Uscita di sicurezza (dalla crisi)


Chi vuole navigare finchè non sia passato ogni pericolo non deve mai prendere il mare.
Thomas Fuller


Da quando il governo Berlusconi si è dimesso Giulio Tremonti non è stato con le mani in mano, ha preso carta e penna è ha scritto questo magnifico pamphlet Uscita di sicurezza (per Rizzoli ed.)che spiega le cause della crisi economico-finanziaria che si è abbattuta sul pianeta. Non sono idee nuove perché Tremonti le ha spesso espresse, dall’inizio della crisi dell’estate 2007, suscitando spesso battute o astio politico; le sue considerazioni sui danni di una globalizzazione incontrollata erano motivo di sarcasmo dai soloni delle pagine economiche dei grandi quotidiani.
Sin dalle prime pagine del libro si capisce che oggetto della sua “invettiva” è il mercato finanziario che si sta collocando al centro del mercato che, a sua volta, si colloca al centro della vita dell’uomo. «Entità metafisica e oracolare, sacerdotale e misterica, autistica e matematica, collocato in uno spazio arcano e quasi sacrale, il mercato finanziario è capace di giudicarci, salvarci, dannarci … E lo fa, lo può fare». Il mercato finanziario si è sviluppato in questi anni libero da qualunque condizionamento «mettendo il profitto al posto della giustizia, riducendo il senso della morale e della politica, rendendo astratti i vecchi protocolli regolativi, azzerando l’ethos e privatizzando il diritto, facendo prevalere la forza impietosa dei pochi nuovi padroni sulla debolezza dei tanti, mettendo l’egoismo al posto dell’empatia, cancellando l’idea che si sopravvive perché si è sociali e non l’opposto, passando, infine, dall’ordine al caos». Tutto questo sta trasformando il mondo dell’economia in un mostro egoista che ci divora e che divorerà se stesso. Afferma Tremonti che quando con il crepitio degli spread si agisce sulla paura delle persone di perdere il lavoro, la casa, i risparmi, quando lo stesso stato liberale proclama lo stato d’emergenza, quando al capezzale del malato sono chiamati quegli stessi che hanno provocato la malattia, quando non conta più chi è stato eletto ma chi non è stato eletto, proprio perché non è stato eletto, quando si propone di ridurre il deficit di bilancio con deficit di democrazia allora si possono vedere i primi segni di un nuovo La strada per evitare questo pericolo esiste afferma Tremonti «… partendo dalla separazione radicale tra economia produttiva ed economia speculativa, tutelando la prima e neutralizzando invece la “bisca finanziaria”, pianificandone una lunghissima moratoria …. riportando la moneta nel potere degli Stati, in nome e per conto dei popoli … avviando grandi piani di investimenti pubblici e soprattutto, mettendo il cuore, la ragione e lo spirito al posto del saggio d’interesse, il pane al posto delle pietre, l’uomo al posto del lupo.»
Per Tremonti sarebbero tre gli errori commessi dalla politica: «non ha capito la differenza tra un normale ciclo economico e una crisi storica; ha pagato con denaro pubblico il conto dell’azzardo privato, ha scambiato regole false per regole vere». Perché sono stati commessi questi errori? Per una combinazione di difetti e di eccessi di visione e di potere. Il primo eccesso di visione è stata la globalizzazione non in quanto tale, la globalizzazione esisteva già nell’impero romano, ma per la violenta forzatura «sui ritmi, sui tempi, sui corsi naturali della storia. … rimossi gli antichi confini la ricchezza finanziaria, la parte strategica e sempre più importante della ricchezza è diventata sempre più forte, alata, apolide e irresponsabile, finalmente capace di volare sopra i territori, fuori dall’antica gabbia dello stato-nazione, nei nuovi cieli della repubblica internazionale del denaro». Si è creato, pertanto, un sistema a due piani; il piano superiore occupato dal mercato e dalla finanza, forti per la loro capacità di mobilitare interessi colossali, forti per la capacità di accredito mediatico, modelli superefficienti sostituti dei vecchi politici, quello inferiore occupato dalla politica nella quale si sono avvicendati «coorti di uomini sempre meno rilevanti, sempre meno consistenti, sempre più grigi. E’ solo con la crisi che emergono il vuoto e il deficit della politica contemporanea».
