Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde:
«Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant
Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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LA POLITICA NEGLI ANNI SETTANTA
La fine del compromesso storico
Altiero Spinelli, in un’analisi sul compromesso storico, scriveva: «Ogniqualvolta la sinistra parla di dover superare il capitalismo e introdurre il socialismo, allora regolarmente conclude che non sa esattamente cosa sia il socialismo, ciò perché il modo di pensare marxista ci ha distolto dal pensarci. Si tratta di una vera e propria prigione intellettuale che condanna alla sterilità tanta parte del pensiero politico della sinistra in Europa, e dalla quale bisogna volere e sapere uscire, […] allora, i partiti di ispirazione socialista dovrebbero sentire il dovere di agire, non già avendo come idea centrale la sostituzione del capitalismo con il socialismo, ma allo scopo di far trionfare gli ideali di libertà, giustizia e uguaglianza, come risposta alle sfide dei problemi della società» (Spinelli, 1978). Ma per realizzare questi ideali c’è bisogno di un grande accordo: «Il Pci sa di dover portare in questa rifondazione una consapevole e definitiva accettazione della democrazia formale», intesa come un regime che si fondi «sul consenso da parte di un’enorme maggioranza, possibilmente la totalità, dei cittadini e delle forze politiche e sociali del Paese […] quello che Rousseau chiamava la volonté générale».
Nella realtà storica, si può affermare che con i Governi del compromesso storico vengono consumati il tradimento nei confronti delle masse, alle quali è ancora proposto il conflitto di classe, e l’inganno nei confronti degli elettori, che hanno creduto nella questione morale e sperato in un ricambio della classe politica. Nella realtà si consolida infatti il coinvolgimento del Pci nel sottogoverno e viene avviata l’operazione politico-affaristica, che sarà chiamata consociativismo e che acutamente Piero Ottone ha definito come una nuova versione del trasformismo, perché strumento di conservazione del potere da parte dei gruppi di potere. Nella pratica, si impone la filosofia politica andreottiana, condensata in brevi ed efficaci battute, come «Tanto le cose si aggiustano, basta aspettare», oppure «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia».
I Governi di solidarietà nazionale, ostacolati sia dalla crisi economica mondiale, sia dall’impegno prioritario della lotta al terrorismo, non producono alcun effetto benefico per il Paese: l’attività legislativa è misera perché sfibrata da negoziati infiniti, le misure di “austerità” sono insignificanti, aumentano paurosamente il fabbisogno tributario e l’indebitamento. Nel frattempo la Rai, rimasta per trent’anni monopolio democristiano, con la legge 103 dell’aprile 1975 viene affidata al controllo del Parlamento e i partiti interpretano la normativa come una legittimazione della spartizione: Rai 1 alla DC, Rai 2 al Psi e Rai 3 al Pci. Nel 1978 anche la riforma della sanità è interpretata come un’autorizzazione alla lottizzazione dei consigli di amministrazione degli enti sanitari. Riscuotono ancora successo la strategia democristiana di fingere di cambiare qualcosa per non cambiare nulla e l’ossimoro moroteo, già adottato con il centro-sinistra, dell’attivo immobilismo.
Con la morte di Aldo Moro muore anche il progetto di “compromesso storico”; infatti nella DC si creano le condizioni che portano alla svolta del “preambolo”. Come già visto, Craxi prende saldamente in pugno la gestione del Psi e afferma di volersi impegnare in Governi di solidarietà «solo per il tempo necessario a superare la crisi». Berlinguer, da parte sua, pone alla DC l’aut aut: «O al Governo o all’opposizione». La DC è intransigente, perché disposta ad accettare solo accordi di programma con il Pci. Il Psi si è oramai reso conto che l’alleanza tra i due partiti di massa, DC e Pci, potrebbe mostrare l’inutilità di un partito che abbia funzione di interlocuzione e di mediazione. Ammette Giuliano Amato: «Il partito socialista visse il periodo del compromesso storico come una vicenda di agonia minacciata e si adoperò a trovare e a valorizzare tutti gli argomenti che facevano apparire l’esperienza della solidarietà nazionale come una tomba, anche per la libertà del Paese […] Penso che Craxi vedesse in Berlinguer l’interprete di quell’incontro diretto tra cattolici e comunisti che considerava il peggior tritacarne che la politica nazionale avesse inventato». Cosicché i socialisti di Craxi si muovono per creare una frattura tra le due forze politiche e per mostrare la validità della formula: «Si può governare senza i comunisti».
