. Per la zona euro e per l'Unione può essere una lezione per riavviare il processo di integrazione europea, impantanato da quasi un decennio, paradossalmente dopo due svolte importantissime: la moneta unica e l'allargamento ad Est. Due svolte rimaste sospese perché incomplete. All'euro manca il governo unico dell'economia e l'allargamento a 27 membri non è stato accompagnato dall'eliminazione del diritto di veto nelle materie più importanti, imponendo decisioni unanimi. In entrambi i casi ai governi nazionali è mancato il coraggio di intaccare la sovranità con i partner dell'Unione, appagati dai risultati raggiunti e preoccupati per le minacce di disgregazione localistiche. E' mancato e manca il coraggio di rafforzare l'unione politica. Ma forse è mancata anche la necessità. Ora la crisi Greca, con i suoi costi per tutti i paesi che condividono l'euro e la paura del contagio alle altre economie nazionali che appaiono più vulnerabili di altre, ha reso evidenti le falle della nave europea e obbliga a correre ai ripari. I tentennamenti tedeschi nel dare il via libera agli aiuti ad Atene probabilmente hanno aumentato i costi del'intervento ma certamente sono serviti da monito agli altri paesi membri tentati da politiche economiche troppo espansive. In questa direzione sembra andare la richiesta (o l'avvertimento) di Angela Merkel di discutere – prima delle elezioni regionali in Germania che tanto hanno condizionato la gestione di questa crisi – nuove regole per eurolandia con gli altri capi di stato e di governo dell'area. Perché oltre al coraggio, nei mesi scorsi agli europei sono mancati anche gli strumenti tecnici per gestire il caso-Grecia ma soprattutto per prevenire situazioni di questo tipo. E' giunto il momento, quindi, di fare un passo importante e stabilire che chi entra in un'area monetaria come l'euro, ottenendo tanti benefici in termini di stabilità, non può considerarsi esente da vincoli. La solidarietà è reciproca: chi ha scelto di stare in un gruppo non può mettere a repentaglio la sicurezza di tutti gli altri membri con condotte irresponsabili. Deve prima di tutto rispettare le regole del gruppo. Le regole attuali sono a ‘maglie larghe' e lasciano troppo spazio a chi vuole aggirarle. Nel caso della Grecia c'è stata "una grave violazione dei principi sottostanti alla costruzione politica europea" ha scritto sul Corriere della Sera Lorenzo Bini Smaghi, membro del consiglio direttivo della Bce. Eurolandia, dunque, per sopravvivere deve dotarsi di regole e strumenti adatti a prevenire shock come quello greco. E deve farlo subito, con misure anche drastiche. Prevedendo anche pesanti deterrenti come la sospensione (proposta dalla Germania) del diritto di voto per chi non rispetta il patto di stabilità, fino all'espulsione dalla moneta unica. Le proposte e le idee non mancano per rafforzare il controllo multilaterale sui bilanci degli stati membri. Si può partire dall'articolo 136 del Trattato che, come ha ricordato Giuliano Amato nei giorni scorsi sul Sole 24 Ore, prevede la possibilità per i paesi dell'euro misure specifiche "per rafforzare la disciplina di bilancio e la relativa sorveglianza". Misure che possono tradursi "nell'approvazione reciproca dei bilanci nazionali da parte degli stati membri prima dell'approvazione nei rispettivi parlamenti nazionali o in un ‘Dpef comune'". La costituzione del Fondo monetario europeo, inoltre, doterebbe l'Unione di uno strumento proprio per la gestione di eventuali crisi. Per fare questo, però, sono necessari anche i leader e forse è stata proprio questa difficoltà principale dell'Unione negli ultimi anni: tanti leader nazionali ma nessuno con vocazione comunitaria. Vedremo se dalla paura di queste settimane verrà fuori, oltre al coraggio, anche un gruppo di nomi che traghetti l'Europa dal pantano ad una nuova maturità. Come sostiene Jared Diamond, uno dei fattori che determina la vita o la morte delle società è la loro capacità di dare risposte ai loro problemi: questo è il bivio che gli europei oggi hanno di fronte.

Giudizi sulla situazione in Italia (4 maggio 2010).
L'Italia finora ha scansato la tempesta. Riuscirà il salvataggio greco a evitarle il contagio? Secondo il Wall Street Journal, dopo i risultati positivi delle aste dei titoli italiani della scorsa settimana, afferma un'analisi di Irwin Stelzer, "se riesce a fare i tagli messi a punti dal ministro delle Finanze Giulio Tremonti e a ridurre il deficit che viaggia sul 5,2% del Pil (quello della Grecia è il 13,6%) l'Italia potrebbe evitare un declassamento". Ma anche se l'Italia e gli altri paesi deboli non saranno contagiati, "Euroland è cambiata per sempre", è il titolo dell'analisi di Stelzer. A suo parere, è finita la possibilità di determinare la politica di bilancio a livello nazionale. E cambia per sempre lo standard per giudicare il debito sovrano. Le agenzie di rating ora sanno che il debito di ogni paese dell'eurozona pesa sui bilanci degli altri paesi. E con una maggiore consapevolezza del rischio "verrà la domanda per tassi di interesse più alti". Wsj punta inoltre i riflettori sull'Italia e su Maria Cannata, direttore generale per il debito pubblico al Tesoro. A lei tocca l'arduo compito di stabilire "Come vendere bond italiani in mezzo al contagio dell'eurozona". "L'Italia, il cui debito pubblico totale di 1.700 miliardi di euro è sette volte quello della Grecia, ha finora evitato la tempesta", scrive Christopher Emsden. La capacità di resistenza dell'Italia, spiega, dipende in parte dal basso tasso di indebitamento del settore privato e in parte dal rifiuto di Tremonti di imbarcarsi in misure di stimolo fiscale nonostante la peggiore recessione dalla Seconda guerra mondiale. "Ma "riflette anche alcune strategie tecniche sviluppate da Cannata". Niente effetto sorpresa nelle aste: l'Italia vende i suoi bond secondo un calendario "ostinatamente regolare per enfatizzare trasparenza e prevedibilità". Contribuisce anche un'infrastruttura di trading, la Mts, "altamente efficiente". Il rigore della politica fiscale italiana ha permesso al Tesoro di avere da parte quest'anno almeno 25 miliardi di euro. Questo denaro, afferma Cannata, significa che l'Italia può finanziare la propria parte del pacchetto di salvataggio greco senza dover fare nuove emissioni di titoli di debito pubblico. Facendo notare che il salvataggio greco non cura tutto, il Wsj tasta anche il polso degli investitori: alcuni si aspettano che i rendimenti sui titoli pubblici continuino a salire per molti paesi pesantemente indebitati. Secondo Michael Cirami, portfolio manager alla Eaton Vance, i rendimenti sui titoli quinquennali di paesi come l'Italia e il Portogallo saranno tra i quattro e i sette punti al di sopra di quelli tedeschi. L'austerità incombe sulla Grecia, ma anche sugli altri "anelli deboli dell'eurozona", nota Les Echos, che però salva l'Italia: "Tra i soliti noti, solo l'Italia si tira d'impiccio per avere mantenuto in piena crisi un rigore di bilancio abbastanza stretto che rassicura per il momento i mercati sulle sue capacità di rimborso". L'editoriale del Financial Times ("Merkel's moment") critica il cancelliere tedesco Angela Mekel per non avere saputo svolgere un ruolo di leadership nella risposta europea alla crisi greca. La causa immediata è l'elezione regionale nel Nord Reno-Westfalia. Le sue esitazioni si spiegano con il fatto che è in effetti difficile convincere i tedeschi che l'eurozona richiede che prestino soldi alla Grecia. Almeno i due terzi dei tedeschi sono contrari al piano, ma la Merkel dovrà cercare di convincerli. In un commento sul Ft, Wolfang Munchau constata: "La scelta dell'Europa è integrarsi o disintegrarsi". A suo parere, il piano triennale per la Grecia ne evita la rovina immediata, ma "ha solo un impatto marginale sulla solvibilità futura del paese". Munchau considera la Grecia destinata a cadere in un "buco nero". E vede nero anche per gli altri paesi indebitati: "La dimensione totale di un ‘backstop' di liquidità per Grecia, Portogallo, Spagna e forse l'Italia potrebbe ammontare tra i 500 miliardi e i 1000 miliardi di euro. Tutti questi paesi affrontano aumenti dei tassi d'interesse mentre sono in recessione o ne sono appena usciti. Il settore privato di alcuni di questi paesi semplicemente non è in grado di farcela a tassi più alti". Sulla stampa britannica c'è una diffusa sensazione di pessimismo sul piano di salvataggio della Grecia e sulle prospettive dell'eurozona. L'Independent parla di "Collasso rinviato" e alla domanda "Chi viene dopo?" cita Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia. Il Guardian sostiene che "la Grecia ha ancora una scelta": abbandonare l'euro e fare default sul grosso del suo debito sovrano. "Dopo tutto, ha funzionato per l'Argentina". Il Sunday Times mette in guardia da tutti i paesi del Sud Europa: "Non sono solo i greci: guardatevi da tutti gli Stati-siesta", Italia compresa. Per il Telegraph, la crisi greca espone le linee di default che attraversano l'eurozona. Regna lo scetticismo anche per l'Economist. Il settimanale parla di un salvataggio "shock and awe" (shock e sgomento, come la campagna di bombardamenti sull'Iraq). Il pacchetto di soccorso record intende "intimidire i mercati" e convincerli a lasciar stare la Grecia. L'editoriale del giornale spagnolo Expansion vede la Grecia "tra catastrofe e sacrificio" ed esclude decisamente l‘ipotesi di escludere la Grecia dall'euro. Una decisione del genere sarebbe "ingiusta" nei confronti dei cittadini greci, spezzerebbe le basi della costruzione europea e "manderebbe il messaggio sbagliato ai mercati". Ma è necessario, secondo Expansion, mettere a punto uno schema da applicare in futuro se dovessero presentarsi casi simili. Un lancio Ap pubblicato su diversi siti Usa afferma che "All'origine della crisi greca vi è l'antipatia per gli ordini dello Stato". Anche gli italiani- secondo l'agenzia Usa - hanno la fama di "ignorare apertamente le regole cui considerano inutile obbedire". Il parere dell'Ocse. L'Italia può riuscire a rafforzare la sua produttività del 14% nell'arco di un decennio - pur in quadro di crescita modesta per i prossimi 5 o 6 anni - accelerando sulle riforme regolamentari in materia di commercio, professioni ed energia. Lo afferma l'Ocse, che nel rapporto "Italia: una migliore regolamentazione per rafforzare le dinamiche dei mercati", rileva «progressi significativi» su diverse voci chiave: «Negli ultimi anni sono stati ridotti i costi delle procedure normative, sono stati liberalizzati i mercati dei prodotti e la pubblica amministrazione è stata modernizzata». Promossa a pieni voti, poi, l'amministrazione italiana in tema di servizi fiscali. Sul fronte della crisi il segretario generale dell'Ocse Angel Gurria ha chiarito che «bisogna fare giustizia: l'Italia non ha ritenuto necessario un aumento delle spese e del fabbisogno e ha resistito alle pressioni. Oggi è molto evidente che era la strada giusta». Musica per le orecchie del ministro dell'Economia, Giulio Tremonti. «I paesi che hanno spinto troppo sulla spesa e avevano già una posizione fiscale debole oggi hanno problemi sui mercati», ha ammonito Gurria. Insomma, «non sarebbe serio, né corretto, parlare di un effetto contagio della Grecia su altri paesi tra cui l'Italia». In ogni caso, se è vero che il nostro paese ha compiuto progressi nel processo di semplificazione normativa, è altrettanto vero che dovrà andare avanti per ridurre «tutte le pastoie burocratiche». Le statistiche mostrano, sostiene l'Ocse, «che l'Italia si trova allo stesso livello di altri paesi europei, ma su alcuni punti è ancora indietro». «Come tutti i Paesi Ocse - si legge nel Rapporto - l'Italia sta affrontando la crisi economica. In tale contesto, la definizione e l'attuazione di una strategia chiara e coerente per la riforma della regolamentazione fanno parte degli strumenti di intervento che possono essere impiegati per il potenziamento delle prospettive di crescita di lungo termine». È innegabile, d'altra parte, che l'eccesso di regole può essere un ostacolo allo sviluppo, ha detto Tremonti. «I paesi non fortunati - ha sottolineato il responsabile dell'Economia - lottano perché hanno un difetto di alimenti, materie prime e cibo. I paesi più fortunati lottano perché hanno un eccesso di regole. Se le regole sono fondamentali sono la base per lo sviluppo, altrimenti possono essere ostacolo allo sviluppo». Intanto, grazie alle riforme avviate soprattutto nel campo della Pubblica amministrazione, i costi delle imprese in Italia sono scesi di 4 miliardi di euro, «in particolare per le Pmi», ha sottolineato Gurria. Soprattutto, ha detto il segretario dell'Organizzazione per la cooperazione e lo svilippo economico, presente anche il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, il taglia-leggi sta producendo risultati tangibili. «La cosiddetta "ghigliottina normativa" - ha aggiunto Gurria - sta diventando un tratto caratteristico dell'Italia. Un esempio molto importante per i nostri paesi. L'Italia ha inoltre mostrato un deciso impegno per un Pubblica amministrazione più efficace svecchiando i processi gestionali».A questo proposito lo stesso Calderoli ha precisato che «l'obiettivo è quello di arrivare a cinquemila sole leggi in vigore», dalle diecimila attuali. Altra raccomandazione di Gurria, rafforzare «la concorrenza attribuendo all'autorità antitrust la potestà di imporre sanzioni alle associazioni in modo più efficace» e dare all'Authority «la possibilità di prolungare i tempi dedicati alle indagini sulle fusioni e aumentando le risorse della stessa». Quanto al cavallo di battaglia di Tremonti, quello dei Global legal standard per riformare le regole della finanza internazionale, «nella riunione ministeriale Ocse di fine maggio, a Parigi, ci sarà un momento particolare per parlare dell'iniziativa di Tremonti e Berlusconi, che ha preso avvio due anni fa a Villa Madama, con professori ed esperti. Abbiamo lavorato in sede G-8, ora in Ocse», ha detto Gurria. Il segretario dell'Ocse ha specificato che «forse ci sarà un'iniziativa alla ministeriale Ocse, con una dichiarazione comune dei paesi membri, vediamo se si riesce. Dopo ci sarà una road-map e vedremo di integrarla con le discussioni del G-20». Insomma un percorso tortuoso, ma in fase evolutiva. Tremonti ha anche colto l'occasione per ribadire che la riforma fiscale si farà e sarà «la più ampia e meno domestica possibile». Il titolare del Tesoro ha ammesso che si tratta «di un obiettivo ambizioso» non perseguito da nessun altro Paese e per questo «bisogna essere prudenti». «La riforma fiscale è fondamentale - ha detto ancora Tremonti - e chiederemo il supporto del Fondo monetario, dell'Ocse e della Commissione Ue» perché «vogliamo un dibattito internazionale».

Anche Moody's declassa il Portogallo (5 maggio 2010).
Anche Moody's lancia l'allarme sui debiti sovrani dopo il downgrade di Grecia, Spagna e Portogallo deciso la scorsa settimana da Standard and Poors. L'agenzia di rating ha messo sotto esame per un possibile declassamento il rating «Aa2» di Lisbona, mentre ha confermato la valutazione «P-1» del debito a breve. Moody's stima che, in caso di declassamento, il rating «Aa2» «possa essere ridotto di uno, al massimo due scalini». La revisione dovrebbe concludersi entro tre mesi. La notizia ha fatto schizzare il rendimento dei titoli di stato portoghesi a dieci anni al 5,63% e lo spread con i corrispondenti bund tedeschi al record storico di 280 punti base. Frenano anche le principali Borse del Sud Europa. L'iniziativa di Moody's sul rating del Portogallo, il cui outlook è negativo dall'ottobre 2009, riflette «il recente peggioramento delle finanze pubbliche del Paese e le sfide che attendono la sua economia nel lungo termine. La revisione in vista di un possibile declassamento considererà l'eventuale riposizionamento del rating del Portogallo per riflettere il deterioramento potenzialmente continuo della metrica del debito pubblico», spiega Anthony Thomas, vice-presidente senior della divisione di Moody's che si occupa del Rischio del debito sovrano. «Nell'ambito di un'economia piccola e in crescita lenta, tale metrica del debito potrebbe non essere più in linea con un rating Aa2», spiega Thomas. L'indebolimento delle finanze del Portogallo riflette il fallimento dei Governi del Paese nel limitare il deficit pubblico da quando Lisbona ha aderito all'Eurozona. Thomas rileva comunque che «recentemente il Portogallo ha ribadito il target di raggiungere o anche superare i target di riduzione del deficit pubblicati nel suo ultimo Programma di Stabilità e crescita. Il profilo ben strutturato del debito significa che i rischi di rifinanziamento sono modesti». Moody's rileva inoltre che il debito pubblico del Paese non è insostenibile e ritiene che, sebbene creda che la Grecia si trovi di fronte difficoltà fiscali molto più gravi di quelle portoghesi, sia «tuttavia inevitabile per Lisbona un prolungato periodo in trincea fin tanto che non saranno corretti gli squilibri finanziari» del Paese. Nell'ambito del suo esame l'agenzia si focalizzerà in particolare sulle iniziative prese dai politici per risolvere la scarsa competitività dell'economia portoghese e il suo basso livello di risparmi, elementi alla base del basso tasso di crescita. La speculazione si sta abbattendo sull'area dell'euro; la moneta unica è scesa al nuovo minimo, da 14 mesi, a 1,27 dollari. Sulle agenzie di rating, rischia di essere guerra tra l’Europa e l’America. Già la scorsa settimana, Bruxelles aveva protestato per i loro continui declassamenti dei Paesi europei più indebitati. Ma Michel Barnier, il Commissario alle finanze, è andato oltre. Barnier ha ammonito che le grandi agenzie di rating sono poche, poco diversificate, e tutte americane. E ha aggiunto che dovrebbe esserci almeno anche una grande agenzia di rating europea, forse pubblica anziché privata. Una velata – ma non troppo - accusa alla Standard and Poor's e alla Moody’s di aiutare Wall Street a scommettere al ribasso contro i paesi più deboli dell’Ue e contro l’euro. La settimana prossima, insieme con quella degli hedge fund, Barnier discuterà la questione con il ministro del tesoro americano Timothy Geithner, il governatore della Fed Ben Bernanke, il presidente della Goldman Sachs Lloyd Blankfein e altri. A suo giudizio, e a giudizio di numerosi leader europei, le catastrofiche analisi delle agenzie di rating, la tempistica dei loro annunci – la Grecia venne declassata quindici minuti prima della chiusura delle Borse – e così via favoriscono le speculazioni delle banche e degli hedge fund americani tramite i CDS o Credit defaults swaps, derivati assicurativi contro la bancarotta dei paesi più esposti e il crollo dell’euro. L’America ribatte che la crisi della Grecia e quelle prossime venture sono colpa dei governi europei e dell’Ue. Ma è un fatto che le agenzie di rating sono pagate dalle banche e imprese americane – con la riforma finanziaria di Obama doveva cambiare tutto, ma non cambierà niente - e che i CDS, da cui le banche e gli hedge fund stanno traendo profitti enormi, hanno aggravato la crisi. Esattamente quello che accadde con i CDS dei mutui subprime, una delle cause principali del crac del 2008, condotta che spinse la SEC, la Commissione di controllo della Borsa di Wall Street, a incriminare la Goldman Sachs di truffa, e spinge adesso il ministero della Giustizia a inquisirla. Bruxelles e Washington sono su una rotta di collisione perché la prima vuole regolamentare rigidamente sia i CDS, o addirittura eliminarli, nonché gli hedge funds, i fondi a più alto rischio. Il mese scorso Geithner ammonì Barnier di «non discriminare le società Usa». Ma mercoledì Barnier ha risposto che saranno Bruxelles e il Parlamento europeo a decidere al riguardo. Si pone l'annosa questione lasciare libero il mercato o intervenire con regolamenti più restrittivi?

Le nuove stime di Moody's (6 maggio 2010).
L'agenzia di rating Moody's lancia l'allarme. C'è il rischio che la crisi finanziaria greca possa contagiare anche i sistemi bancari di alcuni dei principali paesi europei. Per Moody's i paesi più a rischio di contagio sono il Portogallo, la Spagna, l'Italia, l'Irlanda e la Gran Bretagna. La posizione di Moody's Investors Service è contenuta in un commento speciale intitolato «Sovereign Contagion Risk», parte 1 in cui si fa riferimento all'impatto sulle banche dell'Europa meridionale, dell'Irlanda e della Gran Bretagna. L'agenzia di rating riconosce che le banche di questi paesi hanno di fronte diverse sfide di diverso livello ma avverte che «il rischio di contagio potrebbe diluire queste differenze e rappresentare una minaccia molto reale e comune a tutti». « L'Italia - scrive ancora Moody's - è un altro di quei paesi dove il sistema bancario è stato sino ad ora relativamente robusto», ma dove vi è comunque un rischio di contagio «qualora le pressioni di mercati sui rating sovrani dovesse aumentare». L'agenzia di rating osserva infatti come il nostro sistema bancario non abbia risentito come altri dello scoppio della bolla sull'immobiliare e di quella sui derivati. Immediata la replica della Banca d'Italia all'allarme lanciato dall'agenzia di rating. «Il sistema bancario italiano è robusto, il deficit di parte corrente è basso, il risparmio è alto, il debito complessivo di famiglie, imprese e Stato è basso rispetto ad altri Paesi, il debito netto nei confronti dell'estero è basso. Tutto ciò rende il caso dell'Italia diverso da quello di altri Paesi». Il ministro dell'Economia getta acqua sul fuoco: «Siamo ’in parete’, ma i conti pubblici sono sotto controllo e la situazione italiana è molto migliore di quella degli altri Paesi ... All’estero guardano con molto apprezzamento a quello che si sta facendo in Italia». Il presidente del Consiglio Berlusconi ha detto ai cronisti di non voler commentare le osservazioni di Moody's: «Lasciamo perdere, non dichiaro». Il sistema bancario italiano «può affrontare in condizioni migliori di altri la situazione» ha commentato invece l'amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Corrado Passera. La Banca centrale europea, nel frattempo, ha lasciato invariato all'1% il tasso di riferimento principale in Eurolandia, come ampiamente previsto dal mercato. Intanto in una lettera inviata oggi al presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy e al presidente della Commissione Ue Josè Manuel Barroso, il presidente francese Nicolas Sarkozy e la cancelliera tedesca Angela Merkel dichiarano di voler rafforzare la sorveglianza sui conti pubblici della zona euro e dotare i sedici membri di un «robusto quadro» di gestione della crisi. «Non dobbiamo dimenticare - scrivono Merkel e Sarkozy - le lezioni delle passate turbolenze nel settore bancario. Gli Stati non dovrebbero essere costretti a soccorrere le banche. Bisogna che le banche possano fallire senza scatenare dei rischi sistemici per l'intero settore finanziario». Quando la vicenda greca sarà più sotto controllo, arriverà forse il momento di porsi qualche domanda. Due soprattutto. A) Come funziona oggi la fabbrica di quel bene essenziale di un’economia che si chiama fiducia? B) Chi è stato autorizzato a entrarci e assumere le redini del comado? A giudicare dalla cronaca di queste ore, "la fabbrica" di produzione della fiducia oggi è un impianto caotico, obsoleto, pieno di soggetti inadeguati, da cui esce un prodotto scadente. Prendiamo per esempio l’agenzia di rating Moody’s: con una certa responsabilità, a differenza della concorrente Standard and Poor’s, si era astenuta dal dare commenti negativi sulla situazione della Grecia prima di vedere il piano d’austerità. Contribuire a capire i fatti è sempre utile, alimentare il panico molto meno. Oggi però, dopo due giorni di sbandamenti dei mercati, nelle ore delicatissime in cui il parlamento di Atene di prepara a votare le misure e il governo di Madrid si affaccia sul mercato, Moody’s cambia linea. Fa uscire un rapporto in cui sottolinea «il rischio di un contagio della crisi greca per il sistema bancario europeo» e in particolare per «Portogallo, Spagna, Irlanda, Italia e Gran Bretagna». Poco importa che le banche più esposte sulla Grecia siano francesi e tedesche, o che quelle più esposte sulla Spagna siano soprattutto tedesche. Gli analisti di Moody’s avranno le loro ragioni e hanno sempre diritto di parola, ovviamente: anche quando escono a mercati aperti e, come ieri, affondano le Borse nel momento più difficile. Per il nostro paese ci ha poi pensato la Banca d’Italia ha ricordare la solidità che il sistema bancario da lei vigilato sta dimostrando in questa lunga crisi. Ma le domande di partenza restano: come funziona e a quali soggetti il sistema economico ha delegato la fabbrica della fiducia?

