Le iniziative per la riduzione delle emissioni di CO2.

Emission  Trading Scheme

L’Emission  Trading Scheme europeo (EU ETS vedi Nota) varato in base alla direttiva europea n. 87 del 2003, è il primo sistema internazionale cap and trade per limitare le emissioni di gas climalteranti prodotte dalle attività industriali. Alla base del sistema vige un  meccanismo per l’assegnazione di permessi ad emettere in funzione di un tetto massimo prestabilito (cap) e di uno di scambio (trade) che consente di negoziare e di trasferire la titolarità di crediti in termini di emissioni.
L’elemento della compravendita è stato infatti introdotto per minimizzare il costo della riduzione delle emissioni, premiando gli operatori virtuosi e penalizzando coloro che non hanno conseguito gli obiettivi loro fissati.
Valutazioni contrastanti sono state manifestate in questi anni sulla reale efficacia del meccanismo, sul suo  costo per il sistema energetico e sulle procedure di controllo: per il periodo successivo al 2003-2010 sono previste sostanziali modifiche al momento in fase di discussione in sede comunitaria.
Le principali novità riguarderebbero la definizione di un unico tetto di emissioni a livello europeo (quindi non più a livello nazionale) e la loro assegnazione a titolo oneroso tramite procedure concorsuali. Farebbero eccezione alcuni particolari settori merceologici che, per garantirne la competitività, otterrebbero le quote – o una parte di esse – ancora a titolo gratuito.
Dalla sua applicazione pratica, del 2005, il mercato di titoli CO2 si è sviluppato in maniera significativa; nel primo anno di avvio sono stati scambiati almeno 362 milioni di quote (pari ad altrettante tonnellate di CO2) per un valore di circa 7,2 miliardi di euro. Il volume degli scambi ha raggiunto 1 miliardo di quote nel 2006, 1,6 miliardi nel 2007 e 3,1 miliardi nel 2008 per un valore di 92,4 miliardi di euro (quasi 30 euro per tonnellata di gas).  Nel 2008 gli scambi europei hanno costituito il 73% del giro d’affari mondiale.
Il prezzo  delle quote è determinato dalla domanda e dall’offerta; il suo andamento presenta, quindi, una forte correlazione  con l’andamento dell’economia e in primo luogo con i dati relativi alle produzioni industriali. Nel 2009, infatti, il mercato ha attraversato una fase fortemente ribassista  che nei primi mesi ha portato il valore per tonnellata tra gli 8 e i 10 euro per poi stabilizzarsi attorno ai 13 euro.
Al chiaro di luna dell’attuale crisi economica alcuni sospettano che possano esservi delle battute d’arresto nell’attuazione della direttiva.
NOTA
L’Unione europea è in prima linea a livello mondiale per ridurre le emissioni di gas a effetto serra imputabili alle attività umane. Come pietra miliare della sua strategia per ridurre le emissioni in maniera economicamente efficace, l’UE ha sviluppato il sistema dello scambio di quote (1 quota è pari a 1 t di gas) di emissioni (EU ETS). Varato all’inizio del 2005, l’EU ETS è il primo sistema internazionale “cap and trade“  a livello di imprese per la concessione di quote di emissioni di anidride carbonica e altri gas a effetto serra. L’EU ETS fissa un tetto al livello totale delle emissioni, ma consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote di emissione secondo le loro necessità.
I meccanismi innovativi stabiliti dal protocollo di Kyoto, ovvero

  1. scambio delle quote di emissioni,
  2. meccanismo di sviluppo sostenibile tramite la cooperazione regionale e bilaterale con paesi partner in tutte le regioni dei paesi in via di sviluppo.(MSP)
  3. attuazione congiunta di progetti di sviluppo nei paesi industrializzati  (Joint Implementation, JI),

sono diventati il motore di espansione del mercato internazionale del CO2. Con la definizione di un prezzo per ogni tonnellata di CO2 emessa, l’EU ETS sta favorendo gli investimenti in tecnologie a ridotto tenore di carbonio: costringendo le imprese a fare i conti con i costi delle emissioni, la direttiva dovrebbe stimolare l’ingegno e la creatività della comunità imprenditoriale nell’escogitare modalità innovative e più economiche per combattere il cambiamento climatico. L’EU ETS dovrebbe consentire all’Unione europea di centrare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni ai sensi del protocollo di Kyoto a un costo inferiore allo 0,1 % del PIL.
Il cuore dell’EU ETS sono le quote di emissioni, che costituiscono la “moneta di scambio“ comune. Ciascuna quota dà il diritto ad emettere una tonnellata di CO2. Agli Stati membri viene attualmente richiesto di elaborare piani nazionali di assegnazione (PNA) per ogni periodo di scambio, al fine di stabilire il volume di quote destinate annualmente a ciascun impianto. Le imprese che mantengono le proprie emissioni al di sotto del livello stabilito possono vendere le quote eccedenti a un prezzo determinato dalla domanda e dall’offerta, mentre chi incontra difficoltà a rimanere al di sotto dei limiti stabiliti può scegliere fra varie alternative: intervenire per ridurre le emissioni (a esempio, investendo in tecnologie più efficienti o utilizzando fonti di energia a minore intensità di carbonio), acquistare quote supplementari o crediti MSP/JI sul mercato, oppure ricorrere a una combinazione delle due soluzioni. Fino a questo momento, la maggior parte delle quote è stata concessa gratuitamente agli impianti (almeno il 95 % durante la fase iniziale e almeno il 90 % nella fase 2 dal 2008 al 2012). Sebbene le quote siano assegnate solo alle imprese interessate dall’EU ETS, chiunque altro (individui, istituzioni, organizzazioni non governative ecc.) è libero di acquistare o vendere quote sul mercato esattamente come le imprese.

