La decima edizione del Rapporto sulla comunicazione prosegue il monitoraggio dell’evoluzione dei consumi dei media - misurati ormai nell’arco di un decennio - e l’osservazione dei cambiamenti avvenuti nelle diete mediatiche degli italiani, tracciando così le grandi linee di trasformazione del sistema dei media. Tre approfondimenti tematici riguardano questioni di grande rilevanza e attualità. Il primo concerne gli effetti della rivoluzione digitale, con il rafforzamento della tendenza alla personalizzazione dei media: diventano centrali la trascrizione virtuale e la condivisione telematica delle biografie personali. Il secondo tema è la rinnovata concezione della privacy in un’epoca in cui il primato del soggetto si traduce nell’esibizione denudata del sé digitale. Il terzo argomento sono i mutamenti in corso nel settore della pubblicità e gli effetti sul pubblico.
I media siamo noi.
Si celebra qui l’inizio dell’era biomediatica. L’individuo
si specchia nei media (ne è il contenuto) creati dall’individuo stesso (che ne
è anche il produttore). Il notevole sviluppo di Internet – sia del numero degli
utenti, sia delle sue applicazioni, che ormai permeano ogni aspetto della
nostra vita quotidiana –, l’evoluzione della rete dell’ultimo decennio nella
declinazione del web 2.0, la crescita esponenziale dei social network,
insieme alla miniaturizzazione dei dispositivi hardware e alla proliferazione
delle connessioni mobili, sono i fattori che tutti insieme hanno esaltato la
primazia del soggetto.
La caratteristica che meglio contraddistingue l’evoluzione dell’habitat
mediatico nell’era digitale è la progressiva integrazione dei diversi strumenti
di comunicazione. Grazie alla diffusione di device sempre più piccoli e
mobili e al successo dei social network, questa integrazione è ormai
compiuta. Oggi la diffusione delle app per smartphone e il cloud computing
stanno rafforzando ulteriormente la centratura sull’individuo del sistema
mediatico. La tecnologia cloud, con la delocalizzazione in una sede remota
della memoria presso cui risiedono i contenuti digitali, determina la
“smaterializzazione” delle macchine, che diventano sempre più piccole e
portatili, fino a costituire solo un’appendice della propria persona: un
prolungamento che ne amplia le funzioni, ne potenzia le facoltà, ne facilita
l’espressione e le relazioni, inaugurando così una fase nuova: l’era
biomediatica, in cui diventano centrali la trascrizione virtuale e la
condivisione telematica delle biografie personali.
“I media siamo noi” è allora un’affermazione vera dal punto di vista della
fruizione dei contenuti, che sintetizza correttamente l’evoluzione dei
consumi mediatici, perché siamo noi stessi a costruirci i nostri palinsesti
multimediali personali, tagliati su misura in base alle nostre esigenze e
preferenze. Questo vale con riferimento alla possibilità di comporre in modo
assortito i contenuti di intrattenimento di nostro gradimento sfruttando
l’offerta delle emittenti tradizionali e mixandola con i contenuti reperiti
grazie a Internet e alla moltitudine di device che possediamo; e vale anche
rispetto alla possibilità di costruirci percorsi autonomi di accesso alle
informazioni, svincolati dalla logica top-down del passato che implicava una
comunicazione verticale unidirezionale dei messaggi da parte delle fonti
ufficiali.
Ma i media siamo noi anche dal punto di vista dell’oggetto stesso della
comunicazione, cioè dal lato della produzione dei contenuti, perché noi
stessi realizziamo di continuo contenuti digitali e, grazie a Internet, li
rendiamo disponibili in molti modi. Anche l’informazione può essere
autoprodotta, oltre che autogestita: si pensi al successo di siti come
YouReporter o alle innumerevoli occasioni in cui, per testimoniare eventi di
cronaca di rilievo, i tg delle grandi tv nazionali hanno dovuto usare le
immagini amatoriali girate da qualcuno con telefonini o videocamere non
professionali. Con la proliferazione dei contenuti prodotti dall’utente, il
primato del soggetto ha sfondato ormai anche l’ultima barriera, quella che
era rimasta sul fronte della produzione. I contenuti generati dagli utenti (i
software liberi, le enciclopedie gratuite, i forum, i blog, i social network, i
siti web di citizen journalism, ecc.), dove circolano testi, immagini, video,
fanno concorrenza alle stesse produzioni commerciali.