Il pentapartito del luglio 1983, retto da Craxi, sarà il coronamento di questo lungo percorso. Dal 1945 Craxi sarà l’unico leader convinto che il Pci non dovrà mai essere un partito di Governo. L’8 luglio 1978 le Camere eleggono Presidente della Repubblica l’ex partigiano Sandro Pertini. La DC si astiene dal voto per una settimana, cercando di logorare gli altri candidati e sperando di imporre il proprio – Guido Gonella – che cadrà anch’egli sotto la ferrea legge del “chi entra papa esce cardinale”; la DC rinuncia, infatti, al tentativo constatando l’indifferenza e l’insofferenza dell’opinione pubblica (Galli, 1993). Il settennato del nuovo Presidente sarà caratterizzato da atteggiamenti gigioneschi e da alcune intemperanze bizzose, ma Pertini rimarrà, forse, il solo uomo politico al quale gli italiani tributeranno un affetto sincero e spontaneo per una vita condotta con coraggio e onestà.
Il Governo andreottiano della “solidarietà nazionale”, che l’uccisione di Moro e l’elezione di Pertini avevano provvisoriamente compattato, “entra in coma”. Il 31 gennaio 1979 Andreotti presenta le dimissioni e la DC, ritenendo utile affrontare le elezioni politiche su una piattaforma di contrapposizione al Pci, trascina la crisi a lungo in modo da dimostrare che non esiste alternativa alle elezioni anticipate. Pertini affida l’incarico a La Malfa, che non riesce a superare l’ostracismo della DC verso il Pci. Al quinto Governo Andreotti, un tripartito DC- Psdi-Pri (21 marzo-5 agosto 1979), è affidato il compito di portare il Paese alle elezioni anticipate; d’altra parte sono imminenti le elezioni europee, tanto vale unificare le due consultazioni. Ma, per i soliti bizantinismi costituzionali e giuridici del “palazzo” si stabilisce di indire le elezioni politiche il 3 giugno e quelle europee il 10 giugno.
Il periodo preelettorale coincide con un rigurgito sanguinario di attacchi terroristici: un mese prima delle elezioni, un commando brigatista, con un’azione di guerriglia urbana, fa irruzione in una sede romana della DC; una pattuglia della polizia intercetta i terroristi, che uccidono due agenti e ne feriscono uno. Questo tragico episodio consente alla DC di presentarsi alle elezioni come il baluardo contro il terrorismo. I risultati delle elezioni del 3 giugno 1979 vedono la DC conservare un 38,3% dei voti, il Pci scendere al 30,4% (perdendo un 4% dei voti) e il Psi fermarsi al 9,8%. Il presenzialismo e il protagonismo di Marco Pannella, nonché i suoi attacchi al consociativismo premiano il Partito Radicale, che incamera il 3,5% dei voti. Per la prima volta troviamo in Parlamento una consistente pattuglia di radicali, che prosegue dalle sedi istituzionali le battaglie condotte con l’anticonformista Radio Radicale e con le manifestazioni pubbliche di protesta contro il “regime”. Le elezioni europee del 10 giugno 1979 confermano sostanzialmente i risultati delle politiche. Berlinguer, nel mese di novembre 1980, a Salerno, annuncia la nuova strategia di “alternativa democratica” alla DC. Nei fatti, il Pci resta a pieno titolo “nell’arco costituzionale”, come è di moda affermare negli anni Settanta, ma viene associato all’Msi in quella conventio ad excludendum verso ipotesi di cooptazione alle responsabilità di Governo.
Sul compromesso storico e sull’azione politica di Berlinguer sono stati scritti molti saggi; tra gli altri, sembra condivisibile l’analisi condotta da Giuseppe Vacca, secondo il quale Berlinguer, con l’ossessiva demonizzazione del liberismo, fu incapace di prevedere l’esaurirsi del vecchio Welfare. D’altra parte, secondo Vacca, «Berlinguer respinge l’ipotesi di vivere in condizioni di alternanza politica […] c’è un rifiuto esplicito, da parte del Pci, dopo il 1978 e dopo la fine della solidarietà nazionale, a prendere in considerazione modelli che non siano quelli del consociativismo». Questa impostazione programmatica del Pci, che abbandona la logica dell’alternanza, sarà una delle cause del degrado della politica degli anni Ottanta. Buona parte delle leggi viene ancora approvata con il voto dei comunisti, dando vita a una sorta di ping-pong delle responsabilità, tanto che il cittadino non riesce più a comprendere a chi esse competano. (Vacca, 1987).
