Un oggetto perfettamente dritto una volta immerso nell'acqua restituisce all'osservatore un'immagine spezzata. Non importa ciò che vedi, ma come lo vedi.
Seneca Lettere morali a Lucilio
Con il termine Organismi Geneticamente Modificati (ogm) si intendono gli organismi in cui parte del genoma sia stato modificato tramite le moderne tecniche di ingegneria genetica. Non sono considerati "organismi geneticamente modificati" tutti quegli organismi il cui patrimonio genetico viene modificato a seguito di processi spontanei (modificazioni e trasferimenti di materiale genetico avvengono infatti in natura in molteplici occasioni e tali processi sono all'origine della diversità della vita sulla terra), o indotti dall'uomo tramite altre tecniche che non sono incluse nella definizione data dalla normativa di riferimento (ad esempio con radiazioni ionizzanti o mutageni chimici).
Gli ogm vengono spesso indicati come organismi transgenici: i due termini non sono sinonimi in quanto il termine transgenesi si riferisce all'inserimento, nel genoma di un dato organismo, di geni provenienti da un organismo di specie diversa. Sono invece definiti ogm anche quegli organismi che risultano da modificazioni che non prevedono l'inserimento di alcun gene (es. sono ogm anche gli organismi dal cui genoma sono stati tolti dei geni), così come gli organismi in cui il materiale genetico inserito proviene da un organismo "donatore" della stessa specie. In questo secondo caso alcuni studiosi parlano di organismi cisgenici.
Ai fini della definizione di ogm data dalla Direttiva 2001/18/CE, sono considerate tecniche che hanno come risultato un organismo geneticamente modificato:
1. tecniche di ricombinazione del materiale genetico che comportano la formazione di nuove combinazioni mediante l'utilizzo di un vettore di molecole di DNA, RNA o loro derivati, nonché il loro inserimento in un organismo ospite nel quale non compaiono per natura, ma nel quale possono replicarsi in maniera continua;
2. tecniche che comportano l'introduzione diretta in un organismo di materiale ereditabile preparato al suo esterno, tra cui la macroiniezione e il microincapsulamento;
3. fusione cellulare o tecniche di ibridazione per la costruzione di cellule vive, che presentano nuove combinazioni di materiale genetico ereditabile, mediante la fusione di due o più cellule, utilizzando metodi non naturali.
Sono esclusi dalla definizione gli organismi ottenuti per mutagenesi o fusione cellulare di cellule vegetali di organismi che possono scambiare materiale genetico anche con metodi di riproduzione tradizionali, a condizione che non comportino l'impiego di molecole di acido nucleico ricombinante.
La modificazione del genoma degli esseri viventi da parte dell'uomo è una pratica antichissima. Essa può essere fatta risalire a circa 14.000 anni fa con l'addomesticamento del cane. Le modificazioni genetiche indotte in tal modo sono state però in larga parte inconsapevoli ed è solo a partire dalla prima metà del Novecento che l'uomo ha preso coscienza dell'effetto a livello genetico indotto dai propri programmi di selezione.
I metodi utilizzati tradizionalmente per modificare il patrimonio genetico degli esseri viventi sono essenzialmente due: la mutagenesi e l'incrocio.
La mutagenesi è un fenomeno che è strutturalmente presente, anche se a bassa frequenza, in tutti gli esseri viventi ed è basato sulle imprecisioni o gli errori di replicazione del genoma durante i processi di divisione cellulare. Le mutazioni vengono poi sottoposte a selezione o dall'ambiente o dall'uomo e se vantaggiose vengono mantenute nella popolazione. Nei programmi di miglioramento genetico, la frequenza con cui avvengono queste mutazioni viene generalmente amplificata utilizzando radiazioni o agenti chimici mutageni. Le mutazioni, che possono interessare una singola base del DNA o anche intere porzioni di cromosomi (inserzioni, traslocazioni, duplicazioni e delezioni), hanno portato nel tempo ad evidenti modifiche fenotipiche negli esseri viventi (si pensi alla diversità tra le varie razze canine). L'uomo, nei secoli, ha sfruttato la variabilità prodotta dalle mutazioni (quale ad esempio l'incapacità di perdere i semi da parte della spiga del frumento) per selezionare e costruire molte cultivar e razze animali oggi fondamentali per la sua sopravvivenza. Un esempio storico di mutazioni indotte dall'uomo ai fini del miglioramento genetico è rappresentato dalla varietà di frumento "Creso", ottenuto per irradiazione dall'ENEA. Esso è stato negli anni ottanta una delle varietà di punta per la produzione di pasta (circa 1 spaghetto su 4) ed è oggi uno dei genitori delle attuali varietà commerciali. Un altro esempio è dato dalla differenza tra mais giallo e mais bianco che è riconducibile alla mutazione di un singolo gene.