L’io è al tempo stesso soggetto e oggetto della comunicazione mediale
anche perché l’autoproduzione di contenuti nell’ambiente web privilegia in
massima parte l’esibizione del sé: l’utente è il contenuto. Con la definitiva
promiscuità tra il mezzo e il suo utente, la fenomenologia dello sharing
tramite Facebook, gli utenti della rete creano di continuo contenuti
aggiornando il proprio status, postando commenti, pubblicando fotografie e
video, immettendo in rete una quantità di dati personali impressionante, che
rivelano in modo estemporaneo pensieri, emozioni, abitudini, opinioni
politiche, orientamenti religiosi, gusti sessuali, condizioni di salute,
situazioni sentimentali, amicizie, località visitate, preferenze di consumo,
percorsi formativi, vicende lavorative e professionali, vizi e virtù personali,
nonché informazioni che riguardano anche gli altri, familiari e conoscenti.
L’evoluzione dei consumi mediatici al 2012
I dati sull’andamento dei consumi mediatici nel 2012 confermano che gli
unici mezzi che riscuotono un successo crescente e incrementano la loro
utenza sono quelli che integrano le funzioni dei vecchi media nell’ambiente
di Internet, come gli smartphone (telefono e web) e i tablet (schermo della
tv, lettura di libri e giornali, pc, web).
La televisione continua ad avere un pubblico di telespettatori che coincide
sostanzialmente con la totalità della popolazione (il 98,3%: +0,9% di utenza
complessiva rispetto al 2011), con aggiustamenti che dipendono dalla progressiva sostituzione del segnale analogico con quello digitale, dal successo consolidato delle tv satellitari (+1,6%) – che concedono all’utente una maggiore autonomia operativa rispetto alla tv tradizionale –, dalla maggiore diffusione della web tv (+1,2%) e della mobile tv (+1,6%). Oggi un quarto degli italiani collegati a Internet (24,2%) ha l’abitudine di guardare i programmi dai siti web delle emittenti televisive e il 42,4% li cerca su YouTube per costruirsi i propri palinsesti su misura. Queste percentuali, già considerevoli, aumentano quando si prende in considerazione la popolazione più giovane, salendo rispettivamente al 35,3% e al 56,6% tra gli internauti 14-29enni, che sono i soggetti che più
degli altri incarnano le nuove tendenze.
Come la televisione, anche la radio resta un mezzo a larghissima diffusione
di massa (la ascolta l’83,9% della popolazione: +3,7% in un anno). Ma anche in questo caso si accresce l’importanza delle forme di radio che si determinano all’intersezione con l’ambiente di Internet: la radio ascoltata via web tramite il pc (+2,3%) e per mezzo dei telefoni cellulari (+1,4%), che stanno soppiantando un mezzo digitale di prima generazione come il lettore portatile di file mp3 (-1,7%). Proprio i telefoni cellulari (utilizzati ormai da 8 italiani su 10) aumentano ancora la loro utenza complessiva (+2,3%), anche grazie agli smartphone
(+10% in un solo anno), la cui diffusione è passata tra il 2009 e il 2012 dal 15% al 27,7% della popolazione e oggi si trovano tra le mani di più della metà dei giovani di 14-29 anni (54,8%).