Intervista de Il Sole 24Ore a Dante Roschini (7 maggio 2010).
E' sempre molto difficile fare previsioni sulle valute ma io non credo che il ridimensionamento dell'euro abbia ancora molta strada da fare". Dante Roscini, oggi è docente al MBA della Harvard Business School a Boston, ma negli ultimi vent'anni ha ricoperto posizioni di vertice nelle principali banche d'affari, da Goldman Sachs a Merrill Lynch, fino diventare responsabile europeo per i mercati dei capitali di Morgan Stanley. Il 17 maggio parteciperà al Global Business Summit organizzato dal Sole 24 Ore e dall'Harward Business Review a Milano, per parlare delle strategie di rilancio del sistema Italia, ma oggi il focus è sulla nuova tempesta che ha investito i mercati finanziari, cominciando dall'euro ma colpendo anche le borse. "Quello che sta avvenendo oggi – spiega Roscini che insegna al dipartimento Business, government e international economy del master – è un repricing del rischio. Rispetto alla metà degli anni '90, cioè prima dell'avvento dell'euro, gli spread tra i titoli di stato tedeschi e quelli dei paesi oggi definiti ‘periferici' dell'area euro, si erano ridotti fino quasi ad azzerarsi negli anni scorsi. Erano differenziali che tenevano davvero conto delle divergenze economiche tra i paesi di eurolandia? A mio avviso no. I mercati non avevano prezzato queste differenze che, tra l'altro, negli ultimi anni si sono ampliate anziché ridursi. Ora ci stanno ripensando, anche alla luce del fatto che le politiche fiscali sono rimaste nazionali". Si parla con insistenza della debolezza dell'euro. In realtà i rapporti di cambio restano ben al di sopra dei valori espressi dai mercati nei primi anni di vita della moneta unica. I consumatori europei appaiono spaventati, ma a chi giova un euro forte? Se consideriamo il rapporto euro/dollaro in termini di parità di potere d'acquisto, i valori espressi ora dal mercato non sono molto distanti dal range in cui dovrebbero essere. Quindi non mi sembra un argomento di cui preoccuparsi troppo, anche perché circa il 65% del commercio estero dei paesi di Eurolandia è intraeuropeo perciò non esposto ai rischi di cambio. La moneta forte è utile per esempio alle imprese che vogliono fare acquisizioni all'estero ma negli anni scorsi le opportunità non sono mancate. Lei si definisce un "europeista convinto". Il processo di costruzione europea si trova di fronte ad un bivio: accelerazione o implosione, ‘più Europa' o ‘meno Europa', come ha scritto Moises Naim sul Sole 24 Ore. Lei che ne pensa? Nel mondo post-crisi i mercati sono 'psicologicamente fragili' e dunque hanno reazioni più violente rispetto al passato. L'euro, poi, deve essere considerato come un bambino che suo malgrado si trova in mezzo alla tempesta. Dieci anni per una valuta sono niente. Una moneta che non può contare su politiche economiche coordinate è quasi ancora un esperimento. La fase che sta attraversando l'eurozona è una crisi di crescita ma può diventare un'opportunità per ripensare alcuni elementi fondamenti della moneta unica, soprattutto adottando un maggiore coordinamento delle politiche fiscali. Cosa è mancato all'eurozona nella fase più acuta della crisi? Resto assolutamente convinto che senza l'euro oggi ci troveremmo in una situazione molto molto peggiore. Sotto il profilo monetario la gestione della crisi da parte della Bce è stata eccellente, leggermente in ritardo all'inizio nel ridurre i tassi d'interesse rispetto alla Fed, ma poi senza esitazioni. Ciò in cui l'Europa ha fatto più fatica è stata la parte di sostegno e di stimolo all'economia reale, con politiche che hanno fatto fatica a partire e poco coordinate tra loro. Torniamo al punto di prima: l'euro è incompleto perché a una politica monetaria comune corrispondono politiche economiche e fiscali nazionali. Non solo: mentre le decisioni sulla moneta hanno efficacia immediata, le decisioni economiche e fiscali producono i loro effetti in tempi più lunghi e dunque il coordinamento è importante anche da questo punto di vista. Ma è solo un problema politico o c'è anche un sottofondo economico che impedisce all'Europa di diventare più competitiva? È innegabile che ci sia un problema di crescita. Lo dimostrano i dati. Nell'uscita dalla crisi l'Europa sta arrancando. L'agenda Eu2020 punta su ricerca e innovazione per ridare slancio alla crescita, ma sono politiche che richiedono tempi lunghi e decisioni politiche condivise dunque maggiore integrazione tra gli stati membri. Quali sono gli ostacoli? Uno dei problemi più gravi è il ciclo elettorale: c'è una continua sequenza di scadenze locali, nazionali o europee. Prevale l'esigenza della ricerca del consenso che si gioca sempre di più, anche nel voto per l'Europarlamento, su temi di interesse locale. Il voto in Nord Reno Vestfalia che ha condizionato la gestione della crisi greca è solo l'ultimo esempio. È un ostacolo enorme per le politiche comunitarie. Ancora una volta, secondo me, la risposta è in un'integrazione più forte, in questo caso coordinando le tempistiche elettorali. Dopo la crisi greca il timore è il rischio ‘contagio' e i mercati hanno reagito malissimo. Come si può evitare? È indispensabile attuare politiche fiscali rigorose e sostenibili, comunque orientate alla crescita che è l'unica medicina efficace per curare il debito. Ma non è facile perché gli effetti di questi interventi non sono immediati, c'è una latenza più lunga rispetto alle decisioni monetarie. E per l'Italia? Bisogna sbloccare la crescita dell'economia. Come? Ci dica le tre cose più importanti da fare. Primo: rendere il sistema paese pro-business, per esempio riducendo drasticamente i tempi della giustizia, rendendo più snella la pubblica amministrazione, velocizzando le procedure per aprire o chiudere un'azienda. Scondo: liberalizzare i servizi. Terzo, ma fondamentale: invertire la rotta su istruzione e ricerca. Nella prima si spende molto con scarsi risultati; per la seconda bisogna puntare su un rapporto nuovo tra università e imprese, mettendo in competizione tra loro gli atenei. Lei oggi insegna in uno dei master più prestigiosi del mondo, ma prima ha lavorato nelle principali banche d'affari alle quali viene imputata una grossa responsabilità nell'analsi della cause della crisi del 2008-2009. Qual è la sua opinione? Da ‘libero pensatore' posso dire che la responsabilità delle banche d'affari è stata molto forte. C'è bisogno di regole più stringenti, ma non bisogna dimenticare che l'innovazione, anche tecnologica, corre più veloce delle regole e dunque la rincorsa è continua.

Interrotto il vertice per il fondo salva euro (9 maggio 2010).
Il fondo «salva Stati» in grado di garantire prestiti ai paesi di difficoltà non riceverà il contributo della Gran Bretagna. È una delle prime certezze con cui deve fare i conti l'Ecofin, la riunione con i 27 ministri delle finanze dell'Unione europea che si sta svolgendo a Bruxelles dopo che la Commissione Ue ha terminato la sua riunione straordinaria nella quale ha messo a punto la proposta per la creazione del «meccanismo di stabilizzazione» per difendere l'euro dagli attacchi dei mercati. La proposta della Commissione Ue è stata presentata dal commissario agli Affari monetari ed economici Olli Rehn. «Voglio essere chiaro - ha detto il cancelliere dello scacchiere Allistair Darling - la proposta di creare un fondo per la stabilità dell'euro è una faccenda che riguarda i paesi dell'Eurogruppo. Quello che non faremo e non potremo è dare sostegno all'euro. La responsabilità di sostenere l'euro deve essere in capo ai membri dell'eurogruppo». Il rifiuto di Londra – che riguarderebbe solo la disponibilità di risorse al fondo e non uno stop politico alla creazione dello stesso - potrebbe spingere l'Ecofin verso l'ipotesi di limitare il meccanismo di prestiti garantiti ai soli 16 paesi della zona dell'euro. Secondo le indiscrezioni le garanzie sul tavolo dovrebbero ammontare a 60/70 miliardi di euro: una cifra in grado di mobilitare sui mercati prestiti per almeno 600 miliardi. Se avere un fondo a 27 o a 16 «è una questione ancora in discussione», sottolineano fonti a Bruxelles. «Mai dire mai» ha detto il ministro dell'Economia francese, Christine Lagarde, arrivando alla riunione, mentre la collega spagnola Elena Salgado, ministro dell'Economia e delle Finanze e presidente di turno dell'Ecofin ha detto che «La Spagna non si prepara a ricorrere a nessun fondo» rispondendo alla domanda se Madrid si stesse accingendo a usufruire del piano salva-Stati allo studio dei ministri della Ue. Tra le opzioni in gioco, una prevede che l'Ecofin approvi la costituzione di un Fondo di stabilizzazione sul modello già utilizzato in passato per gli aiuti a paesi non dell'eurozona (Lettonia, Ungheria e Romania): A intervenire in questi casi è l'articolo 143 del Trattato Ue in caso di grave minaccia di difficoltà nella bilancia dei pagamenti. Si tratterebbe di estendere anche ai paesi dell'eurozona la possibilità di ricevere supporto finanziario allargando l'ipotesi anche per difficoltà di approvvigionamento sui mercati per finanziare il debito svrano. Fondendo le somme disponibili per i due strumenti si arriverebbe a una dotazione di oltre 100 miliardi di euro. Il problema è che l'articolo 143 è applicabile solo agli Stati dell'eurozona. La soluzione potrebbe arrivare grazie all'articolo 122 del trattato Ue, che prevede che il Consiglio dei 27 in caso di circostanze eccezionali possa decidere a maggioranza qualificata di concedere assistenza finanziaria a uno stato in difficoltà. L'ipotesi, in un primo momento osteggiata dal governo di Londra perché in questa evenienza la Gran Bretagna riteneva di poter essere "costretta" a fornire la propria quota di finanziamento, è ora valutata da Londra con maggior favore.

Accordo dell'Ecofin per rafforzare l'euro (10 maggio 2010). Maxi piano del'Unione Europea per salvare l'euro. Un pacchetto di misure per garantire la stabilità finanziaria in Europa è stato varato dall'Ecofin al termine di una lunga maratona di 10 ore terminata a tarda notte del 9 maggio 2010 e mette in moto un meccanismo di assistenza finanziaria per aiutare i paesi della zona euro in difficoltà a pagare il debito pubblico o attaccati sui mercati dagli speculatori: il maxi-piano prevede prestiti bilaterali dagli Stati dell'eurozona per 440 miliardi, 60 di fondi del bilancio Ue e fino a 250 miliardi di contributi «sostanziali» del Fmi (pari a un terzo del totale). È inoltre previsto l'intervento della Banca centrale europea, che potrà agire sul mercato secondario dei titoli di stato acquistando obbligazioni pubbliche. Come ha spiegato al termine della riunione, alle 2,30 del mattino, il presidente di turno Elena Salgado, in conferenza stampa congiunta con il commissario Olli Rehn, l'Ecofin sostiene inoltre l'impegno di Spagna e Portogallo, i due paesi più a rischio dopo la Grecia, a prendere «significative misure aggiuntive di consolidamento dei bilanci» che saranno presentate in occasione del prossimo Ecofin del 18 maggio. Soddisfatto, al termine della trattativa notturna, il ministro delle Finanze Giulio Tremonti che ha detto che la soluzione è stata trovata anche grazie al ruolo importante giocato dal governo italiano. Si tratta dunque della maggiore operazione finanziaria della storia della unione monetaria europea, siglata dopo un pomeriggio e una notte di complicate trattative, ma in tempo per l'apertura dei principali mercati finanziari asiatici. E l'accordo è stato accolto favorevolmente sul mercato di Tokyo, dove l'euro ha recuperato leggermente sul dollaro e lo yen e il Nikkei ha chiuso su terreno positivo, guadagnando l'1,6 per cento. L'obiettivo è «difendere l'euro costi quello che costi», ha spiegato il commissario europeo agli affari economici e monetari, Olli Rehn, aggiungendo che il meccanismo segue lo schema di quello accordato recentemente con l'Fmi per salvare la Grecia. L'obiettivo è dissuadere gli speculatori, che da settimane puntano sul fallimento di un membro della zona euro. Il pacchetto va inoltre ad aggiungrsi ai 110 miliardi di euro già decisi per il salvataggio della Grecia, che i paesi europei e il Fmi cominceranno a sborsare immediatamente. L'intesa è stata preceduta da una frenetica attività diplomatica. Il presidente Usa, Barack Obama ha chiamato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il suo omologo francese, Nicolas Sarkozy: Obama ha insistito con entrambi sulla necessità che gli europei adottino «risposte forti» per restituire fiducia ai mercati. Proprio mentre era in corso la riunione, da Washington il Fondo Monetario ha varato un pacchetto di aiuti per la Grecia da 26,4 miliardi di dollari. E dalla riunione straordinaria dei banchieri della Bce è uscita la decisione di prendere misure speciali in appoggio del sistema bancario indebolito (in particolare, la Bce ha deciso di intervenire nei mercati del debito pubblico e privato per assicurare la liquidità nei segmenti che non funzionano adeguatamente). Tornano gli acquisti sui titoli bancari, anche se per una reale soluzione dei problemi è meglio attendere. Comunque i mercati oggi festeggiano: le banche avevano affossato i listini nello scorso fine settimana e, nella seduta odierna, li stanno portando in orbita. Per rendersene conto basta dare un'occhiata all'indice di settore europeo: il Dj Stoxx 600 Banche guadagna oltre il 13,34 per cento. E non è un caso se il Ftse Mib di Piazza Affari, dove il comparto dei bancari pesava al 31 marzo 2010 per il 25,4%, sale del 10,33 per cento. Bene anche la stessa Parigi, che era stata duramente colpita nei suoi titoli finanziari venerdì scorso: il Cac 40 sale di oltre il 9 per cento. Un po' più contenuti i rimbalzi delle altre due principali Borse del Vecchio Continente: Francoforte sale di quasi il 5% mentre Londra si "ferma" ad una crescita del 4,5 per cento. In generale le Borse europee festeggiano il maxi piano di soccorso da 750 miliardi varato nella notte dall'Ecofin. E festeggiano anche l'andamento di Wall Street, dove il Dow Jones guadagna il 3,8% e l'S and P500 sale del 4,2 per cento. Un trend aiutato dgli stessi dati sul mercato del lavoro: l'indice elaborato dal Conference board, ad aprile, è salito dello 0,9% a quota 94,7, mettendo a segno l'ottavo mese consecutivo di rialzo. Comunque è lo scudo "costruito" nel weekend a tutela dell'Euro che spinge le quotazioni. E non potrebbe essere altrimenti, perché nei fatti difende l'anello più esposto alla possibile crisi del debito sovrano: cioè, gli istituti di credito. E li difende, al di là dei numeri e dei meccanismi messi in moto (che sembrano rimanere sempre abbastanza "faragginosi", visto che gli aiuti saranno improntati al bilateralismo), con una moneta di cui c'è grande richiesta sul mercato: la fiducia. A ricordare bene, sembra di essere tornati a quei giorni in cui gli Stati Uniti varavano programmi impressionanti di salvataggio in favore delle banche. Il messaggio, dopo la paura seguita al crack di Lehman, era uno solo: non faremo fallire banche o istituti che possano dar luogo da un rischio sistemico. Da quel settembre 2008 di acqua ne è passata sotto i ponti e nessuna vera riforma strutturale della finanza è stata varata. Così, allora come adesso si costituiscono d'urgenza piani giganteschi di salvataggio e si creano scudi enormi a difesa che, al di là della loro efficacia struturale, lanciano un solo inequivocabile segnale: abbiate fiducia. E, almeno per oggi, i mercati sembrano accordarla. Sono così partiti valanghe di ordini di acquisto su quegli istituti che, solo quattro giorni fa, erano stati venduti a mani basse, anche in un'ottica di difesa contro la paura di fallimento di alcuni stati. Valanghe di ordini "sell", attraverso opzioni put, da parte di chi aveva tentato di proteggere i portafogli obbligazionari, visto che il mercato dei titoli di stato e quello dei bond societari, nell'ultima settimana, era diventato illiquido. In ultima istanza un tentativo di far sfogare sull'azionario le tensioni del mercato del reddito fisso che ha provocato tutto ciò che sappiamo. Proprio sul mercato del debito sovrano qualche tensione si è un po' allentata. I rendimenti dei titoli di stato di Atene a tre anni, che negli ultimi tempi erano arrivari a superare il 14%, adesso viaggiano attorno all'8,8 per cento. Segno che quegli stessi titoli vengono di nuovo comperati sul secondario: infatti, il rendimento scende se il prezzo del titolo sale. In discesa anche lo yield del triennale spagnolo (2,38%) e portoghese (3,79%). Inutile dire il Bund è diventato, in questo momento, una sorta di asset risk-free: il bond a tre anni rende 0,9%, quello a 5 l'1,82%, e il decennale il 2,96 per cento. In Italia: Intesa Sanpaolo sale di oltre il 17% e lo stesso vale per Unicredit. Bene anche Mediobanca, Generali, Fiat ed Enel. Eni guadagna il 5,6%, Telecom Italia l'8,62%, mentre Terna e Snam Rete Gas sono"fanalini di coda" (si fa per dire) delle blue chip. La moneta unica con l'avvio dell'attività sui mercati Usa è tornata calare.

La Bce porta il tasso di riferimento all'1% (12 maggio 2010).
La Banca centrale europea ha tagliato di un quarto di punto il tasso di riferimento, portandolo all'1%. L'Eurotower ha lasciato invariato il tasso sui depositi, allo 0,25%, e ha tagliato di mezzo punto quello marginale, portandolo dal 2,25% al 1,75%. Nella conferenza stampa seguita all'annuncio, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet ha annunciato che il consiglio ha deciso di allungare a 12 mesi le operazioni di rifinanziamento alle banche. Trichet ha motivato il taglio dei tassi con "l'inflazione moderata", ribadendo che "il livello attuale è appropriato". Il che non significa che non ci saranno altri tagli: "Non abbiamo deciso oggi che l'attuale livello dei tassi sia il minimo possibile", ha precisato. L'inflazione, secondo la Bce, rimarrà sotto il livello del 2% anche nel 2010. Il taglio deciso oggi porta il costo del denaro al minimo storico da quando la Bce ha iniziato a gestire la politica monetaria nel 1999. La decisione era ampiamente attesa dal mercato. Il differenziale tra il costo del denaro negli Stati Uniti e quello nell'Eurozona si attesta sull'1%, tenuto conto che la Fed ha praticamente azzerato il tasso sul Fed Funds, fissando un range compreso tra 0 e 0,25%. Trichet ha ribadito nella conferenza stampa che l'economia è ancora debolissima, e lo rimarrà per un certo tempo: la ripresa arriverà solo nel corso del 2010. "L'attività economica nell'area dell'euro, nel primo trimestre dell'anno, è stata molto debole",ha detto il presidente della Bce, precisando che nel 2010 "si dovrebbe registrare un calo della domanda esterna e interna" prima di una "ripresa progressiva" dell'attività economica nel corso dell'anno prossimo. Per dare un contributo all'economia, la Bce procederà all'acquisto diretto di obbligazioni, nella fattispecie covered bonds, o obbligazioni garantite. I dettagli di queste operazioni verranno annunciati solo in occasione della prossima riunione di inizio mese a giugno.

Forti tensioni sull'euro (14 maggio 2010).
Questa mattina l'euro è sceso sotto la soglia 1,25 nei confronti del dollaro. Le vendite sono partite all'apertura dei mercati europei e hanno trovato impulso, tra l'altro, nella notizia secondo cui il presidente francese Nicholas Sarkozy avrebbe minacciato l'uscita della Francia dall'Unione monetaria se la Germania non avesse accettato il piano di aiuti alla Grecia. La notizia è stata riferita da El Pais che riporta quanto ha raccontato il premier Luis Zapatero (presidente di turno dell'Unione europea) ai colleghi di partito dopo l'Ecofin di venerdì scorso a Bruxelles a livello di capi di Governo. Di fronte alle resistenze della Germania, Sarkozy avrebbe minacciato l'uscita del suo paese dall'euro, costringendo così il cancelliere tedesco, Angela Merkel ad appoggiare il piano di salvataggio della Grecia. Spagna e Italia, secondo El Pais, avrebbero fatto fronte comune con il presidente francese. A metà giornata Madrid e Berlino hanno smentito ufficialmente la ricostruzione del quotidiano iberico e l'euro ha ulteriormente recuperato toccando di nuovo quota 1,25 dollari. La notizia riferita dal quotidiano spagnolo non fa che alimentare le preoccupazioni sulla tenuta della moneta unica e più in generale dell'economia di Eurolandia. Proprio quando sono necessare la massima compattezza e la massima coesione tra i governi per consentire alla Ue di compiere il salto di qualità nel coordinamento delle politiche economiche, emergono episodi che dimostrano la tendenza a imporre gli interessi particolari nazionali su quelli collettivi dell'area monetaria. Giova ricordare che il presidente francese è preoccupato per l'entità del debito greco detenuto dalle banche francesi e la Merkel per le ripercussioni politiche nel suo paese. I mercati ne prendono atto e il barometro della fiducia si sposta verso il brutto. Il timore è che i piani di austerità varati da alcuni paesi della zona euro non siano sostenibili. Ma così si rischia di generalizzare, facendo l'errore di considerare Portogallo e Spagna al pari della Grecia. Detto questo, è bene ricordare molti dei ragionamenti fatti sul corretto rapporto di cambio dell'euro rispetto alle altre principali valute. Per esempio, utilizzando modelli che sfruttano variabili quali, per esempio, il deflatore del Pil (cioè il rapporto tra Pil nominale e quello reale), il costo del lavoro per unità di prodotto e l'inflazione core, secondo Roberto Mialich, esperto valutario di UniCredit, risulta «che un valore equo dell'euro dovrebbe essere situato nell'intervalo tra 1,12 e 1,17 dollari». Quindi, al di sotto dell'attuale quotazione. Ad una conclusione analoga si giunge se si tiene conto della parità di potere d'acquisto: «I valori espressi ora dal mercato non sono molto distanti dal range in cui dovrebbero essere» ha affermato Dante Roscini, docente al corso al MBA della Harvard Business School di Boston. Senza contare i benefici per la competitività delle merci dell'area euro nel resto del mondo, di cui gli effetti positivi si sono già fatti sentire, a esempio, sul Pil italiano nel primo trimestre di quest'anno. Nella battaglia per l'euro, Tommaso Padoa-Schioppa spezza un'altra lancia a favore di una maggiore integrazione europea in un articolo pubblicato sul Financial Times, "L'euro rimane dalla parte giusta della storia". Secondo l'economista è sbagliato credere che l'euro e la piena sovranità nazionale siano compatibili: questo credo impedisce all'Europa monetaria di andare fino in fondo con la "necessaria riforma", che comporta trasferimenti di sovranità. Padoa-Schioppa, che è stato ministro dell'Economia e delle Finanze nel governo Prodi II e membro del board della Bce, usa la metafora della cittadella assediata per spiegare gli attacchi fatti all'euro negli ultimi mesi. L' "esercito" che ha assediato la "cittadella" della valuta europea, argomenta, è convinto che l'area dell'euro non possa mai diventare un'unione politica perché gli europei non lo desiderano e gli stati-nazione non rinunceranno mai al loro potere. Secondo gli aggressori, la cittadella è quindi destinata a capitolare. I difensori della cittadella sono invece convinti che l'euro possa continuare a funzionare così com'è. "Per anni i capi di governo europei e i banchieri centrali hanno predicato che una moneta senza stato è un'invenzione brillante che può durare per sempre". In questa concezione, che Padoa-Schioppa non condivide, lo stato-nazione resta il solo padrone, il Trattato di Maastricht del 1992 è stato il passo finale nella costruzione dell'edificio europeo, non sono necessari altri trasferimenti di sovranità e l'Unione europea può "fare a meno dei normali strumenti fiscali, finanziari e monetari prescritti da tutti i libri di testo". I due campi nemici, continua Padoa-Schioppa, hanno però in comune lo stesso credo: che lo stato-nazione continuerà a essere il sovrano assoluto nei suoi confini. E' il modello inventato dal Trattato di Westfalia del 1648. Ma i due campi "non vedono che viviamo già in un mondo differente, dove il potere politico non può essere monopolizzato da un singolo detentore. Invece, è distribuito su una scala verticale che va dal municipale, al nazionale, al continentale, al globale. Entrambi i campi sembrano ignorare che la storia è un processo dinamico guidato da contraddizioni". In sostanza, la dinamica della storia sta superando il modello della sovranità assoluta dello stato-nazione. Quando è arrivata la crisi, l'esercito anti-euro è avanzato. I "battaglioni" erano migliaia di sale di negoziazione "connesse in un network globale". Gli obiettivi erano fissati "dall'intelligence di tre agenzie di rating". In questa battaglia, "la cittadella è emersa come vincitrice perché alla fine ha messo da parte esitazioni, pregiudizi e divisioni". Ma, secondo Padoa-Schioppa, in un senso più profondo ha anche perso, perché "ha sbagliato nel credere che l'euro e la piena sovranità nazionale siano compatibili". L'esercito degli aggressori tornerà alla carica. E' potente, ma "scommette sulla causa sbagliata": il "ritorno al vecchio mondo dei tassi di cambio flessibili, dove ciascun paese si illude di potersi isolare dai vicini e cerca di incoraggiare la crescita con svalutazioni competitive, venendo meno ai debiti quando gli conviene". Questo sistema, secondo Padoa-Schioppa, può solo produrre "miseria economica, conflitto e pericoli per la sicurezza globale". La cittadella "combatte per la causa giusta", cioè salvare l'Unione monetaria europea, "ma il suo persistente credo, che l'ha tenuta troppo a lungo disarmata, le impedisce tuttora di andare fino in fondo con la necessaria riforma". Quello che è in gioco in questa battaglia, è in fin dei conti, "l'onnipotente stato-nazione", conclude Padoa-Schioppa. IMPRESA OGGI vuole sottolineare che un euro forte è segno di stabilità e rafforza gli asset patrimoniali di stati e imprese, sia pure a svantaggio della competitità. Ma è anche nostro parere che la competitività non la si conquista con aggiustamenti dei cambi, come avveniva negli anni novanta, ma, sia con politiche di innovazione gestionale e tecnologica delle imprese e, sia con lo snellimento delle spese dello stato iniziando dal principio "meno generali e più soldati". D'altra parte nemmeno un euro troppo forte, come due anni fa, è concepibile. E' sufficiente fare una modesta considerazione "non è credibile che un panino da McDonalds costi di più a Milano che a New York".

