Ogni legge trasgredita troppo spesso è cattiva; spetta al legislatore abolirla o emendarla.
Marguerite Yourcenar
Congresso di Barcellona - Novembre 2012
Con questa Parte I iniziamo la pubblicazione di una serie di articoli comparsi su Ecoscienza 5/2012 che illustrano, a 360 gradi, lo spirito e la sostanza delle smart city. L'elenco degli articoli è il seguente:
1. Smart city. Cos’è e cosa non è, Alfonso Fuggetta
2. Tutta l’intelligenza che serve alle città, Michele Vianello
3. Storia, tradizioni, futuro tra utopia e innovazione, Andrea Granelli
4. Come immaginare la città che verrà, Gianfranco Franz
5.L’innovazione richiede una nuova partecipazione, Mauro Bigi, Alessandra Vaccari
6. Dalla tecnologia a un nuovo umanesimo, Claudio Forghieri
7. Open data per l’innovazione e la trasparenza, Flavia Marzano
8. Città, ambiente e benessere per la sostenibilità ambientale, Andrea Barbabella
9. La mobilità urbana diventa smart, Fabio Casiroli
10. City 2.0, energia per una città sostenibile, Mauro Annunziato
11. Socialmente per tutti, Michela Trigari
12. L’evoluzione delle strategie per la sostenibilità, Emanuele Burgin
13. Smart Europe individua le ancore di innovazione, Giorgia Olivieri
14. Torino smart city, l’impegno per l’ambiente, Enzo Lavolta
15. Genova smart city, un percorso da costruire insieme, Gloria Piaggio
16. Verso l’Italia 2.0, Michele Luconi
1. Smart city cos'è e cosa non è
Il termine smart city è divenuto in questi mesi particolarmente popolare. Con questa espressione si identifica un territorio urbano che, grazie all’uso diffuso e pervasivo di tecnologie evolute (non solo Ict), è in grado di affrontare in modo innovativo una serie di problematiche e di bisogni.
1.1 Le diverse facce della smart city
Tante sono le forme secondo le quali una città può divenire smart. Tra le più menzionate, è possibile certamente ricordare le seguenti:
1. La città che sa muoversi. Le città (e i territori che attorno a esse si sviluppano) sono sempre più congestionate e necessitano quindi di nuovi modelli di gestione e governo della mobilità che valorizzino il trasporto pubblico, introducano tipologie e modelli di trasporto (per esempio, i modelli di sharing del mezzo), prevedano servizi innovativi di monitoraggio, analisi, pianificazione e gestione dei flussi dei cittadini e dei mezzi.
2. La città che sa non muoversi. In apparente antitesi rispetto al punto precedente, una città è smart anche nella misura in cui aiuta i cittadini a non muoversi. In particolare, un utilizzo diffuso e pervasivo dei servizi e prodotti Ict permette di svolgere remotamente, senza muoversi, moltissime attività: dallo shopping, alle riunioni, alle attività di lavoro di gruppo e di progetto.
3. La città informata. Una città smart è capace di raccogliere e diffondere informazioni in modo capillare e continuo, sia per quanto riguarda la normale vita sociale ed economica, sia per quanto riguarda la gestione di situazioni di emergenza.
4. La città virtuosa. Una città smart è in grado di sfruttare tutte le moderne tecnologie per il risparmio energetico e, in generale, per ridurre l’impatto sull’ambiente e sul pianeta che deriva dalla presenza e dalle attività di migliaia di persone e prodotti che in varie forme consumano energia e producono rifiuti.
5. La città viva e dinamica. Una città è smart anche quando è capace di generare e promuovere attività culturali e ricreative che qualificano il territorio, attirano talenti, arricchiscono il tessuto urbano e ne stimolano creatività e crescita sociale.
6. La città partecipata. La crescita dimensionale delle città e il loro progressivo trasformarsi in grandi agglomerati dove si perde la dimensione della “piazza medioevale”, rende sempre più concreto il pericolo della perdita di coesione sociale e dell’impoverimento dei momenti di incontro e socializzazione. Una città smart è capace di inventare nuove forme di partecipazione che, coniugando l’utilizzo delle nuove tecnologie e nuove forme sociali di incontro, siano in grado di rinnovare e ricreare il tessuto dei rapporti umani e le opportunità di confronto e dialogo.