E questi ultimi utilizzano il tablet (13,1%) più della media (7,8%). Nel corso dell’ultimo anno, il 37,5% di chi usa lo smartphone o il tablet ha scaricato applicazioni e il 16,4% ha dichiarato di averlo fatto spesso. Lo smartphone - o, in misura minore, il tablet - su cui scaricare le app produce dunque un ambiente comunicativo che permette di avere il mondo in tasca. Di app ve ne sono le più disparate, con una gamma di scopi e funzioni ampissima. Il primo posto nella classifica di gradimento degli utenti spetta però ai giochi, ricercati dal 63,8% di coloro che hanno scaricato app nell’ultimo anno. Seguono informazioni meteo (33,3%), mappe (32,5%), social network (27,4%), news (25,8%) e sistemi di comunicazione (messaggistica istantanea e telefonate tramite Internet: 23,2%).
La penetrazione di Internet ha guadagnato 9 punti percentuali nell’ultimo
anno, è il medium con il massimo tasso di incremento tra il 2011 e il 2012.
Se lo scorso anno si poteva festeggiare il superamento della soglia del 50%,
oggi l’utenza si attesta al 62,1% degli italiani (che erano il 27,8% solo dieci
anni fa). Il dato sale nettamente nel caso dei giovani (90,8%), delle persone più istruite, diplomate o laureate (84,1%), e dei residenti delle grandi città, con più di 500.000 abitanti (74,4%).
E continua la forte diffusione dei social network, con una tendenziale
sovrapposizione tra Internet e Facebook: non c’è istituzione, associazione,
azienda, personaggio pubblico che possa permettersi di non essere presente
sul social network più popolare. È iscritto a Facebook il 66,6% delle persone che hanno accesso a Internet (erano il 49% lo scorso anno), che corrispondono al 41,3% dell’intera popolazione e al 79,7% dei giovani.
YouTube, che nel 2011 raggiungeva il 54,5% di utenti tra le persone con accesso a Internet, arriva ora al 61,7% (pari al 38,3% della popolazione complessiva).
Al tempo stesso, prosegue l’emorragia di lettori della carta stampata: i lettori di quotidiani (-2,3% tra il 2011 e il 2012), che erano il 67% degli italiani cinque anni fa, nel 2007, sono diventati oggi solo il 45,5% – al contrario, i quotidiani on line contano il 2,1% di lettori in più rispetto allo scorso anno, arrivando a un’utenza del 20,3%. Perdono lettori anche la free press, che si attesta al 25,7% di utenza (-11,8%), i settimanali (-1%) e l’editoria libraria (-6,5%): ormai meno della metà degli italiani legge almeno un libro all’anno (49,7%), anche se si segnala un +1% per gli e-book. E proprio tra i giovani la disaffezione per la carta stampata è più grave: tra il 2011 e il 2012 i lettori di quotidiani di 14-29 anni sono diminuiti dal 35% al 33,6%, quelli di libri dal 68% al 57,9%. Il calo dei giornali gratuiti è stato verticale (in un anno si è passati dal 37,5% al 25,7% di utenza, registrando una differenza di 11,8 punti
percentuali), determinato dalla chiusura di alcune testate, dall’eliminazione
delle edizioni in alcune città e dal crollo degli investimenti pubblicitari nel
settore, che hanno prodotto una riduzione delle copie complessive distribuite. Nel 2012 i settimanali si sono attestati al 27,5% e i mensili al 19,4%.
Le diete mediatiche degli italiani: meno teledipendenti, più digitali, ma senza stampa
Il concetto di “dieta mediatica” indica il fitto sistema di relazioni e
interazioni che si determinano in ciascun soggetto in base alla sua capacità di orientarsi nel mondo, non solo grazie all’impiego di un numero più o meno ampio di media, ma anche in base alla qualità intrinseca dei mezzi di comunicazione usati in prevalenza.
