L'estinzione dei dinosauri di stato. Consociativismo e corruzione.


Il sovrano si rivolge al mercante e con atteggiamento benevolo e disponibile gli chiede: «Che cosa posso fare per voi?» Il mercante risponde: «Maestà, dateci buona moneta e strade sicure, al resto pensiamo noi»
Kant


Copertina

Con questo articolo proseguo la pubblicazione di alcuni stralci del mio libro storico-economico L'estinzione dei dinosauri di stato. Il libro racconta i primi sessant'anni della Repubblica soffermandosi sulla nascita, maturità e morte delle grandi istituzioni (partiti, enti economici, sindacati) che hanno caratterizzato questo periodo della nostra storia. La bibliografia sarà riportata nell'ultimo articolo di questa serie di stralci. Il libro può essere acquistato in libreria, in tutte le librerie on-line, oppure on line presso la casa editrice Mind.
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CONSOCIATIVISMO E CORRUZIONE
Mentre una vera democrazia dovrebbe fondarsi sulla concorrenza tra partiti, il sistema politico italiano, privo di una reale dialettica, è andato, negli anni Settanta, trasformandosi in un regime consociativo. Secondo la teoria competitiva di Joseph Schumpeter, se viene a mancare la concorrenza manca la democrazia. Affermava Seneca: «Marcet sine adversario virtus». Inoltre la classe politica ha perso di vista due principi fondamentali: innanzitutto il presupposto per il solidarismo deve essere un’economia sana, e un’economia sana è una condizione irrinunciabile per proteggere un sistema politico democratico, così come quest’ultimo crea l’humus per la prima; «[…] il capitalismo concorrenziale, come sistema di libertà economica, e come condizione necessaria della libertà politica», afferma il Premio Nobel Milton Friedman. Così, non solo la mancanza di un’opposizione reale, ma anche il sopravvento di un’economia sempre più centralizzata che opera al di fuori delle regole di mercato, sono responsabili della sconfitta della democrazia reale.
Per di più, nonostante il consociativismo, la brevità di vita dei Governi e delle Amministrazioni locali scoraggia la realizzazione di progetti di ampio respiro. Nessun politico si fa promotore di iniziative i cui frutti elettorali e d’immagine sarebbero colti dal ministro o dall’assessore che lo sostituirà; così l’Italia perde immancabilmente le sfide sui grandi progetti strutturali, privilegiando iniziative a misura di tempo di vita dell’amministratore di turno.
È interessante osservare che le massime accelerazioni del fenomeno dell’illegalità e della degenerazione dello Stato si hanno in corrispondenza della caduta delle pregiudiziali verso i socialisti, in occasione dell’avvio sia del centro-sinistra sia del pentapartito, e verso i comunisti, con il compromesso storico. Infatti, l’establishment, incapace di avviare processi di rinnovamento, baratta le riforme con la cooptazione nel sottogoverno di partiti e uomini. Per fare questo deve ampliare l’area dell’illegalità per lobbisti e faccendieri di tutte le aree politiche. La gestione del Paese è affidata a un “convitato di pietra”, un occulto comitato di professionisti della politica che, superando il concetto di Governo e opposizione, tiene saldamente in pugno la gestione pubblica del Paese. La spartizione interessa i gangli vitali dell’economia: informazione, servizi, banche, industria.
Il Pci, per mascherare agli occhi dei compagni la propria presenza negli organi di gestione dello Stato, fa ampio uso dei cosiddetti tecnici che vengono inseriti in posti chiave del Governo, dei servizi e del sistema produttivo pubblico. La presenza di uomini vicini al Pci è forte nella magistratura, fortissima nella stampa e nell’informazione televisiva; il partito esercita in alcune Regioni un vero e proprio controllo del territorio.
Nel 1976 scoppia un caso di corruzione politica: una sottocommissione d’inchiesta del Senato Usa rivela, infatti, che una somma di denaro superiore al miliardo sarebbe stata versata dalla società Lockheed a due ministri della Difesa italiani (per vendere all’Italia i suoi apparecchi Hercules). L’episodio di corruzione ha una risonanza notevole nel Paese, tanto che il Presidente della Repubblica Leone, con un penoso comunicato alla televisione, annuncia le proprie dimissioni dopo che nello scandalo viene fatto il nome di suoi familiari e dei fratelli Lefebvre, amici di famiglia. Solo dopo molti anni Leone riceverà il riconoscimento della sua correttezza nell’adempimento dei compiti istituzionali.
Uno dei “carnefici” di Leone fu la giornalista Camilla Cederna che, dalle pagine dell’Espresso e con un libro, lo coprì di accuse false e ignominiose. «Leone fu probabilmente un debole, incapace di opporsi alle ambizioni e alle pressioni che gli venivano dal suo entourage familiare e napoletano ma, a differenza di altri […] non era capace d’intrighi e oscuri giochi politici» (Mafai, 2001), o forse Leone fu tradito anche dal suo «vulnerabile macchiettismo» (Montanelli, 2000). L’accanimento che Ugo La Malfa, che era stato il suo principale grande elettore, e buona parte dei media usarono nei confronti del Presidente uscente, che pure aveva spesso sgradevoli cadute di stile, è un altro aspetto oscuro delle vicende politiche del Paese: a chi poteva interessare, in quel momento, creare un caso politico? Secondo Cossiga, la cacciata di Leone va attribuita alla volontà del Pci di mostrare i muscoli e alla paura della DC di rompere con i comunisti (Cossiga, 2000).