I certificati verdi

Un certificato verde è una forma di incentivazione a favore dell’energia elettrica da fonti rinnovabili. Si tratta in pratica di titoli negoziabili, il cui utilizzo è diffuso in molti stati come ad esempio nei Paesi Bassi, Svezia, UK e alcuni stati degli USA.
Si tratta di certificati che corrispondono ad una certa quantità di emissioni di CO2 evitata: se un impianto produce energia emettendo meno CO2 di quanto avrebbe fatto un impianto alimentato con fonti fossili (petrolio, gas naturale, carbone ecc.) perché alimentato "da fonti rinnovabili", il gestore ottiene dei certificati verdi che può rivendere (a prezzi di mercato) a industrie o attività che sono obbligate a produrre una quota di energia mediante fonti rinnovabili ma non lo fanno autonomamente.
In Italia i certificati verdi sono emessi dal Gestore dei Servizi Energetici GSE (Gestore Servizi Energetici) su richiesta dei produttori di energia da fonti rinnovabili.
I Certificati Verdi sono stati introdotti dal decreto di liberalizzazione del settore elettrico noto come Decreto Bersani. Il decreto di attuazione della direttiva 96/92/CE stabilisce che i produttori possano richiedere i certificati verdi per 8 anni (per impianti entrati in servizio o revisionati dopo l'aprile del 1999) e per 15 anni per impianti successivi al 31/12/2007 (norma in finanziaria 2008). I certificati verdi permettono alle imprese che producono energia da fonti convenzionali (petrolio, carbone, metano, eccetera) di rispettare la legge che obbliga ogni produttore o importatore di energia a usare fonti rinnovabili per il 2%.
L'impresa produttrice di energia acquista, presso la borsa gestita dal GSE, i certificati verdi che occorrono per raggiungere la soglia del 2% della propria produzione. La quota del 2% si incrementa ogni anno, dal 2004, di 0,35% punti percentuali. I certificati verdi possono essere accumulati e venduti successivamente, a esempio quando il valore sia cresciuto a seguito della domanda di mercato. Nel 2005 il valore è stato fissato dal mercato a 108,92 €/MWh al netto dell'IVA per 86.136 certificati verdi emessi per complessivi 4.308 GWh. I produttori di energia da fonti rinnovabili hanno anche, per legge, la "priorità di dispacciamento" cioè la garanzia, da parte del gestore della rete, di comprare prioritariamente l'energia così prodotta. Al 2006 con gli impianti certificati come fonti rinnovabili si producevano 3.212 GWh di energia idroelettrica (35%), 2.440 GWh di energia eolica (27%), 1.297 GWh con biomasse (14%), 943 GWh di energia geotermica (10%), 745 GWh con biogas (8%), 521 GWh con i rifiuti (6%) e 2,7 GWh con il solare. Il prezzo dei certificati verdi è stato pari a circa 125 €/MWh nel 2006, valore a cui va aggiunto il prezzo di cessione dell'energia elettrica sul mercato. Nel 2010 è di 112,82 €/MWh più il prezzo di cessione dell'energia elettrica sul mercato. Nel 2008 sono stati concessi dal GSE certificati verdi per 11 TWh con un incremento del 40% rispetto al 2007.
Il risultato di questa politica è la creazione di un mercato in cui alcuni possono vendere l'energia con maggiori margini di profitto rispetto ad altri, in modo da incentivare, almeno in teoria, modi di produzione dell'energia che dovrebbero ridurre la quantità di gas-serra (anidride carbonica ed altri). Lo scopo è di utilizzare i meccanismi del libero mercato per incentivare determinati processi produttivi dell’energia, evitando un intervento diretto dello Stato, ma si manifestarono alcune distorsioni, vanificando in parte lo scopo primario di riduzione dei gas-serra. Infatti a causa della normativa italiana che concedeva questi sussidi anche alle fonti cosiddette assimilate alle rinnovabili (definizione tutta italiana e senza riscontri in Europa) una gran parte dei fondi sono stati destinati in modo controverso anche ad attività quali la combustione di scorie di raffineria, sanse e all'incenerimento dei rifiuti. Poiché tale incentivazione durerà ancora anni, attualmente ci si trova nella situazione paradossale in cui a esempio scarti di raffineria, per il cui smaltimento in tutto il mondo i produttori sono costretti ad accollarsi dei costi, in Italia vengono bruciati ricevendo dei finanziamenti.

 Eugenio Caruso
13 maggio 20

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