Ritornando ai tre errori Tremonti analizza il primo: aver confuso una crisi storica con un normale ciclo economico; lo stesso errore commessa da Luigi XVI quando, alla presa della Bastiglia, nel 1789, non capì che non si trattava di una rivolta ma di una rivoluzione. Nel 2007 alle prime avvisaglie si cominciò a parlare di crisi, cercando i rimedi per controllarla e non risalendo alle cause che l’avevano prodotta. «Si è ignorato che la crisi veniva dalla rivoluzionaria combinazione tra una nuova geografia, una nuova tecnologia, una nuova ideologia». Veniva dalla globalizzazione che unificando il pianeta in un unico villaggio globale aveva cambiato la geografia del pianeta, in «una geografia mercantile piana, apolide e irresponsabile». Veniva dall’informatizzazione in grado di far girare le informazioni in milionesimi di secondo, e dal conseguente delirio di onnipotenza che aveva fatto illudere che la velocità delle transazioni potesse conseguentemente creare una ricchezza finanziaria puramente virtuale. E infine veniva dal mercatismo estremo che aveva legittimato il dominio del mercato sugli Stati e sulla Politica. «E’ così che restando mentalmente fuori dallo spirito del tempo, problemi di lunga durata sono stati gestiti con strumenti di breve durata, problemi straordinari sono stati gestiti con mezzi ordinari. La maggiore forza messa in campo è stata la forza dell’inerzia che veniva dal passato. Pochi hanno capito che una vasta quota della ricchezza del passato ventennio era basata sul debito e perciò sul nulla.». La crisi è stata, pertanto, gestita come se non fosse successo nulla di anomalo e che tutto potesse tornare come prima; dal 2008 ad oggi, infatti, non si fa altro che parlare di exit strategy.
Il secondo errore è stato pagare con denaro pubblico il costo dell’azzardo privato. Nel 2008 le principali banche globali erano fallite e i governi le hanno salvate riversandovi fiumi di denaro pubblico, ingigantendo all’inverosimile il debito. Cinque anni fa i governi avrebbero potuto fare di tutto ma intrapresero la strada indicata dal potere finanziario «… comprare tempo, fare finta di cambiare le regole e caricare sui pubblici bilanci le perdite accumulate dalla finanza “casinò” …». Prevalse la logica di salvare le banche sistemiche, cioè quelle fondamentali per la sopravvivenza dell’economie degli stati, ma ad essere sbagliata fu la metodologia del loro salvataggio. Cinque anni fa le banche potevano essere nazionalizzate, riorganizzate, prevedendo la netta separazione tra l’attività industriale e quella finanziaria, in modo da lasciare agli speculatori i costi e i rischio dei loro azzardi e infine ridimensionate, in modo che non si potesse più dire “to big to fail”. Negli Usa le Banche sistemiche sono passate da 15 a 9 rimpinzate dal denaro pubblico hanno gonfiato i debiti sovrani così che ora possono speculare contro quei governi che le hanno salvate; i debiti pubblici non sono più la medicina ma sono ora la malattia.
Il terzo errore è stato scambiare regole false per regole vere. Non sarebbe stato sufficiente riorganizzare il sistema bancario occorreva anche che le regole assumessero un ruolo strategico nel mercato. «Se il mercato era diventato globale, il diritto non poteva più rimanere locale. Il mercato globale non poteva restare senza diritto, dominato dagli enormi, conseguenti, anarchici squilibri, più un caos che un sistema. … Cinque anni fa di doveva e si poteva iniziare la scrittura delle nuove regole dell’economia globale.» Confondendo artatamente i termini del problema, gli effetti con le cause, fu infatti detto che, essendo la crisi essenzialmente finanziaria, servivano regole solo per la finanza e non per l’economia globale. E che tali regole non le dovevano imporre i governi ma le dovevano scrivere i finanzieri stessi. Come ho avuto modo di dire precedentemente la prima grande globalizzazione fu quella dell’Impero romano; la differenza con quella odierna è che il mercato dell’Impero romano dall’Atlantico al Medio Oriente, dalla Britannia al Nord Africa era retto da regole certe e da un unico diritto: quello romano.

