Lo shock del risultato francese lascerà certamente l'impatto più forte tra quelli emersi dal voto europeo. Senza un governo a Parigi che disponga di un mandato popolare europeista non è realizzabile alcuna iniziativa che modifichi l'assetto attuale delle istituzioni europee. Non solo sono impossibili modifiche dei Trattati che richiedano una ratifica parlamentare, ma anche i tentativi, già in corso, di rendere più ambizioso il coordinamento tra i Paesi subiscono un contraccolpo. La stessa centralità di Berlino, in teoria riconfermata dalla stabilità del voto tedesco, è indebolita dalla fragilità dell'indispensabile sponda francese. L'assenza del baricentro franco-tedesco rende ora meno gestibili tutte le divaricazioni delle preferenze politiche in altri Paesi a cominciare da quella, fondamentale, che si è registrata in Grecia con la vittoria di Syriza. In un certo senso perfino l'ovvia rivendicazione di maggiore giustizia da parte dei greci non trova più interlocutori adeguati.
L'intero quadro dei rapporti intergovernativi - su cui si è retta in gran parte la gestione della crisi europea - può uscire stravolto dal voto di domenica. Infatti non sono stati solamente i movimenti populisti a guadagnare consensi dando la colpa all'Europa di ogni infamia. Anche i partiti tradizionali che hanno affondato le mani nella stessa retorica, con la scusa di arginare la protesta, ne hanno ricavato un successo elettorale. È questo forse, sul medio termine, il rischio maggiore emerso dalle urne. L'ondata populista è prevalsa solo in alcuni Paesi. Ma l'anti-europeismo "da salotto" ha prevalso in buona parte delle circoscrizioni del continente.
Una corretta analisi dei dati della consultazione europea probabilmente richiederà molto tempo, ma già da subito i primi risultati diffusi chiedono di essere osservati senza preconcetti. Scorrendo i dati, è possibile individuare almeno quattro elementi comuni alla maggior parte dei risultati nazionali e in grado, se combinati, di spiegare l'esito del voto: hanno sofferto i governi dei Paesi i cui ultimi risultati economici sono stati peggiori delle previsioni; sono stati penalizzati quegli esecutivi più vicini alla scadenza della legislatura e soprattutto quelli da più tempo in carica; sono emersi sentimenti nazionalisti in Paesi in cui il ritorno al senso di nazione non significava riaprire le ferite delle colpe della seconda guerra. Infine sono invece premiati quei partiti di governo che nel corso della campagna elettorale hanno internalizzato la protesta, cavalcando i temi anti-europei che normalmente erano caratteristici dei partiti radicali.
A lungo andare, quest'ultimo è l'aspetto più pericoloso. Quando i partiti tradizionali accettano il linguaggio anti-europeo, finiscono per radicare all'interno del normale discorso pubblico gli argomenti che sono propri di movimenti estremisti. Una volta che i partiti tradizionali, non solo quello della cancellliera Merkel, ma anche quelli italiani, austriaci, olandesi, i conservatori francesi e quelli spagnoli, assorbono una retorica anti-europea e ne estraggono consenso elettorale, è poi difficile farli ritornare indietro verso parole d'ordine più solidali. A quel punto nemmeno la eventuale ripresa dell'economia europea, ammesso che sia possibile senza politiche comuni, sarebbe in grado di ricostruire il tessuto della fiducia strappato da anni di crisi.
Gli effetti sul Parlamento europeo potrebbero essere meno profondi di quelli su altre istituzioni comuni. Non è certo irrilevante la quantità di seggi dei movimenti di protesta al Parlamento di Strasburgo, ma è sopravvalutata la compattezza del fronte euro-scettico. Al suo interno ci sono infatti due anime opposte: la prima, tipica dei Paesi del Nord, è esplicitamente anti-europea e rifiuta ogni politica di integrazione e di solidarietà, ma la seconda anima, più diffusa nel Sud dell'Europa, protesta soprattutto contro le politiche di austerità e quindi è interessata a una strategia di integrazione solidale. Sta alla capacità politica delle istituzioni comuni, i cui vertici saranno rinnovati nei prossimi mesi, fare leva sulla parte più costruttiva dei movimenti euro-scettici per ridimensionare la parte nazionalista.
Tuttavia proprio la divisione interna al movimento euro-scettico rende più gravi i suoi effetti sui governi nazionali, spingendoli verso posizioni antitetiche: a Nord i governi saranno spinti a irrigidire le proprie politiche di solidarietà, mentre a Sud saranno sollecitati a richiedere maggiore giustizia. Il successo elettorale dei governi che assorbono le istanze più radicali, fa temere che i negoziati al tavolo delle istituzioni - a cominciare dagli Eurosummit e dall'Eurogruppo - saranno più duri e meno produttivi.
Carlo Bastiani da ilsole24ore.it
28 maggio 2014