7. La città sicura. La sicurezza delle persone e delle cose è divenuta in molte città una delle principali preoccupazioni. Una smart city innalza il livello di sicurezza grazie all’uso di soluzioni innovative di sorveglianza del territorio e di assistenza ai cittadini.
8. La città ben governata. Infine, non meno importante, una città smart offre nuove forme di governo in grado sia di monitorare e gestire il territorio e le dinamiche che in esso si sviluppano, sia di valorizzare il rapporto continuo e bidirezionale con i cittadini, le imprese, le entità vive che su di esso operano e si sviluppano.
In sintesi, una smart city è un luogo dove tutti i processi vitali e nevralgici del vivere sociale vengono riletti, grazie anche all’uso delle tecnologie, allo scopo di migliorare in modo radicale qualità della vita, opportunità, benessere, sviluppo sociale ed economico.
1.2 Cosa non è una smart city
Troppo spesso, si riduce il concetto di smart city a interpretazioni parziali e limitative.
Una smart city è più di una città dotata di un sistema di comunicazione wireless, così come un sistema ferroviario è più di un insieme di binari. Ovviamente, servono anche i “binari”, ma una smart city non la si crea, per esempio, semplicemente attraverso progetti come le reti wi-fi cittadine: già oggi nelle città non manca connettività wireless, in particolare, quella 3G offerta dagli operatori. Certamente, maggiore connettività (gratuita o a basso costo) a disposizione dei cittadini potrebbe facilitare la diffusione e fruizione di certi servizi, anche se di fatto una rete wi-fi comunale fa del pubblico un operatore almeno in parziale concorrenza con gli operatori privati. Comunque sia, le reti wi-fi non sono un fattore che di per se stesso generi servizi innovativi o comunque diversi e migliori rispetto a quanto oggi è già disponibile: non apportano nulla di sostanzialmente nuovo o in reale discontinuità con la situazione esistente. Allo stesso tempo, per rendere smart una città non basta immaginare singoli servizi evoluti per l’infomobilità, il controllo energetico, la sicurezza urbana e altri ad alto valore per il cittadino. Ovviamente, questi servizi sono molto utili e desiderabili, ma se concepiti come isole a se stanti, rischiano di non essere efficaci o addirittura irrealizzabili. Per esempio, per fornire servizi di infomobilità di valore è necessario pensare non solo a sofisticati sistemi di pianificazione e ottimizzazione dei flussi di traffico, ma anche e soprattutto a come raccogliere e integrare (in tempo reale o quasi) i tanti dati che sono indispensabili per realizzare queste funzioni di simulazione e calcolo: movimenti dei mezzi pubblici e privati, movimenti dei cittadini, stato dei lavori pubblici, operatività delle utilities (per esempio, la raccolta rifiuti) e tanti altri ancora. Se non ci fosse modo di raccogliere e organizzare questa molteplicità di informazioni, che servono per lo più in forma anonima o aggregata e quindi garantendo la privacy dei cittadini, anche il più sofisticato sistema di monitoraggio, pianificazione e controllo risulterebbe nei fatti inutile. Una smart city nasce da una visione coerente e complessiva (olistica) dei processi di sviluppo del territorio e da una governance efficace e capace di orchestrare e coordinare tutte le iniziative (pubbliche e private) che nel loro complesso portano alla creazione di una città smart.
1.3 Cosa servirebbe fare
Per sviluppare una smart city è necessario operare a diversi livelli:
- definire una vision di quali siano gli obiettivi di medio-lungo periodo che la città si pone
- sviluppare le infrastrutture abilitanti quali, ad esempio, le reti in banda larga wireless e fisse, le reti di sensori ambientali, le smart grid
- abilitare lo scambio intelligente e diffuso di informazioni e servizi, grazie alla creazione di standard di cooperazione applicativa tra soggetti pubblici e privati (vedi Progetto strategico Ict per Expo 2015)
- definire una governance dei processi di sviluppo della smart city che coinvolga sia gli attori pubblici che quelli privati che operano sul territorio
- promuovere lo sviluppo di applicazioni e servizi, sia nel pubblico che nel privato, che siano coerenti e sinergici con la vision e la governance della smart city.
Sono azioni all’apparenza semplici e persino ovvie, ma la cui implementazione richiede una matura consapevolezza da parte di tutti gli attori presenti sul territorio che spinga ciascuno a “fare la propria parte” in modo coordinato e coerente, e non dispersivo e caotico.