Berlinguer non approfitta né della pubblicazione di Charta 77 – l’appello di 242 intellettuali cecoslovacchi che chiedono il rispetto dei diritti umani nei Paesi dell’Est – né dell’invasione dell’Afghanistan da parte delle truppe sovietiche (nel dicembre 1979), né del colpo di Stato del generale Jaruzelski in Polonia (nel dicembre 1981): non fa seguire alle parole i fatti, e non pronuncia una definitiva abiura al comunismo e ai suoi metodi, anzi, in un’intervista a Oriana Fallaci per il Corriere, sostiene: «Anche se in me vi sono alcuni punti di contatto coi liberals e coi socialdemocratici e coi laburisti, ripeto: sono comunista». In una successiva intervista a Moravia, che gli chiedeva spiegazioni sulla resistenza della base staliniana del Pci al rinnovamento, Berlinguer risponde: «Lei dice base staliniana, io dico base fornita di una robusta coscienza anticapitalista». In queste risposte sono condensate le contraddizioni politiche e culturali del Pci di Berlinguer (Folena, 1997): l’uomo politico rimase fino in fondo un comunista, che ebbe forti intuizioni, ma che non riuscì a concretizzarle in un progetto politico di rinnovamento.
Il reincarico ad Andreotti è un puro gesto formale, compiuto da Pertini che però aveva già in mente altre soluzioni. Infatti, riprendono fitti i contatti con il Psi per ricostituire un patto di Governo, ma i democristiani non danno il sostegno a Craxi (il segretario Zaccagnini, nostalgico dell’accordo con il Pci, è contrario a privilegiare i socialisti) e i socialisti non lo danno a Filippo Maria Pandolfi. La vita politica sembra aver imboccato un vicolo cieco, quando l’incarico viene affidato a Cossiga che, nell’agosto 1979, forma un “Governo di tregua” con Psdi e Pli e con l’astensione di Psi e Pri (5 agosto 1979-5 aprile 1980). Dalle memorie di Cossiga, risulta che il suo fu un “Governo del Presidente” – il secondo dopo quello di Pella – voluto da Pertini al di fuori di ogni designazione dei partiti (Cossiga, 2000).
L’apertura del Psi ai liberali è la premessa della strategia di Craxi, che punta alla costruzione di uno schieramento laico-socialista in grado di trattare con la DC da una posizione di forza. Nella DC, intanto, si affilano le armi contro chi ha appoggiato la politica del compromesso storico e si compiono le vendette contro la sinistra del partito. Al congresso della DC del febbraio 1980, sulla base del preambolo Forlani-Donat Cattin (per la creazione di un asse privilegiato DC-Psi), si forma una maggioranza tra dorotei (Piccoli, Bisaglia), fanfaniani, forlaniani, forzanovisti, che ottengono il 58% dei voti ed eleggono segretario Piccoli e presidente Forlani. Risulta sconfitta l’area Zaccagnini, che era ancora disponibile a un’intesa con il Pci (Galli, 1993). Zaccagnini – che pure aveva messo a segno alcuni risultati, come la cancellazione di 650mila iscritti fasulli, la crescita degli iscritti reali e un discreto ricambio generazionale nelle liste elettorali – non è riuscito a scalfire il potere delle correnti, che ne decretano la fine.
Nell’aprile 1980, Cossiga, che si era nel frattempo dimesso, ottiene il reincarico (5 aprile-18 ottobre 1980), il Psi ritorna nel Governo e il Paese sembra avviato di nuovo alla serie di “governicchi” di breve durata e senza nessun respiro programmatico. Craxi, convinto che nella ricostituita “democrazia bloccata” il Psi sia indispensabile per formare i Governi, continua a lavorare per la costituzione del polo laico e socialista unitario come unico forte interlocutore della DC. Craxi, che si era presentato inizialmente come il paladino dell’alternativa di sinistra, mostra che questo progetto è stato lanciato sia per ridimensionare il ruolo dei comunisti, sia per alzare il prezzo nella trattativa con la DC.
