Da Milano al resto d’Italia l’ambiente è un tema centrale.


Non curatevi delle ricchezze più o altrettanto che della perfezione dell'anima; rammentatevi che non dalle ricchezze viene la virtù, ma dalla virtù le ricchezze e tutto ciò fa bene all'uomo, sia nella sfera privata che in quella pubblica
Socrate


Ringraziamo la rivista Il Giornale dell'Ingegnere per averci concesso di riportare questa interessante intervista realizzata da Roberto di Sanzo al presidente dell’Ordine degli Ingegneri del capoluogo lombardo Stefano Calzolari.

"""La nuova “ventata ambientalista”, soffiata prepotentemente sul nostro Paese in seguito alla recente tornata referendaria, dovrà far riflettere istituzioni e decision makers, ripensando nuove politiche di intervento e strategie condivise in ambito paesaggistico, urbanistico, sui temi della mobilità, dei trasporti e delle infrastrutture. Una linea di indirizzo percorribile solo a determinate condizioni, però: ragionamenti e disquisizioni su argomenti importanti come il nucleare, le energie rinnovabili e il modello di gestione dell’acqua non dovrebbero essere banalizzati in un approccio di deriva ideologico-populista, ma ricondotti nel giusto alveo della corretta informazione tecnico-scientifica. E' questo il parere di Stefano Calzolari, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri di Milano: “La mistificazione e la carenza di nozioni adeguate su determinate tematiche non fa bene a nessuno. Se il dibattito si spoglia delle necessarie competenze tecniche, si arreca danno alla collettività. Compito della buona ingegneria è anche ricondurre le discussioni nel canale rigoroso della conoscenza e del sapere: in tal modo si aiuta il progresso, facendo in modo che i decisori – chiunque essi siano – abbiano chiarezza e completezza di informazioni. Troppo spesso argomenti che hanno anche un contenuto tecnico vengono affrontati “a prescindere”, cioè senza darne una rappresentazione adeguata. Ricordo una frase di Albert Einstein: “ … make everything as simple as possible but not easier”, che significa presentare le cose nel modo più semplice possibile, ma con l’attenzione a non perderne mai i contenuti essenziali".

I risultati referendari hanno dato indicazioni precise, specialmente per quanto concerne la realizzazione di nuove centrali nucleari nel nostro Paese. Qual è la posizione dell’Ordine di Milano a tal proposito?
Preciso subito che un Ordine professionale, cioè un’Istituzione dello Stato, non può schierarsi pro o contro in una consultazione referendaria, ma può produrre occasioni di approfondimento culturale a beneficio dei propri iscritti e della cittadinanza, come l’Ordine di Milano ha fatto attraverso appositi convegni. Devo però dire che da ingegnere e da Presidente di Ordine sono davvero dispiaciuto per il pressapochismo e il basso livello qualitativo delle informazioni con le quali si è discusso dell’argomento nei mesi scorsi. Si poteva votare Si o No, ovviamente, ma lo si doveva fare in un clima di confronto molto più professionale, meno politicizzato, poiché decisioni di questa portata hanno una ricaduta vastissima sullo sviluppo del paese, che la gente avrebbe dovuto ben comprendere al di là delle emozioni momentanee. Anzi – ma qui parlo da comune cittadino – non considero il referendum lo strumento ideale per queste decisioni. Avrei preferito, invece, che la scelta finale provenisse dal Parlamento Italiano, in virtù del meccanismo della delega, che è strumento elevatissimo di democrazia e che dovrebbe essere ulteriormente rafforzato per il prestigio dello Stato. Tornando all’argomento, credo che la gente sia spaventata da tutto ciò che non conosce, da tutto ciò che è misterioso: e quando non si hanno conoscenze approfondite per dominare una materia complessa, ecco che l’opinione pubblica diviene facilmente condizionabile. Il dibattito sul nucleare, sull’onda emotiva dei reportage provenienti dal Giappone, ha riguardato ben poco questioni tecnico-scientifiche e si è basato quasi unicamente su presupposti ideologici ed opportunismo politico. Ecco perché sono convinto che su tematiche così complesse sia preferibile che le scelte vengano compiute direttamente dalle istituzioni preposte, che i cittadini hanno eletto per gestire responsabilmente lo sviluppo del Paese. Entrando nel tecnico, quando si parla di nucleare va detto che nella realizzazione di un impianto ciò che conta non è solo la sua sicurezza iniziale, ma tutta la gestione successiva: è necessario che vi sia una costanza di attenzione durante l’intera vita dell’impianto, che si perpetui nel tempo e non solo nella fase del progetto e della costruzione. Quindi va chiamato in causa il concetto di ‘affidabilità’ di un Paese, in questo caso l’Italia. La nostra nazione sarebbe stata in grado – allo stato attuale – di gestire in maniera sicura, nel corso degli anni, impianti nucleari? Sono convinto di sì, perché lo Stato avrebbe potuto contare su un eccellente tessuto tecnico-professionale e scientifico, di cui il nostro Paese può ancora andar fiero nel mondo.