1.4 I vantaggi per i cittadini e le imprese
Se una città smart si caratterizza per le proprietà e funzioni discusse in precedenza, appare subito evidente che i vantaggi sono molteplici:
- migliora la qualità della vita del singolo
- aumenta l’attrattività e la competitività del territorio
- si semplifica il lavoro delle imprese
- nascono nuove opportunità di sviluppo economico e sociale
- aumenta il livello di partecipazione dei singoli alla vita politica e culturale del territorio.
Non si tratta solo di slogan o di speranze ingenue. Molteplici sono le evidenze che giustificano e rafforzano queste considerazioni e ipotesi di azione, rendendole concrete e realizzabili. Il vero aspetto critico è l’identificazione di quelle competenze e di quelle strutture operative e di governance che sappiano declinare nel breve e nel medio-lungo periodo una lungimirante strategia di costruzione della smart city.
Alfonso Fuggetta
2. Tutta l’intelligenza che serve alle città.
Se provate a digitare sui motori di ricerca il termine smart cities lo troverete in larga misura collegato al resoconto di conferenze, ad annunci di bandi europei e nazionali, ai proclami trionfalistici dei sindaci, ai prodotti – hardware e software – e ai marchi dei vendors. Niente di disdicevole, ma questo è un modo limitativo di interpretare il tema. Preferisco, quindi, usare il termine Città intelligente. Perché usare il termine “intelligente”? Cosa si deve intendere per intelligenza “in” una città? e, meglio “di” una città? Ecco la mia definizione, più complessa. La Città intelligente è un’area urbana dove le persone hanno a disposizione “conoscenza virtualizzata” in modo diffuso. La Città intelligente è il luogo dove i processi cognitivi e partecipativi sono il frutto di scambio, di condivisione tra le persone usando gli strumenti messi a disposizione sul web. Questi processi producono “conoscenza”. Questi processi virtuosi fanno sì che una città, se intelligente, possa essere considerata un organismo vivente. A sua volta la Città intelligente appartiene a un network di città connesse attraverso internet. La ragnatela internettiana oggi custodisce infinite quantità di conoscenza e di sapere. I contenuti che consentono alle persone di fruire della conoscenza sul web sono il risultato di un’attività di digitalizzazione di ciò che è stato prodotto nel corso dei secoli dagli uomini. Siano essi testi, dipinti, fotografie, filmati, musica, in larga parte si tratta di banche dati dalla provenienza la più svariata. Dove sono custoditi, i contenuti in formato digitale, non ha importanza. Ciò che fa la differenza è il loro essere disponibili a tutta l’umanità, sempre e ovunque. Possono essere i patrimoni museali che vengono digitalizzati e messi sul web. Possono essere le grandi biblioteche digitali. Ma la conoscenza e il sapere sono anche il frutto dei nostri dialoghi e delle nostre attività sulle piattaforme web. Non casualmente il web 2.0 è definito come user generated content. Quando ognuno di noi utilizza Twitter o Facebook per commentare ciò che succede nella città, genera conoscenza e la condivide con altre persone. Quando postiamo un video su YouTube generiamo conoscenza e la condividiamo. E così, quando partecipiamo, in modo del tutto volontario, alla stesura di una voce per l’enciclopedia online Wikipedia generiamo conoscenza. E quando partecipiamo a piattaforme di crowdsourcing improntate, ad esempio, al problem solving nel mondo domestico non generiamo forse conoscenza per una comunità? Più gli esseri umani dedicheranno tempo a generare contenuti sul web, abbandonando i media tradizionali, più diventeranno prosumer, più genereranno conoscenza. Potrò sembrare pedante, ma l’idea di Città intelligente, anzi smart city, che si è consolidata è figlia dell’attività dei vendors di prodotti It e di eccessive semplificazioni culturali. I parametri per considerare smart Cremona, non sono quelli che si useranno per giudicare le politiche smart di Seul. Dobbiamo avere in Italia il coraggio di “contestualizzare”, di essere umili; troppo spesso pecchiamo di autoreferenzialità. Nel mondo della globalizzazione di autoreferenzialità si muore. La città intelligente non è software, non è