Il capitale dominante
Secondo Tremonti il periodo che va dalla seconda guerra mondiale ad oggi si divide in due “ere” quella ante-globalizzazione e quella post-globalizzazione. La prima dagli anni ottanta è stata caratterizzata dal G7 un corpo politico che rappresentava un sesto della popolazione del pianeta e pur tuttavia controllava il 60% del Pil mondiale e poteva farlo perché era unificato da tre codici: linguistico, monetario e politico. Questo mondo non era giusto «ma per chi ci stava dentro era un mondo tanto fortunato, quanto semplice. In particolare l’economia era soprattutto nel mercato e il mercato era soprattutto nello scambio di cose materiali …Per ogni operazione commerciale il numero delle operazioni finanziarie era minimo: il pagamento, l’assicurazione sul prodotto e, se del caso, l’assicurazione sui rischi del cambio. L’economia finanziaria era infatti, allora essenzialmente al servizio dell’economia reale». In questo mondo gli stati stavano al livello superiore ed esercitavano la loro sovranità politica, la finanza stava sotto ed esercitava una funzione strumentale.
Improvvisamente, a cavallo del 2000, si è estinta l’idea «di onnipotenza di una parte sul tutto, del G7 sul resto del mondo. … e così l’occidente è passato dall’età della certezza all’età dell’incertezza. … Superato dalla globalizzazione il vecchio G7 non è stato capace di prevedere e di evitare la crisi del 2007 ed è stato sostituito dal G20, un corpo politico con una base di 4,5 miliardi di persone e che, a differenza dal G7 non controlla ma rappresenta circa l’80% del Pil mondiale. Ciò che impressiona nell'era della globalizzazione è l’asimmetria che si è creata nel rapporto tra economia reale e la massa finanziaria». Nel 1987 la massa dei derivati era di 866 miliardi di dollari contro un Pil di 16.162 miliardi; nel 2000 era di 32.216 miliardi di dollari contro un Pil di 63.009 miliardi, nel 2011 la massa dei derivati è di 707.569 miliardi con un Pil di 62.911 miliardi.
Gli andamenti Derivati/Pil mostrano che si è verificata una mostruosa crescita dei derivati e che questa si è sviluppata a ridosso della globalizzazione. Infatti la massa finanziaria equivaleva al valore del Pil nel triennio 1999-2001, per poi accelerare senza limiti, quando nel 2001 l’Asia è entrata formalmente nel World Trade Organization. In meno di vent’anni è nata una forma nuova di capitale dominante «attraverso successioni di numeri astratti, indipendenti dalla realtà materiale sottostante, indipendenti dallo scambio di prodotti e pertanto capaci di moltiplicarsi potenzialmente all’infinito. … La nuova massa finanziaria è fatta da un tipo di “moneta” che non è più battuta dagli stati, non ne reca più la firma “sovrana” ma è battuta in proprio dalla finanza stessa. … E’ così che gli stati hanno perso la loro sovranità e la finanza l’ha fatta sua. E’ così che abbiamo prìncipi senza moneta e moneta senza prìncipi e senza princìpi.». Nell’estate del 2007 l’esplosine incontrollata verificatasi all’interno della massa finanziaria ha prodotto ricadute catastrofiche nel mondo dell’economia reale sottostante con un crollo del commercio mondiale attorno al 25%; il rischio di un ulteriore crollo non è da escludere perché dal 2008 la massa finanziaria è enormemente cresciuta anche per l’incorporazione dei debiti pubblici che gli stati hanno fatto per gestire la crisi. Solo entrando in questa massa finanziaria e studiandola a fondo sarà possibile evitare danni peggiori. Una cosa è certa se gli stati sovrani non si liberano degli stock di debito accumulati saranno sempre ricattibili e passibili di aggressioni da parte della massa finanziaria speculativa.

