E' proprio così, caro Lucilio: il risultato di una collera eccessiva è la follia. Pertanto l'ira deve essere evitata non tanto per senso di misura, ma per la nostra sanità mentale.
Seneca Lettere morali a Lucilio.
Seneca Lettere morali a Lucilio
Signori Partecipanti, Autorità, Signore, Signori,
nell’area dell’euro dall’autunno scorso la politica monetaria fronteggia
uno scenario di inflazione assai bassa, non coerente con l’obiettivo di
stabilità dei prezzi, in un contesto di crescita dell’economia ancora modesta
e diseguale; si sono intensificati i lavori per il varo, il prossimo novembre,
del Meccanismo di vigilanza unico ed è proseguito il cammino per il
completamento dell’Unione bancaria; sono stati compiuti progressi rilevanti
per la piena operatività dell’area unica dei pagamenti. In Italia, il rientro
dalla fase più acuta della crisi ha seguito un percorso reso a tratti accidentato
dall’incertezza politica; la ripresa stenta ad avviarsi, rendendo pressante
l’esigenza di procedere nell’azione di riforma.
Per la Banca d’Italia l’innovazione più importante ha riguardato
l’assetto proprietario; è stato rafforzato l’impegno per l’ammodernamento
dell’organizzazione e dei sistemi gestionali, proseguendo nel contenimento
dei costi operativi. I risultati dell’esercizio 2013 consentono di sottoporre
all’Assemblea una proposta di ripartizione degli utili che, in aggiunta agli
accantonamenti al fondo rischi generali, prospetta congrue assegnazioni alle
riserve a fronte dei rischi connessi con la crisi; tenuto conto delle condizioni
di mercato, la proposta prevede la corresponsione ai partecipanti di un
dividendo pari a 380 milioni; riconosce allo Stato l’importo residuo di 1,9
miliardi, che si aggiunge a imposte di competenza per 1,6 miliardi.
La riforma dell’assetto proprietario della Banca d’Italia, definita dal
Parlamento, presenta aspetti tecnici la cui complessità ha distolto l’attenzione
pubblica dagli obiettivi conseguiti. Il nuovo assetto conferma il modello di
partecipazione basato sull’industria finanziaria, comune ad altre importanti
banche centrali; ribadisce l’impossibilità per i partecipanti di influire
sull’esercizio delle funzioni istituzionali della Banca. Esso supera tratti
anacronistici e anomalie maturati nel corso di decenni; rende più trasparente
il processo di distribuzione degli utili; chiarisce, circoscrivendoli, i diritti
economici e patrimoniali dei partecipanti. Questi ultimi continuano a non
avere alcun diritto sulle riserve valutarie e auree, la cui funzione pubblica è
fuori discussione.
Il valore del capitale, stabilito dalla legge in 7,5 miliardi di euro (contro
i 300 milioni di lire fissati nel 1936), è coerente con la stima effettuata
dalla Banca d’Italia su incarico del Governo; tale valutazione, che aveva
individuato un valore minimo e uno massimo, è stata condivisa da esperti
di comprovata competenza e indipendenza; risultati e metodi sono stati resi
pubblici. L’aumento è stato operato con il trasferimento a capitale di parte
delle riserve statutarie, senza incidere sul patrimonio complessivo della Banca
e senza oneri per la finanza pubblica.
La riforma evita indebiti trasferimenti di ricchezza a vantaggio o a danno
dei partecipanti. Nel precedente assetto, in aggiunta ai dividendi i partecipanti
percepivano una somma proporzionale alle riserve statutarie della
Banca, destinate ad aumentare indefinitamente nel tempo per l’automatico
reinvestimento dei loro frutti e l’accantonamento di parte degli utili annuali.
Nell’eliminare i diritti dei partecipanti sulle riserve statutarie, le nuove regole
hanno sancito che spetta loro il solo dividendo a valere sull’utile netto, fino
a un massimo del 6 per cento del capitale, quindi non oltre 450 milioni.
Importi crescenti nel tempo senza limiti sono stati sostituiti da dividendi
inizialmente più alti ma soggetti a un limite massimo fisso.
La concentrazione delle partecipazioni in capo ai principali gruppi bancari
tendeva ad alimentare la percezione – erronea ma persistente – di possibili
ingerenze nell’esercizio delle nostre funzioni istituzionali. La riforma ha ampliato
la platea dei potenziali sottoscrittori del capitale, ha posto un tetto del 3 per
cento al possesso delle quote e ha previsto misure incisive per promuoverne
la redistribuzione così da ricondurle entro quel limite. Ci aspettiamo che i
partecipanti interessati provvedano in tempi rapidi a eliminare autonomamente
le eccedenze; la natura dei diritti associati alla partecipazione è ora definita con
certezza; ciò favorisce le negoziazioni, consentendo la trasparente formazione
del prezzo. Ci adopereremo per agevolare questo processo.
L’importo effettivo dei dividendi sarà deciso, anno per anno, in funzione
dei risultati d’esercizio e delle esigenze di patrimonializzazione della Banca.
Per favorire il rispetto del limite di partecipazione, la Banca potrà acquistare
temporaneamente le quote; ci avvarremo di questa facoltà solo se necessario
e con modalità tali da non comportare in alcun caso l’assunzione di rischi
di perdite.
L’acquisita chiarezza circa il valore realizzabile dalla vendita delle quote e la
prospettiva di scambi di mercato rendono possibile includerle nel patrimonio
di vigilanza delle banche e delle assicurazioni, con potenziali, contenuti, effetti
positivi sull’offerta di credito. Le quote non contribuiscono a determinare il
capitale iniziale delle banche valido ai fini della revisione della qualità degli
attivi bancari che la BCE sta attualmente conducendo in collaborazione con
le autorità di vigilanza nazionali.
La Banca d’Italia: un’istituzione aperta al cambiamento
Nell’esercizio delle proprie funzioni, la Banca gestisce risorse affidatele
nell’interesse nazionale ed europeo perseguendo un esplicito obiettivo di efficienza.
Essa è impegnata da tempo in un’opera di razionalizzazione organizzativa.
Delle iniziative intraprese anche in questo campo si dà conto diffusamente
nella Relazione sulla gestione e sulle attività, che include un paragrafo
dedicato all’evoluzione dei costi negli ultimi anni.
Facendo leva sulla tecnologia, abbiamo dato impulso all’ammodernamento
del sistema dei pagamenti ed effettuato investimenti considerevoli
nell’informatizzazione delle attività svolte dalle Filiali; ne è derivata, dalla
metà degli anni novanta, una riduzione progressiva delle risorse necessarie
per l’espletamento dei compiti di cassa e di tesoreria dello Stato. Tra il 2008 e
il 2010, con la riorganizzazione della rete territoriale, il numero delle Filiali è
stato ridotto da 97 a 58; di queste ultime, 31 sono state trasformate in unità
leggere e specializzate. Il costo annuo della rete è diminuito di circa il 25 per
cento in termini reali. è in corso una nuova riflessione, aperta al contributo
delle organizzazioni sindacali, sulle migliori modalità per assicurare un’efficiente
presenza della Banca sul territorio.
All’inizio di quest’anno è stata riorganizzata l’Amministrazione centrale:
in luogo delle preesistenti aree funzionali sono stati costituiti 8 dipartimenti,
dotati di responsabilità autonome di gestione; sono stati unificati i servizi
con competenze in materia di risorse umane; sono state concentrate in una
struttura specializzata le attività per l’acquisizione di beni e servizi; è stato
ridotto il numero delle unità dedicate ai compiti amministrativi.
