Sappiamo da tempo che la crescita infinita dei consumi non è compatibile con un pianeta finito, sappiamo che il Pil non è un indicatore della felicità.
Luca Mercalli
Politiche, strumenti ed esperienze
per il Patto dei sindaci 2.0” è
l’ambizioso titolo delle due
giornate di convegno svoltesi a Bologna
il 28 e 29 novembre 2013, organizzate
da reti nazionali di enti locali (Alleanza
per il clima, Coordinamento Agende
21 locali e Kyoto Club) e soggetti
istituzionali (Provincia di Bologna e Arpa
Emilia-Romagna), con il patrocinio del
ministero dell’Ambiente e del Comune di
Bologna.
I grandi numeri del Patto dei sindaci
sono noti: oltre 5000 Comuni aderenti, di
cui circa la metà italiani; 143 coordinatori
accreditati, fra cui una sessantina di
Province italiane, oltre a 16 sostenitori.
Dai Piani alle azioni concrete
Dal suo lancio (2008) il successo
riscosso presso i Comuni italiani è
stato davvero notevole. Il Patto, si sa, si
realizza a tappe: dall’adesione formale,
con delibera del Consiglio comunale, si
passa all’elaborazione del Paes (Piano
d’azione per l’energia sostenibile), e poi
al monitoraggio periodico dei risultati
ottenuti. La partenza è facile, il cammino
poi è in salita e sempre più impegnativo.
Patto dei sindaci 2.0 ha voluto esprimere il
passaggio da una prima fase, concentrata
sulla moltiplicazione delle adesioni
e sull’elaborazione dei Piani, a una
seconda, che comincia a guardare alla
loro concretizzazione. Sono tante le
difficoltà: il patto di stabilità impedisce
ai Comuni il classico approccio agli
investimenti basato sull’accesso al credito,
e sono dunque necessari strumenti
finanziari innovativi, in una cornice di
partnership pubblico-privata (Ppp), in cui
il pubblico sia titolare delle scelte e il
privato sia compartecipe delle modalità di
realizzazione.
Su questo si è concentrata la prima
giornata di convegno: una riflessione sui
nuovi strumenti di Ppp, dagli Energy
performance contracts (Epc, Contratti di
rendimento energetico) alle concessioni
di servizi.
La direttiva europea 2012/27 definisce i
contratti di rendimento energetico come
“accordi contrattuali tra il beneficiario e il
fornitore di una misura di miglioramento
dell’efficienza energetica, verificata e
monitorata durante l’intera durata
del contratto”. Il soggetto fornitore
(normalmente un’Energy saving company,
o Esco) svolge, con mezzi finanziari
propri, un servizio di riqualificazione
e miglioramento dell’efficienza di un
impianto o un edificio di proprietà del
beneficiario, a fronte di un corrispettivo
correlato all’entità dei risparmi energetici
ottenuti. Sono molte le barriere che
hanno finora impedito il decollo
del sistema delle Esco: finanziarie,
istituzionali, tecniche e comunicative.
Difficile accesso al credito bancario,
complessità e incertezza delle procedure
autorizzative degli interventi, mancanza
di conoscenza legale e tecnica sui
contratti Epc da parte delle pubbliche
amministrazioni. Insomma, difficoltà
che solo in parte gli enti locali possono
risolvere da soli.
Una innovativa riflessione è stata
pure spesa sulla concessione di servizi,
disciplinata dal Dlgs 163/2006, “Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori,
servizi e forniture” e dal successivo (2010)
regolamento di attuazione.
L’ente pubblico, nell’affidamento a un
privato della gestione energetica del
proprio patrimonio, può chiedere non
solo la semplice fornitura di calore ed
energia, ma anche la manutenzione
ordinaria e straordinaria degli impianti,
nonché la programmazione della loro
riqualificazione energetica. Particolare
interesse assume la concessione di
servizi: un privato, accollandosi il
rischio dell’operazione, si candida a
gestire i beni immobili oggetto di
affidamento, facendosi carico (in tutto
o in parte, sarà la gara a deciderlo)
della loro riqualificazione energetica,
programmandola in maniera ottimale per
il soggetto pubblico beneficiario.
Nuove opportunità dall’Europa
La seconda giornata di convegno è stata
decisamente più politica.
