Il più grande spettacolo dopo il big bang è l'inflazione cosmica


La felicità non sta nell'acquistare e godere, ma nel non desiderare nulla, perchè consiste nell'essere liberi.
Epitteto

Il più grande spettacolo dopo il big bang è l’inflazione cosmica C’è una forte brezza nell’universo. E il vento di una notizia sorprendente, si può dire inattesa, agita di nuovo il mondo della fisica dopo la scoperta del bosone di Higgs. Forse addirittura con forza maggiore. Dopo cento anni dalla relatività generale, la traccia indiretta delle tanto ricercate onde gravitazionali, predette da quella teoria, arriva nel gelido territorio antartico. Il 17 marzo 2014 la cosmologia inflazionaria rinasce su basi sperimentali
E così, ci fu un tempo in cui qualcosa fluttuò nel vuoto o in qualche dimensione sconosciuta, forse per l’urto fra due immense strutture pluridimensionali chiamate brane, galleggianti in un “bulk oltredimensionale”...
In quel luogo ancora senza spazio e senza tempo si concentrò in un atto creativo tantissima energia per tempi infinitesimi
– grazie a una legge che sarebbe diventata poi un principio di indeterminazione
– e da quella fluttuazione si produsse un big bang, per qualcuno una sorta di pasto gratis, in realtà un brodo primordiale caldissimo di energia che però a quel tempo non avrebbe potuto ospitare ancora alcun... cucchiaio. Per raffreddarlo a sufficienza e per poter osservare qualcosa di più solido e di più consistente al suo interno – senza poterci soffiare naturalmente su – si sarebbero dovuti aspettare 380 mila anni. Per arrivare a un rinfrescamento più serio, intorno ai 273 gradi centigradi sottozero (un bel congelatore!), si sarebbero dovuti attendere ancora 13 miliardi e 800 milioni di anni, l’età attuale dell’universo.
Noi galleggiamo in un vuoto freddissimo e i 273 gradi sottozero corrisponderebbero alla temperatura dello “zero assoluto”. Però questo “zero” termico che ci circonda non è proprio zero, se lo misuriamo bene col termometro... ci sono circa tre gradi in più. E la cosa straordinaria è che questa temperatura registrata permea in modo omogeneo e uniforme tutto lo spazio. Si tratta della temperatura di una radiazione che è così ovunque. Perché? Perché essa rappresenta il resto fossile di un grandioso spettacolo, il “rumore” di qualcosa che avvenne proprio 13 miliardi e 800 milioni di anni fa, la traccia della nascita “alla luce” dell’universo, come l’eco di un vagito cosmico. Viene chiamata CMB o radiazione cosmica di fondo, che sonde sempre più sofisticate “fotografano” con dettagli via via maggiori per scoprire in essa piccole disuniformità di temperatura. Disuniformità che, 380 mila anni dopo il big bang, sarebbero state i semi della formazione, molti anni dopo, di stelle e di galassie... e anche di noi viventi, in definitiva. L’idea di noi era in fieri in quelle sterminate piccole disuniformità, in quelle piccole fluttuazioni locali. Per permettere che ogni cosa funzionasse a dovere, che nascesse una fisica idonea anche a prevederci, che lo spazio fosse abbastanza piatto da poter giocare col teorema di Pitagora a dimensioni estese, l’universo sarebbe dovuto essere “connesso” in ogni suo punto. E anche omogeneo. Più o meno a geometria piatta. Insomma, abbastanza regolare da suggerire la possibilità di un “grande imbroglio” (come ebbe modo di dire il grande astronomo reale Sir Fred Hoyle osservando certe proprietà molto particolari nella nucleosintesi del carbonio).
Negli anni ’80, Alan Guth propose un modello per spiegare il “trucco delle tre carte cosmiche”: un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo dopo il big bang e fino a un tempo forse di poco superiore a dieci volte questo infinitesimo attimo, le dimensioni dell’universo passarono in proporzione da quelle di una punta di spillo a quelle della nostra Galassia. Di fatto, in modo istantaneo, quasi un cambiamento improvviso di scala. Una crescita straordinariamente rapida (detta esponenziale) che “stirò” lo spazio e anche il tempo. A questa crescita impressionante dell’universo è stata data – con un termine che evoca in genere problematiche economiche – la denominazione di “era inflazionaria”. Anche se elegante, in accordo indiretto con le osservazioni sperimentali, la teoria inflazionaria rimaneva teoria… Fino a ieri.