Il mercato finanziario tra geografia e alchimia
Paradossalmente mentre nel mondo crescevano le regole per l’industria manifatturiera (risparmio energetico, certificazioni ambientali, leggi sulla sicurezza del lavoro) decrescevano quelle previste per la finanza, una deregulation avvenuta a cavallo della globalizzazione e facilitata dalle tecnologie informatiche. Secondo Tremonti la deregulation se può essere in generale positiva non è automaticamente estendibile al settore finanziario, cosa che è invece accaduta. Tutto è partito dagli Usa quando, nel 1999, è stata abolita una legge del 1933 che vietava la commistione tra banche ordinarie, banche d’affari e assicurazioni, poi nel 2000 è stata approvata la legge che consentiva l’over-the-counter e legalizzava i derivati. I mercati over-the-counter (o mercati OTC) sono caratterizzati dal non avere i requisiti riconosciuti ai mercati regolamentati e la loro negoziazione si svolge al di fuori dei circuiti borsistici ufficiali. Queste scelte sottendevano l’idea che il mercato sa quello che fa e non sbaglia mai. In aggiunta alla deregulation si è aperta un’asimmetria tra mercato e diritto che ha aperto agli operatori finanziari la porta di spazi non deregolamentati, ma addirittura non regolati, in finti stati nei quali l’unica regola è quella di non avere regole e qui ha iniziato a proliferare la finanza ombra. Così deregolamentata e libera di operare in nuovi spazi geografici la finanza ha incontrato le tecnologie informatiche che le hanno consentito di diventare veramente globale avendo come patria la rete. E’ così nato un capitalismo artificiale in cui è possibile vendere quello che non si ha, assicurarsi contro rischi che non si corrono in proprio, titoli nudi, titoli inventati. «Un capitalismo in cui il falso diventa vero, in cui l’irreale si fa reale, un mondo in cui si crede più a quello che non c’è che a quello che c’è». Per avere un'idea basta osservare come calcolare il "valore attuale" di un credit default swap per il quale rimando a questo link per non dovere occupare le prossime pagine di formule. «L'idea che trasmette qusto calcolo è quella dell'alchimia cme religione rituale del nuovo capitalismo». Il 17 febbraio 2012 i carabinieri del Ros hanno sequestrato in Svizzera falsi titoli del tesoro Usa per 6.000 miliardi di dollari, quasi tre volte il debito dello stato italiano; non c’è più limite all’irreale.

Grecia, Europa
Baratro, catastrofe, implosione, esplosione nucleare queste sono le parole che hanno iniziato a circolare dall’autunno 2011 in Europa. Cosa era successo? afferma Tremonti «E’ apparso in Europa un mostro più spaventoso di quello americano del 2008». La crisi che ha colpito l’Europa è più grave di quella del 2008 perché non è limitata alle banche, ma estesa agli Stati; è crisi bancaria e crisi degli stati sovrani. Il primo paese che ha sperimentato la potenza del mostro europeo è la Grecia.; la Grecia è un francobollo nell’economia globale europea, ma proprio per questo la sua crisi avrebbe dovuto essere risolta facilmente. E’ vero che il Paese è entrato in Europa con un bilancio pubblico taroccato, ma l’Europa è passata attraverso una serie di annunci contraddittori: la Grecia si salva, la Grecia fallisce, anzi si salva, esce dall’Euro, anzi no, che hanno fatto degenerare la malattia. Prima della crisi il rapporto debito/Pil greco era del 119%, oggi è del 150%, infatti non è calato il debito, ma il Pil. Cosa distingue la crisi americana da quella europea? Negli Usa, come s’è detto, la crisi è stata bancaria, risolta con una forte azione politica da parte del governo; avendo una vera banca centrale sono stati in grado di intervenire istantaneamente, la mano pubblica è diventata ben visibile e si è sostituita all’istante alla mano invisibile del mercato, la mano pubblica non solo c’era ma era una. Invece «Gli stati europei, se reagiscono, lo fanno su una base pletorica e perciò lo fanno in modo disorganico e lento. E’ per questo che si sta scoprendo che c’è in Europa un caotico vuoto di potere. Ed è proprio la crescente evidenza dell’impotenza politica che moltiplica la crisi in Europa.»