La compagine dell’Istituto, considerando anche il personale dell’Ufficio
italiano dei cambi assorbito dalla Banca nel 2008, si è ridotta dal picco
di oltre 10.000 addetti dei primi anni novanta a 7.850 alla vigilia della
riforma territoriale, per scendere ancora agli attuali 7.000 circa. Nell’ultimo
quadriennio i costi operativi della Banca sono stati complessivamente
abbattuti del 14 per cento in termini reali.
Continueremo a muovere lungo queste linee, sottoponendo a un vaglio
attento le singole componenti della spesa. L’azione di riforma, tuttora in corso,
ha consentito di contenere i costi e di aumentare l’efficienza, garantendo la
qualità del servizio e valorizzando la professionalità del personale.
La riduzione delle risorse impiegate e dei costi sostenuti è stata conseguita
nonostante l’ampliamento della gamma dei compiti svolti e la loro crescente
complessità. L’integrazione nel contesto europeo non ha determinato, con la
creazione della Banca centrale europea, né determinerà, con l’Unione bancaria,
una diminuzione delle responsabilità delle autorità nazionali nel campo della
politica monetaria e della vigilanza.
Le decisioni di politica monetaria della BCE vengono assunte collegialmente
dal Consiglio direttivo, di cui fanno parte nel comune interesse
europeo i Governatori di tutte le banche centrali nazionali dell’Eurosistema,
che si avvalgono a questo fine delle analisi sviluppate dalle rispettive strutture.
Lo stesso lavoro istruttorio della BCE si svolge attraverso un’intensa attività
di comitati e gruppi di lavoro a cui partecipano esperti delle banche centrali
nazionali.
La capacità di analisi e di ricerca della Banca d’Italia, in campo economico,
statistico e giuridico, è anche posta direttamente al servizio del Paese, con la
consulenza e il sostegno operativo forniti al Parlamento, al Governo e alle
altre istituzioni, e con l’attività svolta nelle sedi internazionali.
È interamente delegata alle banche centrali nazionali l’attuazione degli
indirizzi della politica monetaria: interventi sui mercati, rifinanziamento
degli intermediari, acquisizione, gestione e valutazione delle garanzie prestate
da questi ultimi per ottenere liquidità.
Nell’ambito della funzione di banca centrale rientrano la produzione e
la distribuzione delle banconote: il nostro stabilimento stampa circa il 18 per
cento della moneta cartacea prodotta nell’area dell’euro, con un picco lo scorso
anno di 1,36 miliardi di biglietti. La Banca d’Italia regolamenta e controlla
l’attività delle banche e degli altri soggetti che gestiscono il contante, svolgendo
analisi a distanza e ispettive con il coinvolgimento della rete territoriale.
Il nostro Istituto sviluppa e gestisce le piattaforme e le infrastrutture
tecnologiche per la compensazione e il regolamento delle transazioni finanziarie
nazionali; a noi e alla Deutsche Bundesbank è affidata la gestione operativa
del sistema TARGET2 per il regolamento dei pagamenti all’ingrosso nell’area
dell’euro. A questo si affiancherà la piattaforma TARGET2-Securities per
il regolamento delle operazioni in titoli nell’area, in corso di sviluppo. La
Banca d’Italia è l’autorità nazionale competente ai fini della realizzazione
dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA) per le transazioni al dettaglio;
gestisce, anche attraverso le Filiali, la tesoreria statale; esercita la sorveglianza
sul sistema dei pagamenti e sulle infrastrutture del mercato finanziario, in
collaborazione con le analoghe autorità europee; vigila, insieme con la Consob
sulle negoziazioni all’ingrosso dei titoli pubblici e sulle attività di liquidazione
e garanzia degli scambi finanziari (post trading).
Con l’Unione bancaria, da novembre sarà operativo il Meccanismo di
vigilanza unico costituito dalla BCE e dalle autorità nazionali competenti dei
paesi partecipanti dell’Unione europea. Con il contributo determinante di
queste ultime, la BCE vigilerà sulle banche identificate come “rilevanti” in
base a criteri specifici, tra i quali la dimensione. Per l’Italia dovrebbero essere
inclusi quasi tutti i 15 intermediari attualmente sottoposti all’esercizio di valutazione
approfondita dei bilanci (comprehensive assessment). Le autorità nazionali
continueranno a esercitare direttamente la vigilanza su tutte le altre banche
– da noi circa 600 – in base a criteri e metodologie comuni che garantiranno
l’unicità dell’azione di supervisione.
Il Consiglio di vigilanza, organismo incaricato di preparare le decisioni
da sottoporre al Consiglio direttivo della BCE e già operativo, è costituito
da rappresentanti della stessa BCE e delle autorità nazionali, tra cui la Banca
d’Italia. Sono già attivi comitati nei quali gli esperti dei singoli paesi affrontano
i temi di comune interesse.
La qualità della vigilanza europea dipenderà strettamente dal contributo
delle autorità che hanno maturato maggiore esperienza nell’attività di
supervisione. Siamo ora impegnati ad assicurare l’adozione delle migliori
pratiche nella supervisione accentrata, collaboriamo nell’ambito dell’Autorità
bancaria europea alla definizione di un sistema omogeneo di regole, idoneo a
garantire condizioni di parità concorrenziale. Per partecipare in modo incisivo
al processo decisionale della vigilanza bancaria europea, estenderemo le nostre
analisi all’industria bancaria e ai maggiori intermediari degli altri paesi.
L’avvio del meccanismo unico di vigilanza inciderà sull’operatività
quotidiana di tutte le autorità coinvolte: i controlli a distanza sulle banche
rilevanti verranno svolti da squadre composte da personale della BCE e delle
autorità nazionali; le ispezioni saranno condotte da gruppi in cui gli esperti
nazionali potranno essere affiancati da quelli di altri paesi.
Sono affidati alla vigilanza prudenziale della Banca d’Italia le società di
intermediazione mobiliare e di gestione del risparmio, le società finanziarie,
gli istituti di pagamento, gli istituti di moneta elettronica. La Banca ha piena
competenza su tutti gli intermediari, compresi quelli bancari, in materia di
tutela della trasparenza e della correttezza nei rapporti fra intermediari e clienti;
è impegnata a promuovere un maggiore grado di consapevolezza finanziaria
tra il pubblico e, in particolare, nelle scuole; continuerà a prestare assistenza
ai collegi per la risoluzione delle controversie per il tramite dell’Arbitro
Bancario Finanziario. Le nostre Filiali forniscono un contributo importante
allo svolgimento di queste attività.
La stabilità finanziaria richiede un impegno sul piano macroprudenziale.
In questo ambito la Banca partecipa al Comitato europeo per il rischio sistemico
e ai lavori del Financial Stability Board e del G20 per il completamento
delle riforme volte ad assicurare un sistema finanziario più resistente e solido.
Un impegno crescente viene rivolto al contrasto del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo nell’ambito della Vigilanza e con l’Unità di
informazione finanziaria, organismo dotato di autonomia di gestione, istituito
presso la Banca d’Italia che ne regola il funzionamento e fornisce le necessarie
risorse umane, finanziarie e tecnologiche.
Nel gennaio dello scorso anno è stato costituito il nuovo Istituto di
vigilanza sulle assicurazioni (Ivass) in stretto collegamento con la vigilanza
bancaria e finanziaria. L’Istituto è presieduto dal Direttore Generale della
Banca d’Italia, che lo gestisce insieme con due Consiglieri. I provvedimenti
con rilevanza esterna sono decisi ed emanati dal Direttorio della Banca
integrato dai due Consiglieri. Ampia e crescente è la collaborazione fra le
strutture dei due istituti.
