La strategia non è altro che l'applicazione del buon senso.
Moltke
Fino dalle prime realizzazioni, il terremoto è stato considerato uno degli incidenti potenzialmente più pericolosi per gli impianti contro i quali occorre proteggere sia la popolazione e gli operatori, sia (per l’elevato costo) gli impianti stessi. Si definirono così, in tutti i paesi ove si realizzavano impianti nucleari, almeno due livelli di terremoto di progetto: il “Terremoto di Sicuro Spegnimento” (Safe Shutdown Earthquake o SSE), fino al quale occorre garantire la sicurezza della popolazione e degli operatori, che corrisponde ad un sisma più violento di quelli ritenuti possibili nel sito dell’impianto ed è, quindi, a bassissima probabilità di accadimento; il “Terremoto di Esercizio” (Operational Basis Earthquake od OBE), fino al quale occorre, invece, garantire il funzionamento dell’impianto in condizioni di sicurezza (con l’obiettivo di proteggere anche l’investimento costituito dall’impianto stesso), che corrisponde a terremoti meno intesi, con una significativa probabilità di verificarsi durante la “vita” dell’impianto.Più precisamente, fino al livello SSE deve essere possibile lo spegnimento rapido dei reattori nucleari (mediante l’inserimento delle barre di controllo, operazione che usualmente avviene automaticamente) e, per tutti gli impianti nucleari, devono restare integri i componenti e le strutture che risultano essenziali ai fini della sicurezza, mentre fino al livello OBE deve essere garantita l’integrità assoluta dei componenti e delle strutture degli impianti che sono necessari per il funzionamento in condizioni di sicurezza (senza che sia indispensabile lo spegnimento rapido dei reattori, sebbene questo sia di fatto attuato, usualmente, per sismi non superiori). Ovviamente (anche se di ciò non si era del tutto consapevoli nelle prime applicazioni), le suddette condizioni di sicurezza devono essere garantite anche a fronte di repliche del terremoto (pure di forte entità) e della concomitanza di eventi da esso indotti, come incendi, esplosioni, frane, alluvioni (ad esempio causate dal crollo di dighe per effetto del sisma) ed il maremoto. Il terremoto di Tohoku (detto anche Sendai) dell’11 marzo 2011 (di magnitudo M = 9,0, fra i più violenti mai registrati al mondo) e, soprattutto, il devastante maremoto da esso innescato (che, poco più di 1 ora dopo, ha investito le coste giapponesi, provocando la maggior parte delle vittime e dei danni) hanno portato drammaticamente all’attenzione dei governi e dell’opinione pubblica mondiale il problema della sicurezza sismica degli impianti nucleari. Infatti, il livello del terremoto è stato tale da provocare lo spegnimento automatico di 11 dei 54 reattori nucleari esistenti in Giappone, fra i quali i 7 “Reattori ad Acqua Bollente” (Boiling Water Reactor o BWR) di seconda generazione che erano in esercizio a Fukushima. Lo spegnimento dei reattori summenzionati risulta essere avvenuto regolarmente, con la conseguente interruzione della reazione nucleare di fissione a catena; risultano anche essere correttamente entrati in funzione i generatori diesel di emergenza, che devono fornire l’alimentazione elettrica ai sistemi attivi di raffreddamento del nocciolo dei reattori per l’asportazione del calore residuo di decadimento. Ciò indica, almeno per questi aspetti, un’adeguata progettazione sismica, nonostante si tratti di impianti assai “vecchi” e sebbene l’entità del terremoto di Tohoku risulti esser stata alquanto sottovalutata (si è stimato che le accelerazioni massime del terreno siano state di 3,3-6,4 m/s2, contro i valori previsti di 2,4-3,2 m/s2). Purtroppo, però, erano stati pure sottovalutati sia la pericolosità del maremoto che il rischio conseguente, che è notevole anche a causa della vicinanza degli impianti di Fukushima all’oceano: infatti, è stato a causa di danneggiamenti dovuti allo tsunami che, dopo circa 1 ora, i diesel di emergenza di Fukushima Daiiki, installati verosimilmente ad una quota troppo bassa (6 m), hanno cessato di funzionare (risulta che sia venuto a mancare il combustibile di alimentazione dei motori), inoltre, si è resa indisponibile la rete di distribuzione elettrica e sono divenute impraticabili le vie di comunicazione al sito. Ciò ha provocatol’ormai nota sequenza di incidenti negli impianti di Fukushima Daiiki (a Fukushima Daini, invece, risulta che la rete elettrica sia stata presto ripristinata e che i reattori siano stati posti in sicurezza).Come è sottolineato nel sito internet dell’ENEA, i reattori di Fukushima Daiichi furono progettati per resistere a terremoti di progetto che si rifacevano alle conoscenze ingegneristiche del tempo, quando non si erano ancora verificati incidenti di rilevante importanza, ai fini dell’accrescimento della cultura della sicurezza, come quelli di Three Mile Island e di Chernobyl. Quando, nel 1979,avvenne il primo (classificato di livello 5 nella scala INES), che provocò un’estesa fusione degli elementi di combustibile del nocciolo, gli addetti ai lavori furono