L’8 giugno 1980 si svolgono le elezioni regionali. La DC mostra un calo rispetto sia alle politiche, sia alle regionali del 1975: le indecisioni, le lotte intestine e il pendolarismo tra Psi e Pci l’hanno penalizzata. Il Pci sale leggermente, ma si ferma a uno 0,8% sotto i democristiani.
Il 27 giugno 1980 precipita nel cielo di Ustica un DC-9 dell’Itavia; da quel momento lo Stato alza un muro, fatto di silenzi e di omertà, attorno all’episodio. I servizi segreti, l’aeronautica militare, gli uomini di Governo, tutti danno il loro contributo perché la gente non sappia che cosa realmente è accaduto nei cieli di Ustica e le istituzioni offrono uno dei peggiori esempi di arroganza e di disprezzo nei confronti del cittadino. Bisognerà aspettare il 2000 per vedere in un’aula di tribunale i responsabili di tali omertà e silenzi.
BIOGRAFIA DI SANDRO PERTINI
Con la più larga maggioranza mai registrata in una votazione (832 voti su 995), Sandro Pertini diviene presidente della Repubblica Italiana il 9 luglio 1978 e rimane capo dello stato fino al 23 giugno 1985. Sandro Pertini è ricordato nella storia d'Italia non solo per l'alta carica ricoperta per un elevato numero di anni, ma anche per la sua salda fede nei principi di libertà, democrazia e rispetto delle persone che lo hanno portato in gioventù a essere strenuo oppositore del fascismo.
Tale opposizione sarà fonte per lui di diversi anni di prigionia nonché di numerosi pestaggi, e dell'esilio in Francia nel 1928. Sono degne di nota dunque in questo italiano "doc", la caparbietà e la volontà di perseverare nelle sue convinzioni.
Alessandro Pertini nasce a Stella (in provincia di Savona) il 25 settembre 1896, la famiglia è benestante, poiché il padre è proprietario terriero, ha 4 fratelli: Luigi, Mario, Giuseppe e Eugenio, quest'ultimo scompare tragicamente il 25 aprile 1954 nel carcere di Flossenburg. Dopo aver frequentato il collegio dei Salesiani a Varazze, Sandro Pertini frequenta il liceo "Chiabrera" di Savona, e diviene collaboratore di "Critica Sociale" di Filippo Turati, il che contribuisce sicuramente ad avvicinarlo all'ambiente e all'ideologia socialista.
Consegue una prima laurea in giurisprudenza, all'università di Genova e una seconda in scienze politiche nel 1924 a Firenze (dove è ospite del fratello) anno in cui entra in contatto con gli ambienti legati a Gaetano Salvemini e dell'interventismo democratico e socialista. La sua militanza politica inizia però nel 1918 con l'iscrizione al PSI. Tra i due titoli di studio acquisiti, Sandro Pertini vive la tragica esperienza del primo conflitto mondiale in seguito allo scoppio del quale, nel 1917, viene richiamato e inviato sul fronte dell'Isonzo e sulla Bainsizza; il suo ruolo è di sottotenente di complemento. Egli si distingue inoltre per un'azione particolarmente coraggiosa durante l'assalto al monte Jelenik e viene proposto per la medaglia d'argento al valore militare.
Nel 1922 entra al potere in Italia il fascismo con la marcia su Roma e il giovane avvocato Sandro Pertini diventa presto il bersaglio delle violenze squadriste, ma è l'assassinio di Matteotti che lo fa scendere in campo in modo definitivo, caparbio e determinato: saranno anni durissimi di condanne, pestaggi ed esilio.
Il 22 maggio 1925 Sandro Pertini è arrestato, e il 3 giugno condannato a 8 mesi di detenzione (oltre che al pagamento di un'ammenda) per diversi reati tra i quali quello di stampa clandestina. Egli ha, infatti, distribuito il foglio clandestino "Sotto il barbaro dominio fascista" nel quale rivendica la paternità di alcuni scritti antifascisti e individua la responsabilità della monarchia nel perdurare del regime fascista. La violenza più pesante da parte delle forze antifasciste è quella del 1926 a seguito della quale Sandro Pertini finisce ricoverato all'ospedale, ferito in modo grave. Nel dicembre dello stesso anno, viene condannato al confino per 5 anni, a seguito della proclamazione delle leggi eccezionali anti-fasciste.