Le funzioni pubbliche affidateci, che ho voluto oggi riepilogare, richiedono
tecnologie adeguate e, più ancora, risorse umane di qualità. Le competenze,
la motivazione, l’impegno delle persone sono centrali nel preservare l’efficacia
dell’azione dell’Istituto e la sua reputazione. Ci adoperiamo affinché la
Banca d’Italia mantenga la capacità di attrarre giovani di talento, al termine
di percorsi di studio rigorosi. Siamo consapevoli di poter ancora migliorare
l’organizzazione del lavoro anche ripensando l’utilizzo e i percorsi di sviluppo
professionale dei singoli, in un corretto confronto con le rappresentanze
sindacali. Con il Consiglio Superiore e il Direttorio, ringrazio il personale
della Banca per la capacità, l’impegno e la passione con cui svolge le proprie
funzioni.
L’uscita dalla crisi dei debiti sovrani: la politica monetaria,
l’Europa, l’Italia
Le condizioni finanziarie nell’area dell’euro sono molto migliorate dallo
scorso anno. Dopo l’Irlanda, anche la Grecia e il Portogallo sono tornati a
emettere titoli di Stato. Il rendimento dei Buoni del Tesoro decennali è sceso al
3 per cento, meno della metà del picco di novembre del 2011. Il differenziale
con i titoli tedeschi è ora intorno ai 160 punti base; aveva toccato 550 punti
nel novembre del 2011, era ancora di 470 punti nel luglio 2012.
Il contributo della politica monetaria è stato determinante: nelle fasi acute
della crisi ha evitato che la situazione precipitasse; ha contribuito a fugare i
timori degli investitori sull’integrità dell’Unione economica e monetaria; ha
accompagnato l’attuazione di riforme importanti a livello nazionale e nella
governance europea.
Dalla scorsa estate si sono registrati nell’area cospicui afflussi di capitali in
uscita dalle economie emergenti, in connessione soprattutto con l’annuncio
da parte della Riserva federale della graduale riduzione dell’accomodamento
monetario. L’ulteriore pressione al ribasso sui tassi di interesse a lungo
termine in euro che ne è derivata potrebbe risultare transitoria; una politica
monetaria meno espansiva negli Stati Uniti potrebbe provocare un rimbalzo
dei rendimenti globali. La volatilità sui mercati finanziari dei paesi avanzati
è scesa ben al di sotto della norma storica, raggiungendo livelli che in
passato hanno a volte preceduto rapidi mutamenti dell’orientamento degli
investitori. Le oscillazioni dei tassi sui titoli pubblici registrate nelle ultime
settimane ci rammentano quanto i mercati siano sensibili a ogni segnale di
incertezza.
Il consolidamento dei conti pubblici nei paesi colpiti dalla crisi, necessario
in sé e inderogabile per eliminare i dubbi sulla sostenibilità dei debiti,
costituisce una garanzia contro il riacutizzarsi delle tensioni sui mercati dei
titoli sovrani nell’area dell’euro. Ma i costi congiunti della recessione e di
politiche di bilancio restrittive sono stati elevati. Lo stato dell’economia resta
fragile, in particolare nel mercato del lavoro.
Le riforme strutturali renderanno le nostre economie più resistenti agli
shock futuri ma richiedono tempo per dare pieni frutti. Meccanismi di
integrazione dei redditi di chi è stato più colpito dalla crisi e di ricollocamento
dei lavoratori espulsi dai processi produttivi tradizionali possono essere di
aiuto. Un sostegno alla domanda per investimenti e consumi potrà derivare,
oltre che da politiche espansive nei paesi dove le condizioni dei conti pubblici
lo consentono, da un’azione concertata a livello europeo. Le occasioni
fornite dal favorevole contesto esterno non vanno perdute; vanno garantite
le condizioni perché i capitali oggi disponibili si trasformino in investimenti
produttivi e duraturi.
La politica monetaria e l’Europa
La politica monetaria nell’area dell’euro ha di fronte sfide in parte diverse
da quelle affrontate negli ultimi due anni. L’attività economica è tornata a
crescere nel 2013, ma solo in parte dell’area e a ritmi molto diseguali; lo
confermano i dati più recenti. Le condizioni del mercato del credito restano
difficili; la frammentazione finanziaria lungo confini nazionali si è ridotta,
non è scomparsa. Soprattutto, le variazioni dei prezzi al consumo si sono
fortemente ridotte; dalla seconda metà dello scorso anno l’inflazione si colloca
ben al di sotto della definizione di stabilità dei prezzi adottata dal Consiglio
direttivo della BCE.
Durante il 2013 abbiamo abbassato i tassi ufficiali due volte, in maggio
e in novembre, portando il costo delle operazioni di rifinanziamento principali
al minimo storico dello 0,25 per cento. Da luglio abbiamo cominciato
a fornire indicazioni esplicite sull’orientamento della politica monetaria,
annunciando che, in considerazione della dinamica prospettica dei prezzi,
della debolezza dell’economia reale, degli andamenti monetari e creditizi, i
tassi ufficiali sarebbero rimasti per un periodo prolungato su livelli pari o inferiori
a quelli allora vigenti. Questa forma di forward guidance ha attenuato la
volatilità dei tassi a breve termine.
L’intensità e la rapidità dell’abbassamento dell’inflazione hanno sorpreso
i principali previsori e indotto revisioni al ribasso delle attese a breve e a medio
termine. Il fenomeno è accentuato nei paesi direttamente colpiti dalla crisi
del debito sovrano, ma è comune a tutta l’area. Riflette non solo il calo delle
quotazioni dei prodotti energetici, amplificato dall’apprezzamento dell’euro,
ma anche la persistente debolezza dell’attività economica. La componente
di fondo dell’inflazione è scesa sui livelli minimi dall’introduzione della
moneta unica.
Al pari di tassi d’inflazione eccessivamente elevati – e ancora ben ricordiamo
la difficoltà con la quale riuscimmo ad averne ragione oltre venti anni
fa – anche una dinamica troppo contenuta dei prezzi è dannosa per la stabilità
finanziaria, specie quando i debiti pubblici e privati sono alti e la crescita
è debole. Va contrastata con altrettanta fermezza, anche per evitare che si
radichi nelle attese di medio periodo. La formazione delle aspettative non è
un processo lineare: mutamenti anche forti possono materializzarsi, in modo
discontinuo, in tempi brevi.
Tra il luglio del 2012 e il maggio di quest’anno l’euro si è apprezzato, nel
confronto con la media delle altre valute, del 9 per cento; rispetto al dollaro
del 12. L’apprezzamento si è avviato successivamente all’annuncio delle
operazioni monetarie definitive, che ha dissipato i timori sulla reversibilità
della moneta unica, a causa dei quali gli investitori si erano allontanati dalle
attività finanziarie emesse in alcuni paesi dell’area. Il tasso di cambio non è di
per sé un obiettivo della politica monetaria, ma in questa fase l’apprezzamento
dell’euro ha compresso l’inflazione al consumo, sia direttamente, riducendo
i prezzi dei beni importati, sia indirettamente, aumentando la pressione
competitiva sui prodotti nazionali.