Le persone con diete basate solo su media audiovisivi (tv e radio) erano nel
2002 il 46,6% del totale, mentre gli italiani con diete aperte a Internet erano
solo il 17,1%. In dieci anni la situazione si è capovolta, perché se questi
ultimi sono arrivati al 55,5%, i primi sono scesi al 25,2%. Il
cultural divide - la condizione di marginalità vissuta da chi “si nutre” con
una dieta mediatica di sole tv e radio - non è scomparso e
coinvolge ancora un quarto della popolazione, però non rappresenta più il
tratto distintivo degli italiani, che si collocano ormai in maggioranza
oltre il digital divide. Tra i giovani (14-29 anni) solo il 7% si orienta su una
dieta mediatica basata essenzialmente sugli audiovisivi, così come il 9,7%
dei soggetti più istruiti (diplomati e laureati), mentre il cultural divide risulta ancora non indifferente tra i più anziani, con 65 anni e oltre (43,2%), e le persone meno istruite, con un titolo di studio che non va oltre la licenzia
media (38,3%). La differenza si fa più netta con riferimento al digital
divide, visto che di fronte solo al 13,4% di giovani e al 23,9% di soggetti più
istruiti che non hanno confidenza con le nuove tecnologie, ci sono un 62%
di persone meno istruite e un 83,5% di anziani estranei alle opportunità
offerte da Internet.
C’è poi il press divide. Nel 2006 le persone estranee ai mezzi a stampa
rappresentavano il 33,9% della popolazione, nel 2012 sono diventate il 45,5%. Tra i 14 e i 29 anni a una percentuale irrisoria di persone con diete solo audiovisive (il 7%) fa da contraltare il 36% di giovani che navigano in Internet senza sentire il bisogno di leggere libri e giornali. Il dato sui soggetti più istruiti estranei ai mezzi a stampa (31,9%) risulta ancora più preoccupante. Che persone con al massimo il titolo di studio della scuola dell’obbligo abbiano poca confidenza con i testi a stampa (57%) è abbastanza prevedibile. Che quasi un terzo dei diplomati e dei laureati non legga libri e giornali stupisce di più. Anche perché il dato del 31,9% a essi riferito risulta dalla somma del 9,7% di persone che hanno una dieta audiovisiva e del 22,2% di chi ha comunque una dieta aperta a Internet.
Il conformismo dell’informazione “fai da te”
A fronte della riduzione dei consumi di quotidiani, i portali web d’informazione generici, che non fanno riferimento alle testate giornalistiche, sono utilizzati ormai da un terzo degli italiani (il 33% nel 2012). Non è il bisogno di informazione a essere diminuito, dunque, ma le strade percorse per acquisire le informazioni sono cambiate. Spesso si tratta di semplici aggregatori di notizie prelevate da organi ufficiali di informazione. Il problema è che hanno successo nella misura in cui si adeguano alla tendenza diffusa tra i navigatori della rete di personalizzare non solo l’accesso alle fonti, ma anche la selezione dei contenuti di informazione. Si può arrivare a creare su ogni desktop o tablet un giornale composto solo dalle notizie che l’utente vuole conoscere. Precisamente il
contrario del ruolo che storicamente ha svolto la stampa, quello cioè di formare un’opinione pubblica che esprime pareri diversi ragionando sulle stesse cose. È questo il rischio di solipsismo di Internet: milioni di persone sull’intero pianeta continuamente connesse tra loro e rivolte contemporaneamente verso se stesse, in definitiva secondo un meccanismo di introflessione; la rete come strumento nel quale si cercano le conferme delle opinioni, dei gusti, delle preferenze che già si possiedono; il conformismo come risultato della autoreferenzialità dell’accesso alle fonti di informazione.
La privacy è ancora un valore?