In seguito a questi fatti, gli italiani inviano ai partiti alcuni segnali di insofferenza e l’11 giugno 1978, nonostante l’opposizione della partitocrazia, escluso il Pli, il referendum dei radicali contro il finanziamento pubblico dei partiti raccoglie un sorprendente 43,6% dei consensi, arrivando alla maggioranza nelle grandi città e in quasi tutto il Nord. Nella stessa consultazione il 77% degli elettori vota no all’abrogazione della legge Reale. È una richiesta di pulizia a livello pubblico, e di ordine e sicurezza a livello privato.
Il 1980 vede la manifestazione spontanea di 40mila quadri della Fiat, inferociti sia per la politica di appiattimento portata avanti dal sindacato, sia per il lungo sciopero contro l’azienda, impegnata in un piano di ristrutturazioni impostato da Romiti, che prevede sensibili tagli occupazionali. Con questo episodio il sindacato – che ha sempre fatto da cinghia di trasmissione tra i partiti d’opposizione e il mondo del lavoro – rivela, ancora una volta, la propria incapacità d’essere, invece, cinghia di trasmissione tra le esigenze dei lavoratori e le imprese. Questi segnali restano però isolati e non hanno alcuna influenza sul corso della politica italiana che, dopo il periodo della ricostruzione e della modernizzazione degli anni Cinquanta, è degenerata nella partitocrazia degli anni Sessanta e nel consociativismo negli anni Settanta, che saranno “brodo di coltura” della corruzione che condurrà a Tangentopoli.
Il 21 maggio 1981 Arnaldo Forlani, che aveva cercato di nascondere lo scandalo, rende pubbliche le liste della Loggia P2, sequestrate nel marzo precedente in casa del maestro venerabile Licio Gelli. Si scopre che sono affiliate alla loggia personalità di vertice dei servizi segreti, della polizia, della Guardia di Finanza, di alcuni ministeri, della magistratura, della Rai, di aziende pubbliche e private, della stampa (Corriere della Sera, Il Mattino), delle banche (Banco Ambrosiano, Monte dei Paschi di Siena, Bnl, Banco di Roma, Banco di Napoli, le più importanti). Particolarmente grave appare la forte sudditanza alla P2 del Corriere della Sera, attraverso Rizzoli e Tassan Din. Montanelli sostiene che questa corsa di Gelli verso personaggi che, nel loro ambito professionale e di carriera, avevano già raggiunto posizioni eminenti va forse spiegata «nello spirito gregario e conformista degli italiani, falsi individualisti e autentici uomini di branco, che cercano disperatamente appoggi, maniglie, assicurazioni, controassicurazioni, per mantenere una poltrona, per conquistarne un’altra, per garantirsi – i grand commis – una qualche nicchia privilegiata da occupare quando scatterà la pensione». Secondo Montanelli: «In questa insaziabilità e in questa insicurezza stanno le molle più forti del successo ottenuto dalla P2 e si deve pensare che Gelli avesse un’abilità diabolica nel far balenare davanti agli occhi di quei tremebondi ambiziosi altre cariche, altri onori, altre prebende» (Montanelli, 1993). Poiché gli affiliati, non erano certamente stupidi, forse non si trattava solo di “far balenare davanti agli occhi” ma di procurare concretamente, cariche, onori e prebende; un vero e proprio centro di potere. Inoltre, «quando, nel 1967, il capo del Sifar, generale Giovanni Allavena, aderisce alla P2, porta in dote a Gelli i famosi fascicoli raccolti illegalmente da De Lorenzo. Quei fascicoli, che contenevano notizie sulla vita privata dei potenti di allora, costituirono l’arma del ricatto con cui Gelli costruì il suo potere» (Fasanella, 2000). Un’altra constatazione da fare è che Gelli e molti di questi affiliati sono in vario modo legati a fatti inquietanti avvenuti negli anni Settanta (golpe Borghese, struttura parallela del Sid, depistaggio di inchieste della magistratura, scandalo degli oli minerali, traffico d’armi a Livorno, omicidi del giornalista Carmine Pecorelli e dell’avvocato Ambrosoli, terrorismo nero, scandalo Petromin, attentato al treno Italicus).
Sulla P2 indagherà una Commissione parlamentare d’indagine presieduta dall’onorevole Tina Anselmi, che formulerà una relazione di maggioranza e due di minoranza. La relazione di maggioranza descrive la P2 come un’associazione volta a controllare il potere politico italiano attraverso la strategia terroristica, la tattica dell’infiltrazione e il controllo dei servizi segreti. Nel 1984, dopo tredici anni di indagini, una sentenza della Corte d’Assise di Roma, confermata in seguito dalla Cassazione, definisce invece la P2 una sorta di comitato d’affari non responsabile di cospirazioni.

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22 maggio 2014

Eugenio Caruso da L'estinzione dei dinosauri di stato.



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