Le proiezioni dell’Eurosistema sull’andamento dell’inflazione saranno
rese pubbliche il 5 giugno. Secondo quelle presentate lo scorso marzo dalla
BCE, l’inflazione si manterrebbe ben al di sotto del 2 per cento anche nei
prossimi due anni. Questa prospettiva non è coerente con la nostra definizione
di stabilità dei prezzi. Ove essa si confermasse, il Consiglio direttivo è deciso
ad agire, anche con politiche non convenzionali, affinché nel medio periodo
l’evoluzione dei prezzi non si allontani dal sentiero desiderato.
Pur in condizioni di emergenza e non senza incertezze, le politiche europee
hanno conseguito progressi importanti nel corso della crisi: il rafforzamento
delle regole di bilancio, l’estensione della sorveglianza multilaterale agli squilibri
macroeconomici diversi da quelli di finanza pubblica, la costituzione di fondi
comuni per l’assistenza finanziaria ai paesi in difficoltà, il varo del Meccanismo
di vigilanza unico.
Ho ricordato in altre occasioni che l’euro è una moneta senza Stato e di
questa mancanza risente. Per completare il cammino lungo la strada dell’integrazione
vanno condivisi altri elementi essenziali di sovranità; all’Unione
bancaria, in corso di attuazione, dovrà seguire la creazione di un vero bilancio
pubblico comune. La definizione di strumenti che consentano di intervenire
a sostegno della crescita dell’economia e del benessere dei cittadini aiuterebbe
l’Unione europea a riacquistare il consenso che è andata in parte perdendo.
Nel più breve periodo, con il perseguimento della stabilità monetaria
l’azione della banca centrale può sostenere la domanda interna. Ma il ritorno
a una crescita stabile e bilanciata richiede una più ampia azione di politica
economica a livello europeo. Misure tempestive per accelerare la realizzazione
di infrastrutture, non solo materiali, sono indispensabili per l’affermazione
di un vero mercato unico. Interventi condivisi contribuirebbero a orientare
positivamente le aspettative dei mercati.
L’economia italiana
Nel nostro paese la lunga recessione, in atto dal 2008 con una breve
interruzione, si è arrestata alla fine dello scorso anno, essenzialmente grazie
alla domanda estera e al ridursi della necessità di correzioni dei conti pubblici.
Vi ha contribuito l’accelerazione dei pagamenti dei debiti commerciali della
pubblica amministrazione. Ma una vera ripresa stenta ad avviarsi. Il graduale
miglioramento delle aspettative tarda a tradursi in un solido recupero
dell’attività economica.
Il lascito della recessione è pesante. Molte imprese italiane hanno saputo
difendere, in alcuni casi aumentare, le loro quote sui mercati esteri; è tornata
in attivo la bilancia corrente, anche al netto degli effetti del ciclo. Ma la caduta
dell’attività rivolta all’interno è stata drammatica: nel complesso la produzione
industriale si è contratta di un quarto. Nell’ultimo trimestre del 2013, mentre
le esportazioni erano quasi tornate ai livelli della fine del 2007, i consumi
delle famiglie erano ancora inferiori di circa l’8 per cento, gli investimenti
del 26, con una perdita di capacità produttiva nell’industria dell’ordine
del 15 per cento. Anche se vi sono segni di miglioramento della fiducia, la
necessità di compensare l’erosione dei risparmi accumulati, l’incertezza sulle
prospettive dei redditi nel medio e lungo periodo continueranno a gravare sui
consumi delle famiglie. Questi potranno trarre beneficio dagli sgravi fiscali di
recente approvazione, ma non diventeranno forza trainante di ripresa senza
un duraturo aumento dell’occupazione.
La recessione si è riflessa pesantemente sul numero degli occupati e
quindi sui redditi delle famiglie. Tra il 2007 e il 2013 l’occupazione è scesa
di oltre un milione di persone, quasi interamente nell’industria; è anche
diminuito il numero medio di ore lavorate. Il tasso di disoccupazione è più
che raddoppiato rispetto al minimo toccato nel 2007, al 12,7 per cento dello
scorso marzo. L’offerta di posti di lavoro tornerà a salire solo lentamente;
di norma la prima variabile a reagire all’incremento della produzione è il
numero di ore lavorate per addetto.
Non va sottovalutato il rischio che un ulteriore allungamento della durata
della disoccupazione – e ve ne sono segni in particolare nel Mezzogiorno e
tra i giovani – intacchi le abilità e competenze individuali e le allontani
da quelle richieste dalle imprese. In passato, recessioni profonde si sono
associate ad ampie ristrutturazioni del sistema produttivo che hanno dato
luogo all’introduzione di nuove tecnologie e modelli organizzativi che
risparmiano lavoro. Ma la crisi può essere per le nostre imprese l’occasione
per attuare ed estendere quello che fino ad oggi in molti casi ha tardato:
un profondo rinnovamento del modo di produrre di fronte alla rivoluzione
digitale, in grado di generare nuove forme di impresa e di occupazione, in
nuovi ambiti di attività.
Aumenti di produttività e crescita dell’occupazione sono conciliabili se si
riprende la domanda interna. La chiave è l’aumento degli investimenti fissi,
che sono la cerniera tra domanda e offerta: da un lato, se ci sono le giuste
condizioni esterne, essi sono la componente della domanda che reagisce più
rapidamente al mutamento delle aspettative; dall’altro, essi potenziano la
capacità di offerta sfruttando il progresso della tecnologia e rispondendo alla
globalizzazione dei mercati e degli stessi processi produttivi.
Il rapporto tra investimenti lordi e PIL è sceso di 4 punti percentuali
dal 2007, portandosi nel 2013 al 17 per cento, il minimo dal dopoguerra.
Vi ha concorso il difficile accesso di molte imprese al credito bancario.
Ma è soprattutto dalla diffusa incertezza sulle prospettive di crescita della
domanda e sull’orientamento delle politiche economiche che dipendono
rinvii e riduzioni dei piani di ristrutturazione e di ampliamento della
capacità produttiva.
Sul finire del 2013 i giudizi sulle condizioni per investire sono divenuti
più favorevoli, soprattutto da parte delle aziende più grandi. Nell’industria
manifatturiera i piani di spesa prefigurano per l’anno in corso una stabilizzazione,
grazie al sostegno della componente dei beni strumentali. Questi primi
segnali positivi potranno consolidarsi se migliorerà il contesto in cui si svolge
l’attività di impresa.
Misure di politica economica che agiscono sia dal lato della domanda sia
da quello dell’offerta, in un quadro organico e coerente, possono sostenere
l’attività economica nel breve termine e dare forza al progetto riformatore. Se
vasto, incisivo e credibile, quest’ultimo può cambiare il corso delle aspettative,
rafforzando la dinamica degli investimenti, dell’occupazione e dei consumi.
La risposta alla fase acuta della crisi è stata notevole, ma i risultati hanno
sofferto per la frammentarietà degli interventi, per l’incompleta attuazione
di molte delle misure introdotte, in alcuni casi per il succedersi di modifiche,
talvolta sostanziali, effettuate a breve distanza di tempo.
È importante costruire sulle fondamenta di quanto si è già fatto. Ad
esempio, grazie alle misure nel comparto dei servizi l’Italia registra oggi, in
base agli indicatori dell’OCSE, un aumento dell’apertura alla concorrenza.
Ma alla fine dell’anno scorso solo metà dei provvedimenti attuativi previsti
dalle 69 leggi di riforma approvate tra il novembre del 2011 e l’aprile del
2013 era stata definita. In materia fiscale, la rapida attuazione della legge
delega potrà garantire maggiore certezza nell’applicazione delle norme e delle
sanzioni e rendere più efficace e mirata l’azione di contrasto dell’evasione e
dell’elusione fiscale.
