La giornata mondiale dell'ambiente e la CO2.


La felicità è un bene vicinissimo e alla portata di tutti: basta fermarsi a raccoglierla.
Seneca


Si è celebrata il 5 giugno la Giornata mondiale per l'ambiente e per l'edizione di quest'anno gli occhi sono puntati sugli oceani che, a causa del riscaldamento globale, rischiano di alzarsi anche più rapidamente del previsto e di inghiottire tanti piccoli Stati insulari, in cui vivono un totale di oltre 60 milioni di persone, l'equivalente della popolazione italiana. Se le nuove, più cupe, previsioni dovessero realizzarsi, e i mari dovessero davvero alzarsi di due metri entro la fine del secolo, paesi come le Maldive, Tuvalu e Kiribati di fatto non esisterebbero più.
Il direttore esecutivo dell'Unep, il Programma ambientale delle Nazioni Unite, Achim Steiner, fa notare il paradosso: "Le piccole isole contribuiscono poco al problema dei cambiamenti climatici, meno dell'1% delle emissioni globali; eppure sono particolarmente vulnerabili sia per le loro piccole dimensioni sia per la bassa resilienza economica, oltre che per la bassa capacità di mitigazione e adattamento". Insomma, gli inquinatori, ormai lo sappiamo a memoria, sono ben altri. Ed è proprio uno dei più grandi emettitori di gas serra, gli Stati Uniti, che ha dichiarato pochi giorni fa l'intenzione di fare un primo passo concreto per limitare i danni.
Il Clean Power Plan proposto dal presidente Obama si prefigge di tagliare del 30% le emissioni prodotte dalla centrali elettriche entro il 2030, rispetto ai livelli del 2005. La dichiarazione è stata saluta da molti come un ottimo primo passo nella giusta direzione, ma non sono mancate le critiche. Da parte degli ambientalisti, che considerano questo taglio insufficiente per centrare l'obiettivo di tenere sotto i livelli di guardia l'aumento della temperatura globale, e dall'opposizione repubblicana, sempre più clima-scettica, che non vuole porre limiti alla possibilità di inquinare perché teme che ciò si possa ripercuotere sull'economia.
In realtà l'Epa, l'Agenzia americana per la protezione dell'ambiente incaricata da Obama di dar seguito al suo piano, ha fatto i conti e concluso che l'America da questo taglio ha solo da guadagnare. Le centrali elettriche sono la fonte principale di emissioni di anidride carbonica negli Usa, rappresentando circa un terzo di tutte le emissioni di gas serra nazionali. Il taglio del 30% si traduce in 730 milioni di tonnellate metriche di carbonio risparmiate. A cosa corrisponda in concreto una cifra così grande? Alle emissioni annuali di 150 milioni di auto o di 65 milioni di abitazioni, cioè in pratica la metà di tutte le case d'America.
Bene, ma quali sono i vantaggi concreti, quali sono i costi e quale il guadagno? Ancora una volta ci viene in aiuto il fact sheet compilato dall'Epa secondo il quale, a fronte di un costo stimato compreso tra i 7,3 e gli 8,8 miliardi di dollari l'anno, i benefici potrebbero raggiungere una cifra compresa tra i 55 e i 93 miliardi l'anno fino al 2030. Si tratta di minori costi per le spese sanitarie e per mancata produttività, dal momento che il minore inquinamento legato ai tagli alle emissioni avrebbe un impatto enorme sulla salute dei cittadini. Tra 2.700 e 6.600 morti premature in meno, 140-150.000 attacchi d'asma evitati ai bambini, tra 340 e 3.300 infarti in meno, un taglio di 2.800 unità ai ricoveri ospedalieri e quasi 500.000 giorni di lavoro e di scuola persi verrebbero recuperati. In pratica per ogni dollaro investito nel Clean Power Plan semplicemente per ridurre smog e fuliggine si tradurrebbe in 7 dollari di benefici per la salute per le famiglie americane.
Intanto in Europa la crisi continua a picchiare duro, e l'unico beneficio che questo comporta è che le emissioni, nel 2012, sono calate ancora. Lo sostiene un rapporto appena pubblicato dall'Agenzia Europea per l'Ambiente secondo cui si è registrato un calo dell'1,3% rispetto all'anno precedente, il che porta il taglio delle emissioni dell'Unione Europea al 19,2% in meno rispetto ai livelli del 1990. In pratica siamo vicini a centrare l'obiettivo del taglio del 20% fissato per il 2020 con diversi anni di anticipo. A spiegare il calo c'è una riduzione dei trasporti e dell'industria, attribuibile alla crisi, ma anche una crescente proporzione di energia da fonti rinnovabili, non inquinanti.
La notizia per noi interessante è che il 45% del calo registrato nell'Unione tra il 2011 e il 2012 è attribuito proprio all'Italia, soprattutto per le minori emissioni nel settore dei trasporti e nell'industria. Ma l'Agenzia è ottimista nel segnalare che, nel complesso, meno della metà delle riduzioni finora raggiunte sono attribuibili alla recessione economica, quindi un grosso ruolo lo hanno avuto anche altri fattori, come un impiego sempre più diffuso delle rinnovabili unito a un miglioramento dell'efficienza energetica.
Un altro dato che fa ben sperare è quello che mostra come PIL e calo di emissioni non siano affatto collegati se si analizza l'intero periodo: dal 1990 infatti il PIL dell'Unione è salito del 45%, mentre le emissioni sono calate del 19%, il che significa che l'intensità delle emissioni in Europa si è di fatto dimezzata. Così commenta Hans Bruyninckx, direttore esecutivo dell'AEE: "L'Europa ha dimostrato che non c'è conflitto tra un'economia in crescita e una riduzione delle emissioni di gas serra. Dobbiamo fare ancora di più".
Marta Buonadonna
LOGO ... Tratto da panorama.it

11 giugno 2014

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