Ricordo di Andreotti. I governi di solidarietà nazionale.

Il periodo di massima intensità delle azioni terroristiche vede succedersi diversi Governi Andreotti; l’uomo politico, ministro in quasi tutti gli Esecutivi, tessitore di una fitta rete clientelare nel Lazio e in Sicilia, amico di grossi speculatori finanziari, ma ben visto in Vaticano e presso i settori più conservatori della DC, è il personaggio dotato del sufficiente cinismo per gestire un accordo con i comunisti. Moro è costretto a lasciare l’incarico di primo ministro perché, secondo Cossiga, «la banda dei quattro, come venivano chiamati allora Zaccagnini, Guido Bodrato, Corrado Belci e Beppe Pisanu, ritennero che non fosse più adatto».
Nel luglio 1976 viene varato l’Andreotti ter (31 luglio 1976-11 marzo 1978), il Governo della “non sfiducia”, appellativo che suscita l’ilarità della stampa straniera, (monocolore DC, astensione di Pci, Psi, Psdi, Pri, Pli e indipendenti di sinistra). Secondo Folena, la stagione della solidarietà fu un «errore obbligato. Errore, perché da lì iniziò una lunga fase di incomprensione della società italiana e delle trasformazioni che la segnavano. Obbligato, perché la spirale inflazionistica, la necessità di contenere le nuove domande sociali e la situazione internazionale rendevano quel passaggio politico ineluttabile».
La politica di Berlinguer – nonostante i tentativi di introdurre nel partito maggiore democrazia, la caduta dell’opzione dell’uscita dell’Italia dalla Nato e il parziale riconoscimento degli errori dei Paesi dell’Est – è contrassegnata da un unico drammatico errore: non aver abbandonato la pregiudiziale comunista per tentare sia la fondazione di un moderno partito socialdemocratico, sia il superamento della tendenza a ragionare in termini di masse e non di individui. Berlinguer cercherà di liberarsi dell’abbraccio mortale dei Paesi comunisti proponendo la via italiana (con il compromesso storico, proposto su Rinascita il 28 settembre 1973), la via europea (a Madrid, il 3 marzo 1977, viene sottoscritta la carta dell’eurocomunismo tra i partiti comunisti italiano, francese e spagnolo) e poi la terza via, tra comunismo e socialdemocrazia (intervista su Repubblica, 2 agosto 1978), ma non avrà il coraggio di creare una vera cesura con il passato e di mettersi sulla stessa lunghezza d’onda di Willy Brandt, di Olof Palme, di Santiago Carrillo.
Il tentativo di Berlinguer di creare un soggetto politico intermedio tra comunismo e socialdemocrazia (la terza via) è velleitario perché l’idea non sottende nulla di realistico, nessun principio politico, nessun progetto innovativo di società. È una pura invenzione intellettuale. D’altra parte, scrive Berlinguer su Rinascita, nel 1981: «Recidere le nostre radici, pensando di rifiorire meglio, sarebbe il gesto suicida di un idiota». Il principio difeso e riaffermato dell’inviolabilità e dell’innocenza del comunismo rappresenta il perpetuarsi della menzogna e dell’inganno delle masse. La questione morale è uno degli aspetti più significativi della segreteria Berlinguer, ma essa non viene pienamente elaborata, rimane un’intuizione, uno spunto. Si è detto che il limite di Berlinguer fu l’incompiutezza della trasformazione socialdemocratica ma, fallito il compromesso storico, Berlinguer non seppe nemmeno elaborare una strategia in grado di contrastare la degenerazione politica degli anni Ottanta.
Il Governo Andreotti, alle prese con la necessità di migliorare lo stato dell’economia, è bersagliato da una serie di manifestazioni giovanili organizzate dalla cosiddetta “area dell’autonomia”; il Pci e il sindacato si trovano nella tenaglia delle contestazioni in fabbrica e della necessità di non cadere nelle provocazioni della “sinistra extraparlamentare”. La DC supera le difficoltà della primavera 1977 grazie alla volontà del Pci di non mettere in crisi il Governo e di portare avanti le trattative tra “le forze dell’arco costituzionale”. Il Pci avverte, d’altra parte, lo scontento dell’elettorato e dei quadri, e, nel dicembre 1977, toglie il consenso all’Esecutivo (sotto forma di astensione). Il 16 gennaio 1978 Andreotti presenta le dimissioni. Tre giorni dopo viene reincaricato, ma procrastina la presentazione di un programma di Governo, conscio della presenza, tra i democristiani, di forti resistenze.