L'incrocio è invece una tecnica che permette di unire le caratteristiche presenti in due individui diversi, anche non appartenenti alla medesima specie, grazie al rimescolamento dei loro genomi sfruttando la riproduzione sessuale. In tal modo sono stati prodotti il mulo o il bardotto, ma anche gli ibridi oggi utilizzati per le produzioni animali e vegetali. Il vantaggio di tale tecnica è la possibilità, una volta identificata fenotipicamente una caratteristica di interesse in una razza o in una varietà (ad esempio la resistenza a una malattia), di trasferirla in un'altra attraverso incroci mirati.
La differenza sostanziale tra queste due tecniche di miglioramento genetico e l'ingegneria genetica (alla base dello sviluppo degli ogm) sta nella modalità con cui l'uomo induce le modificazioni genetiche. Nel caso della mutazione o dell'incrocio viene infatti effettuata una selezione fenotipica, in base a caratteristiche visibili, all'interno di popolazioni molto grandi (alcune decine di migliaia nelle piante e alcune centinaia negli animali).
Nell'ingegneria genetica invece è possibile "progettare" deterministicamente la modifica genetica da effettuare. Inoltre, una volta ottenuto un certo numero di organismi geneticamente modificati, essendo questi geneticamente distinguibili dagli altri, possono venire selezionati genotipicamente, ovvero in base alle loro caratteristiche genetiche, e non più unicamente fenotipicamente come accade invece per le tecniche tradizionali, per le quali non è possibile conoscere a priori le modificazioni genetiche indotte.
Il primo ogm moderno fu ottenuto nel 1973 da Stanley Norman Cohen (Stanford University School of Medicine) e Herbert Boyer (University of California, San Francisco). I due ricercatori, grazie all'uso combinato delle nuove tecniche di biologia molecolare, riuscirono per primi a clonare un gene di rana all'interno del batterio Escherichia coli, dimostrando che era possibile trasferire materiale genetico da un organismo a un altro tramite l'utilizzo di vettori plasmidici in grado di autoreplicarsi, abbattendo di fatto le barriere specie-specifiche.
Nel 1974, alla Conferenza di Asilomar, tenutasi a Pacific Grove (California) si decise che gli esperimenti sul DNA ricombinante potessero procedere a patto che rispettassero severe linee guida, poi redatte dai National Institutes of Health (NIH) ed accettate dalla comunità scientifica. Queste linee guida, pubblicate per la prima volta nel 1976 e successivamente aggiornate, sono tuttora seguite dai laboratori che effettuano esperimenti di trasformazione genica.
Dal 1976 ad oggi gli ogm sono passati dallo stato di mera possibilità tecnologica alla realtà. Solo due anni dopo Asilomar si è avuto il primo prodotto ad uso commerciale derivato da un ogm. La Genentech, fondata da Herbert Boyer, è riuscita infatti a produrre attraverso E. coli importanti proteine umane ricombinanti: la somatostatina (1977) e l'insulina (1978), il farmaco biotecnologico più noto, che è stato commercializzato a partire dal 1981. La commercializzazione dell'insulina ha segnato un cambiamento epocale per l'industria del farmaco, aprendo il settore biotecnologico (precedentemente confinato nei laboratori di ricerca) all'industrializzazione, e rivoluzionando il processo di drug discovery e lo sviluppo di nuove terapie non invasive.
Dopo più di 30 anni dalla Conferenza di Asilomar, si conoscono molte delle potenzialità e dei limiti di questa tecnologia e, in molti casi, si dispone dei protocolli di gestione necessari a consentirne una applicazione in sicurezza. In particolare il Protocollo di Cartagena, ratificato nel 2000, si pone come strumento internazionale per la protezione della biodiversità dai possibili rischi derivanti dalla diffusione dei prodotti delle nuove tecnologie.