Procediamo. Uno dei grandi meriti di Einstein è stato quello di aver descritto la gravitazione in termini di “varietà geometrica” dello spaziotempo. Nel senso che quest’ultimo risulta perturbato dalla presenza di massa nell’universo, deformandosi esattamente come un foglio elastico sul quale venga poggiato un oggetto pesante. Un buco nero, nella sua rappresentazione bidimensionale, non sarebbe nient’altro che una esasperazione di questo fenomeno, una sorta di voragine prodotta nel foglio elastico da un oggetto pesantissimo. La predizione di Einstein andava però oltre: i suoi calcoli mostravano chiaramente che perturbazioni all’interno di grandi masse cosmiche (esplosioni di supernovae, collassi stellari e formazione di buchi neri) avrebbero dovuto produrre onde di gravità nello spaziotempo, un po’ come onde d’urto che si sarebbero poi propagate nell’universo esattamente come le onde di uno stagno pieno d’acqua generate da un sasso lasciato cadere sulla sua superficie. La caccia alle onde gravitazionali è stata lunga, sin da quando sono state installate le prime antenne gravitazionali fino ai più moderni e maggiormente sensibili strumenti che si basano sulla interferometria laser, in grado di percepire le minime perturbazioni diffuse nello spaziotempo e indotte da lontani e catastrofici effetti massivi.
Quale effetto massivo però potrà essere mai più grande di ciò che è avvenuto nell’attimo in cui tutto l’universo s’è gonfiato nell’era inflazionaria?
Certo, non era pensabile rilevarlo direttamente visto che le prime informazioni cui possiamo accedere partono dalla radiazione cosmica di ben 380 mila anni dopo, quando finalmente nel brodo opaco la luce riuscì a separarsi dalla materia rendendo l’universo visibile e trasparente alla radiazione… E allora? Occorreva cercare il colpevole forse proprio nella radiazione cosmica, qualcosa che inequivocabilmente mostrasse la traccia di ciò che era avvenuto molto tempo prima, un po’ come un indizio sul luogo del crimine, la pistola fumante… Ricordiamo che molto è stato fatto per indagare, sempre più in dettaglio, il momento in cui l’universo si rese visibile nel disaccoppiamento fra luce e materia, a partire dalla scoperta effettuata nel 1964 fino alle indagini strumentali con palloni sonda come BOOMERanG (che vide la partecipazione ENEA) e i satelliti COBE, WMAP e ultimamente PLANCK.
Non si riteneva fosse possibile esplorare indietro nel tempo oltre tale istante... e invece, qualcosa che è stata scoperta in questa radiazione sembrerebbe evidenziare una traccia ancora più antica, 380 mila anni più antica. Un po’ come trovare l’impronta fossile del primo organismo vivente preistorico in uno scavo... Il 17 marzo di quest’anno è stato dato il clamoroso annuncio: dopo un’attenta e lunga campagna di misure raccolte in Antartide dal South Pole Telescope (SPT) con uno strumento chiamato BICEP2 che guarda non nello spettro visibile ma nella regione delle microonde, è stato trovato il “baco” nella radiazione cosmica, una sorta di “spiraleggiamento” della radiazione compatibile con gli effetti gravitazionali del pur lontanissimo evento inflazionario dell’universo.
La teoria di Guth da questo momento non sembra essere più soltanto una teoria. Ci vorranno ulteriori conferme sperimentali ma tutto sembra dare credito a quella che è stata una grande intuizione, come è accaduto per il bosone di Higgs. E confermando nei risvolti più eclatanti – ammesso fosse ancora necessario – quella immensa opera filosofica e scientifica che è stata la sintesi di Einstein.
Le sorprese però non sono ancora finite. È un po’ come se si fosse spalancato uno scrigno colmo di straordinarie ricchezze.
Cominciamo dall’inizio. Spieghiamo tutta la fisica. In fondo, a pensarci bene, essa si basa sulla risposta a quattro semplici quesiti:
• perché una palla lanciata in aria ricade sulla terra?
• perché una lampadina illumina una stanza?
• perché esiste la radioattività?
• perché esiste la materia?