Le principali carenze del nostro sistema economico e le prospettive di
riforma, oggetto anche del Programma nazionale presentato dal Governo lo
scorso aprile, sono esaminate in un capitolo della Relazione di quest’anno.
L’elenco delle aree in cui sono necessari interventi è lungo; tra i più urgenti vi
sono quelli che riguardano la tutela della legalità e l’efficienza della pubblica
amministrazione.
Corruzione, criminalità, evasione fiscale, oltre a minare alla radice la
convivenza civile, distorcono il comportamento degli attori economici e i
prezzi di mercato, riducono l’efficacia dell’azione pubblica, inaspriscono il
livello della tassazione per coloro che adempiono ai propri doveri, comprimono
gli investimenti produttivi e la generazione di nuove occasioni di lavoro. Il
buon funzionamento della pubblica amministrazione migliora l’operare dei
mercati e la concorrenza, riduce i costi delle imprese, si riflette favorevolmente
sulla qualità e sul costo dei servizi pubblici e, per questa via, sul carico fiscale.
Da esso dipende l’efficacia delle riforme.
Regolamentazioni restrittive e un contesto normativo e istituzionale poco
favorevole all’attività imprenditoriale limitano il trasferimento di risorse verso
le imprese e i settori più efficienti e la crescita della produttività. Di questi
fattori risente anche la capacità dell’economia italiana di attrarre investimenti
dall’estero, assai bassa nel confronto con altre economie; ne risulta limitata
la diffusione di tecnologie e di pratiche gestionali innovative. Lunghezza e
incertezza dei tempi e complessità delle procedure amministrative sono per i
potenziali investitori, italiani ed esteri, l’ostacolo più rilevante.
In molti casi i benefici delle riforme sono inevitabilmente differiti nel
tempo. Ciò vale, ad esempio, per gli interventi sul sistema scolastico e formativo,
tema a cui abbiamo dedicato un altro capitolo della Relazione. Ma
questo non è un motivo per rimandare l’azione. Il livello di istruzione e di
competenze su cui può contare il sistema produttivo italiano è inadeguato: in
una recente indagine dell’OCSE l’Italia figura all’ultimo posto per le competenze
funzionali di lettura e al penultimo per quelle numeriche. Il divario con
la media degli altri paesi è presente anche tra i più giovani ed è più alto al
crescere del titolo di studio.
Risultati importanti sono stati ottenuti nell’aggiustamento della finanza
pubblica. Il disavanzo è al 3 per cento del prodotto, al di sotto della media
europea; il surplus primario è il più elevato in Europa, insieme con quello
della Germania; siamo vicini al pareggio strutturale dei conti pubblici; le
riforme degli anni passati hanno ridotto la pressione esercitata dalle tendenze
demografiche sulla spesa pubblica, pressione che resta invece forte in molti
altri paesi dell’Unione.
La riduzione del rapporto tra debito e prodotto resta la sfida ineludibile
per il nostro paese; la sua velocità dipende dal ritorno a una crescita stabile
e sostenuta. Crescita economica ed equilibrio del bilancio pubblico non
possono che essere perseguiti congiuntamente.
I risultati ottenuti con tanto sacrificio non vanno dispersi. Essi rendono
possibile intraprendere azioni di sostegno alla crescita, proseguendo ad
esempio nell’accelerazione dei tempi di pagamento delle Amministrazioni
pubbliche e nella riduzione del cuneo fiscale sul lavoro. Le regole di bilancio
che abbiamo condiviso in Europa e recepito nel nostro ordinamento sono
volte ad assicurare nel tempo la sostenibilità dei conti pubblici. I margini di
flessibilità che esse consentono possono essere sfruttati nell’ambito di una
strategia convincente di riforme strutturali, volta al perseguimento di obiettivi
chiari e credibili.
Un’azione capillare di recupero di efficienza nella pubblica amministrazione,
condotta nell’ambito della revisione della spesa, può favorire una
ricomposizione del bilancio a vantaggio delle poste più produttive. A questo
obiettivo dovrebbe accompagnarsi un maggior ricorso, tra le entrate, a quelle
meno distorsive, a livello centrale e locale.
La dotazione di infrastrutture, in Italia inferiore a quella dei principali
paesi europei, influenza la produttività e le scelte di localizzazione delle imprese,
la qualità della vita dei cittadini. I ritardi accumulati nei decenni passati più
che l’insufficienza delle risorse riflettono inefficienze nel loro utilizzo, ma
nell’ultimo quadriennio la spesa per investimenti pubblici è diminuita di quasi
il 30 per cento. Al finanziamento delle infrastrutture, e alla stessa salvaguardia
del territorio, possono concorrere in misura maggiore risorse europee e capitali
privati, con benefici per l’edilizia, particolarmente colpita dalla recessione.
Le banche, il credito, la Vigilanza
In Italia, più che in altri paesi, le banche svolgono un ruolo centrale
nel finanziamento dell’economia. L’attività si concentra nella tradizionale
intermediazione del risparmio, per lo più in ambito nazionale. Anche per questo
motivo, esse hanno retto l’urto della fase iniziale della crisi, che ha avuto origine
su mercati esteri e da prodotti finanziari speculativi. Negli anni più recenti, la
prolungata recessione della nostra economia e la crisi del debito sovrano le hanno
però duramente colpite. La Relazione annuale illustra in dettaglio la funzione
delle banche nell’intermediazione del risparmio degli italiani; la Relazione sulla
gestione e sulle attività dà conto dell’azione di vigilanza della Banca d’Italia.
L’ammontare dei prestiti bancari a famiglie e imprese alla fine del 2013
superava i 1.400 miliardi e il 90 per cento del prodotto interno lordo. Il
credito costituisce quasi due terzi dei debiti finanziari delle imprese; oltre
un terzo della ricchezza finanziaria delle famiglie è investito in depositi e
obbligazioni bancarie.
Negli anni scorsi l’eccezionale flessione del PIL ha minato la solidità di
molte imprese, rendendo gravoso il rimborso dei prestiti bancari. Le ricadute
sugli intermediari sono state molto pesanti: le perdite su crediti accumulate
dal 2008 ammontano a 130 miliardi; quelle dell’ultimo biennio hanno
assorbito pressoché per intero i profitti operativi.
Le banche hanno arginato il deterioramento della profittabilità contenendo
i costi. Tra il 2008 e il 2013 il numero dei dipendenti nel settore
bancario è diminuito di 30.000 unità, quello degli sportelli di 2.400. Il
rapporto tra costi e ricavi è sceso dal 66,7 al 62,1 per cento.
Di fronte al collasso della raccolta sui mercati internazionali nell’autunno del
2011, l’ampio ricorso alle operazioni di rifinanziamento triennali dell’Eurosistema
ha consentito alle banche italiane di sostenere un volume di prestiti all’economia
che eccedeva la raccolta di risparmio sull’interno e di far fronte al rimborso futuro
delle obbligazioni in precedenza collocate sui mercati esteri.
Con ingenti acquisti di titoli di Stato le banche hanno accumulato risorse
per fronteggiare nuove crisi di liquidità, in una fase in cui l’aumento del
rischio sovrano spingeva gli investitori esteri a ritrarsi dal nostro mercato.
I redditi da interessi e i guadagni in conto capitale su questi titoli hanno
compensato in parte le forti perdite registrate sui crediti a famiglie e imprese.
