Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde:
«Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
Per l'articolo precedente clicca QUI.
IL RIFLUSSO DI DESTRA
All’inizio degli anni Settanta, dopo quasi dieci anni di centro-sinistra, si riscontra in Italia un riflusso di destra. In Calabria, nel 1970, scoppia la “rivolta di Reggio”; nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 avviene il tentativo di colpo di Stato di Valerio Borghese; nel 1971 l’Msi si collega alle marce della cosiddetta “maggioranza silenziosa”, che hanno come epicentro Milano, dove si fa luce un leader della DC cittadina, Massimo De Carolis. Nelle elezioni regionali in Sicilia e amministrative a Roma e a Bari (13 giugno 1971) l’ondata di destra è violenta, specie a Roma e in Sicilia (dove l’Msi raggiunge il 16,3% dei voti).
La DC pendola tra blocco d’ordine e centro-sinistra, ma alla fine prevale la denuncia degli opposti estremismi e la conferma dell’accordo con i socialisti. Nel dicembre del 1971, alla conclusione del mandato presidenziale di Giuseppe Saragat, la compagine governativa mostra, ancora, il suo alto livello di litigiosità. Saragat è il candidato di Psdi, Pri e Pli, Fanfani, della DC e dei nostalgici del “blocco d’ordine” (ma anche Moro affila le sue armi) e De Martino è il candidato di Psi e Pci. Cefis, che è stato partigiano con Longo, cerca di convincere il segretario del Pci di votare per Fanfani, mentre Bernabei si fa promotore, tramite il senatore Mario Dosi, della raccolta, negli ambienti milanesi, di un miliardo da dare alle segreterie di Pri, Psdi e Pli per ammorbidire la loro resistenza a Fanfani (Bernabei, 1999). Longo accetta, a patto che risulti chiaro un asse DC-Pci nella nomina, ma i dorotei si oppongono con forza e l’accordo con il Pci sfuma.
Nel frattempo i socialdemocratici tedeschi offrono 200 miliardi al Pci perché voti a favore di Saragat; con questo finanziamento il Pci avrebbe potuto affrancarsi da Mosca e dall’ala filosovietica di Armando Cossutta che teneva i “legami” con il Pcus. Il Politburo si oppone all’ipotesi che il Pci prenda soldi dalla socialdemocrazia tedesca e anche le chance di ricandidatura di Saragat cadono (Bernabei, 1999). Dopo venti ballottaggi la DC lancia un candidato di compromesso, sia pure del tipo “blocco d’ordine”, Giovanni Leone, che viene eletto, al 23° ballottaggio, il 24 dicembre 1971, per solo 13 voti dal quorum, grazie all’Msi.
Dopo l’elezione di Leone, Colombo rassegna le dimissioni, a causa della sconfitta del centro-sinistra nell’elezione del Presidente. L’incarico viene affidato ad Andreotti che, nelle sue evoluzioni politiche, si ripresenta come uomo di destra, in grado di recuperare i voti emigrati nell’Msi. Il 17 febbraio 1972 il monocolore DC, con il primo Andreotti (17 febbraio-26 giugno 1972), non ottiene la fiducia; Leone, rinnova l’incarico ad Andreotti, scioglie anticipatamente le Camere, cosicché la DC può presentarsi alle elezioni con un Governo tutto democristiano, sotto la bandiera della lotta agli opposti estremismi.
Nel marzo 1972 il XIII congresso del Pci nomina Luigi Longo presidente del partito e ne affida la segreteria a Enrico Berlinguer. Racconta Pietro Folena, allora uno dei giovani che sentivano lontano il mondo sovietico e che credevano nella via italiana al socialismo: «Quegli anni li sentimmo come la cavalcata irresistibile di una strategia di rinnovamento, come uno sviluppo che sembrava già giunto al suo ultimo stadio» (Folena, 1997).