hardware, non è un assemblaggio stocastico di “innovazione” It. In definitiva, vorrei che si recuperasse una visione umanistica e olistica della città. Una visione che restituisca alla figura umana il ruolo centrale nell’evoluzione intelligente degli ambienti urbani. La Città intelligente è il luogo dove gli esseri umani usano consapevolmente – perché la consapevolezza è una facoltà che appartiene solo al genere umano – le migliori tecnologie a disposizione. La Città intelligente è il luogo dove gli esseri umani attingono alla conoscenza condivisa sul web, generando essi stessi conoscenza. In questo modo, la Città intelligente è essa stessa una piattaforma web. La Città intelligente è un luogo di governance molto forti e autorevoli perché frutto di processi di condivisione, della capacità di prevedere e di immaginare, della volontà di favorire la realizzazione del “nuovo”. Ed eccoci, ai luoghi dell’intelligenza. Che cos’è il cloud computing in una Città intelligente”? È una semplice repository di dati “di proprietà” di soggetti diversi? Il social cloud – il cloud computing di una
Città intelligente – è il luogo in cui, ad esempio, piattaforme di crowdsourcing e di social networking mettono in relazione dati che provengono da fonti diverse generando così una ricca catena di valore sociale ed economico. Questa visione fa sì che non ci si accontenti di avere a disposizione i dati che provengono da una rete di sensori che rilevano i livelli di inquinamento dell’aria. La Città intelligente è invece un ambiente dove i dati cartografici digitalizzati vengono “mesciati” (mashup) con le informazioni fornite da un sensore della qualità dell’aria rilevata da una app installata sul nostro iPhone. Questi dati “arricchiti” vengono a loro volta “mesciati” con i nostri commenti su Facebook, vengono taggati su Flickr ecc.. Questi dati verranno poi contestualizzati su una cartografia messa a disposizione dall’amministrazione pubblica. La conoscenza così arricchita e resa disponibile è la base perché la governance cittadina attui scelte consapevoli e condivise con i cittadini. In questo modo si abbandona una visione della governance che basa i suoi provvedimenti sui divieti; si approda a una idea del governo basata sulla consapevolezza e sulla condivisione delle scelte, anche le più difficili. Si creano le condizioni per adottare politiche premiali, magari approvate da community on line. L’affermazione dell’epoca dell’intelligenza diffusa e disponibile in una città cambia davvero tutto. Infatti, se la conoscenza “virtualizzata” è diffusa e resa accessibile, viene meno una delle costanti della città contemporanea, dell’intera organizzazione sociale del Novecento e del fordismo. Mi riferisco alla “contestualizzazione dei luoghi”, del tempo, delle attività. Oggi, l’idea di attività lavorativa è legata a un orario e a un luogo. Ma se la conoscenza è disponibile in ogni luogo, viene meno l’obbligo di legare in modo indissolubile spazio, tempo, attività. Le attività possono essere “decontestualizzate” generando benefici immensi, ad esempio, per l’ambiente, e valore sociale per la collettività. Insomma, la Città intelligente è il luogo concepito per cambiare in meglio il nostro modo di vivere. Mi sono permesso di proporre pochi esempi dei cambiamenti possibili, ma questo è il mio sogno, la mia visione di una Città intelligente.
Michele Vianello
3. Storia, tradizioni, futuro tra utopia e innovazione
Nel 2008, per la prima volta nella storia, la maggioranza della popolazione mondiale viveva all’interno delle città. Nel 1900 era solo il 13% e si prevede che entro il 2050 questa percentuale salga fino al 70%. Il fenomeno è diffuso su tutto il pianeta. Legato a questo fenomeno è l’emergere dell’economia dei servizi. I servizi non si limitano ad assorbire molti occupati, ma sono da diverso tempo la componente più importante del Pil. Non si tratta solo di un dato puramente quantitativo. La crescita di importanza dei servizi sta cambiando qualitativamente il funzionamento del sistema economico, con modalità che sono ancora in parte inesplorate. E – come noto – il luogo elettivo di sviluppo dei servizi sono le città. La città diventa dunque il luogo delle grandi opportunità di sviluppo (non solo culturali e sociali, ma anche economiche), ma anche il luogo dei grandi problemi della contemporaneità. Nelle città viene prodotto più del 50% del Pil mondiale e questa percentuale cresce nei paesi più sviluppati. I centri urbani occupano più del 2% della superficie terrestre e in città viene consumato circa il 90% delle risorse prodotte nel mondo. Nelle città avviene il 70-80% del consumo energetico nazionale dei paesi Oecd e gli edifici incidono per il 40% dei consumi energetici mondiali. Oltretutto, nelle città vengono prodotti il 45-75% delle emissioni totali di gas serra e il traffico ha un ruolo essenziale. Anche la povertà dilaga, trovando nelle città il suo humus naturale: secondo le Nazioni Unite e la Banca mondiale, nel 2028 il 90% della povertà sarà urbana e il 50% dell’umanità vivrà sotto la soglia della povertà in condizioni urbane degradate.