Dal momento che il contenuto mediatico siamo noi stessi e le nostre vite
private, uno degli effetti più controversi dell’attuale fase della rivoluzione
digitale è l’impatto sulla tutela della riservatezza e la protezione dei dati
sensibili. Cosa rimane oggi della privacy, quando il paradigma della condivisione ha sancito la preminenza dello sharing sul diritto alla riservatezza? È la norma fissata dai circuiti mediatici e dai network personali online a ridefinire la nuova soglia di tollerabilità di eventuali violazioni della privacy, al di qua della quale ogni comportamento è lecito e consentito. La gran parte degli utenti di Internet tollera di buon grado l’indiscrezione dei social network basata sull’autoesposizione. Non potrebbe essere diversamente, dal momento che essi stessi sono gli attori principali dell’esibizione del sé e i principali artefici della soppressione dell’intimità. I timori per i rischi di violazione della privacy riguardano invece la possibile ingerenza esterna da parte di soggetti di mercato. Le preoccupazioni si appuntano, in particolare, sulla memorizzazione delle parole inserite nei motori di ricerca, sulla tracciatura dei percorsi di navigazione, sulla profilazione degli utenti a scopi commerciali, vista la tendenziale coincidenza del sé reale (il consumatore) con il sé digitale (l’utente di Internet). Il 75,4% di chi accede a Internet ritiene che esista il rischio che la propria privacy possa essere violata sul web. Quello che temono maggiormente è che chiunque possa pubblicare nei social network contenuti e immagini che li riguardano (45,3%). Segue il timore per la registrazione da parte dei motori di ricerca dei percorsi di navigazione (23,5%) e la contrarietà alla possibile acquisizione e all’utilizzo da parte delle applicazioni di informazioni che li riguardano (21,4%). Infine, il 14,7% sospetta la geolocalizzazione, cioè la possibilità che hanno alcune applicazioni di registrare la posizione dell’utente.
Il 54,3% degli italiani pensa che sia necessario tutelare maggiormente la
privacy per mezzo di una normativa più severa che preveda sanzioni e la rimozione dei contenuti sgraditi. Sul versante opposto, la posizione dell’impossibilità di garantire la privacy perché in rete non si distingue più tra pubblico e privato è sostenuta dal 29,3% della popolazione. A ritenere che sia inutile proteggere la privacy perché con l’avvento dei social network non è più un valore e che la condivisione delle informazioni in rete dia maggiori benefici è solo l’8,9%. A reputare che non si corrano rischi e che le attuali regole a garanzia della privacy siano sufficienti è un ancora più residuale 7,6%.
Le attività svolte sul web lasciano un’impronta elettronica degli utenti che
permane nei luoghi remoti della memoria delle macchine. L’indelebile memoria storica della rete rappresenta una minaccia anche al diritto all’oblio di cui dovrebbe poter godere ciascun cittadino, quando a rimanere nelle maglie della rete sono informazioni imbarazzanti e sgradite relative a un passato che non è più asservito al diritto di cronaca. Sono numerose le persone favorevoli alla cancellazione dei dati dalla memoria collettiva di Internet: il 74,3% afferma che ognuno ha il diritto di essere dimenticato e che le informazioni personali sul nostro passato, se negative o imbarazzanti, dovrebbero poter essere eliminate dal web. A sostenere l’opinione contraria, cioè che non si può cancellare la storia ed è giusto conoscere anche le informazioni sgradite e conservarle per sempre in Internet, è il restante quarto della popolazione (25,7%).