chiamati a rivedere le scelte fatte in precedenza, a fronte delle nuove lezioni apprese. Da quel momento il mondo della ricerca e dell’industria ha focalizzato l’attenzione sulla sicurezza del sistema, cercando di capire come migliorare gli impianti esistenti e come progettarne di nuovi in grado di resistere ad incidenti fino a quel momento ritenuti altamente improbabili, se addirittura non impossibili.Quegli anni di lavoro diedero vita alla progettazione concettuale degli impianti di terza generazione, in particolare all’EPR (European Pressurized Reactor od Evolutionary Power Reactor) francese, all’AP1000 americano e all’ABWR (Advanced Boiling Water Reactor) giapponese (della stessa tipologia di quelli di Fukushima, ma di tecnologia molto più progredita); anche le centrali di seconda generazione giapponesi più moderne, cioè quelle costruite dopo l’incidente di Three Mile Island, furono progettate per resistere all’evento combinato terremoto/maremoto, così da evitare fuoriuscite di materiale radio-tossico.Gli impianti nucleari di terza generazione avanzata sono dotati di dispositivi e barriere multiple di sicurezza, non immaginabili all’epoca della costruzione dei reattori BWR della centrale di Fukushima. Nei nuovi reattori, alla base del progetto vi sono edifici di contenimento dotati di doppia parete e sistemi di emergenza che possono intervenire anche senza l’intervento dell’uomo e senza nessuna fonte di alimentazione elettrica, sistemi catalitici ad elevato contenuto tecnologico che possono prevenire le esplosioni di idrogeno, anche per rilasci massicci e violenti. Inoltre, per quanto riguarda la gestione post-incidentale, nell’eventualità che si verifichi una fusione del nocciolo, questi tipi di reattori dispongono di sistemi in grado di raccogliere e convogliare il materiale che dovesse fuoriuscire in un’area appositamente adibita e di raffreddarlo per tutto il tempo necessario prima dell’intervento in sicurezza da parte dell’uomo. In Giappone sono già in esercizio due ABWR di III generazione. Nei pressi della centrale nucleare di KashiwazakiKariwa, in cui essi sono ospitati, il 16 luglio 2007 si rilevò l’epicentro del più forte terremoto (di M = 6,6) che avesse mai colpito un impianto nucleare prima dell’11 marzo 2011. Anche questo sisma sollecitò l’impianto (che aveva 4 reattori su 7 in funzione) oltre i limiti di progetto: pertanto, si avviò subito un procedimento di arresto per ispezione, che indicò la necessità di effettuare ulteriori prove e verifiche prima di rimettere i reattori in esercizio. Secondo quanto rilevato dal gestore degli impianti e riportato dall’IAEA (International Atomic Energy Agency), le oscillazioni indotte dal sisma del luglio 2007 determinarono lo sversamento in mare di circa 1,2 m3 di acqua da una piscina di stoccaggio del combustibile esausto, con un rilascio totale di radioattività di appena 60 kBq; inoltre, uno degli impianti di ventilazione rilasciò particolato composto da più radioisotopi, per un totale stimato di 400 MBq di iodio e 2 MBq di altre sostanze. Non si registrarono, però, conseguenze sanitarie od ambientali e l’evento fu classificato come non radiologicamente rilevante dall’IAEA, talché, in agosto 2010, 3 dei 7 reattori (tra cui i 2 ABWR), risultavano normalmente riavviati.
È poi da sottolineare che nella maggior parte dei progetti di nuovi impianti nucleari è contemplata l’installazione di sistemi d’isolamento sismico, che permettono di ridurre drasticamente le forze trasmesse dal terremoto. D’altra parte, tali sistemi, applicati ad impianti e strutture nucleari sino dagli anni ‘60-’70 (ad esempio nel “Reattore ad Acqua Pressurizzata” – Pressurized Water Reactor o PWR – di Cruas in Francia ed in quello di Koeberg in Sud Africa, nonché, nuovamente in Francia, in 3 piscine di decadimento del combustibile esausto a La Hague), sono stati installati all’inizio degli anni 2000, in Giappone nella Nuclear Fuel Related Facility e, di recente, in Francia, nel Jules Horowitz Reactor, in costruzione a Cadarache: tale sito è destinato ad ospitare anche la macchina per la fusione nucleare ITER, che sarà pure protetta da un sistema d’isolamento sismico, sviluppato nell’ambito di un progetto che ha visto una rilevante partecipazione italiana.
Ovviamente, per le nuove applicazioni dell’isolamento sismico in campo nucleare, i criteri di progetto e di verifica saranno assai più stringenti di quelli adottati per le opere civili. Ad esempio, si prevede di qualificare sperimentalmente prototipi degli isolatori in scala reale. Questo è lo stato dell'arte concernente la progettazione di reattori nucleari resistenti ai terremoti; giova sottolineare che l'incidente di Fukushima deve imporre una pausa di riflessione perchè i progettisti nucleari possano trarre dall'incidente giapponese tutte le informazioni per far diventare il reattore nucleare assolutamente sicuro in qualunque condizione di rischio.
Tratto da un articolo di Alessandro Martelli pubblicato su "Il Giornale dell'Ingegnere" e su "La Termotecnica".
2 maggio 2011