Da questo momento in poi Pertini entra in contatto con altri personaggi che sono stati protagonisti della storia d'Italia di quegli anni: Filippo Turati e Antonio Gramsci, Giuseppe Saragat, nonché Leo Valiani e Luigi Longo (con questi ultimi due organizzerà nell'aprile del 1945, l'insurrezione di Milano).
Datosi alla macchia e alla clandestinità, si dedica ad organizzare la fuga di Filippo Turati, leader del socialismo riformista. Accompagnerà quest'ultimo in Corsica, mentre gli altri protagonisti dell'impresa Ferruccio Parri e Carlo Rosselli, vengono intercettati sulla strada del ritorno in Italia, catturati e processati a Savona il 14 settembre 1927, infine condannati a 10 mesi di reclusione. Anche Turati e Pertini sono condannati, però in contumacia.
Tra le azioni importanti di Sandro Pertini in esilio ricordiamo nel 1928 la costituzione di una trasmittente radio a Eze (vicino a Nizza), con la quale riesce a svolgere la sua azione di propaganda contro il fascismo. Insofferente della vita dell'esule egli organizza ben presto il rientro in Italia che gli riesce con un passaporto falso: viene però catturato il 14 aprile 1929, dopo solo 20 giorni di libertà in patria. Condannato a 10 anni e 9 mesi di reclusione il 30 novembre dello stesso anno, inizia il duro carcere dove si ammala.
Nel 1930 viene trasferito nella casa di malati cronici di Turi dove incontra un altro leader dell'antifascismo: Antonio Gramsci. Due anni dopo viene trasferito nel sanatorio giudiziario di Pianosa e le sue gravi condizioni di salute inducono la madre a chiedere la grazia per lui. Sandro Pertini respinge la domanda e risponde in toni durissimi alla madre con la quale si verifica una frattura.
Pertini riacquista la libertà solo nell'agosto del 1943 (dopo 14 anni), dopo aver vissuto nei confini di Ponza (1935), delle Tremiti (1939) prima e a Ventotene poi. Gli anni del secondo conflitto mondiale vedono Sandro Pertini sempre attivo sulla scena politica, data la sua partecipazione alla costituzione del partito socialista, nel quale opera fino all'ottobre del 1943 (Sandro diventerà responsabile dell'organizzazione militare), momento in cui viene arrestato dai nazi-fascisti insieme a Giuseppe Saragat.
Qui rischia la vita poiché viene condannato a morte ma viene liberato grazie a un'azione dei partigiani il 24 gennaio 1944; è tra i partigiani che incontra la sua futura moglie Carla Voltolina, che allora operava come staffetta partigiana. Gli anni successivi saranno dedicati all'organizzazione del partito in particolare nel nord Italia e dal ritorno a Roma nel luglio 1944, dopo la liberazione della capitale da parte degli alleati.
Esponente di spicco del partito socialista, ne diviene segretario nel 1945, viene eletto alla Costituente e poi deputato, sarà direttore dell'"Avanti!" negli anni 1945-1946. Nel 1968 viene eletto presidente della Camera dei Deputati e diviene presidente della Repubblica nel 1978. Uomo autorevole e intransigente, nessun capo di Stato o uomo politico italiano ha conosciuto all'estero una popolarità paragonabile a quella da lui acquistata, grazie ad atteggiamenti di apertura ed eccezionale schiettezza nei suoi incontri diplomatici. Sandro Pertini riesce inoltre, nei lunghi anni in cui è presidente della Repubblica, a riaccendere negli italiani la fiducia nelle istituzioni e a mettere in atto un'aperta denuncia della criminalità organizzata e del terrorismo (definirà l'attività della Mafia come "la nefasta attività contro l'umanità").
Una delle sue immagini più note e ricordate è quella di quando, sorridente ed esultante, dalla tribuna gioisce per la vittoria della nazionale di calcio italiana ai mondiali di Spagna del 1982. Sandro Pertini si spegne il 24 febbraio del 1990 all'età di 94 anni.
27 gennaio 2014
Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.
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