Provvedimenti dell'Ecofin sugli Hedge fund (18 maggio 2010).
I ministri dell'Ecofin hanno raggiunto l'accordo sulle nuove regole per gli hedge fund. La decisione dei ministri segue il voto di ieri sera della commissione economica dell'Europarlamento sulla proposta legislativa della Commissione Ue, ma i testi non sono uguali. Il via libera dei ministri finanziari europei era dato per scontato nonostantela contrarietà del Regno Unito che fin dal momento della costituzione del nuovo governo si era dichiarato pronto a non erigere barricate politiche. "Sappiamo di dover scegliere le nostre battaglie e questa l'avevamo già persa", aveva dichiarato nei giorni scorsi una fonte vicina al cancelliere dello Scacchiere Gorge Osborne (8 hedge fund europei su 10 fanno riferimento a Londra). In ogni caso la presidenza spagnola ha preso nota delle riserve espresse da alcuni paesi (tra i quali in primo luogo il Regno Unito) sulle regole per i manager di fondi dei paesi extra Ue. Ora potrà cominciare il negoziato con l'Europarlamento sulla legislazione che copre sia gli hedge fund sia i fondi di private equity, fondi immobiliari e per le materie prime. I punti del testo approvato dall'Ecofin. I manager dei fondi alternativi dovranno ottenere l'autorizzazione ad operare dall'autorità competente dello stato membro in cui risiedono. Una volta autorizzato il manager può operare con gli investitori professionali in qualsiasi stato membro. E' questo il famoso 'passaporto Ue'. Il manager dovrà rispettare una serie di vincoli prudenziali in relazione alla solidità del capitale, la gestione del rischio incluso il rischio di liquidità. Dovrà anche fornire informazioni dettagliate e a scadenze regolari sui principali mercati e strumenti che tratta, sulle esposizioni principali e sulla concentrazione del rischio. Si tratta di elementi molto sensibili, basti pensare che finora tali fondi sono sfuggiti a qualsiasi controllo. Inoltre dovrà fornire una "chiara descrizione" delle strategie di investimento che deve riguardare tutti i tipici asset e l'uso del 'leverage'.I limiti alla leva del debito Per quanto riguarda i vincoli del 'leverage' (l'uso della leva del debito) per finanziare investimenti, le autorità di supervisione avranno il potere di fissarne i limiti per assicurare la stabilità del sistema finanziario. I manager di fondi alternativi che ricorrono alla leva del debito "su base sistematica" dovranno fornire informazioni sul 'leverage' aggregato e delle principali fonti. Le stesse autorità dovranno condividere le informazioni "rilevanti" con altre autorità competenti. La direttiva introduce disposizioni specifiche per i fondi che acquisiscono quote di controllo di società, in particolare per le informazioni agli azionisti e ai rappresentanti dei dipendenti, ma ciò non avviene per le pmi per evitare di creare svantaggi per le start-up e per il 'venture capital'. Sulla delicata questione dei fondi stabiliti nei paesi terzi, i manager residenti nella Ue potranno operare con fondi localizzati in quei paesi a patto che rispettino solo alcune delle disposizioni contenute nella direttiva e che lo stato membro lo permetta. I manager non Ue potranno operare in uno stato membro con fondi stabiliti nei paesi terzi a patto che ci sia una "sufficiente" informazione per investitori e autorità di supervisione e ci sia "una appropriata cooperazione" tra le autorità Ue e le autorità del paese terzo ai fini della supervisione del rischio sistemico. In sostanza, il 'passaporto' europeo sarà generalizzato solo per i fondi stabiliti in Europa e che hanno un gestore europeo. I fondi con sede nei paesi terzi con un gestore europeo (è il caso della maggior parte dei fondi con base a Londra) dovranno rispettare una serie di regole e non avranno un lasciapassare generalizzato e globale. E' questo l'approccio contro cui si è battuto il Regno Unito e che ha irritato molto gli Usa. Attualmente i fondi alternativi devono chiedere all'autorità di ciascun paese il permesso di investire. Infine, la direttiva potrà non applicarsi ai fondi che gestiscono asset inferiori a 100 milioni di euro se ricorrono al 'leveragé e a 500 milioni se non vi ricorrono. I fondi piccoli però saranno sottoposti a regole minimali di registrazione e pubblicazione delle informazioni. Sono parecchie le differenze tra il testo varato dall'Europarlamento e quello dei ministri. In sostanza, i ministri finanziari propendono per soluzioni più restrittive per la gestione dei fondi di paesi terzi. La Commissione economica dell'Europarlamento vuole un sistema di regole in base alle quali tutti i gestori di hedge funds potrebbero ottenere un 'passaporto' europeo. Ci si interroga sugli effetti politici della decisione dell'Ecofin presa a maggioranza malgrado le reticenze britanniche. "Siamo una comunità e ci sono anche decisioni contro un solo stato membro - ha indicato il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble - dobbiamo essere in grado di prendere decisioni e una chiara maggioranza considera questa legge necessaria".

Probabile errore della Merkel (19 maggio 2010).
Dopo i "tira-e-molla" sul salvataggio della Grecia, dovuti alle elezioni locali tedesche (e comunque perse dalla coalizione di governo), è arrivato il divieto di vendite allo scoperto su alcuni istuituti finanziari tedeschi oltre che su alcuni prodotti finanziari. Nella lista delle società per le quali sono vietate le vendite allo scoperto figurano Aareal Bank, Allianz, Commerzbank, Deutsche Bank, Deutsche Boerse, Deutsche Postbank, Generali Deutschland Holding, Hannover Rueck, Mlp e Muenchener Rueck. In più la BaFin, la Consob tedesca, ha fatto divieto di vendite allo scoperto "nude", cioè senza nemmeno avere il titolo in prestito, di tutte le emissioni governative Ue denominate in euro e trattate in Germania. Il divieto comprende anche le vendite allo scoperto dei Cds sui bond governativi Ue, che sono scambiati senza però essere più "legati" all'obbligazione stessa. La mossa, ed era abbastanza facile prevederlo, ha mandato in tilt i mercati. Il fatto di non essere stata coordinata, né essere stata introdotta con il debito preavviso ha creato sfiducia. Tra le sale operative si è diffussa la sensazione che Berlino sappia qualcosa che non vuole dire. Magari su un possibile fallimento di una qualche banca tedesca. Una sfiducia, che non è stata certo "mitigata" dalle parole della cancelliera Angela Merkel: «l'euro é in pericolo - ha detto - e se la valuta unica dovesse fallire, allora fallisce anche l'Europa». Inutile, insignificante, intempestiva. Sono molti gli aggettivi usati da operatori, esperti, istituzioni per commentare la decisione di oggi della Germania di vietare lo short selling "nudo" sui titoli di stato governativi Ue. E non solo. C'è chi, per motivi diplomatici, usa parole soft. È il caso del commissario europeo al Mercato interno Michel Barnier. «Capisco - ha detto - le preoccupazioni tedesche» sul possibile impatto delle vendite allo scoperto «in un contesto di mercati finanziari incerti e volatili». Per poi, però, aggiungere che le sospensioni temporanee: «Sarebbero anche più efficaci se coordinate a livello europeo». «È stato mandato un messaggio "sfortunato"», dice Simon Tilford, chief economist del Centre for European Reform, un think tank di Londra. «Ancora una volta suggerisce l'idea che i tedeschi non comprendono che il problema non sono i mercati. Questi, invece, sono nel giusto quando si mostrano dubbiosi circa la sostenibilità di Eurolandia, almeno nelle attuali forme». «Il mercato vede una politica inadeguata e considera un simile atto come un gesto della disperazione e un rifiuto di affrontare i veri problemi», dice Brian Yelvington, capo del reddito fisso di Knight Libertas LLC in Greenwich, Connecticut. «Questa mossa - aggiunge Stefan Isaacs, gestore di MandG European Corporate Bond Fund - ha avuto l'effetto di creare ulteriori timori sui già fragili mercati finanziari. A questi non piace la mancanza di trasparenza e simili azioni appaiono draconiane e non coordinate. Il fatto che il divieto sia stato annunciato dopo la chiusura dei mercati europei, e che sia stato implementato solo poche ore dopo, non è nient'altro che una mossa avventata, che ha portato il mercato a speculare su problemi più gravi e ignoti». Con riferimento, poi, al divieto di vendite allo scoperto di dieci titoli finanziari tedeschi, Julian Callow e Thorsten Polleit, economisti di Barclays Capital, scrivono che si tratta di un proveddimento «che riflette il desiderio di compiacere l'opinione pubblica tedesca quando è entrato nel vivo il dibattito parlametare sulla correzione dei conti pubblici». Come dire: il suo effetto non è reale. Senza dimenticare, infine, che molti operatori ricordano come un divieto su un singolo mercato può essere benissimo by-passato con l'operatività realizzata da altri paesi. «La maggior parte degli scambi di strumenti derivati vietati dalla Germania - dice Isaacs - avviene in realtà al di fuori della Germania stessa. Le autorità tedesche non hanno la giurisdizione legale per implementare il divieto nei maggiori centri finanziari come Londra e New York, relativamente alle istituzioni con sede al di fuori della Germania».

IL Bundestag approva lo scudo per l'euro (22 maggio 2010).
I deputati del Bundestag, la camera bassa del Parlamento tedesco, hanno approvato la partecipazione della Germania al maxipiano di salvataggio dell'eurozona da 750 miliardi di euro. La Germania è chiamata a contribuire a questo piano con una quota di 147,6 miliardi di euro. L'approvazione era stata caldeggiata questa mattina dal ministro delle finanze Wolfgang Schäuble in un discorso ai deputati. I voti a favore sono stati 319 contro 72 contrari. I voti necessari erano 312, mentre la maggioranza che sostiene il governo di Angela Merkel è di 332 voti. In giornata è atteso anche il via libera del Bundesrat, la camera alta. L'approvazione era abbastanza scontata, nonostante già ieri una decina di deputati della maggioranza si erano espressi contro il pacchetto europeo di sostegno alla moneta comune. La cancelliera Merkel ha sostenuto con forza nei giorni scorsi il provvedimento, da un lato affermando la volontà tedesca di fare «tutto ciò che sarà necessario» per difendere l'euro, e dall'altro sostenendo la necessità di regole più rigide per la finanza e un maggiore peso fiscale, per rassicurare l'opinione pubblica tedesca, preoccupata di 'importare' instabilità per colpa dell'euro. Intanto a Bruxelles si è riunita la task force composta dai ministri delle Finanze dell'Unione europea per discutere le proposte avanzate finora per rafforzare il coordinamento delle politiche economiche. La prima indicazione è che si vogliono accorciare i tempi per la decisione finale: al consiglio Ue di ottobre invece che nella riunione di dicembre. Il maggior coordinamento è stato definito la «prima priorità» della task force dal ministro spagnolo dell'Economia e delle finanze Elena Salgado, presidente di turno dell'Ecofin. «Lo abbiamo detto: più coordinamento contribuirà ad aumentare la competitività della zona dell'euro in particolare, ma anche della Ue. Senza alcun dubbio il coordinamento economico è la priorità numero uno in questo momento», ha detto la Salgado. La discussione di oggi riguarderà - ha riferito la Salgado - tutti gli elementi presentati dal presidente stabile della Ue Herman Van Rompuy, dalla Commissione europea e dalla Germania. Dello stesso tenore le affermazioni del commissario agli Affari Economici, Olli Rehn, il quale ha voluto precisare che «nelle proposte tedesche c'è il sostegno a quelle della commissione». Tra le proposte all'esame della task force, secondo fonti europee citate dalle agenzie di stampa c'è anche l'idea di mettere insieme una parte del debito pubblico dei paesi con i conti in ordine. Una ipotesi che piacerebbe ai tedeschi, insieme a quella di affidare ad un'authority esterna come la Bce il compito di valutare la coerenza delle ipotesi macro economiche su cui si basano le leggi di bilancio dei singoli paesi con gli obiettivi comunitari.

Federalismo demaniale - Legge 5/5/2010 N. 42 (23 maggio 2010).
Riporto integralmente la legge sul federalismo demaniale, legge che ritengo essere il primo importante passo verso il federalismo in Italia.
Art. 1
(Oggetto)
1. Nel rispetto della Costituzione, con le disposizioni del presente decreto legislativo e con uno o più decreti attuativi del Presidente del Consiglio dei ministri sono individuati i beni statali che, su richiesta dell’ente territoriale interessato, possono essere attribuiti a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni.
2. Gli Enti territoriali cui sono attribuiti i beni sono tenuti a garantirne la massima valorizzazione funzionale.
Art. 2
(Attribuzione del patrimonio)
1. Lo Stato, previa intesa conclusa in sede di Conferenza Unificata, individua i beni da attribuire a titolo non oneroso a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, secondo i criteri di territorialità, sussidiarietà, adeguatezza, semplificazione, capacità finanziaria, correlazione con competenze e funzioni, nonché valorizzazione ambientale.
2. Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni possono chiedere l’attribuzione a titolo non oneroso dei beni già individuati a tal fine dallo Stato. Lo Stato, sulla base delle richieste degli enti territoriali, procede all’attribuzione dei beni.
3. In applicazione del principio di sussidiarietà lo Stato, qualora un bene non sia attribuito a un ente territoriale di un determinato livello di governo, può comunque procedere, sulla base delle richieste avanzate, all’attribuzione del medesimo bene a un ente territoriale di un diverso livello di governo.
4. L’ente territoriale, a seguito dell’attribuzione, dispone del bene nell’interesse della collettività rappresentata ed è tenuto a favorire la massima valorizzazione funzionale del bene attribuito, a vantaggio diretto o indiretto della collettività territoriale rappresentata. Ciascun ente assicura l’informazione della collettività circa il processo di valorizzazione anche tramite pubblicazione sul proprio sito internet istituzionale. I Comuni possono indire forme di consultazione popolare, anche in forma telematica, in base alle norme dei rispettivi Statuti.
5. I beni statali sono attribuiti, a titolo non oneroso, a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, anche in quote indivise, sulla base dei seguenti criteri:
a) sussidiarietà, adeguatezza e territorialità. In applicazione di tali criteri, i beni sono attribuiti, considerando il loro radicamento sul territorio, ai Comuni, salvo che per l’entità o tipologia dei beni trasferiti, esigenze di carattere unitario richiedano l’attribuzione a Province, Città metropolitane o Regioni quali livelli di governo maggiormente idonei a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione;
b) semplificazione. In applicazione di tale criterio, i beni possono essere inseriti dalle Regioni e dagli Enti locali in processi di alienazione e dismissione secondo le procedure di cui all’articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
c) capacità finanziaria, intesa come idoneità finanziaria necessaria a soddisfare le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene. A tal fine, l’attribuzione dei beni immobili appartenenti allo Stato può avvenire, su richiesta dell’ente territoriale interessato e senza ulteriori oneri a carico dello Stato, mediante attribuzione diretta dei beni a fondi comuni di investimento immobiliare già costituiti, o da costituire, da uno o più enti territoriali, anche ai sensi dell’articolo 58 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
d) correlazione con competenze e funzioni, intesa come connessione tra le competenze e funzioni effettivamente svolte o esercitate dall’ente cui è attribuito il bene e le esigenze di tutela, gestione e valorizzazione del bene;
e) valorizzazione ambientale. In applicazione di tale criterio la valorizzazione del bene è realizzata avendo riguardo alle caratteristiche fisiche, morfologiche, ambientali, paesaggistiche, culturali e sociali dei beni trasferiti, al fine di assicurare lo sviluppo del territorio e la salvaguardia dei valori ambientali.
Art. 3
(Trasferimento dei beni)
1. I beni sono individuati e attribuiti ad uno o più livelli di governo territoriale mediante l’inserimento in appositi elenchi adottati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, previa intesa sancita in sede di Conferenza Unificata ai sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro per le riforme per il federalismo, con il Ministro per gli affari regionali e con gli altri Ministri competenti per materia, sulla base delle disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 del presente decreto legislativo. Con il medesimo procedimento possono essere adottati ulteriori decreti del Presidente del Consiglio dei ministri integrativi o modificativi. Gli elenchi sono corredati da adeguati elementi informativi e producono effetti dalla data della pubblicazione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri nella Gazzetta Ufficiale.
2. Relativamente alle aree e ai fabbricati, le Regioni e gli Enti locali che intendono acquisirli presentano, entro trenta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, un’apposita domanda di attribuzione alla Agenzia del Demanio. Sulla base delle richieste di assegnazione pervenute è adottato, entro i successivi trenta giorni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, riguardante l’attribuzione dei beni, che produce effetti dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale e che costituisce titolo per la trascrizione e per la voltura catastale dei beni a favore di ciascuna Regione o ciascun Ente locale.
Art. 4
(Status dei beni)
1. I beni, trasferiti con tutte le pertinenze, accessori, oneri e pesi, entrano a far parte del patrimonio disponibile dei Comuni, delle Province, delle Città metropolitane e delle Regioni, salvo quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, che restano assoggettati al regime stabilito dal codice civile, nonché alla disciplina di tutela e salvaguardia dettata dal medesimo codice, dal codice della navigazione e dalle leggi regionali, statali e comunitarie di settore. Ove ne ricorrano i presupposti, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attribuzione dei beni demaniali diversi da quelli appartenenti al demanio marittimo, idrico e aeroportuale, indica motivatamente l’inclusione dei beni nel demanio o nel patrimonio indisponibile.
2. Il trasferimento dei beni ha effetto dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 3, comma 2, secondo periodo. Il trasferimento ha luogo nello stato di fatto e di diritto in cui i beni si trovano, con contestuale immissione di ciascuna Regione ed Ente locale nel possesso giuridico e subentro in tutti i rapporti attivi e passivi relativi ai beni trasferiti, fermi restando i limiti derivanti dai vincoli storici, artistici e ambientali.
Art. 5
(Tipologie dei beni)
1. I beni immobili statali che, a titolo non oneroso, sono trasferiti a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni che li richiedono sono i seguenti:
a) tutti i beni appartenenti al demanio marittimo e relative pertinenze, come definiti dall’articolo 822 del codice civile e dall’articolo 28 del codice della navigazione, con esclusione di quelli direttamente utilizzati dalle amministrazioni statali;
b) tutti i beni appartenenti al demanio idrico di interesse regionale o provinciale e relative pertinenze, nonché le opere idrauliche e di bonifica di competenza statale, come definiti dagli articoli 822, 942, 945, 946 e 947 del codice civile e dalle leggi speciali di settore;
c) tutti gli aeroporti di interesse regionale appartenenti al demanio aeronautico civile statale e le relative pertinenze, come definiti dall’articolo 698 del codice della navigazione;
d) tutte le miniere e le relative pertinenze ubicate su terraferma;
e) tutte le aree e i fabbricati di proprietà dello Stato, diversi dalle tipologie di cui alle precedenti lettere, ad eccezione di quelli esclusi dal trasferimento ai sensi del comma 2 del presente articolo.
2. Fatto salvo quanto previsto al comma 4, sono in ogni caso esclusi dal trasferimento: gli immobili in uso per comprovate ed effettive finalità istituzionali alle Amministrazioni dello Stato, anche a ordinamento autonomo, agli Enti Pubblici destinatari di beni immobili dello Stato in uso governativo e alle Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni; i porti e gli aeroporti di rilevanza economica nazionale e internazionale, secondo la normativa di settore; i beni appartenenti al patrimonio culturale, salvo quanto previsto dalla normativa vigente; i beni oggetto di accordi o intese con gli Enti territoriali per la razionalizzazione o la valorizzazione dei rispettivi patrimoni immobiliari sottoscritti alla data di entrata in vigore del presente decreto; le reti di interesse statale, ivi comprese quelle energetiche; le strade ferrate in uso.
3. Ai fini dell’esclusione di cui al comma 2, le amministrazioni statali e gli altri enti di cui al medesimo comma 2 comunicano, in modo adeguatamente motivato, alla Agenzia del Demanio entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo gli elenchi dei beni di cui richiedono l’esclusione. Entro i successivi trenta giorni, con provvedimento del direttore dell’Agenzia l’elenco complessivo dei beni esclusi dal trasferimento è redatto ed è reso pubblico, a fini notiziali, anche con l’indicazione delle motivazioni pervenute, sul sito internet dell’Agenzia. Con il medesimo procedimento, il predetto elenco può essere integrato o modificato.
4. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e del Ministro per le riforme per il federalismo, sono individuati i beni immobili comunque in uso al Ministero della difesa che possono essere trasferiti ai sensi del comma 1, in quanto non ricompresi tra quelli utilizzati per le funzioni di difesa e sicurezza nazionale, non oggetto delle procedure di cui all’articolo 14-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e di cui all’articolo 2, comma 628, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, nonché non funzionali alla realizzazione dei programmi di riorganizzazione dello strumento militare finalizzati all’efficace ed efficiente esercizio delle citate funzioni, attraverso gli specifici strumenti riconosciuti al Ministero della difesa dalla normativa vigente.
5. Sono in ogni caso esclusi dai beni di cui al comma 1 i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica.
Art. 6
(Semplificazione delle procedure di attuazione del federalismo demaniale)
1. Al fine di favorire l’attuazione del criterio di cui all’articolo 2, comma 5, lettera c), la disciplina dei fondi immobiliari di cui all'articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86, è riordinata e adeguata mediante uno o più regolamenti, da emanare entro il termine di sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per gli affari regionali, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) attribuzione ai fondi immobiliari dei beni immobili da parte dello Stato in proporzione al valore fissato al momento del trasferimento dei suddetti beni;
b) possibilità che le quote dei suddetti fondi immobiliari possano essere sottoscritte anche da persone fisiche, persone giuridiche e altri enti privati, con versamenti in denaro o apporto di beni immobili o di altri diritti reali, condizionati, nel caso di attribuzione a titolo non oneroso di beni statali, a un contestuale ed equivalente apporto a titolo gratuito dei sottoscrittori privati; possibilità di partecipazione di più Regioni ed Enti territoriali ai fondi immobiliari e di attribuzione a titolo non oneroso di beni statali successivamente alla prima emissione di quote con conseguente trasferimento delle stesse tra le Regioni e gli Enti locali in relazione al beneficio derivante pro-quota dall’apporto suddetto, secondo la stima di un esperto indipendente;
c) possibilità di utilizzare la liquidità per l’acquisto di beni immobili funzionali alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del fondo;
d) indicazione espressa delle disposizioni che trovano applicazione in materia di quota minima percentuale dell’apporto degli enti territoriali, di facoltatività dell’apporto in denaro da parte degli enti territoriali, di possibilità di utilizzazione della liquidità per l’acquisto di beni immobili funzionali alla valorizzazione del patrimonio immobiliare del fondo, di dismissione delle quote, nonché di offerta al pubblico qualora il collocamento delle quote dei fondi avvenga presso investitori istituzionali o qualificati;
e) previsione che, ferma restando l’applicabilità, riguardo agli apporti effettuati dagli enti pubblici, della disciplina fiscale di cui ai commi 10 e 11 dell’articolo 14-bis della legge 25 gennaio 1994, n. 86, agli apporti dei beni immobili effettuati dai privati ai fondi disciplinati dal presente articolo sia applicabile la normativa già in vigore riguardo agli apporti ai fondi immobiliari di cui all’articolo 37 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58;
f) possibilità di prevedere contestuali o successivi conferimenti di altri beni dello Stato, delle Regioni o degli Enti locali.
Art. 7
(Disposizioni finali)
1. Tutti gli atti, contratti, formalità e altri adempimenti necessari per l'attuazione del presente decreto sono esenti da ogni diritto e tributo.
2. Con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’economia e delle finanze, sentiti il Ministro dell’interno, il Ministro per la semplificazione normativa, il Ministro per le riforme per il federalismo e il Ministro per gli affari regionali, sono determinati criteri e tempi per ridurre le risorse a qualsiasi titolo spettanti alle Regioni e agli Enti locali in funzione della riduzione delle entrate erariali conseguente alla adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all’articolo 3.

