Da quando Matteo Renzi si è preso il Pd a passo di carica, l'attenzione di buona parte degli osservatori si è spostata - comprensibilmente - sul governo. Non era difficile immaginare che un Renzi premier avrebbe ben presto affiancato il Renzi segretario del partito, attirando su di sè lo sguardo di tutti, alleati e avversari, ansiosi di sapere se avrebbe retto alla prova del governo. Una cosa è fare campagna per le primarie, altra cosa è guidare un Paese come il nostro. A distanza di alcune settimane dal debutto del nuovo presidente del Consiglio, ci sono ora gli elementi per formulare un primo giudizio. Se non proprio un bilancio, almeno una valutazione non del tutto condizionata dal pregiudizio. Non c'è dubbio che qualcosa si è mosso, e nella giusta direzione. A differenza dei suoi predecessori, Renzi ha manifestato una notevole capacità di far politica nell'unico modo che conta in democrazia, dando agli elettori l'impressione che il loro parere conti. Che magari saranno costretti a ulteriori rinunce, ma che stavolta i sacrifici saranno parte di un percorso su cui avranno l'opportunità di far sentire la propria voce, non il distillato di un'arcana sapienza di cui sono depositari solo i "tecnici", gli unici che abbiano titolo a parlare dell'interesse comune. Gli schizzinosi diranno che ciò dipende dal fatto che Renzi è un populista. Un Berlusconi che può uscire da Palazzo Chigi per fare un salto in libreria (come ha fatto di recente) senza passare un'ora in sala trucco. A chi arriccia il naso verrebbe da chiedere quale tra i leader delle democrazie occidentali può permettersi di fare a meno di quel tanto di "common touch" (come dicono gli inglesi, che alle questioni di classe e alle stratificazioni sociali sono più sensibili di noi) indispensabile per non apparire alieno a coloro cui - prima o poi - si dovrà chiedere il voto. Renzi non è un miliardario che fa il simpatico per apparire alla mano. In pubblico parla e si comporta come un trentenne del tutto normale. Non esagera, non sorride sempre, scherza quando è il caso e assume un'aria assorta (che in verità gli riesce meno bene) quando deve. Uno che potrebbe essere il tuo vicino, il padre dei compagni di scuola di tuo figlio, un collega o un professionista che incontri per ragioni di lavoro. Una persona che non appartiene a un mondo diverso dal tuo, anche se si trova a fare cose che tu non fai. Sembrare normale, in questo senso, in democrazia è una virtù per un politico. Ovviamente la politica non è solo apparenza, e sulla sostanza del governo Renzi ci sono diverse buone ragioni per esprimersi con cautela. In una situazione stagnante alzare la bandiera del cambiamento attira facilmente simpatia. Ma ci sono cambiamenti necessari, cambiamenti utili o opportuni e cambiamenti che vanno nella direzione sbagliata. Dai tanti aspetti discutibili della riforma del Senato ai contorni ancora vaghi delle politiche economiche di medio periodo, è presto per annunciare la nascita di un grande leader. Nel clima di perenne sovreccitazione dell'informazione politica italiana (esemplificato alla perfezione da quel direttore di Tg che introduce quasi sempre le notizie del giorno parlando di una "giornata nervosa") abbiamo assistito negli ultimi due anni a cadute repentine di uomini (non è un modo di dire, per ora sono solo uomini) che, assumendo la guida del Paese, sembravano destinati a grandi cose. Quindi è più prudente limitarsi a dire che alcuni segnali positivi ci sono anche in questo caso (Padoan sembra il primo ministro dell'Economia da tempo ad avere anche una testa politica), ma che è meglio aspettare prima di dare giudizi o fare pronostici. Dopo le elezioni europee saremo in grado di dire qualcosa di più netto.
Mario Ricciardi
tratto da rivistailmulino.it - 8 maggio 2014