3.1 Smart city: innovazione o utopia?
Le smart cities sono il capitolo recente di un libro che ha origini antiche e che ha cercato – nel suo svolgimento – di definire la città ideale, il luogo desiderato dove si sarebbe voluto (e spesso dovuto) vivere. E questa sua appartenenza al pensiero utopico ne svela alcune dimensioni ideologiche e irrazionali che sono spesso nascoste dal linguaggio asettico e oggettivo della tecnologica. Vi sono due correnti di pensiero rispetto al contributo della tecnologia nella vita quotidiana e quindi rispetto al ruolo della città come emblema del pieno manifestarsi della tecnica: quella più “naturista”, dove è il vivere collettivo che la città (e l’uso spregiudicato della tecnica) ha corrotto. Queste teorie predicano dunque il ritorno a uno stato di natura libero e innocente. Altre – come ad esempio quella di Bacone – danno invece alla tecnica – e quindi alla città ideale – il compito di ricomporre uno stato corrotto e degradato dall’animo selvaggio ed egoista dell’uomo. È certamente questa seconda visione da cui deriva il concetto di “città intelligente”. Molti grandi pensatori si sono cimentati con la città ideale: pensiamo alla Città delle donne di Aristofane o alle visioni platoniche – non solo de La Repubblica ma anche di Atlantide – ripresa tra l’altro dal gesuita-scienziato Athanasius Kircher nel suo Mundus subterraneus. Nel dialogo La Repubblica, inizio e matrice di moltissime successive utopie, si parla di una città ideale, cercando di definirne un modello astratto che in qualche modo prescinda da ogni possibilità pratica di realizzazione. Il punto di maggiore contatto con l’idea delle smart cities è però nella Nuova Atlantide di Bacone, opera incompiuta scritta probabilmente tra il 1614 e il 1617. In questa città la scienza è sovrana, e si sperimenta e si studia continuamente. La Nuova Atlantide è l’autentico manifesto dell’ideale baconiano della scienza, intesa come sperimentazione che permette all’uomo di dominare la natura piegandola ai suoi fini e ponendola al servizio dei suoi valori morali. La grande assenza contemporanea del pensiero utopico e del sogno – che nasce anche da quella paura del futuro che Remo Bodei ha chiamato “fissazione in un presente puntiforme” – ha provocato un indubbio impoverimento della progettualità sociale e una perdita della capacità di contestazione degli ordini costituiti: da qui l’esigenza di costruire nuove utopie. Ed è in questa scia che si è formato il pensiero delle smart cities, costruito però non da filosofi o pensatori, ma tecnologi e uomini di marketing di alcune multinazionali del digitale. E poi ha trovato terreno fertile nella Commissione europea che – essendo più lontana dai temi gestionali – dedica non poche risorse a concettualizzare e stabilire modelli e obiettivi irraggiungibili per il “buon governo” (uno per tutti il patto di Lisbona). Ma dietro la visione delle smart cities non c’è solo una visione di città ideale, di giusto governo, di impiego corretto delle tecnologie ma – cosa più delicata e problematica – una vera e propria concezione antropologica che descrive una realtà che si desidera venga controllata dalle macchine (da software di processo, agenti intelligenti, piattaforme di business intelligence) in quanto l’uomo senza tecnica rimane senza guida, strutturalmente disordinato, incapace e sostanzialmente egoista: una vera idolatria della tecnica. A ben guardare il futuro richiamato dalle riflessioni sulle smart cities è più distopico che utopistico. Infatti le smart cities vengono vendute non tanto per attuare una città ideale quanto come ricette necessarie per combattere un futuro apocalittico, fatto di carenze energetiche, traffico invivibile, inquinamento diffuso e problemi diffusi di sicurezza.
