Il Kyrghyzstan e l'ambientePensiamoci su .. Un interessante ragionamento, diciamo really honestly e veritiero, va condotto sull’Asia centrale e in particolare sul Kyrghyzstan di cui ritengo utile parlare; io ho avuto la fortuna di studiare questo paese con un certo approfondimento, sia per il mio dottorato di ricerca, sia durante il corso di laurea in Scienze Politiche presso la Cattolica di Milano, e ne sono rimasto incuriosito intuendo che tra le mille tematiche che si possono scegliere essa merita qualcosa di più. Centinaia di articoli sono stati scritti sull‘argomento, ma quelli del mio docente di allora, la professoressa Valeria Piacentini che ringrazierò sempre, sono tra quelli più mi hanno incuriosito e fatto amare l’argomento. Per questa ragione mi affaccio a questo tema: il Kyrghyzstan, una “grande aquila” dice la professoressa Piacentini. I media, normalmente, dedicano pochissimi spazio a questo paese che è splendido, con una vasta pianura, con i suoi boschi di noci, olmi e pioppi e un sottobosco ricco di cespugli di bacche e le sue alte montagne. Con i kyrghyzi, popolazioni antiche di origini millenarie, prima della socializzazione sovietica dell’agricoltura (kolkhos) dedite al nomadismo e interessanti anche dal punto di vista storico. Si pensi che i primi abitanti del Kyrghyzstan furono gli sciti, che vi si stabilirono dal VI al V secolo a.C. Successivamente la zona sudorientale fu parte dell'Impero persiano achemenide, più precisamente della Satrapia della Sogdiana, che aveva come fulcro e capoluogo la città uzbeka di Samarcanda. La Sogdiana fu espugnata nel 327 a.C., quando anche l’area dell'odierno Kyrghyzstan cadde in gran parte sotto l'influenza di Alessandro Magno. Quindi passò sotto la dinastia seleucide sino a che, l'avvento dei parti, non pose fine all'età ellenica di queste zone. Momenti importanti nella storia kirghiza furono nel IV secolo, l'avvento dei turchi, che diedero il nome ai kirghizi (da "kyrgyz", "rosso"), nell'VIII secolo, quando sopraggiunsero gli arabi e nell'840, quando arrivarono gli uiguri, gruppo etnico turcofono della Cina. Di conseguenza i kirghizi sono un incrocio di culture, religioni, tradizioni ed etnie differenti. Nel 1207 la terra fu conquistata dall'impero mongolo di Gengis Khan, per far parte del Khanato Chagatai. Nel 1510 per il popolo kirghizo arrivò la libertà, ma provvisoria, poiché furono frequenti le invasioni di calmucchi, manciù e uzbeki. Questo periodo di forte instabilità durò per tre secoli, sino all'ottocento, quando il Kyrghyzstan entrò anche formalmente ad essere parte dell'uzbeko Khanato di Kokand. Il Khanato fu occupato, nel 1876 dall'impero russo; iniziò così il periodo egemonico russo sul Kyrghyzstan. I kirghisi fecero parecchie insurrezioni, che durarono a lungo, e molti emigrarono in Afghanistan, insofferenti al potere russo, o in Cina. L'oppressione russa continuò, e fu nel 1918 che iniziò l'era dei Soviet. “Il Kyrghyzstan - la Repubblica Socialista del Kyrghyztan – si ritrovò indipendente all’improvviso, con la disgregazione dell’Unione Sovietica, nel 1991. Impreparata all’evento, guardò al futuro con grande apprensione. Eppure, le recentissime elezioni ne hanno confermato individualità, forte senso dell’appartenenza, e volontà di guardare avanti, al futuro pur nell’attaccamento alle proprie tradizioni. Kyrghyzstan vuol dire “Terra dei Kyrghyzi”, popolazioni di probabile origine ugro-finnica, che, nel VII secolo dopo Cristo, diedero vita a un formidabile impero nei territori cinesi adiacenti all’attuale Pechino. Gradualmente si turchizzarono, l’impero si sgretolò, e le genti kyrghyze migrarono a occidente. Nel secolo X dopo Cristo, un geografo persiano che scriveva per una piccola corte centro-asiatica, parlava di loro come di popolazioni guerriere, forti predatori, ottimi cacciatori, legati a forme di vita pastorali e a un commercio/baratto di pellami, pellicce, armi e cavalli. Li descrive come piccoli, dal viso piatto, capelli rossicci e occhi spesso verdi: le connotazioni di una appartenenza ugro-finnica. In quelle sedi remote si unirono ai Calmucchi e ai Kazaki. Il processo di turchizzazione fu accelerato nei costumi anche attraverso i matrimoni. Restarono tuttavia, nella lingua e nella cultura, tracce evidenti dei loro miti nordici e del loro amore per i grandi spazi, la libertà, la natura. Solo nel secolo XV arriveranno nelle sedi attuali, vi si stanzieranno …e daranno vita a nuovi regni e nuova storia. E oggi? Restano certamente i miti: il Paese della Grande Aquila, il Paese delle montagne più alte del mondo, dove i passi raggiungono anche i 5000 metri, dove