La nuova pubblicità
Negli ultimi tempi Internet ha cominciato ad assumere un ruolo importante anche nel mercato dell’advertising. In una fase di prolungata contrazione degli investimenti pubblicitari che ha colpito tutti i media, ancorché con intensità diversa, Internet è l’unico mezzo ad aver incrementato il volume della raccolta pubblicitaria, peraltro con una variazione a due cifre percentuali: +12,3% nel 2011 rispetto all’anno precedente, arrivando a 636 milioni di euro. Sebbene la fetta di mercato del web sia ancora ridotta (il 7,4% del totale), e la gran parte della torta rimanga al mezzo da sempre dominante (la tv assorbe il 53,6% dell’intero budget), dalla ricerca emerge però una grande efficacia della pubblicità veicolata da Internet misurabile in termini di capacità di influenzare le scelte dei consumatori. In Internet le persone possono costruirsi una sorta di pubblicità “fai da te”, on demand, interattiva: cliccando sui banner quando hanno tempo e voglia, approfondendo le informazioni sui siti delle aziende commerciali, cercando autonomamente pareri e feedback su un prodotto o un servizio nei forum di
discussione e nei social network prima di procedere all’acquisto. Per il 62,6% degli utenti che hanno accesso a Internet interrogare la rete con questa finalità è una pratica comune. Al primo posto tra i canali sfruttati nella ricerca diretta di informazioni commerciali figurano, con il 37,1% delle risposte, i siti Internet delle aziende produttrici o venditrici del prodotto o servizio desiderato. Il secondo canale è quello delle piazze virtuali e dei social network. Discutere, chiedere consigli agli iscritti di community e forum online, ottenerne il parere prima di effettuare un acquisto, è un’abitudine per il 19% degli italiani che navigano in rete. Chi vuole rivolgersi agli amici sceglie di scambiarsi informazioni attraverso i social network (10,5%), e c’è anche chi cerca recensioni video su YouTube (11,2%). La terza modalità di fruizione della pubblicità on demand è l’ecommerce, rifiorito negli ultimi tempi con la tendenza dei gruppi di acquisto collettivo. Cercare le offerte promozionali sui siti di vendita online come eBay è un comportamento praticato dal 13,4% degli internauti, un’abitudine
più diffusa rispetto alla ricerca sui portali di acquisto collettivo come
Groupon (10,9%). Negli ultimi dodici mesi 24 italiani su 100 hanno acquistato un prodotto o un servizio grazie alla segnalazione pubblicitaria vista in televisione. Ma al secondo posto per capacità di influenza viene proprio Internet: il 13,6% degli italiani ha acquistato grazie alla pubblicità vista sul web.
Commento di IMPRESA OGGI: la crisi della carta stampata
Secondo il Rapporto l’attuale situazione dei media in Italia, il settore della carta stampata sta soffrendo di una sensibile emorragia in termini di utenti. Il motivo principale è individuato nella costante e sempre più ampia presenza del digitale nella vita quotidiana.
I dati mostrano che, se cinque anni fa il 67% degli italiani leggeva minimo un quotidiano alla settimana, nel 2012 sono calati al 45,5%. Per i libri, invece, la discesa si attesta intorno alla notevole cifra di 6,5 punti percentuali in 12 mesi: dal 56,2% (di persone che leggono almeno di un libro l’anno) nel 2011 all’attuale 49,7%.
Ma un barlume di fiducia sembra esserci, perché, un po’ per tutte le categorie di media, non si tratta tanto di un abbandono del mezzo, quanto di uno spostamento della fruizione del contenuto su un altro tipo di piattaforma, che nella fattispecie è rappresentata dal mondo digitale, anche se nell’universo delle opere cartacee il fenomeno risulta ancora molto modesto e insufficiente a coprire l’emorragia. Ecco allora che il quotidiano online vede aumentare nell'ultimo anno i suoi lettori del 2,1% (dal 18,2% al 20,3%), mentre gli e-book guadagnano un punto percentuale (dall’1,7% al 2,7%). Anche se i numeri sono ancora piccoli, lo sviluppo della lettura digitale può forse davvero trasformarsi in un nuovo punto di partenza per promuovere e incrementare il numero di lettori: gli e-book costano meno, non ingombrano, sono fruibili su numerosi device ormai alla portata di tutti: e-reader, tablet, smartphone, oltre al pc. La strada da percorrere verso il successo del libro su schermo (almeno in Italia) sembra ancora molto lunga. E poi, dalla fotografia al cinema, dalla radio alla televisione, la storia dei media insegna che uno strumento di comunicazione non viene mai completamente annullato dal mezzo più moderno. Anche il successo di Impresa Oggi, con 12.000 articoli letti alla settimana mostra questa tendenza, lo spostamento dell'informazione dal cartaceo al digitale.
............ Rapporto Censis
- 4 ottobre 2012