3.2 Una proposta
Le smart cities sono dunque una grande occasione: il tema va però affrontato nel modo giusto e non semplicemente imitando “buone pratiche”. L’approccio, infatti, non deve essere una pallida imitazione dei modelli americani che partono da una visione distopica del vivere urbano (caos diffuso, insicurezza sociale, problemi di energia e inquinamento ecc.) e danno alle tecnologie digitali un potere quasi magico, ma non deve neanche essere una semplice risposta ai bandi europei per racimolare le sempre più esigue risorse finanziarie pubbliche a disposizione per l’innovazione. Deve piuttosto diventare l’occasione per riflettere a fondo sul futuro delle nostre città, riunendo attorno a tavoli progettuali i principali attori (non solo decisori e fornitori) per cogliere a pieno le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie, ma in piena armonia con la storia, le tradizioni e le vocazioni delle nostre città, diverse – non semplicemente più piccole – rispetto alle megalopoli che stanno spuntando come funghi da oriente a occidente. L’aspetto forse più caratterizzante le città italiane è infatti il loro cuore antico, il centro storico e il patrimonio culturale diffuso: più che un limite verso la loro modernizzazione, questa caratteristica è invece una straordinaria occasione per una forte caratterizzazione identitaria e può (anzi deve) diventare il laboratorio a cielo aperto dove sperimentare le tecnologie e le soluzioni più avanzate. Queste specificità comportano risposte differenziate: non solo efficienza energetica, dunque, né riduzione dell’inquinamento, controllo della sicurezza o mobilità sostenibile, ma anche valorizzazione dei centri storici, creazione di strade del commercio, introduzione di nuove soluzioni di welfare, realizzazione di filiere corte alimentari. L’identità di una città va infatti tutelata e rafforzata e ciò è importante per molti motivi, ma soprattutto per il fatto che le città competono oramai fra di loro: per le risorse comunitarie, per i talenti, per i turisti. Le tecnologie applicabili al contesto urbano sono moltissime: rigenerazione urbana, design dell’esperienza, sensoristica e nuovi materiali, Ngn (next generation networks), cloud e Internet of things, nuovi sistemi di mobilità di persone e merci, solo per citarne alcune. Ma per cogliere in maniera autentica e duratura le grandi opportunità aperte dalla sempre più esuberante innovazione tecnologica, le tecnologie devono ritornare a essere strumenti (e non fine) e vanno comprese in profondità, cogliendone con chiarezza anche le ombre o addirittura i lati oscuri, peraltro in aumento. Le cose da fare sono molte e servono priorità, analisi costi/benefici, trasparenza progettuale. Da dove partire dunque ? Il libro Città intelligenti? Per una via italiana alle Smart Cities (Luca Sossella Editore, Roma, 2012) dedica molto spazio alle proposte. Le aree di intervento sono definibili a priori, ma i contenuti e le priorità relative dipenderanno sia dalla vocazione del territorio sia dall’agenda politica dei suoi amministratori.
Andrea Granelli
4. Come immaginare la città che verrà
E’ il momento delle smart cities. Ne parlano tutti. Si organizzano convegni e simposi. Vengono lanciati programmi e finanziamenti. Si invitano a parlare media guru e sedicenti esperti. Tutti i giornali ne scrivono e ospitano commenti in materia. Ma cosa esattamente voglia significare questa espressione ancora non è chiaro. Non si tratta di un paradigma già definito, ma in via di definizione, come fu per il concetto di sostenibilità, durante gli anni 90, e soprattutto per le pratiche. Letteralmente smart city significa ‘città furba’, ‘città scaltra’. In Italia, patria di furbi e furbetti, con una certa pudica ipocrisia, traduciamo in ‘città intelligente’, significato che ha anche in inglese, intendendosi però in quella lingua un’intelligenza rapida, quasi rapace nel cogliere occasioni e opportunità, per competere con gli altri e prendersi la posta. Non si tratta dell’intelligenza vera, quella lenta e riflessiva, che in inglese si traduce con intelligence e cleverness, ma di un’attitudine alla corsa. Possedere questa attitudine rappresenta una qualità importante, ma non sempre determinante, soprattutto nelle scelte strutturali e di lungo periodo. Qualche anno addietro all’aggettivo smart erano ancora associati significati più ampi di quanto non sia oggi. È sufficiente navigare qualche minuto su Google per comprendere quanto vasto sia e fosse l’argomento e come progressivamente si sia andato restringendo. Poteva essere considerata smart una città capace di rigenerarsi socialmente e/o produttivamente, ma anche una che avesse puntato le proprie fiches su cultura e creatività, o che avesse saputo migliorare l’efficienza dei propri apparati pubblici. Oggi la nozione corrente si è ristretta agli aspetti tecnologici collegati a una manciata di settori: il trasporto pubblico, le costruzioni civili e, soprattutto, le cosiddette smart grid, ovvero le reti di trasmissione dell’energia e delle telecomunicazioni. L’obiettivo di fondo è quello di migliorare la qualità della vita, dell’accessibilità e delle connettività, aumentando l’efficienza e riducendo alcuni impatti sull’ambiente:
- inquinamento da trasporto automobilistico
- emissioni in atmosfera causate dal consumo inutile di energie fossili a causa della dispersione termica negli edifici
- aumento del potenziale di trasporto dell’energia
- aumento della capacità e della connettività delle reti per le Ict e le Tlc.