La manovra da 25 miliardi (25 maggio 2010)
Arriva una sanatoria per gli immobili fantasma, scende il tetto della tracciabilità del contante, viene varata una stretta sulle invalidità e nuove regole per il redditometro. Si dimezza la spesa per la formazione nella Pubblica amministrazione, si riducono i rimborsi ai partiti, arriva un piccolo taglio agli stipendi dei politici (10% sulla parte eccedente gli 80mila euro). Zero Irap, poi, per le imprese che operano nel mezzogiorno. Prevista anche una stretta sull'uso delle risorse da parte della protezione civile e un giro di vite sulle auto blu. Nella manovra di Tremonti, di «tagli e sacrifici», ecco un primo dettaglio delle misure, dall'accertamento degli immobili fantasma alla tracciabilità dei pagamenti. Accertamento immobili fantasma. Sulla base dei rilievi aerofotogrammetrici effettuati dall'Agenzia del territorio, e degli accertamenti già notificati, obbligo per gli interessati di dichiarazione di aggiornamento catastale, con riduzione delle sanzioni a un terzo. In mancanza, attribuzione di rendita presunta, retroattività della rendita. Obbligo di indicare negli atti soggetti a trascrizione identificazione catastale e relative planimetrie integrazione tra funzioni catastali residuate all'agenzia del territorio e Comuni. Accertamento, partecipazione dei Comuni. Potenziamento della partecipazione dei Comuni all'accertamento e al recupero dei tributi evasi, con attribuzione ai comuni del 33% delle maggiori entrate così reperite. Affitti e manutenzioni negli apparati amministrativi. Prevista una riduzione della spesa per affitti e manutenzioni. Apparati amministrativi, organi collegiali e di indirizzo. Per incarichi di partecipazione a organi collegiali è possibile percepire solo il rimborso spesa, e, il gettone di presenza non può superare 30 euro. Per la partecipazione a organi collegiali di enti pubblici o privati che ricevono contributi pubblici si possono percepire solo il rimborso spesa, e, il gettone di presenza non può superare 30 euro. Riduzione del 10% delle indennità e compensi ai componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo. Assegno di invalidità, riduzione della spesa. Elevazione della percentuale di invalidità dal 74% all'80% per la concessione dell'assegno di invalidità. Si intensifica il piano controlli invalidità civile: il programma di verifiche Inps prevede 100mila controlli per l'anno 2010 e di 200mila l'anno per ciascuno degli anni 2011 e 2012 nei confronti dei titolari di benefici economici di invalidità civile. Viene chiesto un concorso delle Regioni alle spese per invalidità civile: a valere sui trasferimenti alle regioni, il 45% degli stessi sono redistribuite tenendo conto della distribuzione pro-capite della spesa effettuata in ciascuna regione per invalidità civile. Revisione della procedura sull'accertamento della condizione di handicap, con accertamento delle Aziende sanitarie mediante appositi accertamenti collegiali. Auto blu. Arrivano limitazioni all'uso delle autovetture di servizio: con esclusione dei Vigile del Fuoco e del comparto sicurezza, riduzione delle spese all'80 % della spesa sostenuta nell'anno 2009 per l'acquisto, la manutenzione, il noleggio e l'esercizio di autovetture, nonché per l'acquisto di buoni taxi. Casellario dell'assistenza. Monitoraggio costante e incrociato dei dati rilevanti ai fini dell'erogazione dei trattamenti di pensione con la creazione, presso Inps, del casellario dell'assistenza e il rafforzamento dell'obbligo di comunicazione dei redditi da pensione ai fini dell'accertamento della situazione reddituale. Censimento immobili enti previdenziali e razionalizzazione. Previsto un censimento degli immobili degli enti previdenziali, con specifica indicazione di quelli a uso istituzionale e di quelli in godimento a privati. Razionalizzazione nella gestione degli immobili adibiti ad uffici in uso governativo: gli enti previdenziali provvedono all'acquisto di immobili adibiti ad ufficio in locazione passiva alle amministrazioni pubbliche. Concessioni autostradali. Determinazione del termine per l'avvio delle gare di rinnovo convenzioni autostrade: in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni Cipe gli schemi si intendono non approvati e sono sottoposti alle procedure ordinarie. Controlli di spesa delle amministrazioni centrali attraverso l'eliminazione delle forme di autonomia finanziaria. Prevista la riduzione dei centri di spesa dotati di autonomia finanziaria estranei ai ministeri e alle ordinarie regole di controllo finanziario. Costi della politica, tagli per ministri e sottosegretari. Prevista una riduzione del 10% per la parte eccedente gli 80mila euro del trattamento economico di ministri e sottosegretari non parlamentari. Riduzione della spesa degli Organi costituzionali destinata alla cassa integrazione. Le risorse ottenute dalle riduzioni di spesa dalla Presidenza della Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati e dalla Corte Costituzionale saranno destinate alla cassa integrazione. Costi della politica, riduzione rimborsi ai partiti. Riduzione dei rimborsi a favore dei partiti politici. Viene dimezzato il contributo di un euro quale moltiplicatore per il numero dei cittadini della Repubblica iscritti nelle liste elettorali per le elezioni della Camera dei deputati. Soppresse le quote annuali dei rimborsi in caso di scioglimento anticipato del Parlamento. Costi della politica, incarichi svolti da titolari di cariche elettive. I titolari di cariche elettive, per gli incarichi conferiti dalle Pubblica amministrazione possono percepire solo il rimborso spesa e il gettone di presenza non può superare 30 euro. Costi della politica, incarichi nei governi degli enti locali. Prevista una riduzione del 10% dei compensi dei componenti degli organi di autogoverno della magistratura ordinaria, amministrativa, contabile, tributaria, militare, dei componenti del Consiglio di giustizia amministrativa della Regione siciliana e dei componenti del Cnel, Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Crisi aziendali. Per favorire la composizione delle crisi d'impresa: prededuzione per i finanziamenti erogati in attuazione degli accordi (concordatari o di ristrutturazione dei debiti), e per i finanziamenti-ponte concessi ed erogati dagli intermediari nella fase precedente il deposito delle domande di ammissione alla procedura di concordato preventivo. Accordi di ristrutturazione: sospensione delle azioni esecutive e cautelari in corso anche durante le trattative decisa dal tribunale nel corso di un'udienza alla quale sono chiamati a partecipare tutti i creditori (per preservare il diritto di difesa dei creditori estranei). Esonero dalla responsabilità per bancarotta per istituti introdotti dalla riforma fallimentare e nei quali opera il controllo giudiziario: concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti e piani stragiudiziali attestati. Definanziamento leggi di spesa non utilizzate negli ultimi tre anni. Definanziamento degli stanziamenti improduttivi, non utilizzati nel corso degli ultimi tre anni. Le risorse saranno destinate al fondo ammortamento dei titoli di Stato. Fiscalità a vantaggio per il Sud. Per le regioni del Sud, anticipazione della possibilità di istituire un tributo proprio sostitutivo dell'Irap con riferimento alle imprese avviate dopo il provvedimento, con possibilità di riduzione o azzeramento dell'Irap. Formazione, taglio alle spese. Riduzione del 50% delle spese per la formazione. Immobili a uso governativo. Razionalizzazione nella gestione degli immobili adibiti a uffici in uso governativo: gli enti previdenziali provvedono all'acquisto di immobili adibiti a ufficio in locazione passiva alle amministrazioni pubbliche. Mutui della Cassa depositi e prestiti, riprogrammazione. Reperimento risorse per infrastrutture da mutui interamente non attivati, così da consentire la prosecuzione del finanziamento del Mose, e quindi senza intaccare il cosiddetto Fondo infrastrutture. Organi di amministrazione e di controllo degli enti pubblici. Riduzione dei componenti do organi di amministrazione e di controllo degli enti pubblici (n. 5) nonché del collegio dei revisori (n. 3). Partecipazione alle missioni all'estero. I proventi dell'attività di liquidazione degli enti disciolti sono destinati al finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace. Patto di stabilità interno e altre disposizioni sugli enti territoriali. Contributo di regioni ed enti locali in proporzione all'incidenza sul bilancio complessivo del settore pubblico. Sanzioni mancato rispetto Patto di Stabilità interno 2010 e successivi: riduzione trasferimenti; perdita dell'eleggibilità degli amministratori pubblici. Possibilità per gli enti locali di utilizzare residui passivi in conto capitale al 31 dicembre 2008 (con abrogazione del meccanismo della premialità per l'anno 2010). Attribuzione ai Comuni di un contributo di 200 milioni di euro da ripartire in base a decreto Ministro interno. Roma Capitale: in funzione di anticipazione del federalismo e della delega su Roma Capitale, creazione di un fondo di 200 milioni per concorso agli oneri del piano di rientro, erogabili solo a condizione di verifica positiva circa il reperimento da parte del Comune delle restanti risorse, nonché di quelle occorrenti per mantenere l'equilibrio della gestione ordinaria; per questa finalità, possibilità per il Comune di ricorrere a una serie di misure fiscale e di riduzione delle spese appositamente autorizzate. Regione Campania: annullamento atti della precedente giunta con cui si deliberava di violare il patto e trasmissione alla Corte dei Conti; revoca incarichi di dirigenti; piano di rientro con commissario ad acta. Esercizio in forma associata delle funzioni da parte dei piccoli comuni. Divieto per piccoli Comuni di costituire società. Norma interpretativa su Iva /Tia per evitare il rimborso a carico dei Comuni e delle società municipalizzate. Pedaggio rete autostradale Anas. Possibilità di introdurre il pedaggio di tratti di strade di connessione con i tratti autostradali. Pensioni. Finestra mobile dal 2011 per pensione di vecchiaia: 6 mesi dalla maturazione dei requisiti. Conferma 2 finestre per pensionamento anticipato dal 2011 con almeno 40 anni di contributi Pro - rata anzianità contributive maturate dal 2011. Accelerazione età pensionabile donne del pubblico impiego. Protezione civile, razionalizzazione. Le ordinanze della presidenza del Consiglio dei ministri sono limitate ai casi da fronteggiare con mezzi e poteri straordinari e tali da determinare situazioni di grave rischio per l'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e dell'ambiente (con esclusione dei grandi eventi). La durata degli stati di emergenza è correlata ai tempi di realizzazione dei primi indispensabili interventi. Le ordinanze saranno adottate di concerto con il ministero dell'Economia per garantire una adeguata copertura finanziaria. Viene limitata la possibilità di deroga alla normativa sugli appalti alle sole ipotesi di assoluta eccezionalità dell'emergenza, da valutarsi in relazione al grave rischio di compromissione dell'integrità della vita umana. Si prevede in ogni caso la trasmissione all'Autorità vigilanza lavori pubblici. Divieto di girofondi, salvo che non siano espressamente autorizzati da norma di legge, allo scopo di garantire la trasparenza dei flussi finanziari e della rendicontazione. Limitazione potere di deroga in materia di pubblico impiego con riguardo a disposizioni contrattuali o provvedimenti amministrativi di autorizzazione ai trattamenti economici accessori del personale, nonché a istituti retributivi oggetto di interventi di contenimento della spesa per il personale del Pubblico impiego. Le ordinanze saranno sottoposte al controllo preventivo della Corte dei conti. Per limitare e meglio disciplinare il ricorso alla secretazione, possibilità per i dirigenti generali di adottare provvedimenti motivati con cui dichiarano le opere, servizi e forniture da considerarsi «segreti», oppure «eseguibili con speciali misure di sicurezza». Sul fronte della liquidazione delle competenze degli avvocati dello Stato, nei casi in cui le Amministrazioni non siano rimaste soccombenti, oggi l'Erario liquida ugualmente all'avvocatura generale la metà delle competenze di avvocato e di procuratore, calcolate applicando le tariffe professionali che si sarebbero liquidate nei confronti del soccombente. Viene disposta a riduzione di tali compensi in misura stabilita annualmente dal Presidente del Consiglio, comunque in misura non inferiore al 10 per cento. Possibilità di utilizzo per il finanziamento della partecipazione italiana alle missioni internazionali di pace delle somme relative ai rimborsi corrisposti dall'Organizzazione delle Nazioni Unite, quale corrispettivo di prestazioni rese dalle Forze armate italiane nell'ambito delle operazioni internazionali di pace. Viene prorogato il divieto di aggiornamento di indennità e compensi. Pubblico impiego, contenimento delle spese. Per gli anni 2010, 2011, 2012 e 2013 il trattamento economico complessivo dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, compreso il trattamento accessorio, non può superare il trattamento in godimento nell'anno 2009. Fino al 2013 i trattamenti economici complessivi dei singoli dipendenti, anche di qualifica dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche, superiori a 90mila euro lordi annui sono ridotti del 5% per la parte eccedente il predetto importo fino a 130mila euro, nonché del 10% per la parte eccedente 130mila euro. I rinnovi contrattuali del personale dipendente dalle pubbliche amministrazioni per il biennio 2008-2009 e i miglioramenti economici del rimanente personale in regime di diritto pubblico per il medesimo biennio non possono determinare aumenti retributivi superiori al 3,2 per cento. Estensione per ulteriori due anni della limitazione al turn over personale. L'organico degli insegnanti di sostegno per l'anno 2010-2011 deve rimanere invariato rispetto all'a.s. 2009/2010. Possibilità per il personale in soprannumero di essere impiegato presso uffici che presentono vacanze organiche. Limitazione alla possibilità per le amministrazioni dello Stato di avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni o con contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Utilizzo delle risorse stanziate negli anni precedenti per il riordino delle carriere del personale del comparto sicurezza – difesa al fine di concorrere alla realizzazione degli obiettivi di indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni e dei saldi di finanza pubblica. Per agevolare la riduzione degli assetti organizzativi i trattenimenti in servizio possono essere disposti esclusivamente nei limiti consentiti dalla proroga delle limitazioni al turn over. Le risorse destinabili a nuove assunzioni in base alle predette cessazioni sono ridotte in misura pari all'importo del trattamento retributivo derivante dai trattenimenti in servizio. Soppressione della posizione di stato di ausiliaria conseguentemente il personale militare in servizio permanente delle Forze armate, compresa l'Arma dei carabinieri, e del Corpo della Guardia di finanza, all'atto della cessazione dal servizio per qualsiasi causa è collocato direttamente nella categoria della riserva. Abrogazione conservazione trattamento economico in caso di mancata riconferma del dirigente: le pubbliche amministrazioni che, alla scadenza di un incarico di livello dirigenziale, non intendono confermare l'incarico conferito al dirigente, conferiscono al dirigente un altro incarico, anche di valore economico inferiore. Riduzione delle risorse per la contrattazione integrativa del personale delle agenzie fiscali e del Mef. Soppressione indennità di comando al personale militare che opera a terra. Interpretazione autentica in materia di indennità di comando al fine di ricondurla nei limiti delle risorse stanziate. Indennità di impiego operativo per reparti di campagna.: rideterminazione del contingente di personale al quale viene corrisposta nella misura del 70% di quello determinato per l'anno 2009. Redditometro. Delega all'Agenzia delle entrate per riscrivere il redditometro. L'accertamento scatta quando il reddito dichiarato é inferiore del 20% rispetto a quello del redditonetro (attualmente scatta se inferiore del 25%). Riduzione spese missioni negli apparati amministrativi. Riduzione del 50% delle spese sostenute per missioni, a esclusione delle missioni internazionali di pace nonché di quelle strettamente connesse ad accordi internazionali o indispensabili per assicurare la partecipazione a riunioni presso enti e organismi internazionali o comunitari. Riduzione spese Pubblica amministrazione. Riduzione per le Pubbliche amministrazioni delle spese, che non possono essere superiore al 20% di quella sostenuta nell'anno 2009 per studi e consulenze nonché per relazioni pubbliche, convegni, mostre, pubblicità. Società partecipate. I compensi per incarichi conferiti da società ai quali lo Stato partecipa o contribuisce a pubblici dipendenti confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza o del personale non dirigenziale. Società pubbliche. Riduzione delle spese per studi e consulenze, per relazioni pubbliche, convegni, mostre e pubblicità, nonché per sponsorizzazioni. Società pubbliche in perdita. Divieto per le amministrazioni pubbliche di effettuare aumenti di capitale, trasferimenti straordinari, aperture di credito, o rilasciare garanzie a favore delle società partecipate non quotate che abbiano registrato, per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio ovvero che abbiano utilizzato riserve disponibili per il ripianamento di perdite anche infrannuali. Società pubbliche non quotate. Riduzione del 10 % dei compensi dei componenti degli organi delle società pubbliche non quotate. Società statali, dividendi. Dal 2011 proventi da dividendi per 500 milioni a riduzione degli oneri sul debito pubblico; per la parte eccedente, alla riduzione del debito. Soppressione e incorporazione di enti e organismi pubblici. Prevista la soppressione e il riordino di enti pubblici e organismi. In particolare sono soppressi Ipsema e Ispesl con trasferimento delle funzioni e dotazioni organiche all'Inail. Soppressione dell'Ipost con trasferimento funzioni e dotazioni organiche all'Inps. Prevista anche la soppressione dell'Isae con trasferimento di funzioni e relative risorse al Mef e all'Istat per ricercatori e tecnologi. Soppressione dell'Ente italiano montagna, con trasferimento funzioni al Dipartimento per gli affari regionali della medesima presidenza. Soppressione dell' Ice con trasferimento funzioni rispettivamente, al ministero degli Affari esteri (rete all'estero) e al ministero per lo Sviluppo (sede centrale). Soppressione e accorpamento di altri enti accorpati ai rispettivi ministeri vigilanti o ad altri grandi enti di ricerca. Per gli enti che non hanno risposto alle richieste di informazione inviate nei mesi scorsi per conoscere come tali soggetti (enti, istituti, fondazioni e altri organismi) abbiano utilizzato i finanziamenti a carico del bilancio dello Stato è prevista la soppressione del finanziamento pubblico; la creazione di un unico fondo, di importo inferiore, solo per sopperire a situazioni di comprovata necessità. Soppressioni delle Commissioni mediche di verifica a eccezione di quelle presenti nei capoluoghi di regione e nelle Province a speciale autonomia, che subentrano nelle competenze delle Commissioni soppresse. Soppressione comitato Sir. Prevista la soppressione comitato Sir e il riversamento al bilancio dei proventi. Spesa sanitaria. Prevista l'implementazione del progetto tessera sanitaria, mentre é prevista la prosecuzione dei piani di rientro per le regioni. Sospensione delle azioni esecutive nei confronti delle regioni commissariate fino al 31 dicembre 2010. Potenziamento del meccanismo di acquisti centralizzati. Proroga dell'esenzione del ticket. Sul fronte del ontrollo della spesa farmaceutica previsto il recupero degli extra sconti praticati dai grossisti ai farmacisti. Riduzione della distribuzione ospedaliera di farmaci (per rientrare nella rete territoriale, immediatamente monitorata nelle implicazioni finanziarie). Gara Aifa per l'individuazione delle specialità erogabili come farmaci equivalenti, in numero non superiore a 4 per specialità. Riduzione del prezzo dei farmaci equivalenti. Raffronto Aifa tra la spesa farmaceutica delle diverse regioni. Spese di sponsorizzazione. Divieto per gli apparati amministrativi di effettuare spese per sponsorizzazione. Stanziamenti di bilancio, riduzione e flessibilità. Tenuto conto dei tagli operati su tutti i comparti della spesa dello Stato e in vista della predisposizione del prossimo ddl di bilancio, si ripropone lo strumento della massima flessibilità di bilancio, che ha dato esiti positivi in occasione delle misure di contenimento della spesa pubblica introdotte con il decreto legge 112/2008, al fine di mettere in condizione le pubbliche amministrazioni di far fronte alla riduzione lineare del 10% delle dotazioni finanziarie. Esclusi dal taglio il fondo ordinario delle università e le risorse destinate all'informatica, alla ricerca e al finanziamento del 5 per mille. Stock option. Aumenta la tassazione su stock option e bonus. In pratica scatterà un'aliquota addizionale del 10 per cento. Il giro di vite interessa le remunerazioni che eccedono il triplo della parte fissa della retribuzione. Tracciabilità dei pagamenti. Scende a 5mila euro, dagli attuali 12.500 euro, con possibilità di variazione in relazione alla media europea, il tetto alla tracciabilità del contante. Possibilità di ricorrere a pagamenti effettuati dalle Pubbliche amministrazioni tramite l'utilizzo di carte elettroniche istituzionali (tracciabilità, trasparenza, possibilità di utilizzo per altre finalità connesse).
Le ultime modifiche. La manovra varata dal governo riserva ancora qualche sorpresa. Nel «testo ufficiale» del decreto ci sono infatti anche alcuni aspetti che come quello relativo alla soppressione delle province, che adesso viene smentito direttamente da Silvio Berlusconi. Nel documento si parlava della cancellazione delle mini-province con meno di 220 mila abitanti e della delineazione delle aree delle nuove circoscrizioni. Berlusconi, confutando quindi tutti i dubbi sull’ingresso o meno della norma nel decreto approvato dal Consiglio dei ministri, invece ha detto: «Non c’è nessun accenno nel decreto» rispondendo da Parigi durante la riunione ministeriale dell’Ocse. Tornando ai punti del decreto. Arriva il «contratto alla tedesca» per i lavoratori italiani: il fisco e la previdenza faranno lo sconto ai «premi» dati ai dipendenti che hanno contributo a far guadagnare la propria impresa o a renderla più competitiva. La novità scatterà dal 2011 e si applicherà su importi fino a 6.000 euro per redditi non superiori a 40.000 euro. Lo prevede - secondo il testo in possesso dell'agenzia Ansa - un articolo contenuto nel testo finale della manovra che, pur non indicando la percentuale di tassazione, introduce il concetto di premialità fiscale per la parte di salario collegato agli utili aziendali. Nel 2011 - è stabilito nella norma - sono soggette a un'imposta sostitutiva dell'Irpef «le somme erogate ai lavoratori dipendenti del settore privato, in attuazione di quanto previsto da accordi o contratti collettivi territoriali o aziendali e correlate a incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione, efficienza organizzativa, collegati ai risultati riferiti all'andamento economico o agli utili dell'impresa o ad ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale». La «determinazione del sostegno fiscale e contributivo» sarà definito dal governo, sentite le parti sociali.- Piccoli aggiustamenti anche sul fronte dei tagli agli stipendi degli statali. Per il triennio 2011-2013 il trattamento economico complessivo dei dipendenti pubblici non potrà superare l'importo del 2010. Il «congelamento» dei trattamenti vale anche per «il trattamento accessorio previsto dai rispettivi ordinamenti delle amministrazioni pubbliche». Lo prevede uno degli articoli portanti del testo definitivo. Lo stesso articolo «in considerazione della eccezionalità della situazione economica internazionale» prevede nello stesso periodo un taglio del 5% per i redditi superiori ai 90.000 euro annui, e del 10% sopra i 150.000 euro. La scure sulle retribuzioni dei dipendenti pubblici non consentirà inoltre ai rinnovi contrattuali stabiliti nel 2008-2009 di superare la soglia del 3,2%. Il testo prevede che «la disposizione si applica anche ai contratti ed accordi stipulati prima dell'entrata in vigore del presente decreto» e che «i trattamenti retributivi saranno conseguentemente adeguati» dal mese successivo a quello di entrata in vigore del decreto. Dal «taglio» sono salve le forze di polizia e i vigili del fuoco.- I compensi ai collaborati dei ministri saranno tagliati del 10%. «Le indennità corrisposte ai responsabili degli uffici di diretta collaborazione dei ministri - è scritto nel testo - sono ridotte del 10%. La riduzione si applica sull'intero importo dell'indennità». - Arrivano i rincari sulle autostrade, ma solo per quelle collegate con raccordi autostradali gestiti dall'Anas. La maggiorazione sarà di 1-2 euro, a seconda delle classi di pedaggio, e scatterà da luglio, cioè, «a decorrere dal primo giorno del secondo mese successivo a quello di entrata in vigore del presente decreto». L'aumento, che non potrà superare del 25% l'attuale pedaggio, durerà fino a quando non saranno stabiliti i criteri per l'introduzione dei pedaggi sulle autostrade e sui raccordi autostradali in gestione diretta Anas. Servirà a investimenti e manutenzione straordinaria. Passeranno a pedaggio anche le autostrade in gestione diretta dell'Anas - come ad esempio la Salerno-Reggio Calabria.
IMPRESA OGGI ritiene positiva la manovra ma, considera che vi siano alcuni problemi. Innanzitutto il drastico taglio alle spese della PA troverà una rete di interessi trasversali, specie al Sud, che tenterà in ogni modo di ostacolarlo; basti pensare che l'eliminazione di 10 provincie (sotto il 220 mila abitanti), prevista nella prima bozza, è scomparsa nel testo definitivo. D'altra parte dal 2000 al 2009 la spesa corrente della PA è cresciuta di 9.8 punti percentuali del Pil e gli stipendi dei dipendenti della PA sono aumentati molto di più di quelli del settore privato, pertanto è lì che occirre ridurre i costi. In secondo luogo riteniamo che il taglio delle spese debba essere contemporaneo alla riduzione delle aliquote fiscali per le persone fisiche e per le imprese. Ricordiamo che il rapporto Deficit/Pil migliora se diminuisce il numeratore o se aumenta il denominatore. Un ridotto carico fiscale mette in circolazione maggiore liquidità che può dare una spinta alla ripresa dell'economia. Per il decreto legge definitivo clicca qui.
Ma la crisi oggi è arrivata ad un altro grave stadio. Come spiegava mesi fa lo stesso Tremonti, “siamo in una sorta di video–gioco dove affiorano nuovi mostri. Quello di adesso è la crisi degli Stati sovrani a seguito del loro enorme debito pubblico”. La terapia anche in questo caso è semplice: occorre ridurre il peso della presenza dello Stato e ciò lo si fa  riducendo la spesa improduttiva. La Corte dei Conti dice che la spesa improduttiva per eccellenza, e su cui bisogna lavorare, è quella dei dipendenti pubblici. Il loro costo ammonta a 170 miliardi di euro che aumenta clamorosamente ogni anno. Il Ministero della Funzione Pubblica ha ufficializzato che, negli ultimi 10 anni se gli aumenti concessi ai “pubblici” fossero stati pari a quelli dati ai “privati”, lo Stato avrebbe risparmiato 7,5 miliardi di euro l’anno. Una cifra davvero impressionante. Anche nei conti previdenziali le cose non vanno bene per i dipendenti pubblici visto che il buco viaggia sugli 11 miliardi di euro. Al contrario per i lavoratori dipendenti privati il saldo è di (+) 4 miliardi di euro. Ora è evidente che gran parte del danno dei nostri conti sta proprio nella voce “dipendenti pubblici”. I costi sono altissimi, mentre la qualità del loro servizio è bassa. Le pratiche da loro lavorate  stanno mesi sulle scrivanie, qualsiasi investimento privato che necessita di un’autorizzazione della P.A. decolla con fatica o non decolla per niente. Ci sono poi i casi di dirigenti che guadagnano centinaia di migliaia di euro ogni anno e che fanno pure politica diretta o indiretta, o che non si prendono nessuna responsabilità. La Corte dei Conti dice che bisogna legare gli aumenti delle retribuzioni della Pubblica Amministrazione alla produttività, ma questa è una cosa a cui non crede più nessuno. Troppo forte è infatti la pressione che la burocrazia esercita nei confronti di chi governa. E se non vengono concessi gli aumenti la macchina amministrativa viene bloccata del tutto. Negli Enti Locali e in particolare nelle Regioni questa pressione è ancora più forte. Con queste condizioni il federalismo  sta nascendo già zoppo e l’unica proposta seria è quella di bloccare per qualche anno l’autonomia contrattuale degli Enti Locali per riconcederla poi con regole severissime e con vincoli di bilancio non scardinabili. Chiudo con un esempio. La Norvegia ha 5 milioni di abitanti ed ha la seconda riserva di petrolio più estesa al mondo. Grazie a queste condizioni i norvegesi potrebbero vivere di rendita per 400 anni e andare in pensione quando vogliono. Invece loro hanno alzato l’età pensionabile fino ad arrivare in molti casi a 75 anni di età. Le risorse risparmiate sono state investite verso le generazioni future mediante un welfare particolarmente favorevole alle famiglie. Guarda caso oggi in Norvegia la media dei figli è di 4,5 per ogni famiglia, contro la media di 1,9 in Italia. Per concludere tra 20 anni l’Italia sarà piena di vecchi e di poveri, mentre la Norvegia sarà un Paese vigoroso e ricco.