Lei parla di pressapochismo e carenza di informazioni: lo stesso discorso può essere fatto per quanto concerne il modo di gestione dell’acqua?
Il quesito referendario era importante per comprendere come gestire al meglio l’utilizzo e la distribuzione dell’acqua, bene primario per la vita delle persone. Ovviamente sono criticabili sia i privati che speculano, sia le Amministrazioni sprecone, ma non si possono non ricordare gli esempi virtuosi, che per fortuna non mancano in Italia da una parte e dall’altra. E allora? Aveva senso ricorrere addirittura a una consultazione popolare per regolare una questione gestionale? I cittadini hanno tolto di mezzo le gestioni private, per salvaguardare un diritto e un principio, ma forse con il loro voto hanno privato lo Stato e le Amministrazioni pubbliche di utili strumenti di flessibilità. Anche in questo caso, quindi, avrei preferito che l’argomento venisse regolamentato in sedi diverse, per evitare la drasticità della decisione referendaria. Tra l’altro, come per il nucleare, la gestione dell’acqua pubblica è diventata una bandiera da sventolare da parte di idealisti e politici. Continuo a preferire, dunque, che decisioni di questa natura siano prese dalle istituzioni democraticamente elette e a ciò deputate.

Dall’ambito nazionale al livello locale: anche una grande città come Milano ha dato segnali precisi sulle scelte di politica ambientale. La rivalutazione del sistema fluviale dei Navigli e l’allargamento dell’esperienza Ecopass sono un messaggio chiaro lanciato al mondo politico.
La Milano del futuro dovrà studiare nuovi assetti urbanistici, piani infrastrutturali e di mobilità con un approccio attento all’ambiente e alla sostenibilità, senza però cadere in una rigidezza dogmatica e legata a slogan populisti. Rispetto per l’ambiente e sensibilità ecologista devono indicare delle corsie preferenziali per il progresso del territorio, senza però opporre barriere pregiudiziali davanti ai possibili scenari dello sviluppo. In tali ambiti solo il contributo ben orchestrato di competenze diverse, dall’ingegneria all’architettura, dalla medicina all’economia e alle discipline sociali, può orientare e dar vita ad un razionale miglioramento della qualità della vita dei cittadini, con l’assunzione di politiche adeguate e concertate. Bisogna, tra l’altro, ricordare che Milano è una sorta di super città: in un raggio di circa 50 chilometri attorno al “nucleo centrale” abitano milioni di persone, con una densità di popolazione tra le più alte d’Europa e con l’ingresso quotidiano nell’area metropolitana di centinaia di migliaia di persone e automezzi. Il nuovo piano di sviluppo del territorio non può non confrontarsi con questa realtà e la sfida, a mio parere, non sarà vinta attraverso scelte “monodirezionali” ma con un mix di soluzioni, per esempio nella produzione e distribuzione dell’energia, nel potenziamento del trasporto pubblico, nel controllo dell’inquinamento. C’è poi la grande sfida a diminuire il consumo di territorio e ad aumentare i “vuoti” a disposizione dei cittadini, spazi di verde e di natura che il nuovo PGT – se ben utilizzato – potrebbe favorire nel lungo periodo. Ecco, penso che per dar vita a progetti seri, basati su dati certi e su una rappresentazione corretta della realtà, l’apporto degli ingegneri sia fondamentale.