Tutto ciò che ha a che fare con dispositivi tecnologici (accumulatori, convettori, ripetitori, e poi palmari, laptop e tablet), che aumentano capacità e velocità di trasmissione, di stoccaggio e di interazione con le reti intelligenti.
In questo senso smart sta proprio a significare: essere rapidi, nell’uso, giacché per la definizione di Bat (Best Available Technologies) occorrono anni.
4.1 Le illusioni della tecnologia
Personalmente ritengo più appropriato, almeno per il contesto italiano, l’uso dell’aggettivo smart inteso in senso ampio: una qualsiasi città che sappia valorizzare le proprie vocazioni investendo in innovazione e nella diffusione di essa, fosse anche nella produzione di fiori, può essere considerata una smart city, una città (intesa come comunità civile) in cui l’intelligenza pratica e rapida permette un avanzamento complessivo, aumentandone il capitale sociale. Malgrado questa mia interpretazione, comprendo perfettamente le ragioni dell’egemonia tecnologica, che porta a restringere il campo ai tre principali settori già menzionati, che poi si articolano in ulteriori diramazioni: trasporti, infrastrutture, mobilità; green building e produzione di energie rinnovabili; telecomunicazioni, banda larga, digital divide. Credo che sia evidente a chiunque il potenziale economico che può essere liberato grazie a investimenti massicci in questi settori. Allo stesso modo credo che bisognerebbe anche essere un po’ più scettici sulle magnifiche sorti e progressive della tecnologia nel miglioramento della nostra qualità della vita o nella riduzione degli impatti ambientali. Com’è noto, malgrado quanto affermassero agli inizi degli anni 90 i guru della rivoluzione informatica, il consumo di carta è enormemente aumentato con il diffondersi delle stampanti, piuttosto che diminuire grazie al diffondersi delle telecomunicazioni. Com’è noto, il netto miglioramento dell’efficienza dei motori a scoppio non ha comportato un minore consumo di petrolio, ma un irragionevole innalzamento delle cilindrate delle automobili circolanti (e delle dimensioni con le Suv ad esempio,ndr), con il risultato che i consumi e gli inquinamenti si sono impennati negli ultimi due decenni, anche se i carburanti puzzano meno e quindi nella vita di tutti i giorni non lo percepiamo. Com’è noto, infine, la diffusione del telefono cellulare o della posta elettronica hanno reso molto più comoda e semplice la funzione della comunicazione, ma hanno anche elevato il nostro stress quotidiano da eccesso di connessione.