Uno stress test sui Trattati dell’UE
Tremonti mette in evidenza che nei Trattati dell’UE, prevale un largo ottimismo «… per il tempo e per il modo con cui sono stati scritti, non c’è par condicio tra il bene e il male: il bene qui è la regola e il male solo l’eccezione», in sostanza l’Europa era preparata solo alla buona sorte non alla cattiva. In particolare non s’era previsto che la crisi sarebbe partita dalla finanza privata cosicché è mancata la vigilanza prudenziale sugli enti creditizi. La BCE preoccupata di controllare l’inflazione; « … si è occupata anche dei deficit e dei debiti pubblici, ma è rimasta muta sugli enti creditizi, sulla finanza privata, sulla sua degenerazione in leve di debito, in bolle immobiliari, in carte di credito. E poi è rimasta muta sui rischi che da qui potevano derivare e sono derivati.» La crisi europea ha avuto origine, infatti, nella finanza privata, non in quella pubblica, che è stata poi la medicina, non la malattia. Prima della crisi a livello macro c’era il vincolo della finanza pubblica e a livello micro il divieto degli aiuti di stato; dopo l’avvio della crisi è stato rimosso il vincolo della finanza pubblica e a livello micro è stato rimosso il vincolo del divieto degli aiuti di stato. I Trattati così come erano stati congegnati vanno modificati.

La Germania
Attenuatasi la supremazia politico-economico-finanziaria degli Usa, in Europa si guarda alla Germania come paese guida, anche se la Francia crede ancora che esista un asse franco-tedesco a guidare la politica europea. La Germania durante tutto il corso della crisi ha fatto intendere di essere sottoposta all'ingordigia dei soliti paesi del Sud scansafatiche e incapaci; nella realtà la crisi ha portato alla Germania vantaggi economici non indifferenti. In primo luogo la stabilità finanziaria del Paese ha attirato capitali a basso costo, consentendo investimenti in Germania e all'estero, in particolare, consente al Paese di acquistare a prezzi scontati imprese finanziarie e manifatturie grazie alle privatizzazioni europee imposte dalle politiche di risanamento e abbattimento del debito. In secondo luogo La Germania ha investito proprio in quell'Europa periferica e non virtuosa e lo ha fatto spinta dall'interesse a finanziare in quei paesi la domanda di prodotti tedeschi, a partire dall'auto, ma lo ha fatto anche perchè attratta dagli alti tassi di interesse offerti come prezzo del rischio.

Quattro ipotesi.
Secondo Tremonti appare sempre più chiaro che l'uscita dalla crisi può essere imboccata percorrendo quattro strade.
A) Andare passivamente verso la catastrofe.
B) Dividere l'Eurozona in aree più forti e aree più deboli.
C) Riorganizzare costituzionalmente l'Unione Europea.
D) Avere il coraggio per ripetere oggi con una nuova alleanza tra popoli e stati la politica realizzata durante la Grande Depressione, con il New Deal di Roosevelt.