Dalla metà del 2013, con il ristabilimento di condizioni ordinate sui mercati,
le banche hanno iniziato a cedere i titoli pubblici.
Il finanziamento dell’economia
Il credito complessivo all’economia italiana è in calo. I dati aggregati celano
però andamenti differenti per le diverse categorie di debitori. In un contesto
di persistente incertezza circa i tempi e l’intensità della ripresa le imprese
hanno ridotto la domanda di credito. Quelle di maggiore dimensione hanno
accresciuto il ricorso al mercato obbligazionario: nel 2013 i collocamenti
lordi di titoli da parte di emittenti italiani hanno sfiorato i 40 miliardi, quasi
il doppio rispetto a quelli degli anni precedenti la crisi.
Le restrizioni all’offerta di credito colpiscono in misura maggiore le
imprese piccole e medie, generalmente più rischiose e ora particolarmente
indebolite dalla recessione. In questo quadro, preoccupa la difficoltà nel
reperire finanziamenti da parte di aziende dotate di favorevoli opportunità di
crescita ma prive di accesso diretto al mercato dei capitali.
Nelle prossime settimane la Banca d’Italia varerà misure per migliorare
ulteriormente la situazione di liquidità delle banche e agevolare per tale via la
concessione di credito alle piccole e medie imprese. Sarà ampliata la gamma
dei prestiti utilizzabili a garanzia del rifinanziamento presso l’Eurosistema.
Innovazioni nelle caratteristiche dei contratti consentiranno alle banche
di stanziare tipologie di prestiti, quali le linee di credito in conto corrente,
diffuse tra le aziende minori. Sarà permesso utilizzare portafogli di crediti,
con una gestione più flessibile del collaterale e con minori scarti di garanzia;
sarà possibile includere i mutui ipotecari concessi alle famiglie.
Il principale ostacolo all’offerta di finanziamenti è tuttora costituito
dall’elevato rischio di credito. I prestiti bancari deteriorati, al netto delle
svalutazioni già effettuate, sono saliti al 10 per cento di quelli complessivi; le
sole sofferenze costituiscono il 4 per cento. In una fase di forte preoccupazione
degli intermediari sulla solidità e le prospettive dei debitori, la carenza di
credito è stata attenuata dalla concessione di garanzie pubbliche.
Accogliendo oltre 77.000 domande, nel 2013 il Fondo centrale di
garanzia ha consentito prestiti per quasi 11 miliardi. Recenti interventi hanno
ampliato la platea dei beneficiari del Fondo e hanno più che raddoppiato,
rispetto agli anni precedenti, le risorse stanziate per il triennio 2014-16.
Queste risorse sono tuttavia in parte destinate a finalità diverse da quelle
originariamente previste. Non bisogna disperderle: la frammentazione degli
interventi rischia di ridurre l’efficacia di uno strumento il cui scopo deve
rimanere quello di facilitare l’accesso al credito di imprese piccole e medie
indebolite dalla recessione ma fondamentalmente sane.
Una ripresa del mercato delle cartolarizzazioni può contribuire a riattivare
il credito all’economia. Per permettere agli investitori una valutazione
consapevole di queste operazioni occorrono regole che ne rafforzino la trasparenza
e la standardizzazione, distinguano tra prodotti complessi e prodotti
semplici, favorendo la diffusione di questi ultimi. La Commissione europea
ha recentemente annunciato iniziative che vanno in questa direzione.
L’indebitamento elevato e la dipendenza dal credito bancario sono segnali
di vulnerabilità finanziaria per le imprese italiane. Con quasi 1.300 miliardi
di debiti finanziari e 1.600 di patrimonio netto, il complesso delle aziende
italiane ha una leva del 44 per cento; il credito bancario rappresenta il 64
per cento dei debiti complessivi. Per l’area dell’euro queste grandezze sono
decisamente più basse, in media pari al 39 e al 46 per cento.
Una dotazione di capitale più elevata agevolerebbe l’accesso delle
imprese al credito; insieme con una maggiore diversificazione delle fonti di
finanziamento esterno, le renderebbe più robuste. Una leva finanziaria in linea
con la media europea richiederebbe un aumento del patrimonio di circa 200
miliardi e una pari riduzione dei debiti: si tratta di un obiettivo ambizioso ma
alla portata delle nostre imprese in un orizzonte di medio termine. Riforme
strutturali volte a rilanciare la crescita agevolerebbero il reperimento di
capitale di rischio e incoraggerebbero gli imprenditori a impegnare risorse
proprie, mostrando per primi fiducia nelle prospettive delle loro aziende.
Il modello di finanziamento delle imprese riflette tratti strutturali del
nostro sistema produttivo, quali la piccola dimensione e la natura familiare
della proprietà. Gli imprenditori sono restii ad aprirsi all’ingresso di nuovi soci
o a reperire fondi direttamente sul mercato, anche per un sistema impositivo
a lungo poco favorevole al capitale di rischio.
La normativa sull’Aiuto alla crescita economica (ACE), introdotta alla fine
del 2011 e rafforzata con la legge di stabilità per il 2014, riduce lo svantaggio
fiscale del capitale rispetto al debito. Essa offre un’importante occasione a
tutte le imprese; si stima che nel biennio 2012-13 quasi il 40 per cento delle
aziende con più di 20 addetti abbia aumentato il patrimonio netto.
L’azione della Vigilanza
Nel 2013 è proseguita l’azione di verifica dell’adeguatezza delle svalutazioni
su crediti avviata alla metà del 2012. La Vigilanza ha continuato a sollecitare
il rafforzamento patrimoniale delle banche per assicurarne la solidità.
I nostri interventi sono stati talora accolti da critiche aspre. Riteniamo
che essi siano stati determinanti per preservare dapprima, e rafforzare poi,
la fiducia degli investitori sulla capacità del sistema bancario di sostenere le
conseguenze della crisi. Anche grazie a tale azione nel 2013, nonostante il
forte aumento dei prestiti deteriorati, le rettifiche a copertura dei connessi
rischi creditizi sono aumentate dal 39 al 42 per cento per il complesso del
sistema.
Il patrimonio di migliore qualità è salito dal 7,1 per cento delle attività
ponderate per il rischio nel 2008 al 10,5 nel 2013; vi hanno contribuito,
per quasi 60 miliardi, i cospicui aumenti di capitale e l’autofinanziamento.
Il rafforzamento patrimoniale è tuttora in corso: nei primi cinque mesi di
quest’anno dieci gruppi bancari hanno effettuato o annunciato aumenti di
capitale per 11 miliardi; per le banche soggette alla valutazione approfondita
condotta in sede europea gli aumenti innalzeranno ancora i coefficienti
patrimoniali di circa un punto percentuale.
Il rafforzamento patrimoniale è stato realizzato pressoché per intero
con capitali privati. Il sostegno dello Stato italiano è stato di entità molto
contenuta; ha raggiunto 4,8 miliardi nel primo trimestre del 2013 (lo 0,3 per
cento del PIL), valore di gran lunga inferiore a quelli osservati nella maggior
parte degli altri paesi europei; verrà azzerato con la restituzione del prestito
concesso dallo Stato al Monte dei Paschi di Siena, già autorizzata per 3
miliardi dalla Banca d’Italia. Nel complesso, il supporto pubblico alle banche
ha generato cospicui guadagni netti per lo Stato.