Alle elezioni del 7 maggio 1972, la DC, presentandosi come il partito della “centralità”, mantiene un buon 38,7% dei voti, la sinistra subisce una sconfitta, mentre i vincitori sono a destra: l’Msi-DN conquista infatti quasi il 9% dei voti. Il segretario dell’Msi-DN1, Giorgio Almirante, ha proposto un’accorta selezione di candidati: figure istituzionali, come il generale De Lorenzo e l’ammiraglio Gino Birindelli, e agitatori legati all’ideologia fascista, come Pino Rauti e Sandro Saccucci. Coerentemente con la “voglia di destra” manifestata dai risultati alle urne, il 26 giugno 1972 viene costituito il secondo gabinetto Andreotti (26 giugno 1972-7 luglio 1973), un Governo di “centralità democratica”, detto anche Governo “Andreotti-Malagodi” (DC, Pli e Psdi, appoggio esterno del Pri e Psi all’opposizione). Ma la svolta a destra della DC è solo tattica, in quanto serve a «tranquillizzare l’elettorato conservatore e togliergli la voglia di correre avventure nostalgiche» (Bernabei, 1999). Giova notare che il comportamento del Pli nella coalizione di governo convince l'elettorato liberale che il Pli sia solo un'appendice della Dc e che non sia più il portatore di un'ideologia prettamente liberale e liberista. Ad esempio il governo Andreotti-Malagodi rese operativa la legge 24 maggio 1970 n. 366 "Norme a favore dei dipendenti civili dello Stato ed Enti pubblici ex combattenti ed assimilati" (nominata dai media "la legge delle pensioni d'oro"). Gli effetti di tale normativa furono devastanti, giacché oltre a comportare costi elevatissimi provocò un impoverimento nei ranghi della pubblica amministrazione, soprattutto nell'ambito dell'amministrazione finanziaria.
Per comprendere appieno le scelte politiche del periodo, occorre ricordare una serie di avvenimenti: De Martino, segretario del Psi spinge per un accordo con il Pci, le Brigate Rosse danno il via alle loro azioni terroristiche con il sequestro di Mario Sossi, alla segreteria del Pci arriva Berlinguer che inizia a parlare di apertura ai cattolici, Giovanni Marcora e Fanfani attaccano duramente la politica economica di Andreotti. Pertanto, dopo avere soddisfatto l’elettorato moderato, il pendolo della politica della DC riprende a muoversi verso sinistra, in cerca dell’accordo con il Psi e della captatio benevolentiae del Pci. È anche necessario l’appoggio dei sindacati al fine di contrastare le spinte inflazionistiche sulla lira, che Andreotti è stato costretto a fare uscire dal serpente monetario europeo (13 febbraio 1973).
Ricordo che i primi provvedimenti che portano al serpente monetario sono stabiliti il 21 marzo 1972 e vengono perfezionati nell'accordo di Basilea del 10 aprile. L'accordo, che entra in vigore il 24 aprile, impone margini di fluttuazione del 2,25% intorno alle parità monetarie delle valute degli stati membri. Oltre ai sei Stati allora membri, presero parte all'iniziativa Regno Unito, Irlanda, Danimarca e Norvegia. Con l'accordo che dà corpo al serpente monetario gli stati membri si prefiggono di garantire la stabilità monetaria necessaria a salvare il meccanismo dei prezzi di sostegno della politica agricola comune. Con l'istituzione del Fondo Europeo di Cooperazione Monetaria (19-20 ottobre 1972) la Comunità europea predispone uno strumento per garantire il controllo delle fluttuazioni dei cambi. Il fondo, che può considerarsi come un tentativo di creare il primo organo bancario centrale, aveva lo scopo di contenere le situazioni di debito o credito delle banche centrali provocate dagli interventi di stabilizzazione dei cambi richiesti in ottemperanza all'accordo. Sarà seguito dall'Istituto monetario europeo (1º gennaio 1994), e infine dalla Banca Centrale Europea (1º gennaio 1999). Il meccanismo di controllo delle fluttuazioni viene in breve tempo travolto dal peggiorare della situazione economica. La crisi petrolifera del 1973 innesca un forte e generale aumento dei prezzi, il quale causa fluttuazioni nei cambi oltre i margini prestabiliti e provoca ingressi e uscite temporanei di alcuni Paesi dal sistema. Regno Unito e Irlanda ne escono nel giugno 1972, seguiti nel febbraio 1973 dall’Italia e nel gennaio 1974 dalla Francia. La lira italiana resta fuori dal sistema fino alla vigilia dell'entrata in funzione del Sistema monetario europeo, nel 1979.