A oggi la tecnica del DNA ricombinante è stata utilizzata non solo per la produzione di nuovi farmaci, ma anche di enzimi per ridurre l'impatto ambientale dell'industria, piante e animali con caratteristiche migliorative in termini di resistenza alla malattie o di performance produttive e ambientali, ma anche organismi quali l'oncotopo, usato nella ricerca sul cancro, che hanno portato con sé importanti quesiti etici oltre ad aver aperto la strada a dispute per l'uso a fini sperimentali o commerciali delle innovazioni scientifiche. La possibilità di brevettare gli ogm ha acceso un forte dibattito sulla proprietà intellettuale delle risorse genetiche del pianeta e sulla liceità di una ricerca e di un'industria che non si ponga anche dei limiti etici o che non sappia mettersi in ascolto delle domande presenti nell'opinione pubblica creando consenso attorno alle proprie iniziative di ricerca e business.
La commercializzazione degli ogm sta conquistando anche altri tipologie di mercati: nel 2003 a Taiwan furono venduti i primi animali ogm a scopo domestico: si trattò di un centinaio di pesci d'acquario resi fluorescenti tramite l'inserimento di geni di medusa. Nel dicembre 2003 la vendita di pesci fluorescenti è stata permessa anche negli Stati Uniti, dopo che la Food and Drug Administration dichiarò la non rilevanza a scopi alimentari di questi pesci, mentre è tuttora vietata la loro introduzione in Europa.
Pesci resi fluorescenti grazie a modifiche genetiche
La situazione degli ogm in Europa.
Secondo l'International service for the acquisition of agri-biotech applications (Isaaa ), nel 2012 le superfici coltivate con organismi geneticamente modificati sono salite a 170 milioni di ettari, 10 milioni in più rispetto all'anno precedente, con un significativo sorpasso dei paesi in via di sviluppo rispetto a quelli industrializzati.
I paesi emergenti producono il 52 per cento del raccolto biotech mondiale, un dato che contraddice tutte le previsioni fatte negli anni '90, quando si pensava che in questi paesi fosse più difficile la penetrazione degli ogm. Al primo posto c'è il Brasile, che nel 2012 ha registrato un aumento del 21 per cento rispetto all'anno precedente, per un totale di 36,6 milioni di ettari coltivati. Segue l'Argentina, con 23,9 milioni di ettari. Ci sono anche paesi che per la prima volta hanno scommesso sulle coltivazioni ogm, ad esempio Cuba e il Sudan che in Africa si aggiunge a Sudafrica, Burkina Faso ed Egitto.
Il 90 per cento della produzione di sementi ogm è controllato da sei grandi multinazionali dell’industria chimica: Monsanto, Dow, Dupont, Sygenta, Bayer e Basf. Il primato schiacciante è della Monsanto, che qualche settimana fa ha deciso di ritirare tutte le domande presentate all’Ue per l’autorizzazione alla coltivazione di prodotti ogm. Unica eccezione, il mais “Mon810”.
In Europa sono cinque i paesi che producono organismi geneticamente modificati per un totale di 129 mila ettari: capofila la Spagna, seguita da Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Romania.A oggi, sono solo due gli ogm che hanno ottenuto l'approvazione per la coltivazione in Europa: il mais transgenico “Mon810”, della Monsanto, approvato nel 1998, e la “patata amflora”, della Basf, approvato nel marzo del 2010 solo per applicazioni industriali nel settore cartaceo. Sono invece 46 gli ogm approvati non per la coltivazione ma per l’importazione. La maggior parte di questi è destinata all'uso negli alimenti per animali.
La Germania ha rifiutato la licenza al mais della Monsanto, ma ha aperto le porte, come la Svezia, alle produzioni di patate rinforzate dagli esperimenti della multinazionale Basf. La Spagna detiene il primato europeo delle coltivazioni, producendo l’85 per cento del mais transgenico europeo. “In Spagna seminiamo mais Bt dal 1998. In questi 15 anni le superfici coltivate con questo tipo di mais sono aumentate di anno in anno e con esse gli agricoltori che hanno scelto di usare la tecnologia ogm - dice a Panorama.it Pedro Gallardo, vicepresidente di Asaja Cadice , un’associazione spagnola di tipo confindustriale attivissima su questo fronte in Europa -. Nel 2012, il 30 per cento della superficie coltivata a mais in Spagna era ogm per un totale di 116.000 ettari”.