Considerando negativamente le ipotesi A) e B), Tremonti punta sulle ultime due. L'ipotesi C) è quella preferita " ... a condizione che sia politicamente integrata nella quarta ipotesi. Per farlo occorre comunque andare indietro e rimuovere il vizio d'origine. Un vizio che non è stato tecnico, ma politico: il vizio di pensare che l'economia sia più della politica. ... Chi ha usato l'euro per fare l'Europa ... ha avuto ragione per alcuni anni, ma rischia di avere torto per sempre. Adesso che l'euro ... appare anche come un rischioso fattore di contrasti, si vede che è tornato il tempo per ridare voce ai popoli, per dare all'euro quell'unione politica che finora non ha realizzato e non ha avuto. La soluzione può essere solo politica e questa ci si presenta dentro un vero e proprio dilemma. Se non si vuole rinunciare alla moneta comune la crisi può essere superata sono con una diversa gestione della moneta, a partire dalle funzioni della Bce e a partire dagli Eurobond; ma questa è a sua volta possibile solo attraverso un nuovo patto politico. Ciò che è importante è che per una reale riorganizzazione costituzionale è necessario un forte scambio politico: sopra, una maggiore disciplina di bilancio, basata su una governance comune, con impegni, controlli e sanzioni; sotto una comune, più integrata e più mutualistica gestione della moneta, con , emissioni di comuni titoli pubblici nella forma degli Eurobond. In ogni caso, non la prima senza la seconda, non la seconda senza la prima." La quarta ipotesi è infine quella dell'alleanza tra popoli e stati. la via del coraggio, la via che porta verso l'uscita di sicurezza. "
Gli obiettivi dell'ultimo vertice dell'eurozona vanno molto vicino alla terza ipotesi, ma con un limite fondamentale: c'è il meccanismo del rigore, ma manca quello della solidarietà. Questo è grave perché così si ignora la più forte criticità strutturale all'interno dell'UE ... resterebbero troppo forti i differenziali tra le varie economie reali. Si ignora che i differenziali reali, sottostanti all'unione fiscale, non si colmano solo rafforzando il mercato interno, ma, anche, soprattutto uisando gli Eurobond per investimenti pubblici di sviluppo e di unificazione".

Una "Nuova Alleanza"
Ciò che dobbiamo far, sostiene Tremonti, non è ignorare la realtà, ma adattare, nel migliore dei modi, la nostra vita alla realtà. E il modo migliore per farlo non è tecnico è politico. Una politica ambiziosa e difficile che provi a scrivere un nuovo contratto sociale."Le azioni di risanamento finanziario, se ben concepite, sono necessarie ma non sufficienti se pensate all'interno del cosiddetto sistema ... se c'è molto da evitare non c'è tuttavia molto da inventare. ... oggi in Europa è arrivata l'ora di una Nuova Alleanza, tra popoli e Stati. .... è necessario cominciare a pensarla e a farla questa alleanza, persona per persona, comunità per comunità, nei luoghi di lavoro e di studio, nei luoghi del pensiero e della politica, Paese per Paese, intrecciando i fili di un comune disegno politico e morale ...La forma del pensiero che ora ci serve è insieme quella del pensiero comunitario e del pensiero sociale". Tremonti indica alcuni elementi di riflessione per definire questa forma di pensiero. 1. Oggi viviamo in un mondo che per circa vent'anni ci ha drogato e cullato con l'idea del benessere progressivo e gratuito donatoci dalla finanza. "Una droga che non ha cancellato in molti di noi la diversa faticosa memoria del passato. Ha invece occupato la maggior parte della vita dei giovani. ... Per i giovani è più duro il ritorno alla realtà. La fine della società dei desideri appagati gratis. Il ritorno ad un mondo ...... in cui un utensile conta più di un future". 2. La mano pubblica è tornata prepotentemente ed è stata usata, ma, purtroppo male, prevalentemente. per salvare la finanza; ora è arrivato il momento di usarla bene. 3. Dobbiamo adottare un tipo di politica che ha due punti di forza: non è fatta nell'interesse di pochi, ma dei più; è una politica che non ha in sè il palpito tragico dell'ultimo effimero ventennio, ma il respiro profondo della storia. Al principio dell'unine europea non era così: grandi leader parlavano di pace tra i popoli, di carbone, di acciaio, di agricoltura, non di derivati. Ora è tutto chiuso nel freddo agghiacciante degli spread su titoli che sono paradossalmente denominati in quella che dovrebbe essere la stessa moneta. 4. La politica può uscire da questa fase di colpevole abulia e rimettersi al servizio dei popoli, solo se ha la forza di iniziare con una prima mossa, la forza di mettersi sopra la finanza. La forza di presentarsi non come la causa dei problemi, ma come la possibile soluzione. 5. Siamo una società troppo vecchia dobbiamo trovare la forza di far sì che i giovani possano decidere del loro destino. 6. Una politica di questo tipo deve essere democratica, nel senso della sua diffusione nel consenso popolare, altrimenti non esiste. 7. "Una poltica di questo tipo deve essere quanto più diffusa in Europa, non può fermarsi sui vecchi confini nazionali. 8. "Se a determinate condizioni politiche si vuole e si dice di volere un'Europa comune, si deve anche accettare, in alternativa alla dittatura dell'economia, in alternativa alla ditttatura delle tecnocrazie finanziarie, un maggior grado di politica democratica comune, a partire da più forti poteri al Parlamento europeo, facendo riemergere dal profondo della storia le Regioni d'Europa". 9. "Le difficoltà e le sfide politiche che ora ci si presentano tutte insieme possono essere superate usando le nuove opportunità offerte dalla Rete, che è la piattaforma più adatta per sviluppare questo nuovo tipo di politica.