Rispetto per l’ambiente e posizioni ecologiste che però in alcuni casi scadono in veri e propri fanatismi, come nel caso della Val di Susa e gli scontri con in manifestanti contro l’alta velocità…
Non conosco bene la situazione del Piemonte e della Val di Susa, quindi mi limito a poche considerazioni di principio. Innanzitutto, se si pensa di realizzare un’opera che per forza di cose condizionerà per sempre la vita di un’intera comunità, è necessario che le istituzioni rassicurino la gente sulle conseguenze e sulla bontà dell’intervento. Entra in gioco, ancora, il concetto di affidabilità di un paese e della sua politica di sviluppo, che dovrebbe sempre risultare convincente verso i cittadini destinatari di una trasformazione, pur in presenza di temporanei disagi. In primo luogo non dovrebbero esserci dubbi riguardanti la salute delle persone e la conservazione dell’ambiente, ma poi l’attenzione dovrebbe spostarsi sulle forme di compensazione capaci di equilibrare, con la loro ricaduta economica e sociale, i disagi della comunità. Non so se questo processo sia avvenuto correttamente in val di Susa, nei tempi preparatori del progetto, prima cioè che lo scontro politico-ideologico prendesse il sopravvento oltre ogni atteggiamento razionale, fino ai fatti criminosi di questi giorni. Da ingegnere, ma soprattutto da cittadino italiano, mi sono convinto che la Tav sia fondamentale per lo sviluppo del nostro Paese e mi auguro che i lavori possano proseguire senza ulteriori interruzioni, ovviamente con un’attesa di vero progresso per la stessa Val di Susa. Mi auguro anche che i mass-media, sempre pronti a buttare in prima pagina i fatti spettacolari della cronaca, sappiano amplificare almeno talvolta la voce degli Ingegneri coinvolti nel progetto, e non solo quella contrapposta di politici e contestatori, dato che la TAV è soprattutto una grandiosa opera di Ingegneria e se ne parla troppo poco – anzi per nulla ! – da questo punto di vista. Vi sono anche altri due fattori da rimarcare, caratteristici proprio di noi italiani.

Si spieghi meglio
Tutti vogliamo star meglio e a parole lo dimostriamo; poi, nei fatti, quando si decide di costruire un inceneritore, una galleria o altre infrastrutture, protestiamo se vengono realizzate sotto casa nostra. Insomma, lo sviluppo va bene, i benefici che se ne trarranno pure, ma senza subirne fastidi e senza fare sacrifici. Non è certo un atteggiamento propositivo e da Paese maturo. Questo atteggiamento, di carente solidarietà civica, è solo in parte giustificato dalla proverbiale diffidenza della popolazione nei confronti dei politici e degli amministratori pubblici che, nella maggior parte dei casi, sono visti come portatori di interessi personalistici, quindi poco credibili e poco affidabili quando impongono trasformazioni. Un’ostilità atavica che, quindi, si rispecchia anche nella realizzazione di opere stradali e di ammodernamento della nazione.

Un capitolo a parte merita la questione rifiuti a Napoli: da ingegnere, che idea si è fatto della vicenda?
Il trattamento dei rifiuti urbani è una procedura cruciale per la gestione ottimale di una qualsiasi moderna comunità. A Napoli, a parte i problemi ancora irrisolti di infiltrazione della criminalità organizzata nella gestione dei pubblici appalti e servizi, sembra tuttora mancare una vera strategia per affrontare il problema, cioè un progetto che pianifichi azioni concrete nel breve e nel lungo periodo. Termovalorizzatore si o termovalorizzatore no? Raccolta differenziata in toto o in parte? Discariche dove e come? C’è bisogno urgentissimo di scelte definitive che tengano in debito conto gli aspetti tecnici del problema, troppe volte incredibilmente ignorati nei dibattiti. Bisogna dare avvio alla costruzione di vere e proprie opere di Ingegneria e, nello stesso tempo, preparare e informare la popolazione educandola alla nuova gestione. I processi di trasformazione delle abitudini sono lenti e non si può pensare a soluzioni banali, come quelle che ipotizzano una “rivoluzione dei comportamenti” nel breve periodo. Ma il problema di Napoli, che colpisce ingiustamente (e in modo così eclatante) i suoi cittadini, è in realtà un problema potenziale di molte altre grandi città e delle loro Amministrazioni che, infatti, devono continuamente aggiornare i loro processi di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti cercando la collaborazione della comunità. Mi ripeto, ma in situazioni così complesse torna d’attualità il concetto di affidabilità del rapporto tra politica e cittadinanza. A Napoli, purtroppo, vi è stata una perdurante incapacità di pianificazione strategica, ma da Ingegnere mi auguro che le posizioni ideologiche lascino finalmente il campo a un approccio progettuale e realizzativo.

Roberto Di Sanzo """

31 agosto 2011


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