Rapporto annuale 2009 dell'Istat - L'economia italiana attraverso la crisi (27 maggio 2010).
l. Quella del 2008-2009 è stata la crisi più profonda della storia economica recente, per l’operare congiunto di squilibri di entità notevole nel settore finanziario, da dove ha tratto origine, in quello immobiliare e nella bilancia dei pagamenti. Il Pil mondiale nel 2009 è diminuito dello 0,6 per cento a parità di potere d’acquisto e del 2,0 per cento se misurato ai tassi di cambio di mercato. Nell’economia reale, la crisi si è concentrata sul settore manifatturiero e sul commercio internazionale: produzione industriale e interscambio si sono contratti rispettivamente dell’8,2 e del 10,6 per cento.
2. La recessione, d’altro canto, ha avuto durata relativamente breve: circa un anno, tra la primavera 2008 e la primavera 2009. Ciò anche grazie a un intervento di contenimento senza precedenti da parte delle autorità di governo. Nel biennio 2008- 2009 i paesi europei hanno destinato risorse per circa 400 miliardi di euro (il 3 per cento del Pil dell’Ue), dirette a imprese e famiglie. Le misure anti-crisi hanno tuttavia provocato un notevole peggioramento a medio termine dei conti pubblici.
3. L’impatto della crisi è stato molto diverso tra aree geo-economiche. Tra le economie emergenti, Cina e India sono state toccate solo marginalmente, mentre in Russia il Pil è caduto del 9 per cento, per il calo delle entrate dai prodotti energetici. Tra le economie avanzate, la recessione è stata contenuta negli Stati Uniti (-2,4 per cento nel 2009 e +2,8 per cento previsto dalla Commissione Europea per il 2010), e più profonda nell’Uem (-4,1 e +0,9 per cento).
4. Tra le maggiori economie europee, l’Italia ha registrato, nel biennio 2008-2009, la flessione del Pil più accentuata, pari al 6,3 per cento, contro il 3,8 per cento della Germania, il 3,5 della media Uem e l’1,7 per cento della Francia. Sommando questo risultato all’espansione modesta degli anni precedenti, per l’intero periodo 2001-2009 l’Italia è, in assoluto, il paese dell’Ue la cui economia è cresciuta meno: appena l’1,4 per cento, contro il 10 per cento dell’Uem e il 12,1 per cento dell’Ue.
5. A prezzi correnti, la crescita del Pil in Italia è di poco inferiore a quella media Uem: il peso dell’Italia sull’economia dell’Unione misurato in euro è, dunque, stato solo scalfito. Al tempo stesso, negli anni si è andato accumulando un differenziale di inflazione (e di competitività) rispetto alle economie più virtuose dell’area, in particolare la Germania.
6. La dinamica inflazionistica nell’Uem ha risentito in misura notevole degli andamenti delle quotazioni delle materie prime, con incrementi tendenziali dei prezzi alla produzione e al consumo saliti rispettivamente al 9,1, e 4,1 per cento, a luglio 2008. Dopo una fase di veloce disinflazione, il recupero delle quotazioni petrolifere e l’indebolimento dell’euro stanno nuovamente alimentando le tensioni nel sistema dei prezzi. Il differenziale dell’Italia con la media Uem si è acutizzato nella fase di disinflazione, e si mantiene positivo.
7. In Italia, la produttività oraria del lavoro ha segnato il passo durante il periodo di espansione e, nel biennio 2008-2009, si è contratta del 2,9 per cento, collocandosi quasi due punti percentuali sotto il livello del 2000, contro un aumento di 8,7 punti in Germania, 10,4 in Francia, 11,8 in Spagna e 12,8 nel Regno Unito. L’occupazione è, invece, cresciuta a ritmi analoghi a quelli dei paesi in cui l’espansione era più forte, e ha mantenuto una discreta capacità di resilienza attraverso la crisi, anche grazie a un uso estensivo della cassa integrazione guadagni.
8. La performance economica deludente negli anni precedenti la crisi trova un corrispettivo nella debolezza dei consumi privati (come in Germania) e nel contributo negativo della domanda estera netta (che, invece, nel caso della Germania ha sostenuto la crescita). Nella caduta d’attività dell’ultimo biennio, questi elementi hanno agito in modo analogo nelle altre maggiori economie dell’Uem, ma in misura più accentuata a quella media.
9. In particolare, nel 2009 i consumi delle famiglie in Italia si sono attestati circa due punti percentuali inferiori al livello del 2007, mentre sono rimasti stabili in Germania e sono cresciuti in Francia, sia pure a un ritmo ridotto. Il crollo degli investimenti, da solo, ha sottratto ben 4,4 punti percentuali alla crescita in Spagna, 2,3 per l’insieme dell’Uem e 2,5 punti in Italia (pari a metà del calo del Pil). I consumi collettivi, hanno offerto in Italia un supporto comparativamente modesto alla crescita: 0,1 punti percentuali, contro circa mezzo punto percentuale per l’insieme dell’Uem.
10. L’andamento congiunturale del Pil in tutte le maggiori economie dell’Uem è stato caratterizzato da una caduta molto marcata a cavallo tra 2008 e 2009, per la contrazione congiunta delle principali componenti di domanda. Nell’arco di due trimestri (quarto 2008 e primo 2009) si sono registrate diminuzioni dell’ordine del 6 per cento in Germania, del 5 per cento in Italia e del 3 per cento in Francia.
11. L’attività ha segnato un primo recupero nel secondo trimestre del 2009 in Francia e Germania e nel terzo in Italia (+0,4 per cento), mentre in Spagna la discesa è stata meno brusca ma si è protratta lungo tutto il corso dell’anno. Nell’ultima parte del 2009 e all’inizio del 2010 la ripresa è proseguita, pur con ritmi piuttosto incerti. In Italia, dopo una modesta flessione a fine 2009, nel primo trimestre di quest’anno l’economia è tornata a segnare un’espansione significativa (+0,5 per cento), che dà luogo a un risultato di crescita già acquisita per il 2010 pari allo 0,6 per cento.
12. Gli impulsi recessivi si sono concentrati nel settore delle costruzioni e in quello manifatturiero, al cui interno hanno maggiormente sofferto i comparti più esposti alla contrazione della domanda estera, soprattutto quello dei beni di investimento. Anche alcuni settori dei servizi connessi all’attività delle imprese hanno risentito della recessione in maniera acuta, mentre sono rimasti relativamente poco coinvolti quelli attivati dalla domanda delle famiglie e del settore pubblico. Gli indicatori di fiducia segnalano un progressivo consolidamento della ripresa nei prossimi mesi in tutti i settori, ad eccezione delle costruzioni.
13. Nella media 2009 la caduta del prodotto nell’Uem, misurata dalla variazione del valore aggiunto a prezzi base (valori concatenati) è stata del 4,2 per cento (+0,8 nel 2008). In termini di contributo alla caduta del valore aggiunto, l’industria in senso stretto ha assunto dappertutto un ruolo prevalente (nell’area euro, 2,7 punti percentuali), con intensità superiore alla media in Germania e in Italia e, all’opposto, molto meno marcata in Francia.
l4. L’andamento della produzione industriale, dopo una fase di espansione robusta nel biennio 2006-2007, ha avuto caratteristiche simili all’interno dell’Uem nel corso della recessione e nella fase di superamento della crisi. In tutti i maggiori paesi, si sono avuti un modesto calo nella primavera del 2008, poi una caduta importante fino all’inizio del nuovo anno e un recupero dall’aprile del 2009.
l5. Per il complesso dell’Uem, la contrazione della produzione, nella fase recessiva aprile 2008-marzo 2009, è stata pari al 21 per cento. Tuttavia, pur mostrando un profilo ciclico simile per tutti i grandi comparti, la riduzione è stata molto polarizzata tra i raggruppamenti d’industrie, con cadute di circa il 30 per cento per i beni strumentali e quelli intermedi e di circa il 15 per cento per le componenti dei beni di consumo e dell’energia. La ripresa, pure continua e di ampiezza significativa, è insufficiente per far prevedere un rapido recupero della produzione ai livelli precedenti la crisi.
l6. La specializzazione relativa nei settori più colpiti contribuisce a spiegare la diversa entità della caduta della produzione industriale nei singoli paesi (-19,0 per cento in Francia, -24,0 in Germania e -25,8 per cento in Italia). Il profilo della ripresa è risultato più rapido in Germania (a marzo 2010,+9,1 per cento rispetto al minimo dello scorso marzo al netto degli effetti di calendario), più lento e incerto in Spagna (+5,4), mentre nel nostro Paese l’intensità della risalita (+6,4 per cento) è stata simile a quella del complesso dell’area dell’euro (+6,9 per cento).
l7. I profili ciclici osservati per la produzione industriale hanno molti elementi in comune con l’evoluzione delle esportazioni di beni: una ripresa robusta negli anni 2006-2007 (soprattutto sui mercati extra-europei) e una caduta che, iniziata nella primavera del 2008, ha assunto dimensioni eccezionalmente ampie (nell’ordine del 30 per cento per l’insieme dell’Uem). La discesa si è arrestata intorno alla metà del 2009, e per l’Italia è stata più intensa (33,4 per cento) rispetto a Francia e Germania. Quest’ultimo paese, come nel caso della produzione industriale, ha mostrato una buona capacità di recupero, mentre il profilo di risalita è stato più incerto per l’Italia, soprattutto sui mercati europei.
l8. Nel caso delle costruzioni, per l’Uem l’indice di produzione (corretto per i giorni lavorativi) ha registrato una caduta del 4,4 per cento nel 2008 e dell’8,3 per cento nel 2009. L’attività è rimasta sostanzialmente stabile in Germania, mentre il paese più colpito è la Spagna, dove la discesa è iniziata già nel 2007 e a fine 2009 l’indice si collocava circa 30 punti sotto il livello di tre anni prima. In Italia e in Francia la discesa della produzione è iniziata nell’ultima parte del 2008, segnando poi una veloce caduta nel corso del 2009. Il settore non sembra avere ancora toccato il minimo ciclico: per l’insieme dell’Uem, a gennaio-febbraio 2010 l’indice ha segnato un calo congiunturale del 2,9 sul bimestre precedente.
l9. Riguardo ai servizi, la componente che in tutti i paesi ha maggiormente contribuito in senso negativo è stata quella del commercio, riparazioni, alberghi e ristoranti, trasporti e comunicazioni (sottraendo 1,0 punti percentuali di valore aggiunto totale nella media dell’area). L’aggregato dei servizi pubblici, sociali e personali ha agito da stabilizzatore, con un apporto positivo (in media 0,3 punti percentuali) in tutti i principali paesi dell’area, eccezion fatta per l’Italia dove è stato nullo.
20. Nel 2009 il potere d’acquisto pro capite è sceso sotto il livello del 2000. Al netto dell’effetto dell’aumento di popolazione, la discesa del potere d’acquisto delle famiglie è stata di circa 3 punti percentuali in un biennio, con un profilo simile a quanto accaduto nella crisi del 1992-93. I consumi, tuttavia, ne hanno risentito comparativamente meno per la contestuale riduzione della propensione al risparmio, scesa al di sotto dei livelli di tutte le altre maggiori economie Uem.
21. Nel 2009, il reddito disponibile delle famiglie in termini nominali è caduto del 2,8 per cento in Italia, mentre ha mantenuto una dinamica positiva in tutti gli altri grandi paesi europei. Contestualmente, la spesa per consumi finali a prezzi correnti in Italia e nel Regno Unito è diminuita di quasi il 2 per cento, è aumentata leggermente in Germania e Francia (rispettivamente del +0,4 e +0,6 per cento), ed è crollata (-5,5 per cento) in Spagna, dove si è prodotta una brusca risalita della propensione al risparmio. La contrazione di reddito e consumi si è attenuata alla fine dell’anno.
22. La recessione ha avuto un impatto negativo sui conti pubblici di tutte le economie europee. In rapporto al Pil, per l’insieme dell’Uem nel 2009 l’indebitamento netto è salito dal -2,0 al -6,3 per cento, e il debito pubblico dal 69,4 al 78,7 per cento. L’Italia è riuscita a contenere il deterioramento dei conti limitando gli interventi di spesa, beneficiando di una riduzione degli interessi e frenando il calo di entrate con misure una tantum. In rapporto al Pil l’indebitamento è aumentato dal -2,7 al -5,3 per cento (38 miliardi di euro), mentre ha raggiunto il -11,2 per cento in Spagna e il -7,5 in Francia. La Germania è riuscita a contenere l’incidenza dell’indebitamento al -3,3 per cento.
23. Il saldo primario (indebitamento al netto della spesa per interessi) è stato negativo in Italia per la prima volta dal 1991 e pari a -0,6 per cento del Pil, con un’erosione di 2,3 punti percentuali rispetto al 2008. Un profilo analogo si riscontra per la Germania (-0,7 per cento). Nelle altre grandi economie il saldo primario era negativo già nel 2008 e subisce deterioramenti più importanti (fino al -5,2 per cento in Francia e al -9,4 per cento in Spagna e nel Regno Unito).
24. In Italia, l’entità della caduta del Pil e i livelli elevati del rapporto debito/Pil e degli oneri per il servizio del debito hanno determinato, nonostante il valore contenuto del deficit primario, una salita del debito pubblico in rapporto al Pil dal 106,1 al 115,8 per cento (il livello più alto nell’Ue), con un aumento di circa 10 punti percentuali come in Francia, meno dei 13 punti della Spagna, ma sopra i 7,2 della Germania.
25. L’incidenza della spesa pubblica sul Pil in Italia è aumentata di 3,1 punti percentuali, superando la soglia del 50 per cento per la prima volta dal 1998. Si tratta di un andamento in linea con la tendenza generale europea. Le prestazioni sociali in denaro costituiscono la voce che in tutte le maggiori economie ha contribuito di più all’aumento di spesa (1,8 punti percentuali in Italia, poco di più in Francia e Germania, e ben 3 e 4 punti rispettivamente nel Regno Unito e in Spagna). Negli altri paesi, anche le prestazioni in natura hanno avuto un impatto molto pronunciato. Gli interessi hanno invece agito da freno sottraendo, nel caso dell’Italia, ben 1,3 punti percentuali (ovvero, circa 10 miliardi di euro, o mezzo punto percentuale di Pil).
26. L’Italia è uno dei pochi paesi europei in cui nel 2009 è aumentato il rapporto tra entrate e Pil. Ciò è dovuto a una caduta del Pil (-5,0 per cento) superiore a quella delle entrate totali (l’1,9 per cento). Per lo stesso motivo, la pressione fiscale è salita di tre decimi di punto, fino al 43,2 per cento. Caso unico tra le grandi economie, risultano in crescita le imposte in conto capitale (per quasi 12 miliardi di euro), sospinte da circa 5 miliardi di euro per lo “scudo fiscale” e dal versamento una tantum per l’imposta sostitutiva di alcuni tributi. È invece calato del 4,2 per cento il gettito delle imposte indirette (già diminuito del 4,9 per cento nel 2008), del 7,1 per cento quello delle imposte dirette e dello 0,5 per cento quello dei contributi sociali effettivi.
27. La contrazione complessiva delle entrate in Italia e Germania è stata dell’ordine del 2 per cento, Molto maggiore è, invece, il calo delle entrate nelle altre grandi economie: 4,3 per cento in Francia (essenzialmente a causa della diminuzione delle imposte dirette), e 8,6 e 9,4 per cento, rispettivamente, nel Regno Unito e in Spagna, dove è caduto il gettito sia delle imposte dirette sia di quelle indirette.

Ocse, la ripresa è ancora fragile (28 maggio 2010).
La ripresa dalla crisi economica è ancora fragile e la comunità internazionale deve puntare a rafforzare le regole per tornare a una crescita che però non può essere senza una contemporanea ripresa dell’occupazione.La riunione dei ministri economici dell’Ocse, presieduta dall’italiano Giulio Tremonti, ha oggi approvato un documento che fissa i dieci principi condivisi dai 36 Stati partecipanti (34 membri, compresi i 4 appena entrati, più gli ospiti Brasile e Russia) in termini di correttezza, integrità e trasparenza per rendere i mercati più forti ed equi. Per la prima volta, e proprio sotto la presidenza italiana (che non la otteneva da oltre 35 anni), l’Ocse prende dunque posizione su temi diversi da quelli di cui storicamente si occupa, strettamente economici e finanziari, per spaziare nel campo del diritto e dell’etica. Il documento sarà prossimamente sottoposto all’esame del G20, non necessariamente in occasione della prossima riunione coreana a livello ministeriale (in programma a Busan nel prossimo week end) ma probabilmente a quella di fine giugno in Canada. I “legal standard” fissati oggi a Parigi riguardano la gestione delle aziende e dei mercati, la lotta alla corruzione e più in generale una governance ispirata ai principi di correttezza, integrità e trasparenza. Oltre ai 34 Stati dell’Ocse (che ieri ha accolto Estonia, Slovenia e Israele e nei giorni scorsi il Cile) hanno firmato il documento anche due fra gli Stati in trattativa per un prossimo ingresso, Brasile e Russia; alla stesura dei principi hanno partecipato anche i rappresentanti all’Ocse degli imprenditori e dei sindacati. «Il numero dei Paesi che ha firmato il nuovo documento è altissimo. Allora ti chiedi se è isolata la maggioranza o se è isolata un’eccezione», dice Giulio Tremonti, nella conferenza stampa conclusiva dei lavori dell’Ocse, rispondendo alla domanda di un giornalista che chiedeva se il protocollo sullo scambio di informazioni fiscali senza la firma della Svizzera sia un’arma spuntata. Tremonti si dice soddisfatto del risultato raggiunto: «Ieri il primo ministro di Israele ha citato Karl Marx e anche oggi nelle nostre discussioni Marx è stato citato: credo che se vedesse l’armonia con cui sia i sindacati che le imprese hanno condiviso il lavoro che abbiamo fatto, anche Marx resterebbe sorpreso...».

Nuove norme per gli Istituti Finanziari (3 giugno 2010).

La commissione europea prepara un pacchetto di proposte sulla governance delle istituzioni finanziarie per la riunione del G20 del 26 e 27 giugno a Toronto, in Canada. L'obiettivo della consultazione lanciata oggi dal commissario ai Servizi e al Mercato interno, Michel Barnier, è di «assicurare che gli interessi dei consumatori e degli altri stakeholder siano tenuti in maggiore considerazione, che le condotte imprenditoriali siano sostenibili e, nel lungo termine, i rischi di bancarotta siano ridotti». Le nuove regole Ue per la finanza arrivano troppo tardi per evitare la crisi dei mercati e i suoi effetti sull'economia reale. «Tutta colpa dei governi» ha detto il presidente Barroso nella conferenza stampa. L'iniziativa di Barnier, che si accompagna alla proposta di supervisione unica europea sulle agenzie di rating, parte nel modo più soft, cioè con una consultazione su un 'libro verde' che dettaglia le ipotesi di accordo sui punti più delicati. Nasce dall'esigenza di superare le «lacune e le debolezze che la crisi dei mercati ha msso in evidenza nella governance delle istituzioni finanziarie»: controllo sui manager insufficiente, gestione del rischio debole, inadeguate strutture di remunerazione per dirigenti e trader, spinti ad assumere rischi eccessivi e con una visione di breve termine. La consultazione si chiude il primo settembre ed eventuali proposte legislative o non legislative saranno adottate nel corso del 2011. Quattro sono i punti su cui la commissione europea apre alla consultazione: 1) come migliorare il funzionamento e la composizione dei consigli di amministrazione di banche e assicurazioni, allo scopo di rafforzare la supervisione sul top management; 2) come introdurre la cultura del rischio, a tutti i livelli, in modo da assicurare che gli interessi aziendali di lungo termine siano adeguatamente considerati: 3) come rafforzare il coinvolgimento degli azionisti dei supervisori finanziari e dei revisori dei conti nelle questioni di governance; 4) come modificare le politiche retributive delle società per scoraggiare assunzioni di rischio eccessive. Le proposte dettagliate sono una decina, tra cui il limite alla partecipazione degli amministratori nei cda delle imprese, "massimo tre", l'attribuzione al 'chief risk officer' delle stesse responsabilità del direttore finanziario e, infine, un limite alle stock option e alle liquidazioni d'oro. Lo sfogo di Barroso: la lentezza è colpa dei governi. Nella conferenza stampa di presentazione delle due iniziative, su agenzie di rating e governance, il presidente della commissione, José Barroso, ha accusato i governi di aver perso tempo, quando la crisi finanziaria cominciava a manifestarsi, sulle nuove regole di supervisione finanziaria e sui settori di mercato che sono sempre sfuggiti alla vigilanza Quello di Barroso è stato uno sfogo. E' partito dal capitolo agenzie di rating: «Il via libera alle nuove regole che entreranno in vigore in dicembre c'è stato nell'aprile 2009, sulla base di una proposta della commissione del 2008: solo il 25 febbraio 2009 è entrato nell'agenda politica il sistema di supervisione finanziaria a livello europeo con il rapporto De Larosiére. Sapete che cosa mi hanno risposto i capi di stato e di governo nel gennaio 2008 quando li sondai per sapere la loro opinioni su un codice di condotta per le agenzie di rating: mi hanno risposto di no». Poi Barroso è passato alle nuove regole di supervisione finanziaria: «Se ci fosse stato il sistema di vigilanza a livello europeo, il problema delle agenzie di rating sarebbe stato risolto, invece nella prima regolamentazione le funzioni fondamentali di vigilanza sono esercitate dai supervisori nazionali. E quanto alla vigilanza finanziaria complessiva, stiamo ancora aspettando, attualmente la cosa è nelle mani di Parlamento e governi, se non ci sarà un compromesso ci sarà un problema, quello è un passaggio chiave». Di qui l'appello a deputati e governi a raggiungere un'intesa rapidamente. La speranza è che l'intero sistema di vigilanza Ue (quella sistemica, macro-prudenziale e quella di banche, assicurazioni e fondi pensione) possa partire da gennaio 2011.

Segni di ripresa in Italia, ma speculazione in agguato (4 Giugno 2010).
Timidi segnali positivi per l'economia europea e in particolare per quella italiana. Nel primo trimestre del 2010 in Italia il Pil è aumentato dello 0,5% rispetto al trimestre precedente e dello 0,6% rispetto al primo trimestre del 2009. Dal confronto con gli altri principali paesi della zona euro l'Italia esce bene ed appare come l'economia più dinamica, sia pure in un contesto di ripresa a bassa velocità. Il dato congiunturale pubblicato dall'Istat è il migliore dalla fine del 2006 (quando la crescita rispetto al trimestre precedente era stata dell'1,1%) e il dato tendenziale è il migliore dal terzo trimestre 2007 (+1,5%). L'Istat ha pubblicato anche i dati rivisti a partire dal 2005, che confermano la recessione del 2009. Il pil è diminuito del 2,9% congiunturale e del 6,5% tendenziale nel primo trimestre 2009, rispettivamente dello 0,3% e del 6,1% nel secondo, mentre è aumentato dello 0,4% congiunturale e sceso del 4,7% tendenziale nel terzo ed è sceso, infine, dello 0,1% e del 2,8% negli ultimi tre mesi dello scorso anno. L'aumento congiunturale del Pil - spiega l'Istat in una nota - è il risultato di un aumento del valore aggiunto dell'agricoltura, dell'industria e dei servizi. Il primo trimestre del 2010 ha avuto due giornate lavorative in meno rispetto al trimestre precedente e lo stesso numero di giornate lavorative del primo trimestre 2009. La crescita acquisita per il 2010 è pari allo 0,6 per cento. Il dato italiano di oggi si confronta con quelli dei partner europei e in particolare della zona euro. La crescita media nell'area della moneta unica nel primo trimestre è stata dello 0,2% su base congiunturale (contro una crescita pari a zero nell'ultimo trimestre del 2009). Nell'intera Ue il Pil è aumentato in media dello 0,2%, in miglioramento rispetto allo 0,1% del trimestre precedente. Rispetto al primo trimestre del 2009 (confronto tendenziale) il Pil è cresciuto dello 0,5% nell'Eurozona e dello 0,3% nella Ue (dopo -2,2% e -2,3%). Nello stesso periodo negli Usa il Pil è cresciuto dello 0,8% su base trimestrale e del 2,5% su base annua. Primi segnali positivi, dunque, che vanno però visti nel dettaglio dei singoli paesi. Primi fra tutti, Grecia e Germania. Nel primo caso nel trimestre il Pil è diminuito dello 0,8% su base congiunturale (rispetto al trimestre precedente) e del 2,3% su base annuale. In Germania, invece, il Pil è cresciuto dello 0,2% nel primo trimestre e dell'1,6% su base annua. Dati che superano le attese degli analisti i quali si aspettavano crescita zero trimestrale e +1,2% annua. Nel quarto trimestre 2009 è stato rivisto a +0,2% (da zero) sul trimestre precedente e a -2,2% da -2,4% su base annua con una correzione quindi a -4,9% da -5% del Pil del 2009. L'economia spagnola, dopo sei trimestri negativi, è uscita dalla recessione nel primo trimestre 2010, ultima tra le grandi economie della Ue. Il Pil ha registrato infatti una piccola crescita dello 0,1% sul quarto trimestre 2009, mentre su base annua è ancora negativo dell'1,3%. L'economia francese ha registrato un rallentamento della crescita rispetto al quarto trimestre del 2009. Il Pil infatti è aumento solo dello 0,1 nel primo trimestre contro il +0,5% del trimestre precedente (comunque rivisto al ribasso). Secondo l'istituto di statistica Insee la frenata è legata soprattutto alla domanda interna che è rimasta invariata mentre a fine 2009 cresceva quasi dell'1 per cento. In ogni caso, per l'anno in corso la crescita acquisita è dello 0,7%, di poco superiore allo 0,6% italiano. Tra le performance migliori va segnalata anche quella del Portogallo, insieme alla Grecia e alla Spagna uno dei paesi più a rischio sotto il profilo dei conti pubblici quindi uno dei punti deboli dell'intera eurozona. Ebbene, l'economia del paese iberico è cresciuta dell'1% rispetto al trimestre precedente (quando aveva però registrato un calo dell'1,1%) e dell'1,7% rispetto ai primi tre mesi del 2009. Secondo il Centro Studi Confindustria, «l'Italia ha agganciato la ripresa; pur lontana dai massimi pre-crisi, la produzione industriale sta accelerando». Secondo il CsC, anche il secondo trimestre sarà positivo, al traino della produzione industriale e ciò, insieme ai dati Istat sulla crescita «innalza le probabilità di un aumento del Pil superiore all'1% nel 2010». Nonostante i dati positivi dell'economia, giova notare che la speculazione sta puntando anche sull'Italia. Infatti lo spread tra il Btp e il Bund tedesco con scadenza dieci anni è arrivato a 170 punti base (sempre meno di Grecia, Spagna, Portogallo o Irlanda, ma, comunque, preoccupante) rispetto ai 139 punti base di dieci giorni fa. I titoli degli stati sovrani erano considerati a rischio zero, fino a un anno fa, poi le crisi islandese prima e greca poi hanno cambiato le carte in tavola. Le banche che sono i maggiori detentori di questi titoli sovrani si coprono con i Cds, questi salgono di prezzo e trascinano, in un circolo perverso i tassi dei titoli sovrani.