le vette torreggiano su altopiani immensi, tagliati da rivi d’acqua, punteggiati dalle famose tende bianche, le yurte, e popolati da immensi branchi di pecore, capre, qualche mucca e cavalli…tanti cavalli, i famosi cavalli khirghisi, dal pelame marrone e dalla coda, criniera e zampe nerissimi. Piccoli e velocissimi, questi cavalli possono percorrere fino a 250 chilometri al giorno senza mai fermarsi, rappresentano il vero fedele compagno di quegli uomini delle steppe, che vivono con loro in perfetta simbiosi: li cavalcano per portare il bestiame ai pascoli, li cavalcano per compiere strani rituali di guerra e di amore, li cavalcano quando a sera riportano il bestiame a valle, li cavalcano per spostarsi…spesso i percorsi non sono transitabili con i mezzi della modernità. La stagione “calda” è cortissima, la neve arriva rapida, improvvisa, già alla fine di settembre “quando la Grande Aquila” si avvicina. La Grande Aquila, la grande amica/nemica dell’Uomo, che può sfidare il sole, alzarsi in volo ben al di sopra delle vette montuose, dove nidifica e indugia a cacciare. E quando gli Uomini non vedono la Grande Aquila, sanno che gli Dei sono benigni, consentono tepore e vita per quanto si muove nei pascoli fra le alte erbe fiorite di blu, giallo, rosso, vermiglio. Poi, quando la stagione muta, la prima sentinella è la Grande Aquila. Sente arrivare i primi geli, il vento si leva improvvisamente, ostile, e arruffa le sue penne nere e bianche. Le prede si nascondono pronte ormai al letargo. E la Grande Aquila – allora – guarda in basso, sa che il sole sta per scivolare dietro le nubi della neve. E – allora – si volge verso gli Uomini, arriva, plana ruotando e cerca laggiù le proprie prede: agnellini, leprotti, topi, anche i puledri la temono, e le cavalle scalpitano innervosite. E’ il segnale. E’ arrivato il momento di raccogliere le tende e scendere ancora più a valle. Solo 48 ore, e poi le ampie distese saranno sotto una spessa coltre di neve. Uomini e animali, guardano con inquietudine le larghe ruote dell’Aquila, gli sciamani ne traggono divinazioni (l’inverno sarà lungo, l’inverno sarà ostile; oppure: il Dio Gelo sarà benigno). Comunque, le notti saranno freddissime, lunghe, da trascorrersi nel calore delle tende (oggi riscaldate tranquillamente a cherosene) fra pelli, tappeti e calore umano. Allora gli anziani parleranno, ricorderanno i miti del passato, narreranno le eroiche gesta di Manas, della principessa, del perfido, e dei demoni. Si suonerà la musica, i giovani ascolteranno le loro cassette e chatteranno con i loro telefonini. I cavalli riposeranno accanto a uomini e greggi, l’unico mezzo fra tanta neve per raggiungere città e villaggi, recuperare cinema, discoteche, locali moderni dove si danza, si beve e si canta. Questo – ancora oggi – è il Kirghyzstan: un Paese di contrasti, di improvvisa modernità e forte attaccamento alle tradizioni più antiche; un Paese che si sta trasformando, evolvendo, ma continua a guardare ai suoi “dèi”, ai suoi “eroi”, ama misurarsi in selvagge cavalcate o in tornei in cui squadre avverse si disputano una pelle di capra (giochi e tornei cui partecipano – con non minore foga – anche le fanciulle); un Paese dove ormai la telefonia domina e rompe i silenzi della solitudine, dove, accanto ai grandi outlets e ai mercati “cinesi”, le piccole casette “alla russa” di legno dipinto di giallo, verde, rosa, celeste si allineano leggiadre lungo i viali di scorrimento. Ancora pochi sono i grandi massicci casermoni di stampo sovietico. E quando ci sono, sono già sbreccolati dopo un anno che sono abitati. Si guarda con curiosità all’Occidente, si parla ancora russo, si venera Lenin, si considerano con sospetto le grandiose chiese ortodosse che vengono sorgendo un po’ ovunque, e si storce il naso di fronte alle moschee che si affiancano alle chiese. Muezzin e campane rompono i silenzi…quasi una gara a guadagnarsi dei fedeli che preferiscono ancora i “loro dèi” e i loro sciamani. Questo – ancora oggi – è il Kirghyzstan: altissimi monti che abbracciano lunghe ampie vallate; acque precipitose; e poi, più a est, il verde verdissimo lago Ysykköl che non gela mai. La torre di Burana si erge maestosa nella vastissima conca che la abbraccia, simbolo di passate regalità; petroglifi restituiscono con le immagini dei morti la storia di un passato guerriero. La natura continua a dominare, regola la vita di uomini e animali, entra nella leggenda, si anima di mille mostri e focosi draghi, scandisce ritmi biologici… e politici” - Roma, 22 Ottobre 2010 - (Valeria Piacentini, Professore ordinario di "Storia e istituzioni del