Nella mattinata i contributi degli
enti locali hanno toccato le diverse
sfaccettature dei Paes e della loro
evoluzione: il Comune di Padova con
l’esigenza di strumenti di monitoraggio
a 4 anni dall’approvazione del Piano,
la Provincia di Torino con il supporto
all’elaborazione di Piani congiunti
di Unioni di Comuni, il Comune di
Venezia con il coinvolgimento e la
responsabilizzazione degli stakeholder, il
Comune di Napoli con l’attivazione del
Paes in una realtà urbana particolarmente
complessa, la città di Francoforte e il
Comune di Bologna con la prospettiva
di estendere la lotta al cambiamento
climatico, oltre la mitigazione delle
emissioni, all’adattamento resiliente ai
suoi effetti già in atto.
E nel pomeriggio la riflessione si è
estesa ai livelli nazionale ed europeo,
con l’intervento di Adam Szolyak,
titolare della Direzione generale
Energia della Commissione europea,
che, in collegamento da Bruxelles, ha
richiamato l’attenzione sulla prossima
programmazione dei Fondi strutturali
europei.
La politica di coesione europea, ci
ha poi spiegato il contributo della
Regione Emilia-Romagna, si realizza
attraverso interventi a carattere regionale
ed è essenzialmente una politica di
investimenti. Sostiene la creazione di
posti di lavoro, la competitività, la crescita
economica, e lo sviluppo sostenibile. È
finalizzata a realizzare gli obiettivi della
Strategia Europa 2020 per una crescita
intelligente, sostenibile e inclusiva, e
rappresenta un elemento essenziale
del bilancio dell’Unione europea per il
periodo 2014-2020.
Il 19 novembre 2013 il Parlamento
europeo ha approvato il Quadro
finanziario pluriennale (bilancio
dell’Unione) per un totale di 960 miliardi
di euro per il periodo 2014-2020 (29,3
miliardi per l’Italia), e il giorno dopo il
pacchetto regolamentare della politica di
coesione con norme per i diversi fondi.
Il totale dei Fondi strutturali (Fesr e
Fse) destinati all’Italia ammonta a 63,6
miliardi di euro, tra risorse comunitarie e
co-finanziamento nazionale e regionale.
Per le regioni più sviluppate ci sono
15,391 miliardi (di cui 7,649 Fesr) di
cui circa 2 destinati a finanziare i Piani
operativi nazionali.
La filiera della programmazione prevede
quattro step: Quadro stategico comune,
Position paper, Accordo di partenariato
e Programmi operativi. È il lavoro di
questi mesi, della seconda metà del 2013
e probabilmente anche oltre, in cui le
Regioni devono confrontarsi da un lato
con il governo centrale, dall’altro con gli
stakeholder locali (Comuni e Province
in primis) per articolare l’attuazione dei
Piani nel rispetto dei vincoli europei
per le risorse Fesr, di cui almeno il 60%
dev’essere concentrato su 3 obiettivi
tematici: rafforzare la ricerca, lo sviluppo
tecnologico e l’innovazione; migliorare
l’accesso alle tecnologie dell’informazione
e della comunicazione; promuovere
la competitività delle Pmi. Almeno
il 20% del totale delle risorse Fesr è
destinato all’obiettivo tematico “Sostenere
la transizione verso un’economia a basse
emissioni di carbonio in tutti i settori”,
mentre il 5% del totale delle risorse Fesr è
destinato allo Sviluppo urbano sostenibile.
Insomma, si stanno definendo tutti gli
elementi per l’attuazione della Strategia
europea 2020, e le conclusioni saranno
decisive per i prossimi anni.
Il Patto dei sindaci diventa quindi un
potenziale strumento di vera attuazione
delle politiche europee, non più soltanto
una nobile dichiarazione di intenti, né
un fatto locale circoscritto e limitato alla
dimensione comunale.
In Italia, oltre 1500 Piani per l’energia
sostenibile già elaborati, e in buona parte
approvati, rappresentano uno sforzo
straordinario di strategia elaborata a
partire dalle comunità locali, e sarebbe
davvero scriteriato non assumerli come
parte integrante di una politica nazionale.
Emanuele Burgin1, Karl-Ludwig Schibel
1. Assessore all’Ambiente
Provincia di Bologna ,
2. Alleanza per il clima Italia onlus
... Tratto da Ecoscienza 1/2014
6 marzo 2014
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