I provvedimenti anti crisi degli altri paesi (6 giugno 2010).
Germania. Drastico colpo di scure del governo di Angela Merkel per risanare le finanze pubbliche, con il taglio di 15 mila posti nel pubblico impiego fino al 2014, per un risparmio stimato in almeno 800 milioni di euro all'anno. Lo anticipa il settimanale 'Der Spiegel' alla vigilia della riunione governativa alla Cancelleria in cui verranno messe a punto le misure della manovra per far risparmiare ai conti pubblici 10 miliardi di euro all'anno fino al 2014. Tra le altre misure allo studio, c'è anche l'addio anche alla ricostruzione del Castello del Kaiser, sull'area in cui sorgeva il «Palast der Republik», costruito nel 1976 da Erich Honecker e finito di abbattere nel 2008. E per risparmiare i 400 milioni destinati al «Berliner Stadtschloss», il progetto dell'architetto italiano Franco Stella rimarrà nel cassetto fino a quando le finanze dello Stato non ne permetteranno la realizzazione. La Merkel intende anche congelare gli aumenti per i dipendenti pubblici previsti per il prossimo anno, mentre altri 500 milioni verranno tagliati dal ministero della Famiglia sugli incentivi ai padri disposti ad accudire per i primi mesi i figli appena nati. A fare le spese della stangata in arrivo saranno anche i disoccupati, i cui sussidi verranno corrisposti non più sulla base delle leggi vigenti, ma a discrezione dei funzionari degli uffici del lavoro. In questo modo lo Stato risparmierà due miliardi di euro già nell'anno prossimo, che saliranno a oltre 6 miliardi nel 2014. La Deutsche Bahn, le ferrovie tedesche, dovranno versare ogni anno allo Stato un dividendo di 500 milioni di euro dei loro utili. In cambio dell'allungamento dei tempi per l'uscita dal nucleare, i grandi gruppi energetici tedeschi verseranno ogni anno nelle casse pubbliche una «Brennelementsteuer», una tassa sul combustibile nucleare, stimata a 2,5 miliardi di euro all'anno. GB. Aria pesante anche in Gran Bretagna, che va incontro «ad anni di sacrifici»: non usa mezzi termini David Cameron, parlando degli sforzi necessari a ridurre l'enorme debito pubblico del paese. Il neopremier conservatore - in un'intervista al Sunday Times - ha spiegato che l'economia britannica si trova in uno stato peggiore di quanto si fosse precedentemente pensato e i tagli, quando arriveranno, saranno «dolorosi». «La qualità di un vero uomo di Stato è di assumere la buona decisione spiegando alla gente gli obiettivi che ci sono dietro ai sacrifici» ha detto Cameron. «Un debito enorme deve essere gestito. Incrociare le dita aspettando la crescita e sperare che scompaia non è una risposta». E ha quindi aggiunto: «Il paese è scoperto. E gli interessi su questo scoperto si mangiano ciò che la nazione avrebbe dovuto spendere per altro, per l'istruzione dei nostri figli. Dobbiamo avere la gente dalla nostra parte nel corso di questo difficile viaggio» ha insistito il leader dei conservatori. Secondo i dati dell'Ufficio di statistica britannico, il deficit pubblico ha raggiunto i 156,1 miliardi di sterline nel 2009/2010, pari all'11,1% del Pil, un dato record. Cameron ha anche attaccato le previsioni per la crescita economica - il 3% nel 2011 - stilate dal governo laburista: «Non ci sarà nessun trampolino per la ripresa», ha detto. Quindi la medicina: «Bisogna affrontare i conti dello stato sociale, del settore pubblico e la dimensione della burocrazia accumulata in questi anni». Allo stesso tempo il vicepremier Nick Clegg, leader dei Liberaldemocratici, lancia segnali distensivi: niente tagli selvaggi come al tempo della Thatcher. In un colloquio con l'Observer, Clegg ha sottolineato che «responsabilià nella spesa non significa tornare agli anni Ottanta: noi faremo le cose diversamente, non permetteremo il ritorno delle differenze tra nord e sud del Paese». Clegg ha poi ricordato che alcuni dei pacchetti di riduzione della spesa pubblica più rigorosi sono stati recentemente portati avanti da governi di «centro-sinistra» come i «socialdemocratici in Svezia, l'amministrazione di Clinton in USA e i liberali in Canada».

L'economista Simon Johnson a proposito della speculazione sull'euro. (6 giugno 2010).
Non c'è un attacco premeditato dei ‘mercati' nei confronti della zona euro e della moneta unica. Piuttosto c'è una vulnerabilità dell'eurozona, dovuta soprattutto alle dimenssioni enormi che il debito e il deficit hanno raggiunto in alcuni paesi membri. È Simon Johnson che parla, ex capo economista del Fondo monetario internazionale e oggi docente di sviluppo imprenditoriale al Mit Sloan School of management, oltre che consulente dell'ufficio budget del congresso americano. Co-fondatore del sito BaselineScenario.com, non perde occasione in giro per il mondo per spiegare le cause della crisi finanziaria del 2008. Al Festival dell'Economia di Trento ha illustrato "il potere di Wall Street" partendo dal suo ultimo libro: "13 bankers", non ancora tradotto in italiano, in cui spiega "il ciclo della rovina" avviato con la deregulation di Reagan e proseguito fino all'amministrazione Obama. E avverte: «Sono ancora tutti lì». Un ciclo che ha permesso alla finanza Usa di accumulare un potere di influenza enorme sulla politica, condizionandone le decisioni fondamentali sui mercati. Il principio-base del meccanismo è il ‘to-big-to-fail', troppo grandi per fallire, che incoraggia le banche più grandi «di assumere rischi molto elevati, con un vantaggio di mercato a spese dei consumatori». In sintesi, quando una banca supera una certa soglia dimensionale, pari più o meno a quella della terza banca italiana, il Monte dei Paschi di Siena – come ha sottolineato Stefano Lepri, giornalista de La Stampa che ha introdotto Johnson – non ci sono più vantaggi di scala per i clienti e i consumatori, ma solo grandi profitti per gli azionisti e per chi la dirige. «Tanto che ora anche gli hedge fund puntano a diventare ‘to-big-to-fail'. Un modo per sopravvivere al ciclo negativo». Anche se, aggiunge Johnson, «superare questo principio è necessario ma non sufficiente». E non è neanche facile: come ha ricordato l'economista, un progetto di legge presentato al Congresso è stato bocciato, «grazie al potere dei contributi finanziari» che la grande finanza è in grado di far affluire alla politica, a prescindere dallo schieramento al governo. Tornando all'Europa, Johnson non nega che «il mercato dei Cds possa essere utilizzato in modo speculativo contro l'euro, ma ciò che vedo io – precisa - è che le vendite sono governate soprattutto dal debito». Le risposte con cui le istituzioni europee hanno affrontato la crisi «sono state confuse e incomplete e ciò si è tradotto in un vantaggio per chi voleva sfruttare la situazione dei paesi della zona euro più vulnerabili». Per questo motivo – ritiene l'economista – bisogna partire dalle politiche economiche. Commentando poi la proposta del commissario Ue al mercato interno Michel Barnier di creare uno fondo finanziato dalle banche che garantisca i depositi in caso di bancarotta, Jonhson spiega: «Forse in Europa non è così, ma dall'esterno è evidente che serve un'autorità che agisca a livello di Unione europea. Gestire i possibili fallimenti a livello nazionale non ha alcun senso. E' una debolezza». In ogni caso, Johnson mette in guardia dal rischio che la gestione a livello comunitario possa dare al mercato un segnale analogo al principio ‘troppo-grandi-per fallire'. «Se il segnale è che i creditori saranno protetti in ogni caso, qualunque cosa accada, potrebbe spingere le banche ad assumere risci sempre maggiori». Più in generale, l'Unione europea «dev'essere proattiva. Ci sono misure che si possono adottare per proteggere i singoli stati. Ma ci vuole tempo. Bisognerà valutare se è necessario ristrutturare il debito dei paesi più deboli. L'intervento delle scorse settimane (il piano da 750 miliardi di euro in tandem con il Fmi, ndr.) è servito a scongiurare il panico, ma non bisogna cullarsi troppo. Bisogna intervenire prima e prevenire le situazioni».

Misure urgenti contro la crisi (8 giugno 2010).
Accordo raggiunto sulla creazione del nuovo Fondo anti-crisi e salva-Stati dell'area euro per un totale di 500 miliardi, cui vanno aggiunti i 250 dell'Fmi. Accordo tra Eurogruppo, Fmi e Commissione europea sulla necessità di accelerare il consolidamento dei conti pubblici, con attenzione particolare a debiti e avanzi primari, il varo delle riforme strutturli nonché il via libera alla nuova architettura finanziaria globale, anche alla luce delle ultime indicazioni del G-20. Giudizio positivo sulle misure concrete presentate ieri sera da Italia, Francia e Germania, perché, ha sottolineato Jean-Claude Juncker, «mostrano il rispettivo impegno ad attuare il processo di riduzione dell'indebitamento, che continueremo a sorvegliare da vicino». Via libera, infine, all'ingresso dell'Estonia nell'euro: a partire dal 1° gennaio prossimo diventerà il 17esimo membro della moneta unica. Queste, in sintesi, le decisioni adottate ieri a Lussemburgo dai 16 ministri finanziari dell'Eurogruppo, esposte dal suo presidente Juncker. Si era capito fin dal principio che il Fondo di stabilizzazione dell'euro non avrebbe avuto un parto facile. I ministri dell'Eurogruppo in teoria avrebbero dovuto limitarsi a dare la benedizione all'accordo messo a punto nel week-end dai "tecnici". Invece, ancora una volta, il dubbio si è fatto strada nei dettagli e la discussione si è protratta per ore prima di vedere il traguardo. Decisamente in ritardo sulla tabella di marcia. Oggetto del contendere la questione certo non secondaria della gestione del Fondo: scartata la Commissione Ue, che si era candidata, restavano in pista la Bce insieme alla nomina del fiduciario dei Governi alla guida della nuova facility. È stata quest'ultima, la solita questione delle nomine, la scintilla che ha rallentato l'intesa facendo slittare molti dei punti in agenda. Si chiamerà Efsf, l'ennesima sigla per indicare il meccanismo europeo di stabilizzazione finanziaria (European Financial Stability Facility) che avrà sede in Lussemburgo e farà capo a una società di diritto lussemburghese con personalità giuridica autonoma, un consiglio di amministrazione, un ad e un presidente. Per quest'ultimo si sussurrava ieri sera il nome del greco Lucas Papademos, fresco ex-vice presidente della Bce. Per la carica di amministratore delegato, «il processo di selezione è cominciato» ha annunciato Juncker. In questo caso indiscrezioni parlano di un nordico, probabilmente un tedesco. Il fondo, che sarà operativo dalla fine di giugno, nella sua attività sui mercati potrà avvalersi della longa manus di Bce e Bei. Potrà contare su una dotazione di 440 miliardi di euro di garanzie nazionali a lungo termine da parte dei 16 paesi dell'euro in base alla rispettiva quota di capitale nella Bce. Maggiorata però di un 20% da parte di ciascuno. La ragione, ha spiegato il commissario Ue competente Olli Rehn, è quella di garantire il massimo rating possibile, cioè la tripla A, ai prestiti erogati dal Fondo. Quel 20% servirà infatti a creare una sorta di riserva-cuscinetto che potrà essere attivata qualora uno dei paesi dell'area non fosse in grado di far fronte alle garanzie per salvaguardare la stabilità di eurolandia. Accanto al fondo intergovernativo, che avrà durata triennale, ci sarà anche quello europeo da 60 miliardi, gestito dalla Commissione Ue secondo le stesse condizioni previste dal primo: sarà in grado di mobilitarsi immediatamente qualora fosse necessario e in attesa che l'altro diventi operativo a pieno regime. Su precisa richiesta di un paese dell'eurozona in difficoltà e una volta negoziati impegni e condizioni per ottenerne l'erogazione, l'Efsf potrà emettere bond con tripla A (che potranno essere utilizzati anche per le operazioni di rifinanziamento della Bce) per raccogliere fondi da dirottare sul paese in difficoltà. La caduta dell'euro «dimostra che dobbiamo far entrare in vigore il meccanismo perché i mercati vogliono non soltanto avere spiegazioni ma vedere anche i fatti» ha dichiarato il tedesco Wolfgang Schäuble, salutando l'accordo raggiunto in seno al club dell'Eurogruppo. Che ieri si è letteralmente sbracciato per minimizzare l'importanza dei costanti scivoloni della moneta unica rispetto al dollaro. «Non siamo preoccupati» ha dichiarato Juncker. «Più che il livello è preoccupante la rapidità dell'evoluzione negativa» ha chiosato Rehn. Il quale certo non ignora che un euro debole, in un'Europa stretta nella morsa del rigore, può essere un prezioso tonico per la crescita economica. Detto questo ieri a sollecitare il rigore di bilancio e il «completamento dell'unione monetaria attraverso una maggiore governance economica» ha provveduto anche il consueto rapporto del Fondo monetario sull'eurozona.

Monito franco tedesco all'Ue (9 giugno 2010).
Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il presidente della Francia, Nicolas Sarkozy, hanno rivolto un appello alla commissione europea perché «acceleri i suoi lavori» per «un inquadramento rafforzato» dei mercati finanziari in una lettera inviata al presidente José Manuel Barroso. Lo ha reso noto questa mattina l'Eliseo. Nella missiva, Merkel e Sarkozy sottolineano che «delle misure forti sono già entrate in vigore» ma sottolineano anche come «le recenti forti turbolenze dei mercati finanziari suscitano forti preoccupazioni negli stati membri della Ue e nell'insieme dei suoi cittadini». Per questo, prosegue la lettera, «il ritorno di una forte volatilità sui mercati rende legittimo il fatto di interrogarsi su certe tecniche finanziarie e sull'utilizzo di certi prodotti derivati come le vendite allo scoperto e i credit default swap». «Riteniamo - conclude la lettera di Merkel e Sarkozy - che vi sia un bisogno urgente che la commissione possa accelerare i suoi lavori in tema di rafforzamento del quadro regolatorio del mercato dei cds e delle vendite allo scoperto e possa presentare all'Ecofin in luglio l'insieme delle strade percorribili». Con le recenti turbolenze sui mercati in seguito alla crisi dei debiti sovrani, la Germania, unica in Europa, ha bloccato le vendite allo scoperto per alcuni titoli. Una decisione che ha destato forti critiche, in quanto non concertata a livello europeo. Lo stesso ministro delle finanze di Parigi Christine Lagarde si era espressa duramente contro la mossa di Berlino. Incomprensioni quindi, tra due «azionisti di peso» dell'Unione europea, che, con questa la lettera congiunta, Parigi e Berlino intendono superare.

Fissato il tetto di stipendio per i dirigenti pubblici (10 giugno 2010).
Arriva il tetto agli stipendi dei manager pubblici. Dopo 2 anni e mezzo di attesa il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al regolamento che fissa il compenso lordo annuo dei manager e dirigenti della pubblica amministrazione a 311mila euro, che é la retribuzione del primo presidente della Corte di Cassazione. Via libera anche a una sforbiciata alle retribuzioni più alte in Rai, come proposto dal ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli. La norma, come nel caso dell'equiparazione dell'età pensionabile tra uomini e donne nella Pubblica amministrazione, imposta da Bruxelles, sarà inserita sotto forma di emendamento alla manovra, attualmente in discussione in Parlamento. Tornando al tetto per i manager pubblici, che attua una norma della Finanziaria Prodi 2008, il ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, ha spiegato come le nuove regole non si applichino a Bankitalia e autorità indipendenti e che, nella determinazione dell'asticella retributiva non dovrà essere computato il corrispettivo globale per il rapporto di lavoro o il trattamento pensionistico corrisposti all'interessato. Le nuove norme dovranno invece essere applicate dalle amministrazioni dello Stato, agenzie, enti pubblici economici e non, enti di ricerca, università. E, pure, (e la disposizione farà certamente discutere) dalle società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate. La soglia retributiva non potrà essere superata in alcun caso, compresi il contratto d'opera di natura continuativa, di collaborazione coordinata e continuativa e di collaborazione a progetto. Sono invece escluse dal tetto retributivo, le attività soggette a tariffa professionale anche non continuativa, i contratti d'opera di natura non continuativa, i compensi degli amministratori delle società non quotate a totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate per i compensi determinati ai sensi dell'articolo 2389, comma 3, del Codice civile (compensi dei componenti dei consigli di amministrazione ai quali sono conferite deleghe). Nel testo del regolamento, è poi previsto che il Ministero della PA potrà consentire deroghe al tetto «per esigenze di carattere eccezionale e per un periodo di tempo non superiore a 3 anni», così come le amministrazioni dello Stato per un numero massimo di 25 unità da destinare alle posizioni di più elevato livello di responsabilità Per quanto riguarda, inoltre, la pluralità di incarichi nello stesso anno, l'atto di conferimento dovrà motivare in modo specifico i requisiti di professionalità e di esperienza del soggetto destinatario in relazione alla tipologia di prestazione richiesta e alla misura del compenso attribuito, e, anche, recare in allegato il curriculum vitae dell'interessato. Via libera, infine, alla massima trasparenza degli incarichi. L'amministrazione conferente dovrà pubblicizzare sul proprio sito istituzionale ciascun atto di conferimento soggetto alla disciplina del nuovo regolamento, con l'indicazione del tipo, della durata e del compenso spettante. Al tempo stesso, il soggetto destinatario del trattamento economico dovrà comunicare all'Ente conferente tutti gli altri incarichi in corso. Il compito di controllo sarà affidato a Corte dei Conti e Funzione Pubblica.

In Italia è povero un pensionato su due (11 giugno 2010).
Sono oltre 8 milioni i pensionati che ricevono un assegno da poveri, che consente cioè una spesa inferiore a 1.000 euro al mese. Vale a dire quasi la metà dei 16,8 milioni di pensionati totali che si contano in Italia. Secondo le statistiche dell'Istat infatti, circa 3,6 milioni di lavoratori a riposo (pari al 21,4% del totale) percepiscono una o più prestazioni pensionistiche per un importo complessivo inferiore a 500 euro al mese ed altri 4,7 milioni (il 27,7% del totale) ricevono assegni compresi tra i 500 e i 1.000 euro. Considerando che la soglia di povertà relativa al di sotto della quale l'Istat considera l'individuo povero è quella di una spesa procapite di 999,67 euro al mese (in una famiglia di due componenti), si può dedurre che, se la pensione rappresenta l'unica entrata, i pensionati poveri sono circa 8,3 milioni. Quanto all'età di coloro che sono fuori dal ciclo produttivo e ricevono un assegno dallo stato, emerge che oltre il 30% (il 30,3%) ha meno di 64 anni. L'Istat precisa inoltre che a fine 2008 il 69,9% dei beneficiari dei trattamenti pensionistici risultava avere più di 64 anni, mentre il 26,6% aveva un'età compresa tra i 40 e i 64 anni e il 3,7% ha meno di 40 anni. «I dati diffusi oggi dall'Istat dimostrano chiaramente come i pensionati italiani siano i più poveri d'Europa - ha sottolineato il presidente del Codacons, Carlo Rienzi -. Non solo gli importi percepiti da quasi la metà dei pensionati rappresentano una miseria, e non consentono una vita dignitosa, ma addirittura sulle pensioni italiane grava una pressione fiscale ben più alta rispetto a quella di altri paesi europei». Ma il Codacons ricorda che in Italia, a parità di imponibile, l'importo di una pensione al netto delle tasse «è inferiore del 15% rispetto a Francia, Spagna e Germania, paesi dove non esiste tassazione sulle pensioni, mentre in Gran Bretagna la pressione fiscale è minima e di circa l'1,6%». «Possiamo affermare senza dubbio che la metà dei pensionati italiani vive in condizioni di povertà- prosegue Rienzi - un dato che rappresenta una vergogna in un Paese civile come l'Italia». Per quanto possa valere la mia esperienza mi sento di affermare che molti pensionati, giovani e meno giovani, fanno lavoretti in nero che consente loro di vedere la propria vita meno in nero.

La crisi dell'euro, secondo Paul Krugman (13 giugno 2010).
La prima volta che i funzionari dell'Unione Europea avanzarono l'ipotesi di adottare una moneta comune, tra la fine degli anni 70 e l'inizio degli anni 80, si discusse molto se l'Europa potesse essere un'area ideale per un'unione valutaria. Il dubbio principale era se le nazioni europee fossero dotate di un sistema adeguato per fronteggiare shock asimmetrici, che avrebbero inciso più su alcuni paesi che su altri; secondo la celebre tesi di Milton Friedman, avere una moneta propria consente a un paese di affrontare almeno in parte queste crisi ricorrendo alla svalutazione. Quando un paese è legato ad altri da un'unione monetaria, questa possibilità manca. L'attuale crisi europea ruota proprio attorno a questo problema. Il motivo per cui risulta tanto difficile intervenire per risolvere i problemi di deficit e di debito pubblico della Grecia è che la speranza di una crescita economica negli anni a venire è molto labile, e questa è una situazione che ha radici profonde. In Grecia, i salari e i prezzi non sono allineati, e l'unica cura possibile è una lunga e dolorosa deflazione, che contribuisca a correggerli. I problemi della Spagna, invece, derivano dal fatto che la bolla immobiliare ha lasciato costi troppo alti. Ma anche la Spagna dovrà sopportare anni di dolorosa deflazione per ridurre tali costi. Quanto sarà difficile raggiungere questi risultati? Prendiamo in esame la Lettonia, che gli addetti ai lavori citano spesso come esempio da seguire per la Grecia. La Lettonia si è imposta misure ultradraconiane per ancorare la sua moneta all'euro, procedendo a una brutale svalutazione interna solo per vedere il proprio tasso di disoccupazione schizzare dal 6% nel primo trimestre 2008 a uno spropositato 20,4% nel primo trimestre 2010. Gli stipendi sono in caduta libera, ma il costo del lavoro non è sceso di pari passo e dunque bisognerà tagliare ancora la spesa pubblica per ripristinare la competitività dell'economia lettone. In Estonia, un altro studente modello per disciplina di bilancio che spera di entrare nell'euro, il tasso di disoccupazione è arrivato al 19,8 per cento. Sul piano del prodotto interno lordo, sia l'Estonia che la Lettonia hanno registrato un calo più accentuato di quello dell'Islanda, dove il Pil nel 2009 è sceso del 6,5 per cento. La risposta ufficiale dell'Unione Europea a questo problema è che gli Stati membri devono incrementare la flessibilità del mercato del lavoro. Ma gli economisti hanno valutato questa soluzione e sono giunti alla conclusione che nessun mercato del lavoro può essere flessibile fino a questo punto. Se l'euro non funziona senza un livello di flessibilità talmente elevato da essere irrealizzabile, allora semplicemente non funziona. È deludente che la maggior parte dei dibattiti su come gestire la crisi dell'euro non affrontino questi problemi. Provo a dare una spiegazione psicanalitica alla buona: quando la gente si autoconvince che le crisi di debito pubblico sono legate, sempre e comunque, a una gestione allegra delle finanze pubbliche, il problema appare risolvibile: tutto quello che serve è più disciplina. Perché se questi commentatori e analisti si mettessero ad analizzare i problemi di fondo, comincerebbero a domandarsi se l'idea di imporre una moneta unica ha mai avuto un senso. NYT - DISTRIBUITO DA NYT SYNDICATE.

Il parere di Pietro Ichino sull'accordo di Pomigliano d'Arco (14 giugno 2010).
A Pomigliano d'Arco il piano industriale proposto da Marchionne prevede di portare la produzione delle Panda da poco meno di 40.000 a poco meno di 300.000 auto all'anno. A latere del piano industriale la Fiat richiede, sia una serie di deroghe al contratto collettivo nazionale, sia che tutti i sindacati firmino l'accordo, che dovrà essere convalidato dai lavoratori a mezzo di un referendum. L'accordo è già stato accettato da tutte le OOSS a eccezione della Fiom che ha chiesto di poter convocare l'assemblea sindacale. Sostiene Pietro Ichino "Quale che sia il risultato finale della partita che si sta giocando in queste ore alla Fiat di Pomigliano d'Arco, essa costituisce l'ennesima conferma della grave inadeguatezza del sistema italiano delle relazioni industriali rispetto alle sfide dell'economia globale. L'immagine del sindacato italiano che questa vicenda dà al mondo è la stessa che diede due anni fa l'inconcludente trattativa con Air France-KLM per il futuro di Alitalia: quella di un sindacato profondamente diviso, ma anche incapace di darsi le regole necessarie per evitare che la divisione generi paralisi. In un sistema ispirato al principio del pluralismo sindacale, deve considerarsi normale che nella valutazione di un piano industriale a forte contenuto innovativo le associazioni sindacali si dividano. Il problema è che il nostro sistema non ha saputo dotarsi degli strumenti indispensabili per dirimere la questione. Accade così che, se non si arriva a un accordo che coinvolga tutti quanti, l'innovazione rispetto allo standard definito dal contratto collettivo nazionale è poco praticabile: i lavoratori dissenzienti potranno sempre ottenerne dal giudice la disapplicazione nei propri confronti; e i sindacati dissenzienti - anche quando rappresentino soltanto l'uno per cento dei lavoratori interessati - potranno sempre proclamare uno sciopero contro l'accordo, cui potrà aderire quell'uno per cento, ma anche il cinquanta o il cento per cento dei lavoratori, ivi compresi quelli aderenti ai sindacati che l'accordo l'hanno firmato. Il risultato è che l'imprenditore se ne va altrove con il suo piano industriale innovativo e con la domanda di lavoro che esso porta con sé (è quello che - comprensibilmente - minaccia di fare Marchionne a Pomigliano, se l'accordo non sarà firmato da tutti). Questo gravissimo difetto del nostro sistema delle relazioni industriali non è - beninteso - la sola causa della scarsa attrattività dell’Italia per le imprese multinazionali; ma molti osservatori qualificati lo considerano come una delle cause principali, insieme alla complessità, ipertrofia e incomprensibilità del nostro diritto del lavoro, per gli stranieri e non solo per loro. Nel momento in cui ci proponiamo di curare il «male oscuro» che da due decenni impedisce al nostro Paese di crescere, faremmo bene ad affrontare e risolvere questo problema al più presto".