Ognuna di queste domande descrive una “forza” fondamentale della natura, in pratica tutta la fisica. La risposta alla prima domanda si chiama “forza di gravità”. Alla seconda si risponde con “forza elettromagnetica”. Alla terza con “forza nucleare debole”. Alla quarta con “forza nucleare forte”. E dato che si tratta di forze, si può attribuire ad esse un valore per misurarne l’intensità, una grandezza relativa arbitraria che possa in qualche modo permetterci di confrontarle.
Bene, se a quella nucleare forte, quella che tiene unita la materia, che la fa esistere perché la racchiude interamente all’interno del nucleo dell’atomo, diamo convenzionalmente valore 1, la forza nucleare debole, che spiega in che modo alcuni elementi si liberano di energia in eccesso “decadendo” in altri elementi verso la stabilità tramite la radioattività, risulta diecimila volte più piccola rispetto a quella. La forza elettromagnetica è circa cento volte più piccola. Quella gravitazionale è addirittura insignificante: un valore pari a 1 seguito da 39 zeri più piccolo!
Ciò che si è sempre pensato è che un tempo queste forze non dovessero essere così diverse tra loro. E questa particolare condizione si sarebbe dovuta verificare proprio nei primissimi istanti di vita dell’universo, quando le energie legate alle alte temperature della radiazione fossero state molto alte. Bene, i dati potrebbero confermare proprio che alla temperatura in cui l’universo ha iniziato la sua rapida espansione, tre delle quattro forze (con esclusione ancora di quella gravitazionale) fossero indistinguibili le une dalle altre: ciò corrisponderebbe alla fase chiamata di Grande Unificazione. C’è ancora dell’altro. Non si finisce più! Forse è l’aspetto più intrigante. Se la gravità si propaga tramite onde, il formalismo descrittivo dovrebbe essere identico a quello che viene utilizzato nella trattazione delle onde elettromagnetiche, che si trasmettono appunto nel campo elettromagnetico. Ora, così come un campo da tennis può essere identificato dalla pallina da tennis e viceversa (o un campo da calcio dal pallone da calcio), nel campo elettromagnetico la “pallina” che lo identifica è un quanto (come grandezza fondamentale) chiamato fotone. Ma anche il campo della forza nucleare debole e quello della forza nucleare forte possono essere “quantizzati” alla stessa stregua. Per anni, solo la gravità sembrava inutilmente ricercare il proprio quanto come una sorta di Sacro Graal della fisica.
Se esistono le onde gravitazionali, esiste la gravità quantistica. E se esiste la gravità quantistica deve esistere il suo “quanto”, il cosiddetto gravitone. Aristotele può ancora insegnare qualcosa con i suoi sillogismi.
Un inizio per guardare davvero all’unificazione completa delle quattro forze nella cosiddetta Teoria del Tutto. Il sogno di spiegare ogni cosa con un’unica teoria elegante e completa. Un po’ come ha intitolato Douglas Adams uno dei suoi famosi romanzi di fantascienza umoristica: “La vita, l’universo e tutto quanto”...
Ciò che si è aperto è un fronte di ricerca straordinario. Gli acceleratori di particelle come il Large Hadron Collider del CERN di Ginevra dovranno essere sempre più grandi per poter scandagliare livelli di energia che si avvicinino agli istanti primordiali di esistenza dell’universo. Non è però possibile costruire con la tecnologia attuale acceleratori grandi come il sistema solare né come la circonferenza della nostra galassia. Non sarebbe neppure pensabile. Però, con un telescopio nelle lande gelate dell’Antartide (ma calde come ai tropici se rapportate alle attuali temperature cosmiche) siamo arrivati al muro dell’inflazione cosmica, meno, molto meno di un battito di ciglia dal vero big bang, dall’inizio di ogni cosa, anche se in modo indiretto. Guardando semplicemente sopra la nostra testa. Perché, per dirla con Shakespeare, ci sono più cose in cielo…

Emilio Santoro
ENEA, Unità Tecnica Tecnologie e Impianti per la Fissione e la Gestione del Materiale Nucleare

LOGO ..... Tratto da EAI 2/3 - 2014 dell'Enea - 9 luglio 2014


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