L'uscita di sicurezza
L'uscita di sicurezza può essere trovata solo con il ritorno di una grande politica, una politica che riesca a rimettere lo Stato sopra la finanza e faccia prevalere le regole all'anarchia, e avviare grandi progetti di investimento pubblico per il bene comune.
"Proviamo a immaginare un nostro diverso futuro, nei termini che seguono:
- abrogare le leggi vigenti ... e tornare a quelle scritte per dividere l'economia produttiva dall'economia speculativa: ... In alcuni casi si tratta di rendere meno sistemiche, o non sistemiche, le banche che ancora sonoe/o si dicono sistemiche. Ridurle di dimensione, scinderle, depotenziarle;
- adottare il decaloco OCSE sui principi di appropriatezza, trasparenza e integrità nell'economia;
- fare gli Eurobond."
" Ma è anche chiaro che l'enorme massa finanziaria tossica deve essere scadenzata su periodi i più lunghi possibile e accollata agli speculatori. Chi ha giocato d'azzardo non può impunemente alzarsi dal tavolo da gioco, per farci sedere qualcun altro a paghare per la sua perdita.
Tremonti termina con una massima di Sant'Agostini "Togli il diritto e, allora, cosa distingue lo Stato da una banda di briganti?"


""""L'ex ministro dell'Economia Tremonti non ha dubbi. Sul debito europeo i mercati hanno concesso una tregua ma i problemi sono ancora tutti sul tavolo. E le mosse della Bce fanno poco. L'Italia? S'è fatta male da sola.
Con l'approvazione del swap sui titoli di Stato greci, l'Eurozona ha davvero mosso un passo decisivo verso la soluzione del problema debito sovrano? «Niente affatto. Quello che stiamo attraversando in questi giorni non è che un momento di tregua. Ma i problemi sono ancora tutti sul tavolo». Parola di Giulio Tremonti, con il quale venerdì 9 marzo Class Cnbc, l'emittente televisiva del gruppo Class Editori, ha parlato a proposito dell'ultima fatica editoriale dell'ex ministro dell'Economia, cioè «Uscita di Sicurezza». Già il titolo del libro sottolinea quella che secondo l'ex titolare di Via XX Settembre è la vera soluzione ai problemi che attanagliano l'Europa, in varie forme e con varie intensità, ormai da cinque anni. E cioè sottrarre alla grande finanza, e alla sete di profitto che la caratterizza, il dominio degli sviluppi politici, sociali ed economici, assoggettandola a un set di regole certe e condivise. In questa intervista Tremonti spiega anche perché la boccata d'ossigeno somministrata dalla Banca centrale alle banche europee non risolverà i problemi.
Domanda. Professor Tremonti, sul debito pubblico greco gli investitori hanno accettato un'importante riduzione. Con questo accordo l'Europa è uscita dal tunnel?