Le fondazioni bancarie si sono impegnate nelle operazioni di ricapitalizzazione,
contribuendo alla solidità del sistema nella fase più critica; hanno
talvolta diminuito, per scelta o per necessità, la quota del capitale bancario
da esse posseduto. Gli afflussi di risorse connessi con la rinnovata fiducia
degli investitori nelle prospettive del nostro paese forniscono l’occasione alle
banche per rafforzare la dotazione patrimoniale e alle fondazioni per diversificare
ulteriormente la composizione delle loro attività. Nello stesso tempo
bisogna operare, come ho più volte indicato, per rafforzare la separazione
tra fondazione e banca, non consentendo il passaggio dai vertici dell’una
agli organi dell’altra ed estendendo il divieto di controllo ai casi in cui esso è
esercitato di fatto, anche congiuntamente con altri azionisti.
Rapporti stretti con il territorio di riferimento sono, per molte banche
medie e piccole, una fonte di stabilità, che si riverbera a beneficio dell’economia
locale. Tuttavia, un’interpretazione fuorviante di questi rapporti può distorcere
l’erogazione del credito, mettendo a rischio la solidità dei bilanci bancari e
l’allocazione efficiente delle risorse. Casi di questo genere divengono più
probabili in presenza di una recessione prolungata come quella che abbiamo
attraversato. Operiamo per indurre le banche a rafforzare i presidi aziendali,
organizzativi e di governo societario al fine di prevenire degenerazioni nei
rapporti di credito con la clientela, a correre ai ripari quando queste si siano
manifestate.
Tenendo conto di numerosi suggerimenti scaturiti dalla consultazione
pubblica, la Banca d’Italia ha di recente emanato norme in materia di
governance bancaria. Le disposizioni favoriscono il corretto esercizio delle
funzioni di indirizzo strategico, gestione e controllo; conferiscono funzionalità
alle catene decisionali, spingono al contenimento dei costi, responsabilizzano
i consiglieri. Alcune previsioni trovano subito applicazione; altre potrebbero
richiedere modifiche statutarie da parte delle banche, da attuare in tempi
ravvicinati. Le innovazioni introdotte per le banche popolari incentivano
la partecipazione dei soci alle assemblee, accrescono la dialettica interna,
favoriscono la raccolta di capitale di rischio.
Le crisi aziendali spesso si associano con debolezze dei sistemi di governo
societario, che possono favorire episodi di mala gestio. Nel 2013 la Banca
d’Italia ha affrontato 11 nuovi casi di intermediari in stato di difficoltà; altri
6 nei primi quattro mesi di quest’anno. Le banche attualmente sottoposte
ad amministrazione straordinaria sono di piccola o media dimensione; a esse
fa capo circa l’1 per cento dell’attivo totale del sistema. Dal 2009, 10 intermediari
sono stati posti direttamente in liquidazione, 55 in amministrazione
straordinaria. Circa la metà delle procedure sinora concluse si è risolta con la
restituzione dell’intermediario alla gestione ordinaria, anche attraverso operazioni
di aggregazione. Sono state garantite la continuità dei servizi alla clientela
e la tutela dei depositanti.
Nell’ultimo biennio sono state condotte 340 verifiche ispettive su banche
a cui fa capo l’80 per cento del totale dei fondi intermediati. In 63 casi abbiamo
rilevato gravi carenze nei profili di governance. In 45 di questi sono emerse
irregolarità di possibile rilievo penale che sono state tempestivamente portate
a conoscenza dell’autorità giudiziaria. Nella debita distinzione di funzioni e
strumenti, la collaborazione con la magistratura è intensa.
Se necessario, la Vigilanza richiede di rinnovare radicalmente la
composizione degli organi amministrativi, di rafforzare la struttura
organizzativa e patrimoniale, di elaborare nuovi piani industriali. Questo
consente di scongiurare il ricorso a provvedimenti di natura straordinaria
che il permanere delle situazioni critiche riscontrate potrebbe comportare.
La nostra azione diverrebbe ancora più incisiva con l’attribuzione alla Banca
d’Italia del potere di rimuovere – quando necessario e sulla base di fondate
evidenze – gli amministratori di una banca dal loro incarico, prevista dalla
proposta di recepimento della direttiva europea sui requisiti di capitale.
Spesso le grandi banche italiane, oltre a erogare credito, detengono quote
del capitale delle imprese. Il legame partecipativo non deve distorcere le scelte di
affidamento o ritardare l’emersione delle difficoltà dei debitori. I rischi connessi
con questi legami, al pari di quelli derivanti dai rapporti con controparti
strettamente legate alle banche, devono essere saldamente presidiati dagli organi
aziendali. La Vigilanza non può e non deve vagliare preventivamente le singole
scelte di affidamento, ma stabilisce regole sulle operazioni con parti correlate
e ne valuta il rispetto; le norme mirano a prevenire le possibili distorsioni
allocative e a minimizzare i conflitti di interesse; prevedono limiti quantitativi
ai rischi, procedure deliberative rafforzate, presidi organizzativi e obblighi di
comunicazione all’organo di vigilanza.
L’Unione bancaria e la realizzazione del Meccanismo di vigilanza unico
La costruzione, in corso, del Meccanismo di vigilanza unico fa avanzare
il progetto di Unione bancaria, concepito anche per contrastare la frammentazione
dei mercati finanziari dell’area. Il nuovo sistema di vigilanza
europeo condivide i principi fondamentali dell’approccio seguito in Italia:
l’enfasi sull’integrazione stretta tra controlli a distanza e verifiche ispettive, la
valutazione quantitativa e qualitativa dei rischi, lo stretto legame tra risultati
dell’analisi e azioni correttive.
Il Meccanismo unico di risoluzione delle crisi inizierà a operare dal 2015.
La gestione di una crisi bancaria vedrà coinvolte numerose istituzioni, sia
nazionali sia europee, nell’ambito di un Comitato unico di risoluzione. è
previsto il ricorso a un fondo alimentato da contributi versati dagli stessi
intermediari. Anche se il processo decisionale appare complesso e le risorse
messe in comune sono limitate, il compromesso raggiunto costituisce un
ulteriore passo verso il completamento dell’Unione bancaria.
Insieme con la BCE e con le altre autorità di vigilanza nazionali stiamo ora
effettuando la valutazione approfondita dei maggiori intermediari dell’area
dell’euro. L’esercizio mira ad aumentare la trasparenza e l’affidabilità dei
bilanci e ad accrescere la fiducia del mercato nella solidità del sistema creditizio
europeo, contribuendo alla ripresa dei flussi di finanziamento all’economia.
Le fasi principali della valutazione approfondita sono la revisione della qualità
degli attivi e una prova di stress dei bilanci delle banche.
L’esercizio in corso ha caratteristiche di complessità del tutto eccezionali,
sia per la mole delle attività da svolgere, sia per la loro concentrazione nel
tempo. Esso prende in considerazione un insieme assai ampio di attivi bancari,
dai crediti a famiglie e imprese, ai titoli di Stato, agli strumenti finanziari
complessi, le cosiddette attività di terzo livello.
Nei casi in cui la valutazione farà emergere la necessità di adeguare i
coefficienti patrimoniali, essa potrà essere soddisfatta con un ventaglio di
misure che vanno dalla mancata distribuzione di utili alla cessione di attività
non strategiche, al taglio dei costi, all’aumento del capitale. Le modalità e
i tempi richiesti per gli interventi saranno tarati in funzione della natura
della debolezza patrimoniale e a seconda che essa emerga da rettifiche sul
valore delle poste di bilancio o dai risultati delle prove di stress. Le misure di
ricapitalizzazione dovranno essere concordate con le autorità di vigilanza.