La Fiom contro l'accordo per Pomigliano (14 giugno 2010).
Ore decisive per il futuro dello stabilimento Fiat di Pomigliano d'Arco. La Fiat ha convocato infatti per martedì alle 14 a Roma i sindacati dei metalmeccanici sulla questione dell'impianto nel Napoletano., ma La Fiom-Cgil ritiene però che «non sia possibile che quel testo venga firmato». Lo ha detto il segretario generale, Maurizio Landini, riferendosi all'accordo già siglato da altri sindacati su Pomigliano d'Arco. La Fiom ritiene infatti impossibile firmarlo perché «contiene profili di illegittimità». Su una convocazione del referendum, Landini dice che per la Fiom «è impossibile sottoporre al voto» accordi che violano i contratti e la Costituzione. Se la Fiat dovesse proseguire sulla propria strada confermando l'ipotesi di accordo presentata ai sindacati con le deroghe al contratto nazionale, la Fiom indirà otto ore di sciopero per il settore metalmeccanico il 25 giugno. Secondo la Fiom, la clausola sui provvedimenti disciplinari e i licenziamenti «è la più spregiudicata di tutto il documento Fiat», viene spiegato in un volantino consegnato ai rappresentanti del comitato centrale. «Il diritto individuale di aderire a uno sciopero, sancito dall'articolo 40 della Costituzione, diviene oggetto di provvedimento disciplinare fino al licenziamento», osserva la Fiom. Il riferimento è a quella parte del documento Fiat denominate «clausole integrative del contratto individuale di lavoro». Nella proposta di accordo la Fiat prevede che «la violazione, da parte del singolo lavoratore, di una delle condizioni contenute nell'accordo costituisce infrazione disciplinare da sanzionare, secondo gradualità, in base agli articoli contrattuali relativi ai provvedimenti disciplinari e ai licenziamenti per mancanze». Anche sulla clausola di responsabilità, che nella proposta Fiat libera l'azienda da obblighi contrattuali in caso di mancato rispetto degli impegni assunti con l'accordo, secondo la Fiom «alla Fiat viene data totale discrezionalità per valutare se una qualsiasi iniziativa - dalla protesta allo sciopero - in contrasto con uno dei qualsiasi punti dell'accordo (carichi di lavoro, straordinari, gestione della forza lavoro) costituisce violazione dell'accordo stesso». Secondo la Fiom, per raggiungere gli obiettivi del piano di rilancio di Pomigliano alla Fiat basterebbe applicare il contratto nazionale senza deroghe. Lo afferma all’unanimità il comitato centrale della Fiom-Cgil, proponendo al Lingotto di «applicare il contratto di lavoro che permette all’azienda di produrre le 280 mila auto all’anno e le 1.045 al giorno che sono gli obiettivi del piano che Marchionne vuole fare». Se l’azienda applicherà semplicemente il contratto nazionale, ha detto Landini, «la Fiom non metterà in campo nessuna opposizione». Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, si è rivolto alla Cgil e alla Fiom affinché firmino l’accordo: «Se fosse stato detto "rinunciate ai propri diritti", io avrei detto no. Ma non è stato così: i diritti acquisiti non vengono toccati». L’incontro di martedì, spiegano fonti sindacali, dovrebbe servire per fare il punto sul tema della Commissione paritetica contenuto nella «clausola di raffreddamento» prevista nell’accordo separato condiviso venerdì scorso tra l’azienda e Fim-Cisl, Uilm, Fismic e Ugl. Nel frattempo la segreteria della Cgil fa sapere che «il lavoro e l'occupazione sono il primo punto di responsabilità» per un giudizio sul futuro di Pomigliano. Per questo il sindacato conferma il «sì alla difesa dell'occupazione e alla necessità di rendere pienamente produttivo il futuro investimento», sottolineando tuttavia il rischio che «la proposta di accordo possa violare leggi e Costituzione». «Le norme proposte dall'azienda aprono profili di illegittimità in materia di malattia e diritto di sciopero. La Cgil chiede alla Fiat di riflettere come una proposta di accordo possa violare leggi e Costituzione» si legge in una nota. Per la Cgil, comunque, «tocca alla categoria dei metalmeccanici promuovere la discussione, innanzitutto coinvolgendo gli iscritti». «Pomigliano non ha alternative. Napoli non ha alternative sul suo territorio», aveva detto domenica Guglielmo Epifani. La soluzione scelta per Pomigliano è «la via giusta», aveva invece assicurato dal canto suo il ministro dell'Economia Giulio Tremonti. Il «no» della Fiom su un'intesa per Pomigliano «non è accettabile, spero che cambi idea», aveva detto la presidente della Confindustria, Emma Marcegaglia, intervenendo all'assemblea dell'Assolombarda. «Auspichiamo che la Fiom rifletta sulla sua decisione e cambi idea: come si fa a bloccare un investimento da 750 milioni perché si vogliono tutelare gli assenteisti e i falsi ammalati? Bisogna guardare avanti, c'è un'azienda che prende gli investimenti dall'estero e li sposta in Italia, non è accettabile che si dica di no che ci si nasconda e non si guardi la situazione. Auspico prevalga un senso di responsabilità e si dia speranza al Paese», aveva concluso la leader degli industriali. «Vedo un atteggiamento responsabile da parte di Epifani», aveva aggiunto il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ribadendo di essere «ottimista» su un'adesione anche da parte dei metalmeccanici della Cgil all'intesa con Fiat. Accordo che comunque, ha precisato il ministro, dopo il sì delle altre sigle sindacali, «è già passato». I furbetti tra gli operai della Fiat; ecco il perchè delle precise condizioni richieste da Marchionne. Permessi per fare i rappresentanti di lista, gli scrutatori o i presidenti di seggio alle Politiche, alle Comunali, ai Referendum. Poi le malattie: vere epidemie scoppiate nei giorni di sciopero. Sono migliaia i casi anomali di assenteismo registrati nello stabilimento Fiat di Pomigliano e in quelli di Melfi e Foggia. Ora una parte di lavoratori critica l'accordo proposto dal Lingotto che prevede, tra le varie clausole, di non pagare i giorni di malattia se coincidenti con manifestazioni sindacali o elettorali. Ma i conti non tornano. A Pomigliano il 9 aprile 2004, quando fu proclamato uno sciopero contro i ritmi di lavoro, risultavano malati 861 dipendenti mentre il 16 novembre 2007, sciopero per il rinnovo del contratto, 471 lavoratori hanno presentato il certificato medico. Ma il vero nemico della produttività di Pomigliano sono le elezioni. Ad aprile 2005, durante le consultazioni regionali, sono stati registrati 1.494 permessi elettorali (il 36,4% dell'organico), ad aprile 2006, con le elezioni politiche, hanno chiesto un permesso 1.725 dipendenti; a maggio 2006, per le Comunali, i permessi elettorali sono stati 425. Stessi comportamenti a giugno 2006 (elezioni comunali e referendum): 1.696 permessi elettorali e ad aprile 2008 (elezioni politiche) 1.518 permessi. In media, in ogni tornata elettorale, i dipendenti interessati sono stati assenti per tre giorni con un costo per l'azienda di 450 euro ciascuno. Ma non è tutto. Un assenteismo anomalo si è registrato anche a Melfi. Il 28 e 29 marzo 2010, con le elezioni amministrative, sono stati presentati 3.085 certificati elettorali: 20 per presidenti di seggio, 36 per scrutatori. Gli altri 3.029 tutti rappresentanti di lista. Allo stabilimento di Foggia ad aprile 2008 i permessi elettorali hanno riguardato 614 lavoratori, a giugno 2005, durante i referendum, sono stati 630, un mese prima, per le elezioni regionali, i certificati sono stati 889.

Ripresa dell'industria italiana (18 giugno 2010).
Il fatturato dell'industria italiana ha registrato ad aprile un aumento del 6,4% rispetto allo stesso mese del 2009, e dello 0,5% su marzo: si tratta dell'aumento maggiore dal giugno del 2008. Lo comunica l'Istat, precisando che l'indice grezzo coincide con quello corretto per gli effetti di calendario. Anche per gli ordinativi si registra un record per quanto riguarda l'aumento percentuale: nel mese di aprile l'incremento è infatti del 4,7% su base mensile e del 20,6% su base annua. L'aumento su base annua è il maggiore dall'agosto del 2006. Nonostante il notevole balzo registrato nel mese di aprile sia dal fatturato che dagli ordinativi, gli indici rimangono ancora lontani dai livelli precrisi. Infatti in entrambi i casi in termini assoluti gli indici si situavano intorno a 121 nell'aprile del 2008, mentre ad aprile 2010 si sono attestati a 100,5 per quanto riguarda il fatturato, e a 100,4 per quanto riguarda gli ordinativi. "E' un dato buono, oltretutto riguarda le esportazioni ma anche il mercato interno, dove sembra ci sia un po' di risveglio", commenta la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. "Si consolida l'impressione di un miglioramento soprattutto dal lato dell'industria manifatturiera - aggiunge Marcegaglia - che noi vediamo con piacere: ovviamente bisognerà capire quanto durerà". Per quanto riguarda il fatturato, a crescere sono soprattutto i beni intermedi (cioè i beni che servono a produrre altri beni) che rispetto all'aprile del 2009 registrano un aumento del 15,3%; +20,3% l'energia, +2,6% i beni di consumo. Guardando ai vari settori, gli aumenti più ampi su base annua sono stati rilevati nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (+27%), fabbricazione di coke e prodotti petroliferi (+20,5%) e fabbricazione di apparecchiature elettriche e apparecchiature per uso domestico non elettriche (+16,3%). Il fatturato di autoveicoli ad aprile è aumentato del 3,9% rispetto allo stesso mese del 2009, mentre gli ordinativi hanno registrato una flessione del 13,3%. A livello tendenziale gli ordinativi hanno registrato un aumento del 15,4% sul mercato italiano e del 31,6% su quello estero, mentre su base congiunturale gli ordini nazionali hanno segnato una crescita del 4,8% e quelli esteri del 4,4%. Nel confronto degli ultimi tre mesi (febbraio-aprile) con i tre mesi immediatamente precedenti (novembre-gennaio) l'incremento è stato pari all'1,9%. Guardando ai settori di attività economica, i rialzi più rilevanti hanno riguardato la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+48,3%), la metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (+42,1%) e la fabbricazione di macchinari e attrezzature (+31,6%).

La tassa sulle banche (18 giugno 2010).
I leader dell'Ue hanno raggiunto l'intesa sull'introduzione di una tassa sulle banche di cui ogni paese deciderà i criteri. I 27 avrebbero anche concordato di inserire nelle conclusioni una frase in cui ci si impegna pure a promuovere l'idea di una tassa sulle transazioni finanziarie nel corso della prossima riunione del G20 a Toronto, come chiesto da Francia e Germania. E proprio la cancelliera Merkel ha messo in chiaro che se anche il G20 non dovesse appoggiarla, la Ue andrà avanti da sola e la tassa potrebbe entrare in vigore già nel 2012. Si tratta di un "prelievo" sugli istituti finanziari per far sì che contribuiscano al costo della crisi: l'idea era già nella bozza di conclusioni discussa dai capi di Stato e di governo dei 27 Paesi dell'Unione Europea. "Bisogna tassare chi ha messo a rischio il mercato", ha affermato la cancelliera tedesca Angela Merkel, sostenendo "l'idea sia di una tassa sulle banche sia di una tassa sulle transazioni finanziarie". Il consiglio europeo intende inoltre rafforzare la parte sia preventiva che correttiva del Patto di stabilità e crescita con possibili sanzioni o incentivi collegati al risanamento dei conti pubblici. Anche il bollettino della Banca Centrale Europea diffuso oggi "guarda con favore l'impegno di adottare, ove necessario, ulteriori misure volte ad assicurare il conseguimento degli obiettivi di bilancio per e oltre il 2010". Tuttavia, ha detto il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, "il taglio dei bilanci non deve soffocare la crescita". Mentre l'Ocse avverte: "Non si può fare tutto solo riducendo la spesa, si deve fare in qualche modo anche aumentando le imposte". In serata, da registrare la soddisfazione di Tremonti per il comportamento della delegazione italiana: ""Ho appena parlato per telefono con il presidente Berlusconi - ha detto il ministro dell'Economia a Roma - ha ottenuto uno straordinario successo per il nostro Paese. Le politiche europee considereranno il debito pubblico ma anche la dinamica e la complessiva stabilità". Londra "non sosterrà mai un trasferimento di poteri da Westminster a Bruxelles": lo ha affermato il premier britannico David Cameron, al termine del vertice Ue, ribadendo che "questa è una linea rossa invalicabile" per il suo governo. Cameron guarda con interesse alle tendenze intergovernative in atto in Europa, contro i progetti di una maggiore integrazione europea: "E' questa la direzione che io voglio", ha rilevato. Però ha sottolineato che "è nell'interesse della Gran Bretagna che la zona dell'euro sia un successo". Cameron ha ricordato la grande quantità di scambi tra Gran Bretagna e partner, e la necessità di avere "un approccio pragmatico". Ha però ribadito che la sterlina "non entrerà a fare parte della moneta unica". Cameron ha accolto con favore la decisione di non appoggiare l'ipotesi di creare nuove istituzioni per il governo dell'economia e l'accordo raggiunto affinché sull'esame delle manovre Bruxelles tenga conto delle prerogative nazionali. Accantonata dal G20 delle finanze di inizio mese, l'idea di creare una nuova tassa a carico delle banche, ma anche di tutta la finanza, rispunta al vertice dei capi di stato e di governo dell'Ue. A sostenere questa proposta sono innazitutto Germania e Francia, e oggi la cancelliera Angela Merkel, giungendo al consiglio europeo ha affermato che bisogna "invitare con più insistenza coloro che sono responsabili della crisi a passare alla cassa ". La Merkel voleva sfruttare il vertice di oggi per cercare una posizione comune dell'Ue in vista delle riunioni di capi di stato e di governo di G8 e di tutto il G20 a fine giugno in Canada. Oltre alle banche, Parigi e Berlino volevano convincere gli altri partner europei a creare una nuova tassa anche sulle transazioni finanziarie. Finora anche a livello europeo non erano state trovate intese su questo versante, quindi quella di oggi è una grossa novità. Il prelievo sulle banche, si sottolinea nel documento. dovrebbe comunque essere parte di un quadro "credibile". Per i 27 occorre portare avanti con "urgenza" la valutazione sulle caratteristiche del prelievo e le questioni relative a "condizioni di parità" nella sua applicazione. Il vertice chiede quindi a Consiglio e Commissione di effettuare i necessari approfondimenti e riferire nuovamente in materia al vertice che si terrà il prossimo ottobre. Per quanto riguarda le procedure di sorveglianza sui bilanci pubblici, nella bozza si afferma che deve essere data "un'importanza di gran lunga maggiore ai livelli di indebitamento e alla sostenibilità" come previsto inizialmente dal Patto di stabilità e di crescita. Trova così conferma l'apertura alla richiesta italiana di considerare, nella valutazione della dinamica dei conti pubblici, non solo il debito pubblico ma anche quello privato e in ogni caso un dato aggregato di entrambi i fattori. Nei giorni scorsi il ministro degli Esteri Franco Frattini aveva minacciato il veto dell'Italia qualora le nuove regole non avessero tenuto conto di questo parametro. "Nel documento di stamani è stato inserito il riferimento al debito privato. Un passo in avanti rispetto al documento di Lussemburgo, sul quale io avevo fatto un blocco completo: nel documento di oggi il debito privato entra tra i parametri di convergenza per il patto di stabilità", ha detto Frattini ai giornalisti. "La maggiore resistenza è già stata espressa dalla Germania che ha un debito privato molto grande ma una perplessità così forte non è stata espressa finora da nessun altro paese. La Francia è possibilista. Belgio, Polonia e Spagna sono a favore", ha precisato il titolare della Farnesina. Nella bozza si legge ancora come nel mettere a punto nuove manovre "la priorità dovrebbe essere data a strategie di risanamento dei conti pubblici favorevoli alla crescita e imperniate soprattutto sul contenimento della spesa. Il miglioramento del potenziale di crescita dovrebbe essere considerato fondamentale per agevolare il risanamento dei conti pubblici nel lungo termine". "E' essenziale che tutti i Paesi onorino gli impegni di correggere i disavanzi e i debiti pubblici elevati e di ridurre la vulnerabilità delle proprie finanze", sottolinea la Banca Centrale Europea nel bollettino mensile di giugno, in linea con la bozza in discussione al Consiglio Europeo. Secondo la Bce a tale scopo "andrebbero specificate in ogni aspetto le misure concrete di aggiustamento necessarie per conseguire gli obiettivi di bilancio. Tutti i Paesi devono fare in modo che sia garantita la fiducia nella sostenibilità dei conti pubblici". Ma la Bce sottolinea anche l'importanza di adottare riforme strutturali "di cruciale importanza", che "rafforzino la crescita e l'occupazione". Tra queste, sottolinea la Bce, "le contrattazioni salariali dovrebbero consentire un opportuno aggiustamento dei salari alle condizioni di competitività e di disoccupazione. Altrettanto essenziali sono le misure tese a incrementare la flessibilità dei prezzi e la competitività non di prezzo". Per quanto riguarda i Paesi dell'area euro, Padoan ha affermato: "In alcuni casi gli aggiustamenti fiscali sono talmente importanti, che sarebbe pericoloso farli solo con tagli". Quanto all'Italia, il vice segretario dell'Ocse ha sottolineato: "La dinamica del debito in Italia è migliore di quella di altri paesi, che hanno un debito più basso ma una dinamica più pericolosa". Mentre l'Ocse ammonisce: "Non si può fare tutto solo riducendo la spesa, si deve fare in qualche modo anche aumentando le imposte. E' non è indifferente per la crescita decidere quali imposte aumentare", ha detto il vice segretario generale e capo economista dell'organizzazione, Pier Carlo Padoan, a margine della Conferenza internazionale su 'Investimenti di lungo termine nell'età della globalizzazione'.

Pechino rivaluta lo yuan (22 giugno 2010).
La Cina ha fissato oggi un tasso di cambio di riferimento per la sua valuta, lo yuan, di 6,7980 per un dollaro, confermando la sua volontà di lasciare che lo yuan si apprezzi gradualmente. Il tasso di riferimento è quello intorno al quale le autorità monetarie cinesi consentono allo yuan di oscillare tra il + 0,5 e il - 0,5 per cento. Dato che il tasso di riferimento si riferisce agli yuan che un dollaro può comprare sui mercati finanziari, un tasso di riferimento più basso indica un apprezzamento della valuta cinese. Ieri la banca centrale cinese aveva fissato il tasso di riferimento a 6,8275. La reazione sul mercato dei cambi è stata tuttavia a due facce. Prima un passo avanti e poi mezzo passo indietro. Dopo un iniziale rafforzamento, nelle contrattazioni effettive il valore dello yuan, o renminbi, è calato. È accaduto l'esatto opposto di quanto si era registrato ieri, quando il target ufficiale sui cambi era stato lasciato invariato e mentre lo yuan aveva segnato rialzi. Il calo di oggi potrebbe riflettere massicci acquisti di dollari da parte delle grandi banche a controllo statale della Cina, che in questo modo evitano la necessità di interventi diretti della Banca centrale. Interventi che di fatto avverrebbero ora in maniera indiretta, facendo leva sugli aggregati di domanda e offerta, su un mercato dei cambi valutari che resta opaco agli osservatori e tenuto rigorosamente dotto controllo dalle autorità cinesi. Sviluppi che lasciano aperti gli interrogativi su come si dipanerà effettivamente la maggiore "flessibilità" sui cambi che, sorprendendo un po' tutti, la Banca centrale cinese aveva annunciato sabato scorso. Inizialmente aveva alimentato attese di netti apprezzamenti, tanto che domenica la stessa istituzione ha ritenuto di dover aggiungere alcune precisazioni: i movimenti sui cambi saranno solo graduali e anzi verrà mantenuta una sostanziale "stabilità" sullo yuan. I fatti dei primi due giorni sembrano svilupparsi nelle direzioni indicate dalle autorità cinesi. Ieri il target ufficiale dei cambi sul dollaro era rimasto fermo a 6,8272 yuan, lo stesso livello di venerdì. Su questo valore di riferimento finora Pechino ha consentito oscillazione giornaliere limitate al più o meno 0,5 per cento. E ieri lo yuan era salito, con il dollaro a 6,7971, un apprezzamento dello 0,43 per cento circa della valuta cinese che così saliva ai massimi da alcuni anni sul dollaro. Oggi il target di riferimento è stato invece modificato a un dollaro per 6,7980 yuan, in linea con i valori segnati ieri sul mercato controllato. Inizialmente lo yuan è salito, con il dollaro calato fino a 6,7900 yuan, riporta Cnbc, ma poi ha cambiato rotta - e qui si sospettano acquisti di dollari delle banche statali cinesi - fino a 6,82 yuan circa. Già ieri molti analisti ed economisti avevano avvertito che le promesse cinesi sui cambi potrebbero servire solo come manovra tattica per evitare di finire bersagliate da critiche su questo nodo spinoso al G20 di questo weekend in Canada, a Toronto, dove i giganti emergenti globali, come Cina e India, si ritrovano assieme alle maggiori economie avanzate. Specialmente gli Usa accusano da anni Pechino di tenere artificiosamente deprezzato lo yuan per favorire il suo export, e di recente Washington ha rafforzato il pressing su questo fronte. Secondo gli analisti di Crédit Suisse citati oggi dal Financial Times lo yuan potrebbe esser tenuto sottovalutato perfino del 50 per cento, rispetto ai valori che segnerebbe su un mercato libero. E invece gli analisti prevedono che le autorità cinesi lo lasceranno apprezzare solo di un 3-5 per cento circa sui prossimi 12 mesi.

Il Brasile fa shopping negli Usa (22 giugno 2010).
Brasile favorito nella corsa all'acquisto di titoli di Stato e aziende degli Stati Uniti. Attività un tempo cara a fondi sovrani del Golfo Persico e alla galoppante Cina. Ora, osservando i fatti, è il momento dei brasiliani. La loro economia è forte e gli imprenditori iniziano lo shopping tnegli Usa. La settimana scorsa la brasiliana Marfrig ha deciso di acquisire Keystone Foods per 1,25 miliardi dollari. Il risultato? L'impresa brasiliana diventerà un fornitore chiave delle più importanti catene americane di fast-food: da McDonald's e Subway. E questa è solo l'ultimo di una serie di colpi assestati nel cuore dell'economia usa: secondo la divisione finanziaria dell'agenzia di stampa Reuters, dallo scorso ottobre ad oggi sono state otto le operazioni che hanno visto imprese brasiliane acquistare aziende statunitensi. E la tendenza non sembra destinata ad arrestarsi. Le imprese brasiliane appaiono infatti nella condizione di poter iniziare a investire. La classe media del paese è in aumento, il mercato delle materie prime è maturo, grazie anche ai buoni rapporti commerciali con la Cina. Le grandi imprese del paese hanno bilanci sani, la moneta brasiliana si è apprezzata rispetto al dollaro. E poi il paese può contare sull'ottimismo dei suoi dirigenti. Non è un luogo comune fatto di sole e samba: lo dice una ricerca condotta nel mese di marzo dalla Kpmg su un ampio gruppo di dirigenti provenienti da 17 paesi: «Gli imprenditori brasiliani sono i più ottimisti del mondo per quanto riguarda l'andamento dell'economia globale nel 2011». Il processo, che ora sembra sull'orlo di subire un'accelerazione, è in corso dal 2008. In quell'anno InBev, la società di birra belga-brasiliana, il maggior produttore al mondo per birra prodotta, ha aperto la strada alla conquista degli Usa (sul fronte degli affari) con l'acquisizione di Anheuser-Busch. Il colosso agroalimentare Jbs ha acquistato Pilgrim's Pride per 800 milioni di dollari lo scorso autunno, per poi acquisire nel gennaio 2010 Swift, per 1,4 miliardi di dollari. Sempre a gennaio Petrobras, gigante del petrolio del Brasile, ha acquistato un ramo di Devon Energy. Il mese successivo il produttore brasiliano di materie plastiche Braskem ha acquisito il settore "sostanze chimiche" di Sunoco per 350 milioni di dollari.Un nuovo capitolo riguarderà presto il settore bancario. In aprile il Banco do Brasil, gruppo a quasi totale partecipazione pubblica del governo brasiliano, ha ricevuto l'ok da parte della Federal Reserve per avviare una serie di importanti operazioni negli Stati Uniti, tra cui l'apertura di 15 nuove filiali negli Usa entri i prossimi cinque anni, anche attraverso l'acquisizione di piccole banche locali. Osservare l'economia brasiliana degli ultimi 5/6 anni mi riporta al Brasile degli anni ottanta/novanta, quando lo frequentavo per cercare di portarvi tecnologie italiane con l'aiuto della cooperazione del Ministero italiano degli affari esteri. Quello era un paese allo sbando, instabile politicamente, con enormi ingiustizie sociali tra una minoranza ricchissima e una moltitudine di poveri (in un intreccio di quartieri signorili e tragiche favelas), con le continue proteste dei poveri e degli indios, con un'inflazione sempre altissima; parlando con i dirigenti locali si aveva realmente la sensazione che i loro pensieri oscilassero tra calcio e samba. Ad una conferenza da me tenuta presso l'unione industriali di San Paolo, alcuni imprenditori mi avevano confidato che i migliori utili si potevano realizzare giocando sulla svalutazione della moneta. Oggi dopo la stabilizzaione democratica e le prime elezioni senza brogli e senza strascichi il paese sembra rifiorito. Inoltre, il "bolsa familia", che garantisce una rendita anche se minima a molte persone bisognose, ha aiutato molti ad uscire della linea della povertà assoluta e ha, notevolmente attenuato le tensioni sociali, consentendo, sia il rientro dei capitali, sia l'arrivo di capitali freschi. Il "bolsa familia", infatti, è riconosciuto mondialmente come uno dei migliori piani d'aiuto alla popolazione bisognosa fatto da un governo.

