I boschi in Italia.


E' inutile essere ottimisti se non si è, allo stesso tempo, attivi.
Elsa Triolet


bosco

Il parco di Monza

I boschi italiani svolgono da sempre un importante ruolo multifunzionale capace di erogare, a vantaggio della collettività, benefici sia di tipo economico che di tipo ambientale. Attualmente, il sistema foresta-legno in Italia coinvolge più di 125.000 imprese e più di 720 mila addetti. Accanto alla funzione produttiva, anche i servizi ecosistemici offerti dalle nostre foreste ricoprono un ruolo sempre più importante nell’economia del paese: la tutela idrogeologica, la regolazione del ciclo dell’acqua, la conservazione del paesaggio e della biodiversità, la mitigazione del cambiamento climatico grazie all’assorbimento dell’anidride carbonica dall’atmosfera e le crescenti attività turistico-ricreative, sportive, di didattica ambientale, di valorizzazione dei prodotti non legnosi, culturali (musei e concerti in foresta) e ricettive sono solo alcuni dei servizi ecosistemici offerti oggi dalle foreste italiane.
Dall’ultimo inventario nazionale delle foreste (Infc, 2005) è emerso che il patrimonio forestale italiano è rappresentato da quasi 9 milioni di ettari boscati, pari al 29% del territorio nazionale, con un potenziale di assorbimento di anidride carbonica pari a 16,2Mt CO2/anno, a fronte di un impegno residuo di riduzione delle emissioni previsto dal Protocollo di Kyoto per il 2012 di 95 Mt CO2/anno. Inoltre, la filiera forestale italiana costituisce un’importante opportunità per l’approvvigionamento di biomasse legnose per fini energetici, soprattutto in vista degli obblighi Eu 20-20-20, e, se ben pianificata, potrebbe portare non solo a indubbi benefici ambientali, ma anche a importanti ricadute occupazionali e di sviluppo territoriale.
In base ai più recenti risultati derivanti dalla comunità scientifica nazionale e internazionale, di prossima divulgazione nel Quinto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ar5 Ipcc), l’impatto dei cambiamenti climatici sulle foreste italiane si sta traducendo in una riduzione dei tassi di crescita e della produttività, con cambiamenti nella composizione delle specie presenti e shift altitudinali e latitudinali (tendenzialmente verso nord-est) degli habitat forestali con conseguente perdita locale di biodiversità. Inoltre, a causa dell’aumento della temperatura media e della siccità estiva, si registra un aumento del rischio di incendio e di danni da insetti e patogeni, con conseguente alterazione del ciclo dell’acqua e del carbonio. Gli incendi boschivi infatti rappresentano una notevole fonte di CO2 e gas a effetto serra, influenzando non solo la qualità dell’aria e la salute umana, ma anche il budget atmosferico e il ciclo del carbonio a scala globale.
Queste alterazioni sono tali da mettere a rischio il patrimonio forestale italiano, compromettendone la funzionalità e i servizi ecosistemici che esso offre e sono destinate ad aumentare in risposta anche agli scenari climatici futuri. Nonostante ciò non esiste a tutt’oggi una politica nazionale di adattamento che permetta di “mettere in sicurezza” le foreste e i servizi che esse assolvono.
È quindi necessario definire un piano di rischio delle foreste italiane che preveda una zonizzazione dell’intera superficie forestale nazionale con relativa classificazione del rischio e lo sviluppo di linee guida delle attività di gestione forestale volte a migliorarne la capacità di adattamento al cambiamento climatico. Il piano di rischio delle foreste italiane, oltre all’utilizzo di mappe forestali nazionali (Corine Land Cover) e dati di inventario forestale (Infc), potrebbe beneficiare degli strumenti e degli input più recenti e innovativi derivanti dalle attività di ricerca e sviluppo, come scenari climatici e modelli di impatto ambientale ad alta risoluzione spaziale e temporale, costituendo anche un’opportunità occupazionale per i giovani laureati. Le linee guida per l’attività di gestione forestale dovrebbero incentivare interventi di adattamento al cambiamento climatico del settore forestale basati sui principi di Gestione forestale sostenibile (Mcpfe – Forest Europe), come previsto anche dal Programma quadro nazionale per il settore forestale (Pqsf).
In particolare, nella strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici si dovrà tenere conto per il settore forestale di azioni di adattamento volte a una corretta pianificazione territoriale al fine di:
- proteggere la biodiversità e aumentare la resilienza dei boschi all’impatto dei cambiamenti climatici
- tutelare le nostre foreste dagli incendi boschivi
- proteggere il suolo e ridurre il dissesto idrogeologico attraverso, ad esempio, il recupero di terreni degradati e terreni soggetti a erosione, bonifiche di terreni industriali, tramite attività di riforestazione
- incentivare la filiera corta utilizzando il legname proveniente da boschi e aziende locali, trasformato e commercializzato nella regione, favorendo l’economia locale creando posti di lavoro e riducendo le distanze dei trasporti, con conseguente riduzione dei costi del carburante e delle emissioni di CO2
- riutilizzare biomasse di scarto che potrebbero attivare meccanismi di innovazione tecnologica e di investimento nel campo di nuovi materiali (chimica verde) e delle bioenergie
- favorire specie forestali più adatte ai cambiamenti climatici, soprattutto per quanto riguarda la forestazione e l’arboricoltura da legno.
Una valida strategia di adattamento ai cambiamenti climatici e messa in sicurezza delle foreste potrà realizzarsi solo attraverso il coordinamento e la collaborazione tra istituzioni, stakeholders e iniziative correlate alle politiche forestali con l’obiettivo di raggiungere una convergenza politica e istituzionale di intenti e strumenti finanziari locali, nazionali e cofinanziati dall’Ue. Inoltre, tali strategie e attività devono anche costantemente essere supportate da un’attività di ricerca scientifica forestale, in particolare a cura di Università, Cra e Cnr, mirata a fornire nuove conoscenze in materia di cambiamenti climatici e dei relativi impatti.
Maria Vincenza Chiriacò, Riccardo Valentini
Dibaf, Università degli Studi della Tuscia e Centro euro-mediterraneo sui cambiamenti climatici, Cmcc


LOGO ... Tratto da Ecoscienza 1/2014

3 febbraio 2014

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