Sono otto, invece, i paesi che hanno introdotto la clausola di salvaguardia per impedire la coltivazione di varietà geneticamente modificate: Francia, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Grecia, Bulgaria, Polonia, Austria. A questi si aggiunge l'Italia che ha bloccato per decreto le semine. “In questi anni di utilizzo del mais bt la Spagna ha dimostrato che questa tecnologia può apportare chiari vantaggi agli agricoltori che, di fatto, hanno una posizione assolutamente favorevole all’impiego degli ogm – aggiunge Gallardo -. I motivi sono evidenti: minor uso di insetticidi con conseguente abbassamento dei costi di produzione e miglioramento delle condizioni di lavoro, rese più alte e qualità del prodotto finale migliore. La riduzione dell’uso di sostanze chimiche ha poi chiaramente giovato all’ambiente ed anche i consumatori hanno riportato vantaggi perché il mais prodotto è più salubre e nei supermercati i prezzi dei prodotti alimentari si sono abbassati”.
L'Unione europea importa circa 30 milioni di tonnellate l'anno di colture ogm per l'alimentazione degli animali e 26 tra queste sono varietà di mais. Uno studio comparativo, che ha valutato i possibili effetti economici derivanti della coltivazione di mais Bt in venti aziende agricole in Spagna, Germania e Italia, ha stabilito che la coltivazione di mais Bt rispetto al mais tradizionale consentirebbe un incremento del margine lordo delle aziende agricole italiane di 132 euro per ettaro, garantendo rese più elevate capaci di coprire i costi aggiuntivi.
“Entro il 2050 gli agricoltori dovranno produrre circa il 70 per cento in più di cibo ma con meno impatto ambientale e con meno terra arabile a disposizione. In poche parole, andare verso quello che tecnicamente si chiama intensificazione sostenibile della produzione. L’Europa non può prescindere da questo scenario globale in cui si deve produrre di più con meno. La biotecnologia moderna non è la soluzione a tutto ciò ma è sicuramente un importante strumento che può permettere agli agricoltori di affrontare le importanti sfide che hanno davanti – conclude Gallardo -. È perciò importante garantire agli agricoltori libertà di scelta su quali tecnologie usare, inclusa quella ogm. Ad esempio, in Spagna in futuro gli agricoltori avranno sempre più bisogno di varietà resistenti alla siccità, in particolare per quanto concerne la produzione di grano e orzo. In Italia le varietà ogm possono essere una ottima soluzione al problema dell’elevato tasso di micotossine presenti nel mais o essere utilizzate per controllare virus e altri patogeni che stanno mettendo a rischio produzioni locali di pregio come il pomodoro San Marzano e il riso carnaroli”.
Per i cultori del cibo biologico equivale ad una eresia: mettere all'interno dei prodotti coltivati senza pesticidi gli ogm proprio non è possibile. Eppure potrebbe esserlo in un futuro neppure troppo lontano. L'Europa continua ad essere alle prese, infatti, con gli Ogm e ora vuole sapere dai propri cittadini se gradirebbero che venissero utilizzati anche gli organismi geneticamente modificati negli alimenti biologici. Per questo ha lanciato un sondaggio a scopo conoscitivo, prima di legiferare in materia.
Come spiegato dal Commissario europeo per l'agricoltura, il romeno Dacian Ciolos, entro la fine dell'anno la Commissione Ue vuole mettere a punto un nuovo piano per rilanciare il settore, rivedendo anche il regolamento in materia di agricoltura biologica. Al momento, infatti, in Europa le coltivazioni convenzionali, che usano anche Ogm, e quelle biologiche convivono, anche a stretto contatto, con possibili contaminazioni. Ma la legge europea prevede che sulle etichette sia indicata la presenza di Ogm solo se superano la soglia dello 0,9% sul totale.
Impresa Oggi - 17 settembre 2013