Delusione alla Fiat per il referendum di Pomigliano (24 giugno 2010).
Dopo i risultati del referendum tra i dipendenti Fiat di Pomigliano d'Arco che ha visto il 62% favorevoli all'accordo e il 36% contrari c'è un'aria di sconfitta alla Fiat che ha emesso il seguente comunicato "L'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilita' dell'accordo. La Fiat, inoltre, ha preso atto della impossibilita' di trovare condivisione da parte di chi sta ostacolando, con argomentazioni dal nostro punto di vista pretestuose, il piano per il rilancio di Pomigliano". Con 4 dipendenti su dieci contari a un accordo che prevede di aumentare la produttuività dello stabilimento di otto volte il progetto industriale è messo in discussione. Secondo Uil e Cisl il numero dei no è molto maggiore della consistenza della Fiom e viene spiegato con il fatto che molti dipendenti preferiscono la cassa integrazione e un secondo lavoro in nero piuttosto che lavorare in fabbrica. "Abbiamo affrontato situazioni più difficili, troveremo anche questa volta una soluzione" ha detto ai suoi collaboratori. Evidentemente Marchionne ha già un'idea del nuovo percorso che passa sempre per Pomigliano ma che non sarà più quello di due giorni fa. Perché lui la Panda, se non si troverà uno sbocco in extremis, la produrrà in un'altra fabbrica. "Su quella partita non riapriremo più le trattative", assicurano al Lingotto. Adesso la sensazione che si ricava dalle indiscrezioni e dagli umori che filtrano dal Lingotto, è che la Fiat debba inventarsi una via d'uscita nuova. "Una soluzione che convenga a tutti, perché altrimenti non perde solo la Fiat" dicono i suoi negoziatori. Ma quando si prova a tradurre questa decisione in fatti concreti, si scopre che l'azienda intende tenere alcuni punti fermi. E cioè: l'accordo sottoscritto non si tocca, non si tratta con la Fiom, si cercano semmai contatti con governo e con le confederazioni sindacali. Ma dove porta questa nuova strada? Non c'è al momento una risposta ufficiale, ma c'è la quasi certezza che il progetto-Panda è tramontato sull'orizzonte di Pomigliano. "Potremo produrre anche una vettura diversa, sicuramente non faremo trattori". Per la Panda c'era un piano che prevedeva investimenti e tempi di attuazione. Adesso la Fiat pensa a un'alternativa che sia comunque gestibile. La produzione della Panda era stata trasferita a Tichy, in Polonia, quando nel 2002 la Fiat aveva cercato un posto dove salari e condizioni di lavoro diverse garantissero margini di guadagno che la piccola vettura, anche se ben accolta dai mercati, non era in grado di spuntare se prodotta in Italia. La scelta di riportarla in casa, spiegano al Lingotto, era stata fatta da Marchionne per risolvere in qualche modo il problema Pomigliano, scontando in partenza un'"anti-economicità" misurata in 500-600 euro a vettura, meno dei 1000 euro di perdita delle auto di Termini, ma pur sempre "rosso" sui conti. "Se avessimo fatto solo un calcolo economico, una scelta industriale, l'avremmo lasciata in Polonia o al massimo l'avremmo trasferita in Serbia" dicono oggi in Fiat. E lasciano intendere che è quello che potrebbe accadere dopo il mancato accordo di Pomigliano. E' comunque ancora troppo presto per dire quale destino avrà ora lo stabilimento campano. C'è chi dice che potrebbe essere destinato a produrre la Linea, vettura che attualmente viene sfornata in Turchia, ma potrebbe ospitare anche altre attività del gruppo. Non c'è ancora una decisione definitiva anche perché il Lingotto aspetta di vedere sa il governo "batterà un colpo", oltre alle dichiarazioni ottimistiche di Sacconi. E non è escluso che Marchionne e i suoi negoziatori, impegnati da ieri mattina in contatti con Roma, si aspettino anche una presa di posizione dei sindacati confederali. Quello che essi definiscono "un risultato inaspettato e non solo da noi" potrebbe valere anche per i sindacati. E' ciò che pensa Marchionne dopo una svolta a sorpresa che appena due giorni fa, ammesso che qualcuno l'avesse messa in conto, sarebbe stata letta come un segnale di abbandono di Pomigliano da parte del Lingotto. Invece si ricomincia con una Fiat che, cancellando dal suo comunicato la Panda e l'investimento da 700 milioni di euro, continua a dire che a Pomigliano vuole produrre ancora automobili. E con un Marchionne che più che sconfitto appare seccato del fatto "che qualcuno non abbia capito".

G8 e G20 di Toronto (27 giugno 2010).
I paesi del G-8 e poi quelli del G-20 si sono presentati a Toronto assumendo ciascuno la responsabilità di fare la propria parte per correggere i profondi squilibri dell'economia globale e consentirle così di crescere in una cornice di politiche coordinate e coerenti. Propositi condivisi da tutti e dalla stessa Cina, che si è voluta togliere dalla posizione d'imputato permanente, arrivando con un cambio rivalutato e con un vasto programma d'investimenti interni, atti a ridurre il suo gigantesco surplus. Per parte sua l'Europa ha esibito le sue credenziali, all'insegna del consolidamento dei bilanci pubblici come premessa ineludibile della crescita. Ma questa volta la saggezza europea ha destato più preoccupazione che consenso, una preoccupazione sotto la quale c'è un profondo disagio per le posizioni e le scelte della Germania, che sono temute come una camicia di forza imposta all'Europa e come una strada alla fine della quale ciò che rimane immutato, con scarso beneficio per l'Europa e per il mondo, è proprio il surplus della stessa Germania. Si dirà che una critica del genere è accolta con gioia da chi in Europa è insofferente verso i vincoli di bilancio ed è più che felice di coprire il proprio lassismo con le ragioni della crescita. Ma le cose non sono così semplici. Il 23 giugno scorso, parlando proprio a Berlino alla Humboldt University, George Soros è stato molto crudamente severo ed è con i suoi argomenti che Angela Merkel e l'Europa intera devono fare i conti. È giusto tener conto delle profonde motivazioni che ispirano le posizioni tedesche e quindi della volontà della Germania non certo di danneggiare il resto d'Europa, ma di mantenere la propria competitività e di non diventare la pronta cassa dei vicini più spendaccioni. "Certo è - ha osservato Soros - che adottando politiche pro-cicliche (la manovra da 80 miliardi) e imponendole agli altri europei, la Germania lega i paesi dell'eurozona ad un rischio che si chiama deflazione. Ne può venire una lunga stagnazione, così come accadde con la grande depressione degli anni 30, dalla quale tuttavia i tedeschi pensano di restare immuni. La loro economia, infatti, compensa ampiamente gli effetti interni della manovra di bilancio con la crescita delle esportazioni, che sono il loro tradizionale motore e che l'euro indebolito potrà ulteriormente favorire". Può darsi che Soros abbia esagerato con le tinte forti. Può darsi, più concretamente, che abbia sottovalutato le capacità di reazione di altri paesi, e in primis dell'Italia, caratterizzati anch'essi da una forte propensione a esportare e non a caso già ora avviati verso un recupero di Pil superiore alle attese. E tuttavia il problema che egli ha posto esiste. Si può affrontare una fase come questa con politiche soltanto restrittive, affidando la crescita alla sola capacità di esportare di chi la possiede? Noi europei lo sappiamo che non è così e ce lo dice da solo il basso tasso di sviluppo su cui ci attestiamo da anni, anche quando su quel versante le cose vanno bene. Ma allora la soluzione qual è, togliere i freni alle politiche di bilancio e girarle in chiave espansiva? Evitiamo i semplicismi. La domanda è legittima per la Germania, che poteva risparmiarsi, e risparmiarci, una manovra volutamente presentata come particolarmente severa (e non a caso i tedeschi si adoperano ora a dimostrare che lo è meno di quanto sembra). Ma non potevano invece risparmiarsela la maggior parte degli altri paesi, Italia inclusa, con forti debiti pubblici. Qui, piaccia o non piaccia, un prezzo lo dobbiamo pagare alla fragilità politica delle istituzioni europee su cui poggia l'euro. L'euro è uno, ma i debiti pubblici sono tanti quanti sono i paesi che lo hanno adottato. E questa, da sola, è già una differenza sufficiente a rendere il debito pubblico degli Stati Uniti più affidabile dei nostri. Se vogliamo allora che i nostri titoli pubblici continuino a trovare collocazione, lasciamo che i bilanci nazionali curino se stessi. Stando così le cose, però, cerchiamo altre strade per promuovere la crescita, tanto più che queste strade ci sono e partono tutte da Bruxelles, dove davvero possiamo fare tutti insieme qualcosa di utile a ciascuno. Possiamo mettere in moto programmi comuni d'investimento facendo raccogliere alle istituzioni finanziarie comuni le risorse private di cui il mercato abbonda. Possiamo spingere l'integrazione del mercato unico più avanti di quanto abbiamo fatto sinora, come ha suggerito Mario Monti, e ampliare così la gamma dei servizi liberalizzati oltre quelli della tormentata direttiva Bolkestein, creando nuova offerta e nuova domanda nei nostri paesi. Possiamo tagliare robustamente i costi dell'energia già con il solo completamento di una rete elettrica comune. E così via enumerando cose che abbiamo detto troppe volte senza mai impegnarci seriamente per farle. Che cosa ci potrebbe dare questa volta la forza di farle? La necessità della maggioranza dei paesi europei di sottrarsi al riscchio di deflazione, senza togliere il freno ai bilanci interni, ma evitando ciò nondimeno di rinunciare allo sviluppo o di averlo senza occupazione. E la Germania? Hanno ragione Alberto Alesina e Roberto Perotti a scrivere che sarebbe un gravissimo errore isolarla. Ma essa, che da sola non cambierebbe la sua politica interna, non potrebbe non essere partecipe di politiche europee, che farebbero tracimare entro i suoi confini liberalizzazioni comuni, forse ancora più utili ai tedeschi che agli altri. La loro, in fondo, è un'economia che funziona, ma funziona alla vecchia maniera e una stagione di modernizzazione dei loro servizi potrebbe forse stimolare quella domanda interna, che sul fronte dei beni non riesce a crescere più. Al di là di ciò, lo sa anche la Germania che se i paesi europei più indebitati non crescono, alla lunga non bastano i bilanci rigorosi a fornire le risorse per ripagare il loro debito pubblico. E a quel punto - nota Soros - le mani al portafoglio i tedeschi dovranno metterle per salvare non gli altri europei, ma le loro stesse banche, che di titoli pubblici non nazionali ne hanno in pancia una quantità ragguardevole. Ci diranno qualcosa i preannunciati e sacrosanti "stress test" a cui saranno finalmente sottoposte le banche europee, anche se molte, e fra esse le Landesbanken tedesche, potrebbero restarne fuori. In ogni caso - conclude Soros - può darsi che la Germania, dopo aver contribuito con tanta sofferenza al Fondo di stabilizzazione europeo, cominci a vederlo in una luce diversa, se i soldi di esso dovessero essere usati proprio per ricapitalizzare le sue banche. Più Europa, dunque, al fondo di questo ragionamento partito da Toronto? Sì, e non per utopia, ma per realismo, se tutti, Germania inclusa, sapremo essere realisti.

Le conclusioni del G20 (27 giugno 2010).
La principale priorità «è salvaguardare e rafforzare la ripresa» , gettando «le fondamenta per una crescita forte, sostenibile ed equilibrata». Ed è «cruciale» farlo perché la ripresa «è diseguale e fragile» e l'occupazione «in molti paesi resta ancora a livelli inaccettabili». I Grandi della Terra guardano allo sviluppo ma credono anche che per raggiungere tale obiettivo le finanze pubbliche «vadano rafforzate» e i sistemi finanziari vadano resi «più forti e trasparenti». Nel comunicato finale del G20, che si è chiuso ieri a Toronto, nella cornice di due giorni di scontri fra manifestanti anti-summit e la polizia risolti con più di 500 arresti, emerge un accordo-non accordo che evita di scegliere tra le differenti esigenze dei paesi partecipanti, divisi tra seguire la via espansiva dell'economia oppure quella del rigore nei conti pubblici. E emerge la convinzione che occorra «fare di più». «Ci impegniamo ad intraprendere azioni concertate per sostenere la ripresa, creare nuovi posti di lavoro e pervenire a una crescita più vigorosa» aggiungono i leader di Stato e di governo dei venti paesi più ricchi del mondo lasciando però alle «peculiarità nazionali» il ruolo guida delle misure da adottare. Come dire, l'azione deve essere coordinata ma poi ognuno fa per se. Su tutto quindi spicca la decisione, con tanto di scadenza, di «dimezzare i deficit» di bilancio entro il 2013 e di ridurre, ma senza specificare una percentuale, il rapporto debito-Pil entro il 2016. L'impegno sul deficit, proposto dai padroni di casa del Canada, ha subito suscitato la soddisfazione della cancelliera tedesca Angela Merkel, la principale paladina della linea del rigore. «Francamente, è più di quanto non mi aspettassi; si tratta di un obiettivo molto ambizioso, e il fatto che tutti i paesi industrializzati lo abbiano fatto proprio è di per se un successo» ha osservato la cancelliera la quale ieri ha avuto anche la soddisfazione della vittoria della squadra di calcio della Germania ma ha dovuto incassare il no sulla tassa sulle transazioni finanziarie (di cui non si fa neanche parola nel comunicato) e il mancato accordo sulla tassa globale sulle banche per cui i paesi del G20 si muoveranno in ordine sparso. «Il G20 ha riconosciuto che tassare le banche è legittimo» ha osservato comunque il presidente francese Nicolas Sarkozy. Quanto all'impegno a dimezzare i deficit, comunque l'Europa ha già messo in conto sforzi superiori mentre l'amministrazione Usa ha già inserito l'obiettivo nei suoi programmi di bilancio. «Gli Stati Uniti, con l'esempio, sono alla guida sulla strada della crescita» ha detto il presidente Usa Barak Obama, citando le «azioni audaci» fatte «con successo» nel campo delle riforme economiche alle quali il prossimo anno, ha annunciato, si aggiungerà quella «sul bilancio». Sul fronte finanziario «stiamo costruendo - dice il comunicato finale - un sistema più resistente in grado di rispondere ai bisogni delle nostre economie, ridurre il danno morale, limitare l'insorgere del rischio sistemico e sostenere una crescita economica forte e stabile». Rispetto a tale generica affermazione risulta significativo l'impegno ad attuare i nuovi parametri su capitale e liquidità delle banche, il cosiddetto Basilea3: «Siamo a favore della conclusione di un accordo» al vertice di Seoul. Tutti i paesi adotteranno i nuovi standard» con l'obiettivo di attuare il nuovo quadro normativo «entro la fine del 2012», rispettando «il criterio della gradualità». E' un «messaggio forte» ha detto Mario Draghi, governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial stability board, apprezzando anche «l' appoggio» dei grandi alla questione del too big to fail. «Ci assicureremo che le nuove regole non creino scompiglio sui mercati e non rallentino la ripresa» ha poi osservato Draghi, che ieri ha partecipato alla riunione dei leader del G20. I quali nel comunicato hanno in sostanza accolto il programma di riforme su quattro pilastri proposto dal Fsb illustrato nella lettera inviata dal governatore ai capi di Stato e di governo. «Le regole devono essere chiare» e «i controlli forti» ha commentato Obama.

Aumenta il rapporto pressione fiscale/Pil (29 giugno 2010).
L'erario incassa meno e la pressione fiscale rispetto al Pil cresce. La spesa va oltre quota 50% e si assesta al 52,5 per cento. È la fotografia scattata dall'Istat sui conti pubblici 2009 e che mette in evidenza come la pressione fiscale sia arrivata a un livello mai raggiunto dal 1997, l'anno dell'eurotassa. Con un carico fiscale attestatosi al 43,2%, rispetto al 42,9% del 2008, l'Italia si colloca ex aequo con la Francia al quinto posto della speciale classifica sulla pressione tributaria e contributiva in Europa. Secondo i dati dell'Istat, infatti, il nostro paese è preceduto soltanto da Danimarca (49%), Svezia (47,8%), Belgio (45,3%) e Austria (43,8%). I valori più bassi li hanno fati registrare Lettonia (26,5%), Romania (28%), Slovacchia e Irlanda (29,1%). L'aumento della pressione fiscale – che fa posizionare l'Italia di 3,7 punti percentuali sopra la media della Ue a 27 (39,5%) –, sarebbe la diretta conseguenza di una riduzione del Pil superiore a quella complessiva del gettito fiscale e parafiscale. La cui dinamica negativa (-2,3%), spiega ancora l'Istat, è stata attenuata da quella, in forte aumento, delle imposte straordinarie (imposte in conto capitale), cresciute in valore assoluto di quasi 12 miliardi. A pesare, dunque, sarebbero state soprattutto le poste straordinarie come i quasi 5 miliardi incassati dall'erario con lo scudo fiscale e i versamenti una tantum delle sostitutive pagate da alcuni settori dell'economia, in particolare quello bancario con il riallineamento dei valori civili e fiscali. A calare e a incidere in negativo sull'andamento delle entrate (-1,9%) sono state tutte le altre singole voci. Nel dettaglio le imposte indirette sono scese del 4,2%, mentre le dirette del 7,1% e i contributi sociali effettivi dello 0,5 per cento. La flessione delle imposte dirette, sottolinea l'Istat, è legata al calo dell'Ires (-23,1% rispetto al 2008), mentre le indirette hanno risentito delle significative diminuzioni del gettito Iva (-6,7%). Se da una parte il governo ha fatto bene nella lotta all'evasione, dall'altra la pressione fiscale ai massimi «è un problema per la crescita». Come sottolineato dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, le imprese chiedono che si apra un tavolo sul fisco. Per l'ufficio studi del consiglio nazionale dei commercialisti l'Italia non sarebbe né quinta, né settima, «ma sempre e invariabilmente prima o quanto meno sul podio, se si considera il dato della pressione fiscale riferito al Pil depurato dalla componente di economia sommersa». In questo modo, spiegano i commercialisti, la pressione “reale” in Italia è del 51,6% nel 2009 rispetto al 50,8% nel 2008. Oltre alla pressione fiscale a crescere, precisa l'Istat, è anche la spesa pubblica. Con un balzo oltre il 50% del Pil la spesa nel 2009 ha superato la media europea, con una una crescita del 3,1%, in frenata rispetto al 2008 (+3,6%). Tuttavia, l'incidenza sul Pil è passata al 52,5%, dal 49,4% del 2008. Dall'Eurostat, intanto, arriva la conferma che il prelievo fiscale sul lavoro in Italia è al primo posto tra quelli della Ue.Secondo il rapporto diffuso ieri, dai dati 2008, la pressione fiscale (intesa come imposte più i contributi sociali) sui redditi da lavoro è del 42,8 per cento.

Le banche europeee superano lo stress test (25 luglio 2010).
Nel complesso i risultati confermano la capacità delle banche italiane di assorbire l'impatto di un significativo deterioramento delle attuali condizioni macroeconomiche e di mercato. È positiva la valutazione d'insieme dei risultati dello stress test rilasciata dalla Banca d'Italia, in un comunicato che dà conto dell'esame sostenuto dai 5 gruppi bancari italiani nell'ambito della prova di stress realizzata a livello consolidato su 91 banche europee. Non solo non ci sono bocciature, ma nessuno dei gruppi italiani (UniCredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena, Banco Popolare e Ubi Banca (che rappresentano il 60% del totale attivo del mercato bancario italiano) scende al di sotto della soglia del 6% del Tier 1 ratio, il coefficiente relativo al patrimonio di base, anche sotto l'urto del doppio shock (quello macroeconomico e quello da debiti sovrani) considerato nello scenario avverso immaginato dalla Bce. E va ricordato, sottolineano gli esperti di Bankitalia, che il 6% del tier 1 è un parametro comunque superiore di 2 punti al minimo regolamentare. Mario Draghi, come presidente del Financial stability board, ha evidenziato come questi risultati «forniscano ulteriore chiarezza e trasparenza al settore bancario europeo e alle 91 banche che hanno partecipato alla prova». Lo stress test, ha sottolineato il ministro dell'Economia Tremonti, indica la solidità del sistema Italia. «A volte non fare notizia è una buona notizia. Questa volta l'Italia non fa notizia perché ha i numeri nella media dell'Europa e questo è molto buono e positivo». È un «dato buono», ha spiegato il ministro, «non solo perché indica la solidità del sistema bancario-finanziario italiano, ma indica la solidità dell'Italia». Il ministero è peraltro pronto, in linea con quanto è stato fatto da altri paesi europei, a riaprire lo strumento dei Tremonti bond «anche se – precisa un comunicato di via XX Settembre, non sussiste alcun elemento che induca a ritenere che le banche italiane debbano ricorrere a tali strumenti». E soddisfazione, infine, è stata espressa anche dal neopresidente dell'Abi Giuseppe Mussari, che ha rilevato come le banche italiane «godano di ottima salute». Entrando nel dettaglio, l'ipotetica batosta esterna prefigurata dai test si ripercuoterebbe con effetti differenziati sulle varie aziende di credito: lo shock, ha spiegato il vicedirettore generale di Bankitalia Annamaria Tarantola, produrrebbe alla fine del periodo considerato (cioè nel 2011) un tier 1 pari al 7,8% per UniCredit, 8,2% per Intesa Sanpaolo, 6,2% per Mps, 7,0% per Banco Popolare, 6,8% per Banca Ubi. In pratica, i "voti migliori" quanto a capacità di assorbire un urto poco probabile (la probabilità stimata dello scenario avverso è pari al 5%, mentre ai tempi dello stress test Usa era pari al 15%) se li aggiudicano i due big, cioè Banca Intesa Sanpaolo e UniCredit, grazie alle azioni di rafforzamento del capitale che hanno realizzato nella prima metà di quest'anno. Nella determinazione degli impatti patrimoniali delle perdite, è stato spiegato, un effetto non trascurabile sarebbe prodotto dal regime fiscale, che ha oneri significativi anche in presenza di perdite d'esercizio. Nel biennio, per effetto del doppio shock le prime 5 banche italiane registrerebbero perdite complessive per poco più di 51 miliardi di euro (poco meno del 10% dei 566 miliardi dell'impatto patrimoniale dello shock sull'intero campione europeo). Di queste, 39,8 miliardi sarebbero costituite da perdite legate al deterioramento del quadro macroeconomico, poco meno di 6 miliardi si registrerebbero nel portafoglio di negoziazione, per effetto della svalutazione dei titoli pubblici con le ipotesi di haircut previste nell'esercizio (con una perdita di valore di 4,6 miliardi), altri 5,6 miliardi deriverebbero dalla svalutazione del portafoglio azionario disponibile per la vendita. Per contro, la redditività operativa stimata sarebbe pari a 47,4 miliardi di euro (per le banche italiane che sono molto "credit intensive" l'espansione del margine d'interesse dovuta all'aumento dei tassi a breve e a lungo ipotizzato sarebbe consistente). Bankitalia ha spiegato anche che in un confronto meramente statistico la posizione delle banche italiane nella distribuzione dei livelli del patrimonio non è elevata. Ma questo risultato riflette un paio di caratteristiche strutturali delle banche italiane: il loro poggiare su un modello operativo tradizionale che viene penalizzato dal sistema di pesi del rischio espresso da Basilea 2 e i requisiti di ammissibilità a capitale di vigilanza chiesti dalla stessa Bankitalia. Quello che era e resta chiaro ed è un dato positivo è che le aziende di credito italiane hanno una leva finanziaria complessiva molto bassa. Stress test: i motivi di una scelta Gli stress test sono simulazioni condotte dall'organismo europeo Cebs (Committee of European Banking Supervisors) a cui sono stati sottoposti 91 istituti di credito europei (fra cui 5 italiani), in modo da accertare le loro capacità di resistenza a eventuali improvvisi sviluppi negativi del contesto in cui operano, o shock esterni. Si tratta di un modo per stabilire se le banche siano in grado di «incassare il colpo», o se invece abbiano bisogno di rafforzare le loro basi patrimoniali. L'esito dell'esame degli istituti europei Delle 91 banche sottoposte a stress test, solo 7 non hanno passato l'esame: si tratta della tedesca Hypo Real Estate (già salvata dallo stato nel 2008 e successivamente nazionalizzata), la Ata bank greca e 5 casse di risparmio spagnole: Diada, Cajasur, Espiga, Unnim et Banca Civica. Tutti questi istituti dovranno provvedere ad incrementare il proprio capitale per reggere ad eventuali crisi finanziarie. I criteri adottati per realizzare lo studio I test ipotizzano due scenari particolarmente sfavorevoli: il primo prevede uno scostamento del Pil del 3% rispetto alle previsioni mentre il secondo valuta il rischio dei titoli sovrani. Lo shock negativo tratteggiato per l'Italia riguarda una caduta del Pil dello 0,6% nel biennio 2010-2011 a fronte di una previsione di crescita del 2,1% e un rendimento dei titoli italiani nel 2011 a 5 e 10 anni a un tasso rispettivamente del 4,8% e 6,3%.. Il coefficiente di solidità Il parametro preso come punto di riferimento per la solidità patrimoniale delle banche è il Tier 1: si tratta del rapporto tra capitali propri e attività totali di una banca. Le authority europee hanno fissato al 6% il limite minimo sotto al quale una banca non può andare senza correre il rischio di non saper fronteggiare una crisi finanziaria. Le banche italiane hanno tutte superato questo livello anche nel peggior scenario possibile ipotizzato negli stress test: Intesa Sanpaolo avrebbe un Tier 1 all'8,2%, UniCredit al 7,8%, Banco Popolare al 7%, Ubi Banca al 6,8%, Mps al 6,2%.

Eugenio Caruso
Aprile – giugno  2010

Per un approfondimento su come l'Italia sia arrivata al limite del baratro si rimanda al successo editoriale
E. Caruso, L'estinzione dei dinosauri di stato.

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