Aldo Moro riesce a convincere la DC, che mantenere il Pci all’opposizione, quando esso partecipa a pieno titolo al sottogoverno, consente ai comunisti di rafforzare l’immagine del partito dalle mani pulite e di raccogliere sempre più consensi tra i moderati. Esprime quindi la necessità di sperimentare con il Pci un Governo “di programma”. Questo trova la sua formalizzazione, nel marzo 1978, quando i comunisti accettano di appoggiare il quarto ministero Andreotti (11 marzo 1978-21 marzo 1979) di “solidarietà nazionale”, un monocolore DC, con maggioranza esapartita (DC, Pci, Psi, Psdi, Pri, Pli), che diventa pentapartita per l’uscita del Pli. Moro persuade con grande difficoltà Berlinguer ad appoggiare un secondo monocolore Andreotti, spiegando che la situazione non gli consentiva di accettare nessuna delle richieste del Pci, nemmeno quella minima di inserire nel Governo un ministro tecnico indipendente non democristiano.
Nel 1972 Andreotti aveva guidato il Governo di destra con Malagodi; dopo sei anni, lo statista è a capo dei Governi del compromesso storico, coerente con il suo motto: «Il segreto per non restare a digiuno è disporre di due fornai». Andreotti è giudicato una garanzia per l’elettorato moderato ed è l’uomo ideale per condurre i comunisti a un lento logoramento. Nelle sue memorie, Cossiga dà di Andreotti questo giudizio: «Lui ha una visione provvidenziale della vita, che non prevede cause seconde, quali la volontà dell’uomo. A mio avviso lui crede in Dio, fortissimamente in Dio, ma forse soltanto in Lui. Insomma, il gran parlare di riforme non gli aggrada, perché lui fa parte di un mondo e di una cultura politica dove i ritmi sono lenti e non vi possono essere né scontri né dialettiche ma sempre dilazioni, accordi successivi, piccoli accordi, piccoli compromessi e questo non certo per una visione meschina, semplicemente perché è lo stile di un conservatore autentico».
L’accordo con il Pci è facilitato dalla nuova posizione del sindacato; nel febbraio 1978 si consuma, infatti, la cosiddetta “svolta dell’Eur”. La Triplice propone una linea di moderazione salariale in cambio di investimenti occupazionali; inoltre, non considera più profitti e salari variabili indipendenti, ma ammette che imprenditori e lavoratori debbano rispettare reciprocamente i propri interessi. La nuova atmosfera porta a una parziale sterilizzazione della scala mobile e ad accordi aziendali su produttività e mobilità.
Il 6 agosto 1978 muore papa Paolo VI e viene eletto Albino Luciani, che prende il nome di Giovanni Paolo I. Dai primi giorni del suo pontificato, papa Luciani mostra di avere una visione nuova dei problemi e delle attese della Chiesa: rifiuta l’incoronazione e l’uso del plurale maiestatis e mette mano a una riorganizzazione della Curia e dei vertici vaticani. In un memorabile discorso afferma che Dio è anche madre. Dopo appena 33 giorni di pontificato, Luciani muore e il Conclave nomina il polacco Karol Wojtyla, che assume il nome di Giovanni Paolo II. Diventa papa uno straniero e questa è già una mezza rivoluzione; si tratta, inoltre, di un rappresentante della Chiesa che si è posto come antagonista del Partito comunista polacco e che avrebbe generato la fiammata di Solidarnosc, il sindacato di Lech Walesa. Diversamente dal suo predecessore, papa Wojtyla è infatti favorevole ad aumentare il peso della Chiesa nella società e tutto il suo pontificato sarà caratterizzato da questo obiettivo.

Tratto da Eugenio Caruso L'estinzione dei dinosauri di Stato, Mind Ed.

LOGO Eugenio Caruso - 7 maggio 2013




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