Risposta. In realtà si tratta di un passaggio di un percorso molto complesso. Non dimentichiamo che la Grecia deve ancora tenere le elezioni politiche, che saranno in pratica un referendum sulle misure di austerità imposte dalle istituzioni internazionali. Non si può pensare che un popolo accetti di essere commissariato dall'esterno. E la storia ci insegna che la Grecia, sebbene piccolo, è un Paese che ha determinato grandi cambiamenti nello sviluppo della storia.
D. Tuttavia gli spread sono molto diminuiti. Il mercato ha accolto bene lo swap di Atene.
R. È un momento di tregua, ma diversi Paesi, come il Portogallo, l'Irlanda, la stessa Spagna, sono ancora a rischio.
D. Quindi lei come vede la situazione?
R. Come ho detto c'è una tregua, resa possibile soprattutto dalla massiccia iniezione di liquidità da parte della Bce. Detto questo, nessuno ha ancora risposto a questa domanda: perché la Banca centrale europea lo ha fatto? A mio avviso i motivi sono due. Da un lato era venuta meno l'azione politica comune da parte di istituzioni e governi europei. Dall'altro, tra le banche non c'era più la fiducia reciproca necessaria al funzionamento dei mercati monetari.
D. Le due operazioni di finanza straordinarie decise da Draghi che effetti potrebbero avere?
R. Non credo che la liquidità immessa possa dare veramente una svolta alla crisi. La Bce ha prestato denaro alle banche all'1% senza dare alcun vincolo all'impiego di queste risorse, ma in questo modo ha praticamente eluso il divieto imposto dai Trattati di finanziare i debiti pubblici, e in sostanza l'operazione si sta rivelando un aiuto di Stato al settore finanziario, che può usare i fondi Bce per investire su strumenti più redditizi e fare profitti. Anche il governo di cui ho fatto parte ha adottato misure straordinarie per le banche, ma a un tasso dell'8%, a condizione che i fondi finanziassero le piccole e medie imprese, e che fossero posti limiti alle retribuzioni dei top manager. Nelle operazioni Bce non c'è nulla di tutto ciò. Ma c'è anche un altro effetto perverso.
D. Quale?
R. La crescente localizzazione dei debiti pubblici europei. Infatti le banche con questi fondi a basso costo acquistano titoli degli Stati di cui sono residenti. Questa tendenza va in senso opposto alla creazione di un mercato europeo, incoraggia politiche protezioniste e alla fine farà sì che ciascuno dei Paesi membri dovrà risolvere da sé i problemi i finanza pubblica.
D. In che misura le prossime elezioni in Francia possono influire sulla crisi?
R. Un'eventuale vittoria di François Hollande potrebbe preludere a una modifica della politica di controllo dei conti promossa da Sarkozy. Tuttavia, sia i socialisti francesi che i socialdemocratici tedeschi sono favorevoli all'introduzione degli eurobond.
D. L'Italia secondo lei può considerare il 2011 un brutto ricordo?
R. L'Italia l'anno scorso si è fatta male da sola. L'anno precedente era cresciuta dell'1,8%, più della Francia. Il bilancio pubblico tende verso l'avanzo primario, quindi la strada del risanamento era già tracciata. Il governo Monti ha solo aggiunto qualcosa. Solo che si è fatto di tutto per proiettare all'esterno un'immagine peggiore della realtà. E questo non ha affatto aiutato. Come tutti, anch'io penso che oggi il vero problema dell'Italia sia la crescita, ma l'attuale politica fiscale è recessiva, e anche regressiva, come bene sanno i cittadini alle prese con prezzi della benzina alle stelle e bollette che rincarano di continuo.
D. Per concludere, secondo lei come si potrà uscire da questa crisi?
R. Negli ultimi 20 anni c'è stata una mutazione dell'economia mondiale secondo me troppo rapida per essere gestita dall'attuale apparato istituzionale. Si è lasciata briglia sciolta alla finanza. Quando le banche capiranno che non possono far pagare sempre il conto dei propri errori ai risparmiatori, agli Stati e alle banche centrali, si sarà fatto un passo avanti importante. milanofinanza.it - 13 marzo 2012""""


Eugenio Caruso
7 febbraio 2012



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