4.2 Quali prospettive per l’Italia?
Dunque, benissimo l’innovazione tecnologica, ma non ci si faccia troppe illusioni sul risultato finale, soprattutto in termini di sostenibilità ambientale. Questa potrà essere raggiunta non tanto e non solo perché le città sono diventate smart, ma dopo che interi pezzi di umanità abbiano modificato i propri comportamenti e ridotto i propri consumi. Le città italiane iniziano a muoversi. Alle amministrazioni locali viene detto di investire, anche se si dimentica che la loro condizione è drammatica e le risorse non ci sono. Le risorse messe a disposizione dal presidente Monti e dai ministri Passera e Profumo sono importanti, ma poca cosa rispetto alla rilevanza della sfida e al peso del ritardo accumulato in questo decennio perduto, soprattutto in termini di infrastrutture per la mobilità e i trasporti. In ogni caso, si tratta di obiettivi importanti. Il problema è che avranno un impatto limitato, sia in termini di città coinvolte, sia in termini di risultati sul fronte della sostenibilità. Un altro approccio potrebbe risultare forse meno smart e innovativo, ma pagare di più sia in termini di economia prodotta e sostenuta, e quindi occupazione, sia in termini di qualità ambientale. Si pensi all’enorme patrimonio pubblico di edifici a uso istituzionale: municipi, province, regioni, scuole, università, amministrazioni dei più vari livelli e agenzie pubbliche, poste, ferrovie, ospedali, impianti sportivi ecc. Si pensi all’arretratezza delle piccole tecnologie che governano tali edifici: impianti elettrici, impianti di riscaldamento o raffrescamento, reti idriche. Quante di queste tecnologie potrebbero essere rinnovate e aggiornate, permettendo ai nostri edifici di essere più intelligenti e risparmiando energia o acqua? L’Università di Ferrara, anni addietro, ha sostituito il proprio sistema telefonico con una tecnologia Voip. Il costo dell’investimento è stato intorno ai 500 mila euro. Ogni anno l’Ateneo risparmia qualcosa come 600 mila euro di telefonia. Se queste piccole innovazioni si applicassero agli impianti elettrici (interruttori fotocellulari), alle reti di riscaldamento, potenziando la geotermia, dove esistente o la generazione di energia rinnovabile, all’eliminazione delle migliaia di generatori di aria condizionata, si potrebbero ottenere risultati immediati in termini di riduzione dei consumi, quindi dei costi e, in ultima analisi, di sostenibilità diffusa e di lunga durata. Per una simile interpretazione della smart city bisognerebbe riconoscere, pragmaticamente, che l’Italia è fatta come è fatta, ha cento città e cittadine, molte virtuose (e anche tante arretrate e malgovernate), che non tutte hanno risorse e mezzi per investire in alta tecnologia, oppure che tali investimenti in termini di costi benefici potrebbero risultare meno efficaci di investimenti diffusi, anche se meno innovativi. In definitiva, non esiste un solo modo per essere smart e non ha senso, in Italia, pensare che solo le città più grandi debbano essere sospinte a diventare smart, perché non è possibile, se non in un mondo ideale, a cui non apparteniamo, immaginare una Milano, una Torino o una Bologna completamente smart, vale a dire su tutti i fronti lungo i quali questo obiettivo deve essere perseguito. Si può sperare e aspirare a diventare eccellenti, sul medio periodo, su uno o due dei settori smart, mentre è certo che moltissime città, con aiuti non esorbitanti, potrebbero raggiungere l’obiettivo nel settore in cui hanno già dato prova di essere avanzate, veloci, intelligenti. La città ideale non è mai esistita e per questo è stata sempre ricercata e agognata nelle arti, in pittura, in letteratura, nei trattati rinascimentali. Una politica siffatta oltre a garantire una platea maggiore di beneficiari, consentirebbe una più sana redistribuzione territoriale delle risorse e degli avanzamenti tecnologici e ridurrebbe il rischio, molto elevato in Italia, del ritardo, del fallimento e dell’incompiutezza. Per il Paese, nel suo complesso, sarebbe assai più vantaggioso contare su una vasta platea di città parzialmente smart, piuttosto che su poche smart cities a tutto tondo, che non vedremo mai. Siccome sarebbe più vantaggioso agire in questo modo, a causa del livello di irrazionalità (e mi fermo qui!) a cui ci condanna la politica nel nostro Paese, non vedremo mai questo obiettivo realizzato, almeno non nel breve periodo del prossimo quinquennio. Per il territorio sarà un’ulteriore penalizzazione, così come per le nostre piccole e medie imprese, che già sono penalizzate dal fisco, dal credito e da un ritardo infrastrutturale incolmabile. In molte città ci sono forze sane e amministrazioni efficienti ed efficaci. Molte città saprebbero cosa fare e come farlo. Semplicemente non possono o possono in scarsa misura perché nel nostro Paese non abbiamo mai avuto una vera e propria politica di Stato per le città. Malgrado questa incontrovertibile verità, è un dovere auspicare che il movimento avviato e le politiche di recente promosse per le smart cities diventino uno dei temi centrali della gestione urbana nel prossimo futuro.
Gianfranco Franz
Segue Parte II
... Tratti da Ecoscienza 5/2012
16 novembre 2012
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