Se la bomba di Piazza Fontana aveva aperto la stagione delle stragi, l’assassinio del commissario Luigi Calabresi, il 17 maggio 1972, dà il via a quella delle esecuzioni mirate da parte di gruppi terroristici. D’altronde Lotta Continua aveva condotto contro il “Commissario finestra” una forsennata campagna sostenendo più volte: «Il proletariato ha già emesso la sua sentenza: Calabresi è responsabile dell’assassinio di Pinelli e Calabresi dovrà pagarla cara». Solo nel 1988 un ex di Lotta Continua, Leonardo Marino, confessa di aver partecipato all’agguato e indica i nomi dei complici: Ovidio Bompressi, l’autore materiale del delitto, Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani, che saranno condannati a 22 anni di carcere.
IL PENDOLO DELLA POLITICA
Il 5 giugno 1973 Fanfani, Moro e Rumor si mettono d’accordo e, con il “patto di Palazzo Giustiniani”, sanciscono il rilancio del centro-sinistra e la nomina di Fanfani alla segreteria, per una “gestione forte” del partito, che consenta di muoversi lungo la linea pendolare dell’anticomunismo e dell’utilizzazione strumentale del Pci come fattore di controllo delle tensioni sociali (Galli, 1993).
Al XII congresso del 6-10 giugno la relazione di Fanfani viene approvata all’unanimità. Il 7 luglio 1973 si ritorna, quindi, con il quarto gabinetto Rumor, alla formula del 1963 (DC, Psi, Psdi e Pri; 7 luglio 1973-14 marzo 1974) e il centro-sinistra galleggia ancora stancamente con il quinto Rumor (tripartito DC, Psi, Psdi; 14 marzo-23 novembre 1974). Il 12 maggio 1974 gli italiani votano no al referendum sull’abrogazione del divorzio (una severa sconfitta per Fanfani che si è battuto con forza a favore dell’abrogazione per catturare il consenso dei moderati) e, in giugno, la DC viene sconfitta alle elezioni regionali sarde.
Nel mese di maggio 1974, durante una manifestazione antifascista, avviene la strage di Piazza della Loggia a Brescia, nell’agosto si consuma l’attentato all’Italicus, in giugno due missini di Padova vengono uccisi dalle Brigate Rosse. Fanfani, per cercare di superare le difficoltà, tenta di riportare la DC su posizioni di blocco d’ordine; il socialdemocratico Tanassi gli fa da battistrada, chiedendo l’uscita del Psi dal Governo. Rumor è costretto a dimettersi e Leone affida l’incarico a Fanfani. Ma la DC non se la sente di rompere nuovamente con i socialisti, boccia l’ipotesi di un Governo Fanfani e l’incarico viene affidato alle doti di mediazione di Moro. Questi, per sottrarsi alla scelta tra Psdi e Psi, vara il quarto gabinetto Moro, un bicolore DC-Pri con l’appoggio esterno di Psi e Psdi (23 novembre 1974-12 febbraio 1976). Scopo della DC è guadagnare qualche mese nell’immobilismo, operazione nella quale Moro è maestro, mentre Fanfani si prepara ad affrontare le elezioni regionali e provinciali della primavera 1975, «scegliendo, questa volta, anziché il tema del divorzio, quello dell’ordine pubblico» (Galli, 1993), mentre i comunisti impostano la loro battaglia con lo slogan delle “mani pulite”.