La credibilità dell’esercizio e il suo successo nel ristabilire fiducia nella
solidità del sistema bancario europeo richiedono la disponibilità di strumenti
di intervento pubblico che fungano da paracadute finanziario (backstops), come
stabilito dal Consiglio europeo nel giugno del 2013 e ribadito dall’Ecofin nello
scorso novembre. Essi dovranno essere conformi con i principi fondamentali
dell’ordinamento nazionale ed europeo, con l’obiettivo ultimo di garantire la
stabilità finanziaria.
I risultati della valutazione approfondita dei bilanci bancari saranno
pubblicati il prossimo ottobre. L’esercizio sta già contribuendo al rafforzamento
patrimoniale degli intermediari. Gli effetti sull’offerta di credito nel breve periodo
andranno vagliati con attenzione. Nel medio termine la relazione positiva tra
capitalizzazione delle banche e dinamica del credito risulterà rafforzata.
Le prossime sfide
Dagli ultimi mesi dello scorso anno il flusso di nuove sofferenze ha iniziato
a ridursi. L’esperienza insegna tuttavia che la ripresa economica determinerà
miglioramenti della qualità del credito con ritardo e in modo graduale. Per far
fronte agli accantonamenti che saranno ancora necessari occorre un ulteriore
aumento dell’efficienza del sistema bancario.
La razionalizzazione della rete di sportelli sta iniziando a incidere sui
costi operativi, ma vi sono ancora ampi spazi di miglioramento nell’utilizzo
della tecnologia. L’aumento del grado di concorrenza nel mercato bancario
che scaturirà, su scala europea, dal passaggio a una vigilanza unitaria spingerà
verso un ripensamento dei modelli di attività, dell’organizzazione e dell’assetto
distributivo. In tal senso potranno agire anche le misure strutturali sull’attività
delle banche attualmente in discussione a livello europeo, con effetti circoscritti a
un numero limitato di intermediari. Aggregazioni fondate su solidi presupposti
economici e su logiche di mercato potranno facilitare i processi di recupero di
efficienza. La Banca d’Italia valuta la rispondenza delle operazioni proposte ai
requisiti regolamentari e ai criteri di sana e prudente gestione.
Le banche dovranno ridurre la consistenza delle partite deteriorate, al
fine di liberare le risorse necessarie per finanziare l’economia. Si registra un
crescente interesse per questi attivi da parte di investitori specializzati, oggi
disposti a offrire prezzi più alti che in passato grazie all’attenuarsi della crisi del
debito sovrano e alla riduzione dei premi per il rischio. Anche l’incremento
delle rettifiche di valore, traducendosi in un calo del prezzo che le banche
sono disposte ad accettare per cederli, favorisce la ripresa di questo mercato.
Giovano le recenti modifiche alla normativa sulla tassazione delle perdite su
crediti, che hanno attenuato, pur non eliminandoli, i forti disincentivi fiscali
alla valutazione prudente dei rischi presenti nel nostro ordinamento.
Alcune cessioni di partite deteriorate sono state avviate; altre possono trovare
favorevole accoglimento presso gli investitori nazionali e internazionali. Sono in
corso presso alcune grandi banche interventi volti a razionalizzarne la gestione
con la creazione di strutture dedicate. L’esigenza di ridurre la consistenza dei
crediti deteriorati si pone anche per le banche di dimensioni medio-piccole, che
potrebbero avere difficoltà ad adottare autonome strategie di intervento.
Il 2013 è stato ancora un anno difficile, per l’Europa e per la nostra
economia, più di quanto si prevedesse un anno fa. L’uscita dalla recessione è
travagliata, la ripresa fragile e incerta. Non mancano, anche da noi, segnali
positivi: crescono gli afflussi di capitale, migliora il clima di fiducia dei
consumatori, gli ordinativi delle imprese manifatturiere sono in espansione.
Perché il miglioramento si consolidi va messo a frutto quanto è stato
finora intrapreso, avanzando con decisione lungo la strada delle riforme e
promuovendo la ricerca dell’efficienza, nei servizi pubblici come nell’attività
privata. Siamo anche consapevoli che alla crescita della produttività, troppo
a lungo stagnante, deve accompagnarsi quella della domanda, quindi dei
redditi delle famiglie, da sostenere con nuove opportunità di lavoro. Servono
investimenti, privati e pubblici, nazionali ed europei.
L’unione fra i paesi europei, che ha trovato finora la sua espressione più
compiuta nell’euro, è un progetto in itinere in cui i popoli coinvolti devono
poter credere, vedendovi una fonte generatrice di pace e di benessere. Alle
istituzioni si richiedono politiche che conferiscano robustezza alla costruzione,
ma che sappiano anche rispondere alle sfide del tempo. Siamo tutti cittadini
di questa Europa e insieme dobbiamo farla crescere, non solo sul piano
economico. Di fronte a un’opinione pubblica divisa, non sempre informata,
vi è bisogno di politiche profondamente europee, da attuare nei limiti delle
rispettive responsabilità ma con spirito aperto alla cooperazione. La politica
monetaria e l’unione bancaria sono direttrici importanti, che vedono già oggi
il nostro Istituto intensamente impegnato.
Nel governo della moneta l’obiettivo primario è la stabilità dei prezzi. La
politica monetaria non può, di per sé, stimolare la produttività o determinare
i sentieri di crescita. Ma condizioni monetarie stabili ne sono il presupposto
e il Consiglio direttivo della BCE è impegnato a garantirle. Quanto alle
banche, ora sottoposte a regole e vigilanza comuni, esse restano da noi il
pilastro fondamentale per il finanziamento dell’economia. Perché possano
continuare ad attrarre capitali e raccogliere liquidità sui mercati, indispensabili
per adempiere compiutamente alla loro funzione di intermediazione, ne va
rafforzata la governance, garantita l’integrità dei comportamenti, accresciuta
la redditività; vanno valutati gli effetti che oneri, non solo tributari, possono
avere sulla loro capacità di competere in un mercato finanziario integrato.
La ripresa dell’economia, il rilancio dell’occupazione dipendono dalla
capacità di finanziare investimenti e progetti meritevoli. A questo compito
fondamentale, pur nella difficile fase attuale, va rivolto il credito bancario,
con il necessario concorso dei capitali direttamente investiti nelle imprese
e delle risorse che possono essere utilmente raccolte sul mercato. Il rispetto
delle regole e la linearità dei comportamenti sono condizioni essenziali, sulle
quali continueremo a vigilare.
La via della ripresa, non solo economica, non sarà breve, né facile.
L’incertezza è insita nella transizione, rapida, verso un mondo molto diverso,
più mobile e aperto, dove la tutela dei deboli deve coniugarsi con l’offerta
di opportunità per i giovani. Politiche di ampio respiro vanno inserite in un
quadro chiaro e organico di interventi. Chi investe, chi lavora e consuma,
deve potersi confrontare con un programma che consideri tutti gli aspetti
da riformare nella società e nell’economia, che promuova l’innovazione e il
rispetto della legge, ispirandosi a principi di efficienza ed equità, che premi il
merito e la responsabilità. Anche se le singole misure potranno essere attuate
in tempi diversi, non solo per i vincoli di bilancio, la visibilità di un disegno
coerente rassicurerà i cittadini, rafforzerà quella fiducia nel futuro senza di cui
ogni progresso è impossibile.
30 maggio 2014