mondo musulmano", Facoltà di Scienze Politiche, Università Cattolica di Milano, e Direttore del "Centro di Ricerche sul Sistema Sud e Mediterraneo Allargato, CRiSSMA." nda ). Queste le parole preziose della professoressa Piacentini, ebbene, esse ci aiutano a capire la prossimità del Kirghyzstan a un bazar moderno e misterioso e ci fanno comprendere il valore di questa repubblica centroasiatica. E’ bello amare la natura, anche in queste terre ancora teatro di duri dissidi interni, purtroppo làscito di errate valutazioni sociali e storiche. Commesse dai russi? Forse, ma si perdonano, ne sono sicuro, dissidi che potrebbero essere risolti specie con un maggior impegno da parte dei russi che per anni hanno considerato il Kyrghyzstan alla stregua di una colonia. Molto può fare la cooperazione internazionale. Vediamo di chiarirci le idee; il paese è pieno di contraddizioni e di nodi irrisolti, nodi, che sapremmo sciogliere se potessimo cooperare di più e meglio. Sono organizzate bene queste splendide Repubbliche centroasiatiche? Non proprio, c’è poca cooperazione laggiù, purtroppo, e quindi il petrolio e le altre ricchezze minerarie (oro, carbone, antimonio e uranio) va benissimo sfruttarli, perché serve per portare più sviluppo e tenori di vita più elevati, è chiaro, però, che serve anche qualcos’altro, per esempio, insegnare ad esercitare una buona governance, o capacità di governo. L’immagine della cartina può servire, ad avere un’idea dei laghi, dei fiumi, e di tutta la natura circostante, una natura, una poesia, che hanno fatto maturare, in noi, il desiderio di recarvicisi. Cartina del Kyrghyzstan La cartina del Kyrghyzstan posta sopra ci mostra alcuni splendidi aspetti geografici utili per analizzare il problema della biodiversità. Il Kirghizistan come paese modello, se così si può dire, e sarebbe bello se tutti noi adottassimo un paese, un paese scelto che potremmo amare, o seguire e che potrebbe ricevere un premio. Si possono premiare i paesi? Forse in qualche ragionevole caso, non sarebbe errato. Capire dove sbagliano e cercare di rimediare ai loro errori ma premiare i meriti. O no? Infatti l’Asia centrale (facendo dell’ironia, potremmo dire che conosciamo benissimo questo posto noi tutti, per esserci stati in vacanza) è un territorio vasto, dove si annida una piccola capitale che ha nome Biškek, essa in qualche modo dà importanza al Kyrghyzstan, è molto bella, e deriva da un’altra parola turca, o turcomanna, che viene usata nella lingua kyrghyzara. Inoltre, “The Kyrgyz legend says also that the place was a burial site of the hero Bishkek”, un eroe che ebbe una certa importanza per la storia del paese. Ebbene chi può darle manforte? Aiutarla. Pochi al mondo. Noi, forse, soprattutto, e la nostra Italia, piena di problemi ma davvero quasi sempre talentuosa, con grandi meriti, noi italiani possiamo utilizzare il nostro talento fuggitivo, si fa per dire, per cercare di aiutare questa capitale Kirgisa, e il suo paese a trovare una via di uscita ai suoi difficili problemi di oggi, innumerevoli, ma non senza speranza; niente è senza speranza. Le ricerche condotte dalla Fao ci aiutano a verificare lo stato dell’arte e a individuare le giuste soluzioni, soluzioni che vanno nella direzione della cooperazione per i più bisognosi o indigenti o poveri. I dati in nostro possesso sono utili per capire lo stato dell’arte? Si. Anche se è bene dirlo, in questo caso lo scenario scelto per questo articolo è quella della ricchezza naturalistica e non tanto della cooperazione allo sviluppo. Proviamo a vedere un bel documento della Fao sul Kyrghyzstan? Riguarda la biodiversità. Ecco alcuni dati: Total Land Area (000 ha) 19,850. Altri dati, coerenti con quelli relativi alle Higher Plants, si possono aggiungere, sulla Biodiversità, per esempio, un altro dato interessante e che esiste solo un albero a rischio, la magnifica magnolia. Purtroppo l'uranio destinato alla macchina militare nucleare sovietica veniva estratto in Kirghizistan (che per questo si era guadagnato il titolo di «fortezza atomica del Tian Shan») e almeno 50 siti minerari sono stati abbandonati e potrebbero diffondere scorie radioattive o contaminare le falde acquifere circostanti. Nel 1998 quasi due tonnellate di cianuro di sodio destinate alla miniera d'oro kirghisa di Kumtor si sono incidentalmente riversate nel fiume Barskoön e, di conseguenza, nelle acque dell'Ysykköl. Corrado Caruso Dello stesso autore della finestra Pensiamoci su … L’acqua un problema da risolvere Il forte aumento dei prezzi dei prodotti alimentari. Il caso Somalia |
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