Il 15 giugno 1975 la DC esce sconfitta dalle elezioni regionali, con il 35% dei voti e con il Pci che la tallona con il 33% (la sinistra, complessivamente, si assesta a soli tre punti sotto il 50%). I democristiani ora non sono più disposti a seguire Fanfani sul percorso del “blocco d’ordine” e gli fanno pagare l’intransigenza tenuta nella campagna antidivorzista e la sconfitta alle regionali. Cosicché, al consiglio nazionale del giugno 1975, Moro, da grande illusionista, “estrae dal cilindro” il nome di Benigno Zaccagnini, il segretario che dovrebbe dare la certezza della volontà di rinnovamento della DC ed «esprimere l’oscillazione della DC verso il Pci» (Galli, 1993). Zaccagnini viene salutato dai suoi sostenitori al canto di Bella Ciao, quasi a rappresentare una continuità con i valori della Resistenza; peraltro alla presidenza viene nominato Fanfani per testimoniare, invece, la continuità di una linea politica che escluda collaborazioni con il Pci. Nel dicembre 1975 De Martino toglie l’appoggio al Governo Moro e chiede la costituzione di un Governo d’emergenza che ottenga l’appoggio del Pci. La DC rifiuta e vara il quinto Governo Moro, un monocolore DC (12 febbraio-31 luglio 1976). Nel marzo 1976 si apre, a Roma, il XIII congresso della DC, che vede contrapposti due schieramenti quasi equivalenti come forze, quello della segreteria e il Daf (dorotei, andreottiani e fanfaniani), che presentano per la segreteria due candidature contrapposte: Zaccagnini, che viene riconfermato con il 51,6% dei voti, e Forlani. A questo punto alla DC si presentano due alternative: avviare un dialogo con i comunisti o andare alle elezioni anticipate. Prevale questa seconda ipotesi e la campagna elettorale del giugno 1976 viene condotta dalla DC puntando sul pericolo di vittoria delle sinistre.
Il Pci non è già più di moda, industriali e grande stampa sono ancora spaventati dal risultato ottenuto dai comunisti nel 1975; per dare un segno tangibile della sintonia con la DC, Confindustria offre la candidatura di Umberto Agnelli, dopo che il fratello Gianni ha rifiutato di presentarsi come candidato del Pri, nelle cui liste entra invece la sorella Susanna. I democristiani, grazie a un flusso di votri da destra, mantengono il 38,7% di quattro anni prima e possono essere soddisfatti del risultato; nel 1972 era stata bloccata l’ondata di destra, il 20 giugno 1976 viene bloccata quella di sinistra, la quale raggiunge complessivamente il 46,7% dei voti.
I democristiani vengono premiati da una campagna elettorale basata sul pericolo del sorpasso delle sinistre e sulla tesi della battaglia agli “opposti estremismi”, favorita dall’uccisione – pochi giorni prima delle elezioni – di un comunista da parte di neofascisti al seguito di Saccucci, e del magistrato Francesco Coco e di due poliziotti della sua scorta da parte delle Brigate Rosse. La DC riesce a “tenere”, ma l’elettorato manda un segnale eloquente: quasi tutti i capi storici (Rumor, Piccoli, Bisaglia, Andreotti, Emilio Colombo, Forlani, Gaspari, Carlo Donat Cattin, Vittorino Colombo, Luigi Granelli) perdono consensi, mentre a Milano emergono Massimo De Carolis, leader della cosiddetta maggioranza silenziosa, e Andrea Borruso, dirigente di Comunione e Liberazione, movimento che inizia il suo pecorso nella politica attiva e nell'economia. La situazione politica vede comunque contrapposti due schieramenti di uguale forza e alla DC appare evidente la necessità di operare una svolta che le consenta di mantenere il proprio potere.
28 luglio 2013
Eugenio Caruso